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Autore: Provehitoinaltum97    24/05/2014    2 recensioni
Ciao a tutti. :)
Diciamo che scrissi tempo fa questa "one shot" (abbastanza lunga) così ho deciso di pubblicarlo, quindi non è recente e perdonate se ci sono errori.
Premetto che non mi considero fan o altro, ma il protagonista della "mia" storia mi ha colpito molto nel film (non avendo ancora letto la trilogia) ed ho deciso di creare un tipo di "spin-off" solo per lei.
Come ben potete capire, si parla di Hunger Games, precisamente è ambientato nel contesto del primo romanzo.
Buona lettura. :3
N.B.
Il personaggio è OOC.
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katniss Everdeen, Rue, Thresh
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Ciao a tutti e grazie per leggere ciò che mi accingo a scrivere. Spero apprezziate. 
Volevo ringraziare la mia cara Haruma per il sostegno e, taglio corto, buona lettura. 



Il giorno della mietitura

È l'alba e non ho chiuso occhio stanotte, le mie sorelle piangevano nel sonno e non ho fatto altro che abbracciarle per dar loro sicurezza. 
La mamma è già in piedi, viene in camera, mi vede sveglia e si avvicina poggiandosi delicatamente sul letto che condivido con le altre, poi con la mano sinistra mi carezza la guancia destra e mi sussurra trattenendo a stento le lacrime "Non preoccuparti, non accadrà nulla, tra un po' sarà tutto finito". 
Mi alzo e mi lavo con quel poco d'acqua che c'è nella bacinella, non abbiamo una vasca né una doccia, bisogna arrangiarsi. 
Ci dividono in gruppi in base all'età. Mi avvicino ad una specie di bancone, un uomo mi afferra la mano destra e mi punge l'estremità dell'indice, lì dove circola più sangue. Da quel piccolo puntino inizia a sgorgare un fiume in piena rossastro scuro. 
Dopo aver lasciato la mia impronta su quel pezzo di carta, seguo il gruppo portandomi l'indice alla bocca ed assaporando l'emoglobina che lascia un retrogusto ferroso sulle papille gustative della mia lingua. 
Quando tutti sembrano essere nelle proprie postazioni, un tizio sale su quello che dovrebbe essere un palco ed inizia a parlare di qualcosa che non ascolto. La mia attenzione è rivolta alle facce di tutti i ragazzi che sono qui, nella mia stessa condizione, con espressioni impaurite dalle quali trasuda terrore, paura, orrore, rabbia, collera, voglia di scappare. Le mie sorelle sono dall'altro capo della piazza. 
Prima di conoscere il nome dei due tributi, ci fanno vedere un video: Capitol City, Hunger Games, Strateghi... Ma a che cazzo servono questi giochi? Per intrattenere degli stronzetti borghesi? Cos'è divertente? Vedere come ci si uccide l'uno con l'altro per la propria sopravvivenza? 
Il momento decisivo è arrivato. 
Non ho molte possibilità di vincere, non ho molte qualità, non ho molto coraggio o stima di me stessa, non so sopravvivere da sola e non voglio morire, sarei un'ottima preda per i favoriti, un giochino, un fenomeno da baraccone. Stringo i pugni e sento il sangue fuoriuscire dal forellino e le unghie entrare prepotentemente nelle nocche delle mani lasciando i segni violacei. Sta tremando di emozione colui che annuncia i nomi dei malcapitati e quasi mi irrita. Il primo è un ragazzo, ringrazio Dio che non sia una delle mie sorelle. Il tributo si avvia col capo chino e con andamento lento verso il palco, una volta arrivato viene abbracciato da quell'uomo che gli ha dato la sua sentenza di morte. Ora tocca al secondo, chiudo gli occhi: "Sono pronta a rischiare io la vita, nonostante non valga nulla, ma non le mie sorelle." questo mi frulla nella testa per quei pochi secondi finché non sento il mio nome. Sono ufficialmente nei settantaquattresimi giochi della fame e sono ufficialmente diretta verso la mia fine. 
