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Autore: EmmaEvans    23/05/2014    2 recensioni
Hope aveva un disperato bisogno di ricominciare una vita normale: per capire chi era davvero e per chi poteva diventare, lasciando perdere il proprio passato. Era stata segnata dall’Ombra e tutti glielo ricordavano appena la guardavano. Sapevano, anche se non c’erano più segni visibili del suo passaggio. E lei non ne poteva più: voleva qualcuno di naturale, qualcuno che non sapesse del suo passato e che la giudicasse per come era adesso, non per come era stata. E Noah, un ragazzo conosciuto su internet e mai visto, è esattamente ciò che cerca. Più o meno.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao a tutti!!! Questa è la mia prima fanfiction pubblicata (quella precedente era sono un piccolo esperimento)! Ne ho scritte tante ma non ho mai avuto il coraggio di pubblicarne una... spero davvero che vi piaccia perchè è la mia creatura e i personaggi sono diventati... parte di me.
Come si legge, tratta degli One Direction, gruppo di cui sono fan da pochi mesi con non poche sofferenze visto che sono presa in giro dal 90% dei miei amici....Sono stata la mia ispirazione per questa storia, in particolare, lo è stata la loro canzone più bella (almeno secondo me): Story of My Life. Quindi vi chiedo PER FAVORE: se non siete fan, se siete haters o qualsiasi cosa che si possa accostare a questi, NON leggetela, così evitiamo qualsiasi 'scontro' spiacevole!
Ultima cosa: ci sono cose vere e cose false (sopratutto che riguardano loro 5, non sono proprio un'esperta!), però, come dire... è un'opera di fantasia, quindi... SPAZIO ALLA FANTASIA!
Per il resto, vi auguro una buonissima lettura e, se vi va, lasciate commenti, sempre ben accetti!
Un grande abbraccio stritolatutto a tutti (uno in più alla directioners che sceglieranno di leggere questa storia)
Emma ;)



Capitolo 1 – Facile come il primo accesso.

3 Marzo 2013

“Ciao”

“Ehi ciao”

“Come ti chiami?”

“Mi chiamo Hope e tu?”

Stryes94 sta scrivendo…

“Cosa ti suggerisce il mio nome?”

Padme sta scrivendo…

“Non lo so. Ti chiami… come una mossa particolare del bowling? :)”

“Ahahha, perché dici così?

“Stryes -> Strike, scritto strano”

“Ahahahah no.”

“non sono brava con gli indovinelli”

“va bene, questa volta ti salvi. Mi chiamo Noah. Piacere :)”

“Piacere :)”

Era iniziata come niente. Era stato facile, come fare il primo accesso al social network.


“Di dove sei?”

“Non credo di fidarmi abbastanza per dirti dove abito.”

“… risposta che posso accettare. Io però mi fido di te, anche se non ti ho mai vista: sono di Londra.”

“Bella Londra!”

“Tu non sei di Londra?”

“Ti ho appena detto che non te lo dico di dove sono”

“No, infatti. Ma mi hai detto che è bella, perciò ho dedotto che l’hai vista ma che non ci vivi.”

“Touché”

Hope aveva 17 anni, in procinto di uscire dalla fase più difficile, più fantastica, più dolorosa, più incredibile e pazzesca della vita di qualsiasi altra persona: l’adolescenza. Era uguale ma altrettanto diversa da qualsiasi ragazza della sua età.

Aveva deciso di accedere a questa chat tramite un social network perché aveva voglia di parlare con qualcuno che non la conoscesse. Qualcuno che non conoscesse la sua situazione e il suo passato, segnato inesorabilmente dall’Ombra. Ci era voluto davvero tanto per uscirne e avrebbe voluto iniziare da capo un’altra vita. Ma non sempre ciò che si voleva poteva essere possibile. Così aveva deciso di usare uno strumento che le avrebbe permesso di celare ciò che voleva nascondere. Sapeva benissimo che su internet si possono fare brutti incontri ma non le era importato: si sentiva sufficientemente superiore agli altri e aveva pensato che lei l’avrebbe capito subito se uno faceva finta di essere qualcuno o se era realmente quel qualcuno. Gli altri magari no, gli altri si sarebbero fatti fregare. Ma lei era furba quanto loro e abile a sufficienza da non lasciare tracce.

E quel qualcuno che si spacciava per un ragazzo dal nome Noah l’aveva convinta con le ultime due frasi anche se il nick name scelto da lui non fosse uno tra i più particolari e fantasiosi.

“Quanti anni hai?” si azzardò a chiedere.

“19, appena compiuti” rispose.

Era pronta a digitare la domanda successiva quando arrivò il classico POP della chat attraverso le cuffie attaccate al pc.

