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Autore: Stars Trail    24/05/2014    1 recensioni
In cui fuori nevica, la tv manda in onda programmi di dubbio gusto, e due tonti si fanno le coccole.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ogiwara Shigehiro, Tetsuya Kuroko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se fosse ancora giorno, il cielo sarebbe di un bianco spento. A notte inoltrata, ormai, ha assunto un colore opaco che si è mangiato le stelle e le ha trasformate in fiocchi di neve grossi come pugni. Se nevicherà tutta la notte, probabilmente l’indomani Tokyo sarà invasa da un candore che farà male agli occhi.
La casa di Kuroko è piena delle risate che vengono dalla televisione, Gaki no Tsukai che è iniziato già da un buon quarto d’ora. Eppure, ogni volta che quel programma gli capita sott’occhio, Kuroko non riesce davvero a capire cosa ci sia di divertente nel vedere qualcuno essere punito solo per una risata. Alza appena lo sguardo, la sua testa pigramente poggiata sul ripiano del kotatsu, per ritrovarsi davanti i gomiti di Ogiwara. Risale, piano, e si scopre sorpreso nel vedere che nemmeno lui è particolarmente interessato al programma.
Ci fosse qualcosa di meglio, in tv.
“Sei stanco?”
La mano di Ogiwara è meravigliosamente calda, contro la sua fronte. Scuote appena la testa, mentre stira le braccia sotto il kotatsu. In verità, non fosse per il programma che non trova particolarmente interessante, sta così bene che non ha davvero intenzione di muovere un muscolo.
“No, tu?”
Ogiwara gli sorride, ed è meraviglioso che abbia al suo fianco qualcuno capace di sollevare gli angoli della bocca per ogni minima cosa. Il fatto che siano ancora sporchi del riso mangiato a cena, poi, gli dà un’aria così innocente che per un secondo si sente persino sporco, a pensarlo carino. Sfila un braccio dal kotatsu e allunga la mano per pulirlo come meglio più, sentendo l’aria fredda della stanza pungergli i polpastrelli. “Assolutamente. Mi spiace solo che la tv sia così noiosa. Quando ero più piccolo era più divertente.”
“Perché eri un bambino stupido.”
Sa benissimo che un’altra persona si sarebbe offesa, ma Ogiwara no. Ogiwara assorbe qualunque cosa e la trasforma in quel suono cristallino che gli fa capovolgere lo stomaco, sentire le farfalle, e tutte quelle altre cose che ha sempre sentito dire da Momoi quando parlava di lui, durante le medie. “Non ero io stupido, eri tu un po’ strano.”
“Potrei offendermi, Ogiwara-kun.”
Si sente preso per la vita e strascinato verso il pavimento, e quando la sua testa poggia sul cuscino, aprendo gli occhi si ritrova davanti il viso arrossato per il calore del kotatsu di Ogiwara e no, non può davvero offendersi con una persona simile.
La televisione rilascia risate eccessive.
Sente il cuore battergli forte in pancia, il sangue scorrergli con troppa rapidità nelle orecchie. Nonostante non sia la prima volta che si ritrova col viso di Ogiwara così vicino al suo, Kuroko non può fare a meno di sentirsi come se fosse nuovo a certe esperienze, nuovo a un contatto così ravvicinato, nuovo al calore rilasciato non da un kotatsu, ma da un corpo diverso dal suo. Ogiwara gli accarezza un braccio finché non trova lo spazio tra quello e la sua vita, e ci infila un braccio per stringerlo a sé.
Fuori nevica con forza. L’idea di rimanere intrappolati lì dentro, adesso, non gli dispiace poi così tanto. Chiudendo gli occhi, riesce a immaginare scorci di vita che non avranno mai, in cui tutto è bianco e loro non hanno bisogno di nulla se non di loro stessi.
Chiudendo gli occhi, Ogiwara si allunga sulle sue labbra, prende quello inferiore tra i denti e ci gioca appena con la lingua, in un gesto che sa più di affetto felino, che di mero istinto umano. Che il cuore batta all’impazzata non è importante, perché in fondo è per questo che è vivo, è per questo che è lì, al caldo di un kotatsu con la mano di Ogiwara che gioca con il bordo della sua maglietta, con i suoi denti che stringono ma non fanno male. Finché lui sarà lì di fianco, il suo cuore potrà anche esplodere. Avrà sempre qualcuno pronto a ricostruirlo raccattandone i pezzi. Dischiude le labbra, poggiandogli una mano sul petto, sentendo che il suo, di cuore, non è da meno a battere come se avessero appena corso. Gli permette di scivolare in lui e Ogiwara accetta l’invito con l’educazione di un giovane davanti a un anziano, muovendosi piano, chiedendo il permesso a piccoli tocchi. Se mai impazzirà, un giorno, l’unica cosa che Kuroko vuole è ricordare il viso di Ogiwara fino all’ultimo giorno, e assieme a lui l’attenzione quasi reverenziale che gli ha sempre rivolto, nascosta alla bene e meglio dietro un sorriso troppo largo e troppo sincero. Per adesso, si gode il momento intimo di un bacio nella cucina di casa propria, di solito vuota e triste, e che adesso è così piena di sentimenti a cui non riesce a dare un nome per la vergogna che tra poco, ne è certo, non ci sarà più spazio.
Non ci sarà più spazio per niente.
Quando si separano, Kuroko attende un momento prima di riaprire gli occhi - quei pochi secondi che bastano perché il sapore della bocca di Ogiwara diventi solo una memoria flebile nella sua mente.
Il cuore corre, la sua testa anche, e Ogiwara sorride ed è come se gli desse il permesso di continuare a lasciarsi andare. Perché in fondo va bene così, finché possono permetterselo. Va bene lanciarsi nel vuoto, se sotto c’è qualcuno pronto a prenderti. Kuroko cerca la mano di Ogiwara sotto il kotatsu e la stringe, sentendo il sapore dei primi ricordi riaffiorare sulla lingua - quello dei chu chu pops consumati sotto gli alberi frondosi in piena estate, quello del loro primo bacio dato dopo tanto, troppo tempo.
C’è lo stacco pubblicitario, in televisione. Il jingle del Pocari, una promozione telefonica per coppie sposate, la preview di un qualche anime particolarmente violento che non ha alcuna intenzione di seguire. C’è Ogiwara che sfrega la testa contro la sua spalla ed emette versi degni di una bestiola. Gli fa tenerezza, così tanta che gli abbraccia la testa col braccio libero.
È felice di averlo lì, perché fuori nevica e il mondo è freddo, e lui invece non è solo.

   
 
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