Salgo i pochi gradini e vengo abbracciata così come è stato fatto con il ragazzo di prima, lo guardo, ha lo sguardo basso e un'espressione di rabbia, rivolgo la faccia alla platea. Mia madre, in lontananza, mi osserva, si morde il labbro inferiore con forza mentre le lacrime le rigano il viso e, alla mia sinistra, le mie sorelle chiamano il mio nome con la voce tremante da cui si percepisce la loro disperazione. I volti di tutti quei ragazzi sono diversi ora, più coloriti, più tranquilli, la preoccupazione, la paura sono scomparse, loro sono salvi, almeno per un altro anno. 
Il treno corre veloce sui binari. Non ero mai stata in un treno fino ad ora ma non sono entusiasta di questa nuova esperienza, so dove mi sta conducendo e una sorta di nausea mi colpisce come se una spada fosse conficcata tra lo stomaco e l'intestino. Chissà la mamma come sta. Non ho visto il nonno durante la mietitura, meglio così in un certo senso, sarebbe stato devastante per lui vedere un altro figlio avviarsi verso la morte. 
Nel mio distretto la povertà regna sovrana ed ora invece sono in un treno lussuoso con una tavola addobbata e piena zeppa di cibo. Mi avvicino al ragazzo che guardandomi per la prima volta, mi dice "Quanti anni hai?" 
"Dodici, signore" gli rispondo con un po' di timore. 
"Signore? Avrò sì e no qualche anno più di te. Mio Dio, dodici anni. Sai combattere?" 
"Che intendi precisamente per combattere?" 
"Non hai mai ucciso un qualsiasi animale con qualche arma, non so un pugnale ad esempio?" 
"No." me ne vergogno perché noto stupore e rammarico sul suo volto, ma quando mi poggia la sua grande mano sulla mia testa fragile un senso di sicurezza mi pervade, nasce dallo stomaco facendo guarire la ferita infertami da quella spada. 
Siamo arrivati a Capitol City. 
La gente che vive qui è strana, si veste in modo strano, parla in modo strano, si comporta in modo strano... Anzi, si comportano tutti da stronzi. Mentre camminiamo stringo forte il braccio del mio "compagno". Ci fanno stendere su dei lettini di ferro e poi ci preparano, lavano, truccano. Conosciamo lo stilista che ci dà dei costumi da contadini, simbolo del nostro distretto. Come per ogni edizione, stasera c'è la sfilata dei tributi. 
I favoriti sono accolti quasi fossero delle star ma la loro entrata non è per niente paragonabile a quella dei tributi del distretto dodici. I due giovani non indossano la divisa da minatori come dovrebbero, loro, loro sono illuminati da delle fiamme maestose. Spettacolari, meravigliosi. 
Katniss Everdeen, distretto dodici, il distretto più povero. Provo tanta ammirazione verso di lei, avrei potuto anche io propormi volontaria nonostante il destino già avesse in serbo la mia partecipazione a questi giochi ma magari avrei risparmiato la paura alle mie sorelle. Chissà se lei si accorgerà mai di me, chissà se non sarà proprio lei ad uccidermi per la sopravvivenza durante i giochi. 
Soggiorniamo in una suite all'undicesimo piano, lo stesso del distretto. Quanto lusso in questa città, mi chiedo perché questa differenza, chi più ricco, chi più povero. Domani inizierà l'allenamento, una sorta di preparazione da quanto ho capito. 
È mattina, forse le cinque, sono sveglia da un po' ma non ho voglia di alzarmi. Guardo il soffitto scuro e penso alla mia famiglia: cosa staranno facendo? Mi manca la mamma, i suo abbracci, le sue carezze. 
Il sole brucia sulla mia faccia, devo essermi addormentata. Mi alzo, lui è già a tavola mentre fa colazione e appena mi vede mi saluta versandomi del succo. Bevo e mangio la prima cosa che capita. Come vorrei che anche le mie sorelle potessero mangiare queste cose invece del solito pane duro. 