“appena compiuti no.” Hope si fermò e alzò un sopracciglio “Diciamo che ho da un mese 19 anni. Tu?”

Hope poggiò un dito sul tasto 1 ma non lo schiacciò. Si bloccò, con la fronte leggermente corrugata.

POP

“Anche questo non me lo vuoi dire. Va bene. Cercherò di guadagnarmi la tua fiducia ;)”

Hope si lasciò sfuggire un piccolo sorriso.

“Mi giuri però che quando conquisterò la tua fiducia, me lo dirai?”

Era una richiesta strana. Ma in fondo era solo una chat e lui solo un ragazzo.

Sorrise tra sé, pensando che aveva pensato ‘solo un ragazzo’ e non ‘uno qualsiasi’.

“Si, te lo giuro :)”

Era iniziata come se fosse niente



Hope tornò a casa, il giorno dopo, completamente fradicia. Aveva piovuto per tutto il tragitto, da scuola alla fermata, dalla fermata a casa. Non le era importato granchè, le piaceva sentire le gocce scivolarle sulla pelle e impregnare i vestiti. Almeno finchè il vento gelato dell’aria condizionata del pullman non l’aveva colpita in pieno.

Aveva aperto la porta di casa, aveva fatto un passo e mollato borsa e scarpe in un angolo. Il suo gatto, Strike le era corso incontro ma appena aveva sentito l’odore di bagnato aveva fatto dietro front e si era andato a rifugiare in cucina, sotto il tavolo, dove aveva osservato guardingo la sua padrona ficcare qualcosa nel forno a microonde.

Hope era salita in camera, si era tolta i jeans, li aveva buttati sul calorifero insieme alla felpa e si era messa una tuta che le stava larga di almeno due taglie. Poi si era fatta la coda e si era sciacquata la faccia in bagno. Aveva perso un minuto osservandosi allo specchio, come faceva di solito ormai da quasi un anno. Cercava un segno che potesse effettivamente indicare il passaggio dell’Ombra. Ma come al solito non le sembrò che ci fosse nulla di strano a parte il pallore cadaverico della sua pelle. Quindi era scesa di nuovo in cucina, dove aveva preso il piatto di pasta al forno lasciato dai suoi e se lo era portato in sala, sul tavolino. Si era seduta sul divano e aveva accesso la tv. Solo allora Strike era uscito dal suo nascondiglio e l’aveva raggiunta annusando l’aria.

“Non è per te” aveva detto Hope mentre girava da un canale di musica ad un canale di serie tv, dove stavano mandando in onda una vecchia puntata di una delle sue serie preferite.

Aveva accarezzato Strike e si era rilassata.

Non aveva accesso il computer fino a sera, poco prima di cena. La scuola stava per finire, mancavano circa tre mesi e i professori erano tutti impazziti, caricandoli di compiti, interrogazioni e verifiche. Aveva perso un paio di settimane all’inizio della scuola a causa dell’Ombra. La sua psicologa le aveva detto che bisognava iniziarla a chiamare con il suo vero nome, anche in famiglia, soprattutto in famiglia; “per superare una cosa del genere bisogna che la si guardi dritta in faccia” aveva detto. Ma Hope era testarda ed era l’unica cosa che la dottoressa non era riuscita a cambiare.

Aveva cercato di concentrarsi sullo studio quel pomeriggio; alle sei decise che il Professore Lenteis poteva anche andare a quel paese insieme a tutti i pittori minori dell’età moderna. Mentre il computer si accendeva, sistemò un po’ i quaderni di scuola, accatastandoli in fondo alla scrivania. Quando il pc fu pronto, aprì internet: controllò se qualcuno dei suoi compagni avesse fatto domande intelligenti su facebook, se il professore avesse caricato il materiale per la lezione del giorno successivo e poi sentì il POP. Il programma della chat si era avviato automaticamente.

Mentre lo apriva si annotò mentalmente di togliere l’impostazione di accesso automatico.

“1 Richiesta di Amicizia, 3 Notifiche da VaLeLoVeSuBaCk!!1!, 2 messaggi ricevuti”

Controllò la richiesta di amicizia: proveniva da un tipo che si faceva chiamare Timidone97. La rifiutò senza pensarci troppo. Guardò le tre notifiche. Erano tutte cazzate: un video e due commenti. Poi i messaggi: provenivano da Stryes94.

Erano la continuazione della conversazione della sera precedente. Avevano parlato di cibo.

“No, comunque ho ragione io” diceva il primo messaggio “Il finocchio fa schifo. Sei tu che sei strana e ti piace. Comunque anche io vado a letto, buona notte, a domani!”

Hope si era stiracchiata, indecisa se scrivergli lei oppure aspettare.

