Era un’altro di quei dettagli a cui avrebbe dovuto prestare attenzione da subito.

Nel corso di quell’anno, la neo baronessa Villetta Nu si era ripetuta quella frase almeno un centinaio di volte, ogni volta che, svegliandosi sola nella luce radente che entrava dalla grande finestra della sua stanza all’Istituto Ashford, le tornava in mente il ciondolo che Kaname Ohgi portava sempre intorno al collo, nascosto dagli amorfi vestiti d’importazione con cui camuffava quella verità che non aveva voluto o saputo confessarle, così credibile nella menzogna dell’operaio giapponese che aveva deciso di raccontarle, troppo credibile quando la stringeva a sé, sussurrandole parole che lei non sempre riconosceva, mentre Villetta, la testa appoggiata sulla sua spalla, prendeva sonno accarezzando in punta di dita la vecchia moneta che gli pendeva sul torace… Gli ideogrammi quasi svaniti, che lei non sarebbe comunque stata capace di leggere, il minuto muschio di rame verde che ne seguiva il profilo, il foro centrale, l’unica cosa che richiamava senza possibilità di equivoco alla sua primigenia natura; c’era qualcosa di sacro in quella moneta, un’aura malinconica come alcuni sguardi e alcuni gesti di quell’uomo di cui, si ripeteva costantemente con rimorso, non aveva capito tante, troppe cose.

Quando riconobbe attraverso lo schermo il suo profilo poco elegante, confuso tra i ribelli condannati alla pubblica esecuzione, il suo cuore addestrato alla durezza riuscì a vacillare solo per un attimo di fronte alle patetiche figure di quegli uomini, piccoli come formiche davanti all’acciaio imponente del loro plotone d’esecuzione, minuscoli in quelle tute informi che assomigliavano in tutto e per tutto sacche per cadaveri. Probabilmente, nascosto sotto le cinghie e le cerniere del suo sudario di nylon, Kaname Ohgi portava ancora al collo il suo yen arrugginito, ripescato dalle macerie di una casa distrutta nei bombardamenti, le aveva detto una notte, quando la carezza di seta dei suoi lunghi capelli chiari doveva averlo distratto più del dovuto. Era un uomo romantico, e l’attaccamento a quel simbolo tanto umile e al tempo stesso essenziale del passato del suo paese le era sembrata una innocua sciocchezza sentimentale, una cosa perfettamente da lui…

Si accorse che non avrebbe mai saputo che cosa aveva pensato di poter comperare Kaname con quella moneta quando l’aveva raccolta, ma guardando la sua sagoma a stento distinguibile, ordinatamente allineata di fronte alla morte con quella di altri illusi che come lui avevano scelto di combattere una guerra già persa da anni, le tornarono in mente i tediosi studi classici della sua adolescenza da cadetta socialmente ambiziosa, e si chiese, con un’angoscia che sentiva crescere di minuto in minuto, se quella moneta deformata e corrosa sarebbe bastata a Kaname Ohgi per pagarsi il viaggio verso l’aldilà.

L’unica risposta che ottenne da sé stessa fu un gemito trattenuto a stento tra i denti, e l’eco di un dolore vivo, che scosse la quiete del suo cuore allenato alla durezza come una moneta piccola e rugginosa, ormai priva di valore, scaraventata in fondo a un pozzo.

"...you are my sweetest downfall - I loved you fast..."