Nella sala ci sono molti attrezzi: archi, spade, corde. Non sono brava quasi in niente però sono veloce, mio nonno me lo dice sempre, mi ripete che sono abile ad arrampicarmi e credo di dover sfruttare questa mia capacità. 
La vedo entrare e una piccola nota di paura s'impadronisce di me, vorrei parlarle e dirle quanto sia spettacolare ma mi limito ad osservarla da lontano, in incognito, nascondendomi dietro questo pilastro. 
Ho fatto amicizia con un ragazzo del distretto quattro: è un tipo apposto. I favoriti mi hanno già preso di mira, si prendono gioco di me e posso sentire il disprezzo sulla mia pelle quando mi osservano. 
È divertente vedere come litigano tra di loro per un coltello: è uno spettacolo unico. 
Oggi è il giorno della prova delle abilità, mi hanno detto che dobbiamo mostrare le nostre doti a delle persone che poi ci daranno un voto da uno a dodici. Non so cosa fare, non so usare l'arco né manovrare una spada. Passo cinque, sei, forse dieci minuti a fissare la stanza mentre il silenzio è ormai calato. All'improvviso sento "Ecco a voi la ragazza più brava ad imitare i manichini!" ed una risata generale rimbomba tra quelle quattro mura. 
Abbasso la testa, la rabbia accumulata in questi giorni sembra non aspettare altro che uscire, prendo una rincorsa e salto più in alto alto possibile, mi aggrappo alla corda arrampicandomi fin sul tetto e nascondendomi lì. 
Esco dalla stanza. Dopo un paio di ore inizia la trasmissione di Caesar in tv. Tutti hanno avuto voti abbastanza alti, poi arrivo io: sette. Sapevo di non essere stata granché, mi accontento. 
Domani iniziano i giochi, ma stasera ci sarà lo show dove dovremmo far bella figura per guadagnare qualche sponsor. 
La sala piena di gente, indosso un vestitino chiaro, di sicuro sembro ridicola. Vengo accolta dal presentatore mentre qualche risatina si ode tra il pubblico. Il colloquio dura poco, mi viene chiesto della mia vita, il mio distretto. 
"Cosa credi possa risultare a tuo vantaggio in questi giochi?" 
"L'altezza e la velocità." Nessuno sembra aver capito. Alla fine esco dallo studio tra gli applausi forzati del pubblico. 
Il giorno x è oramai giunto. 
Ci fanno entrare in dei tubi che ci conducono in un campo, siamo tutti in cerchio. Davanti a noi ci sono degli zaini e delle armi. Cosa dobbiamo fare? Il conto alla rovescia appare davanti a tutti noi: tre, due, uno... Signore e signori, i settantaquattresimi giochi della fame sono iniziati. 
Dopo pochi secondi il primo cannone spara. Alzo la testa e riconosco tra i caduti il ragazzino del quattro. Mentre scappo tra gli arbusti, le lacrime mi riempiono gli occhi. Mi avevano detto che sarebbe stata dura, ma non così tanto. Decido di arrampicarmi fino al punto più alto di un albero mimetizzandomi tra le foglie, almeno per poche ore. 
Non so quanti tonfi ho udito stanotte, ma non ho dormito affatto bene. Decido di ispezionare la zona non scendendo sotto i trenta metri di altezza e cercando di farmi notare il meno possibile. 
Stanno ancora dormendo, posso approfittarne per colpirli ma non capisco perché il ragazzo del dodici sia con loro. Alzo la testa e la vedo, probabilmente è ferita. La sua smorfia di dolore mi arriva dritta al cuore, come se mi avesse colpito con una delle sue frecce. Noto che cerca di scendere dall'albero architettando chissà quale piano. Poco più in alto c'è un nido di aghi inseguitori. Attiro la sua attenzione senza sporgermi troppo dall'albero, mantenendomi alla sua corteccia. Dopo un paio di tentativi si gira, mi guarda. Ora sembra sollevata, come quando si vede qualcuno dopo tanto tempo e si è meravigliati della sua presenza. Le indico il nido e in qualche modo le faccio segno di doverlo far cadere, sembra aver capito. Prima che gli aghi si liberino nel bosco cercando qualsiasi cosa da pungere, come un lupo che, affamato, segue l'odore della selvaggina, mi allontano dalla zona. 