Poi sua mamma l’aveva chiamata e aveva avuto altro a cui pensare.


“Ciao Hope!!!”

“CIAOOOOOO!!!” Padme sta scrivendo…“Ciao scusa devo mangiare a dopo ciao”

“Vaaaa bene. Ciao!”


Quando tornò, lui era ancora in linea. Era passata un’ora.

“Scusami ero a mangiare.”

Lui ci impiegò qualche secondo a rispondere. “Tranquilla.”

“tu non mangi?”

“già fatto.”

“Come stai?”

“bene grazie” Hope mise della musica a caso dal suo iPod e si accomodò sul suo letto, con il computer in grembo e Strike appallottolato contro il suo fianco. Era leggermente stanca e cercò qualcosa su internet da vedere in streaming. Sua madre non era molto dell’idea che lei stesse così tanto davanti al pc, ma papà la difendeva sempre dicendo che non bisogna aspettarsi nient’altro da una ragazza di quell’età.

“Tutto ok, Hope?”

Aveva scritto il suo nome e questo la confortò in qualche modo. Il fatto che lui fosse un maniaco pazzoide si stava facendo una rara possibilità.

“Si, scusa. Sto cercando qualcosa da vedere sul computer. Tu come stai?”

“Bene. Cosa vuoi guardare?”

“pensavo qualche serie tv… niente di impegnativo.”

“Tipo Life in short?”

“Si, diciamo di si, anche se non è il mio genere”

“Allora sei inglese.”

La prese in contropiede e lasciò perdere la serie tv. Non sapeva cosa rispondere e per troppo tempo lasciò la chat vuota, con l’ultimo messaggio di lui. “Non è vero” scrisse infine sapendo benissimo di essere fuori tempo massimo per essere creduta.

Lui ci impiegò altrettanto tempo per rispondere.

Life in short la fanno solo in Inghilterra Hope”

Il fatto che l’aveva chiamata per nome la fece innervosire, quando prima, invece, l’aveva confortata.

Non scrisse niente e si affrettò a controllare in Internet. Life in short era effettivamente una serie tv trasmessa solo nel Regno Unito.

Lui però non scrisse più nulla, come se sapesse benissimo che lei si stesse scervellando per trovare una spiegazione plausibile.

“Be’ potrei anche essere di un altro paese e voglio imparare bene l’inglese.”

“vero” scrisse lui, rispondendo immediatamente. “Ma non credo che esistano persone sulla faccia della terra che vogliano imparare l’inglese guardando quella schifezza di serie tv.”

Hope rise. Era simpatico.

“Ahahaha, hai ragione.”

“ahaha. Bene, allora ho ristretto la ricerca ad un solo stato: Regno Unito. Devo capire se sei scozzese, gallese, irlandese….”

Hope fece un sorriso. “Già :)”

“Cosa hai fatto oggi? Sei andata a scuola?”

“Si” rispose senza pensarci. Merda, aveva appena rivelato un’altra informazione: aveva rivelato di avere tra i 10 e i 17 anni . 10 come base minima per saper usare internet con abbastanza dimestichezza. 17 perché aveva detto scuola e non College. Anche se poteva essere ambiguo…

“E cosa avevi di lezione?”

Questa volta non si fece fregare. “di tutto un po’” rispose semplicemente. “e tu?”

Lui si era accorto della sua risposta fugace, ma non scrisse nulla al riguardo.

“Oggi niente scuola :)”

“Fortunato! E come mai?”

“una specie di sciopero del personale”

“Specie?”

“Si. Sciopero dell’alunno.”

Di nuovo, Hope sorrise. Riprese a cercare qualcosa da guardare.

“Ahahaha mi dispiace… malato?”

“più o meno… stasera hai mangiato ancora insalata e finocchi?”

“No. Stasera sono stata carnivora...”

“Oh adesso si inizia a ragionare!”


Passò un numero di conversazioni considerevole: conversazioni sul nulla e su tutto, anche su argomenti che solo adolescenti possono far durare ore e ore. Hope passava la serata, dopo cena, su quella chat a scrivere, a rispondere e a ridacchiare, mentre Strike faceva le fusa contro la sua pancia. La maggior parte delle volte vedeva in contemporanea una puntata di una serie tv ma a volte doveva interromperla perché la conversazione diventava impegnativa e il POP nelle orecchie era continuo e le dava fastidio. O per lo meno era quello che lei diceva. In realtà, non le interessava più di tanto guardare la serie tv.

Diventò un appuntamento fisso e man mano che i giorni passavano insieme alle settimane diventava impercettibilmente sempre meno facile chiudere il pc e addormentarsi. Saltarono solo due sere in due settimane: una lui era fuori casa e l’altra lo era lei.



  
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