Non mangio da tre quasi tre giorni e saltare da un ramo all'altro mi stanca. Quando sono abbastanza lontana, decido di riposare. Come se fosse uno di quei divani della suite, mi getto su un ramo abbastanza robusto, cercando di dormire ed ignorare il mio stomaco che mi ricordava di dover essere riempito prima. Mi risveglio dopo qualche ora, quella fame si è trasformata in nausea. Una nausea forzata. 
Cosa starà facendo la ragazza di fuoco? Ce l'avrà fatta a scappare da quei "lupi affamati"? Se le fosse successo qualcosa, in qualche modo sarebbe colpa mia. Decido di ritornare indietro, ormai l'area dovrebbe essere sgombra. 
Abbasso lo sguardo. C'è un qualcosa, forse un qualcuno lì in terra. Prego non sia lei. Scendo di un paio di metri per vedere meglio. Il mio battito cardiaco è accelerato e sulle mie mani si è ormai formato una sorta di liquido che non mi permette il giusto appiglio al tronco di quell'albero. Noto una chioma bionda. Respiro, fino ad allora non lo avevo fatto e i miei polmoni lottavano tra di loro nel contendersi tutta quell'aria accumulata. Mentre avanzo una nube che man mano si schiarisce fino a diventare arancione-giallastra si dirige verso di me. Sembra avanzare in modo lento, ma non faccio in tempo a scostarmi che questa mi carezza il braccio. Solo dopo pochi secondi il cervello trasmette il messaggio del dolore tramite i miei neurotrasmettitori. Mi accascio, la pelle viva pulsa al contatto con quella natura artificiale. Cerco di coprirla con la manica della maglia, devo trovate delle foglie per curarmi ma prima devo assicurarmi che quella non sia Katniss Everdeen. 
Era la ragazza dell'uno. La sua faccia ormai informe, piena di bubboni violacei, non permetteva di riconoscerla. Gli aghi inseguitori hanno fatto il loro lavoro, ma avevano sicuramente ancora fame. 
Guardo intorno, non c'è nessun altro. Scelgo di proseguire a sinistra. Non so chi sto seguendo, ma sicuramente una persona che non ha paura di essere uccisa, dal momento che si nota il suo passaggio tra le fronde: dovunque. 
Passano i minuti, forse un'ora. Il mio stomaco sembra essersi svegliato dal suo sonno e come un picchio che becca contro un tronco, così il mio stomaco "becca" contro l'esofago approfittando degli acidi gastrici che nella gola lasciano un retrogusto viscido e stranamente fragolino.  
Sono seduta con una gamba a penzoloni. Sarò approssimativamente a venti metri d'altezza. Se cadessi, probabilmente morirei oppure potrei sopravvivere ma per quanto? In quanto Marvel o Cato mi troverebbero e farebbero di me carne per gli ibridi? 
Un odore di pollo. Sento un odore di pollo. Ritorno dai miei pensieri contorti. Pollo. Cibo. La bocca inizia a riempirsi di saliva e la fame aumenta quattro o cinque volte più rapidamente. 
Penso. Chi potrebbe accendere un fuoco col rischio di essere trovati dagli altri? Qualcuno che ha poca paura o qualcuno che è ingenuo. 
Forse per fame, forse per la follia acquisita in questi giorni, ma decido di seguire quell'odore, così come fanno i cani da tartufo. 
Mi muovo cautamente tra i rami, faccio dei salti lunghi ma silenziosi, cerco di atterrare senza far rumore. La riconosco dalla treccia. È viva, però sembra non essere conciata bene, gli aghi avranno cercato di nutrirsi anche di lei. 
Ho fame. Una fame che mai ho provato. Mi manca il pane scuro e duro del mio distretto, il grano non lavorato, la frutta ancora acerba. Anche una foglia sarei in grado di mangiare. 
Non mi accorgo di essere ormai in terra. Mi nascondo dietro un cespuglio. Mio malgrado o non, la goffaggine che mi appartiene da sempre non mi aiuta ed inciampo provocando un rumoraccio di foglie secche calpestate, simile a quello di un fuoco che arde scoppiettando. 
Si volta dalla mia parte puntando l'arco, in un primo momento non mi vede, abbassa l'arco e ritorna a cucinare. Ho fame. All'improvviso parla, mi ha vista. Non sento bene ciò che dice, capisco solo la parola "alleanze", la mia attenzione è su quel volatile cotto. Mi sporgo. Lascio che il mio volto sia riconoscibile, non più mimetizzato in tutta quella natura. 
Senza vergogna le chiedo se vuole stringere un'alleanza con me, sperando in una risposta positiva. Annuisce, accenna ad un sorriso, ha accettato. 
Mi chiede se ho fame, annuisco. Mi invita ad avvicinarmi, ha cacciato die prede in giornata. Il timore è sovrastato dalla mia ingordigia. Ha il collo gonfio, il suo colorito roseo è stato ormai sostituito da uno lilla. Le chiedo se le farebbe piacere essere curata, dice di sì. Nello zaino avevo conservato delle foglie utili a questo tipo di punture, le spiego che nei frutteti dove vivo io c'è ne sono molti. Ne metto una manciata in bocca, mastico fino a creare una polpa e, mentre mi mostra le punture sul ginocchio, sputo questa palla verdastra e la premo dove mi indica. È in gamba, ha avuto la forza di estrarre i pungiglioni. Mi supplica di curarle il collo, eseguo gli ordini. Nota il mio avambraccio bruciacchiato e vergognandomi lo copro. Mi offre della pomata e me la spalma sulla ferita, la pelle ormai morta velocemente si rigenera ed è come se fosse rinata. Le dico che ha degli ottimi sponsor mentre io non ne ho nessuno, in qualche modo mi rassicura ed iniziamo a mangiare. Le dico che ha cacciato un fagiano testagrigia, ottimo. In qualche modo, per contribuire, prendo delle radici ricche di carboidrati. Non voglio sembrare ripetitiva ma le chiedo più volte se sia sicura di voler essere mia alleata ed ogni volta mi risponde in modo convinto con un secco "sì". Mangiamo in silenzio. Poi canto l'inno e mi rannicchio, poggiando la mia testa sulla sua spalla: sono al sicuro. 
È notte fonda, mi sono appena svegliata. Voglio perlustrare la zona, lei dorme. Mi arrampico sui rami. Il cielo non è del tutto scuro, anzi è un miscuglio tra blu e bianco. L'alba è in procinto di mostrarsi. Non poco lontano da qui c'è una palude, decido di andare. Appena vedo un nido mi avvicino, non so bene di che razza si tratti ma non c'è ombra di dubbio che queste siano uova di uccello marino. Torno al luogo dove avevo lasciato Katniss, il sonno la tiene ancora con sé. All'improvviso un cannone spara ma non appare chi è ad essere morto. Pensandoci, non so dove sia finito il mio amico di distretto però spero stia bene. Noto che si è svegliata, preoccupata mi chiede chi sia morto ma le dico che non lo so, poi le porgo le uova e formando un piccolo buco sul lato, beviamo il liquido di quelle per non rischiare di accendere un fuoco. 
Mentre girovagavo per il bosco ho visto il nascondiglio dei favoriti e la loro "piramide di cibo", Katniss mi mostra un piano chiedendomi informazioni. Mi fido molto di lei e nel dialogo aggiungo anche qualcosa riguardante la mia vita. Dopo un piccolo stacco, si volta verso di me e mi chiede cosa mi piace di più nella vita, benché possa sembrare stupido data la sua poca utilità, le rispondo "la musica". Sembra stupita, le spiego che essa mi accompagna sempre: a lavoro, a casa, con le ghiandaie imitatrici. Quando nomino questo animale si guarda la spilla, le dico che ho fatto amicizia con alcune ghiandaie, sono amichevoli, è piacevole cantare con loro e sono utili per mandare messaggi. Senza pensarci, si toglie la spilla e me la porge ma respingo le sue mani e le dico che grazie a quella spilla che indossa, io mi sono fidata di lei. Sorride. 
Dopo pranzo decide di partire: vuole rubare il cibo ai favoriti. Mi lascia il sacco a pelo dicendo che mi sarebbe servito nell'ipotesi che per la notte non sarebbe tornata. 
Devo accendere tre fuochi per distrarre i favoriti. Prima che vada le insegno un canto che ci servirà per essere sicure che l'altra stia bene, le assicuro che le ghiandaie ci aiuteranno a trasmettere il messaggio, poi ci abbracciamo e va via. 
Sarà passata mezz'ora e come d'accordo accendo il primo fuoco, ho bruciato molte radici, arbusti, rami, cosicché il fuoco si renda più visibile. Mi allontano velocemente dal luogo e aspetto per accendere il secondo. Dopo un'ulteriore mezz'ora, brucio altri rami e un fumo nero si innalza in cielo. Sorrido, il piano sta funzionando e prego che Katniss stia bene. 
La notte sta calando e mi infilo nel sacco a pelo pensando a lei che morirà di freddo, ma sono troppo stanca e mi addormento. Mi risveglio forse alle undici, mi spavento, il patto è alle dodici al luogo della cena, ma ho dimenticato di accendere il fuoco, ce la farò prima di mezzogiorno, quindi decido di avviarmi. 
Mi muovo lentamente, anche se so di essere abbastanza in alto da non essere vista, devo prestare attenzione. Vedo una ghiandaia appollaiata su un ramo e canticchio per far capire a Katniss di stare bene. Mi dirigo verso il luogo del terzo fuoco, già prima avevo preparato con cura le foglie da bruciare ma qualcosa di imprevisto accade. Come una goccia di pioggia che da una nube scura cade al suolo, così quella rete cade dall'estremità più alta di quella pianta trasportandomi violentemente con essa fino ad urtare con il suolo. Sento un forte dolore alla schiena, ma posso muovermi e trovo l'aria che permette alle mie corde vocali prima di emanare un urlo e poi di invocare Katniss, sento una sua risposta e la vedo arrivare tra gli alberi. Si avvicina, mi libera e l'abbraccio. 
Mi mette di fronte a lei, controlla che stia bene. 
La velocità del vento che passa da una stanza all'altra è la stessa di Marvel che getta una lancia diretta verso il dorso della mia alleata. Un gesto impulsivo di protezione, la sposto e senza rendermene conto vengo trafitta sotto gli occhi impietriti di quella ragazza che ho tanto ammirato. 
Mi sento le gambe cedere e ho l'impulso di vomitare. Sono una bottiglia capovolta che caccia quasi con furia il suo contenuto, un lago di sangue è ai miei piedi, cado sulle ginocchia e poi mi distendo dolcemente tra le braccia di quella giovane donna. 
"Canta" le dico. Voglio che canti, prima che muoia. Voglio che la musica mi accompagni verso la porta buia che vedo all'orizzonte. Trema, tossisce, ma poi accenna ad una dolce canzone di cui riesco a sentire solo la prima strofa. Ha una voce leggera, soave. Sto morendo. Delle lacrime escono dai miei occhi, non so se per il dolore o per la consapevolezza di avere pochi secondi di vita. Avrei voluto vivere di più, avrei voluto fare molte cose, avrei voluto vedere molte cose anzi avrei voluto vedere mio nonno quel giorno, almeno per l'ultima volta. 
E come se questa fosse la colonna sonora della mia morte, chiudo gli occhi e mi dirigo verso quella porta mentre l'oscurità s'impadronisce di me e quel canto man mano svanisce nel silenzio più totale.
  
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