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Autore: Martowl    25/05/2014    2 recensioni
Quando la paura di perdere una persona si fa sentire, tutto si ridimensiona e le carte devono essere messe in tavola.
Lo sanno bene Medea e Sebastiano, con la maturità alle porta e la voglia di scappare a Firenze di lei mentre lui la vuole con sé, a Verona.
Ma quando rispettivamente incontrano Matteo e Giulia, quando i chilometri tra di loro iniziano ad aumentare, allora bisogna capire cosa vuol dire davvero amare.
Saranno le labbra di Giulia o di Medea, quelle preferite da Sebastiano?
Saranno le labbra di Matteo o di Sebastiano, quelle preferite da Medea?
**
Un’altra avventura dei miei due pupilli.
**
Quella notte, chiusa tra le lenzuola, glielo aveva chiesto con gli occhi.
Era stata quasi una sfida, tra i due.
‘’Rimani’’ dicevano gli occhi di Sebastiano.
‘’Parti con me’’ rispondevano quelli di Medea.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Chilometri di gelosia.


Sebastiano se già odiava il lunedì, oggi avevo un motivo in più per farlo.
Solitamente era coperto da una schiena che conosceva fin troppo bene e quindi poteva benissimo dormire durante la lezione ma oggi quella schiena non c’era ed era nervoso.
Ma il fatto che non potesse dormire era l’ultimo dei suoi problemi perché il primo in lista era l’assenza della proprietaria di quella schiena.
Era abituato a vedere i lunghi capelli castani di Medea davanti a lui, era abituato a notare anche i più piccoli spostamenti di qualche misera ciocca.
Era abituato alla sua presenza e, quindi, quell’assenza pesava davvero tanto.
Due giorni di assenza e lui sapeva il motivo, tutti sapevano il motivo.
Medea era entusiasta di quel piccolo viaggio.
Firenze era a due ore e mezzo di distanza, duecentotrentacinque chilometri e quelli, pesavano come se fossero un macigno, perché Medea stava costruendo la sua fuga, da quella Verona che non la conosceva, da cui non si voleva far conoscere.
Firenze era la meta, lo era sempre stata e Sebastiano non era certo di riuscire a trovare abbastanza buoni propositi per farla rimanere.
Quella notte, chiusa tra le lenzuola, glielo aveva chiesto con gli occhi.
Era stata quasi una sfida, tra i due.
‘’Rimani’’ dicevano gli occhi di Sebastiano.
‘’Parti con me’’ rispondevano quelli di Medea.
Era arrivato marzo e con lui la paura dell’esame di maturità, della fine di tutto ciò che si credeva quotidianità.
Sebastiano pensava di rimanere in città, soprattutto dopo aver conosciuto Giulia, però c’era anche il pensiero di Medea, che aveva tutte le intenzioni di mettere tra la sua Verona e il suo futuro, più chilometri possibili.
E Sebastiano, in quei chilometri, ci metteva i ricordi di quella gita a Praga, di quei baci rubati, di quel letto che sapeva di lui e di Medea, della bottiglia di Limoncello, complice della loro intimità e di quel sorriso, di quei sorrisi, di loro due.
Di un noi che non era mai esistito, che non aveva fatto in tempo a crescere e che era rimasto, spezzato, in io e te.
Lui sapeva di doversi prendere tutte le colpe, perché era stato proprio al ritorno della gita che aveva saputo della nuova arrivata nella sua compagnia, Giulia.
Un anno più di lui, un futuro già iniziato, un percorso di studi già ideato.
Era una bella ragazza, Giulia. Era alta, con lunghe gambe e capelli castani lisci.
Un castano diverso da quello di Medea, che aveva riflessi ramati; era un castano neutro, semplice, come lei, come Giulia.
Ma come Medea, non c’era nessuno.
Si erano conosciuti, lentamente, con qualche uscita di gruppo e qualche passeggiata solitaria.
Avevano parlato, avevano riso e si era scambiati qualche bacio.
Poi quel bacio è diventato rovente, passionale e la piccola autovettura di Sebastiano era diventato il loro piccolo nido.
Solo nido, non d’amore, perché Sebastiano non sapeva amare.
 
 ‘’Ho conosciuto una ragazza’’ aveva semplicemente scritto Sebastiano.
‘’Sono felice per te’’ aveva risposto Medea.
Sebastiano, in qualche profondo angolo del suo cuore, sperava che in quelle parole ci fosse un po’ di gelosia, ma chi riusciva a capire Medea era bravo.
Ciò che più caratterizzava Medea, era la sua acidità, la sua lotta continua contro il mondo che usava le parole con grande facilità.
Medea ripeteva sempre che ormai si diceva ‘’Ti amo’’ con più frequenza del ‘’Ho fame’’. E Sebastiano rideva, ogni volta.
Non glielo aveva mai detto, ma pensava di aver capito qualcosa di lei, ma non dalle sue parole, ma semplicemente dai suoi silenzi.
‘’Qualcosa di più specifico potresti dirlo?’’ aveva chiesto, seppur con timore.
‘’Che cosa vorresti sentirti dire, Carani?’’ rispose Medea.
‘’Che cosa accadrà. E non sapevo fossimo tornati a chiamarci per cognome, Austegni’’. Quel distaccamento lo infastidiva un po’. Anche i muri della loro scuola conoscevano l’acidità di Medea, però era sempre brutto trovarla riversa su di sé.
Sebastiano suonava così bene sulle sue labbra, soprattutto quando le suddette erano attaccate alle sue ed era in procinto di avere un orgasmo.
Non sono pensieri da fare Seb, si disse fra sé.
‘’Non c’è mai stato un noi. Eravamo succubi dell’alcool e, come si suol dire, ciò che succede in gita rimane in gita’’.
Ed era dopo quel messaggio che lo smartphone di Sebastiano finì contro il muro, facendo così incrinare il vetro del display.
L’indomani, durante lezione, tutto andò avanti, come se non fosse successo nulla, solo che Sebastiano ne portava i segni e, con lui, il suo cellulare.
«Che è successo, Seba? Giulia non te la dà?» chiese divertito Lorenzo, indirizzando lo sguardo al cellulare del ragazzo.
Lui, dal canto suo, non poté non rivolgere lo sguardo a Medea, che stava fissando il suo diario, con un sorriso compiaciuto.
Era normale che pensasse fosse sexy?
Era normale la voglia che si sentì crescere dentro di prenderla, sbatterla al muro e baciarla?
Strinse i pugni e rimase attaccato al termosifone.
«Giulia non c’entra, ho avuto un attacco di rabbia contro qualcuno e il cellulare ne ha pagato le conseguenze». Lo disse a voce alta, in modo che anche Medea potesse sentire. E sentì, infatti si alzò immediatamente e s’indirizzò al bagno, insieme ad Agnese, sua fidata ascoltatrice.
 
Ma dopo aver rivangato quei pensieri, quei giorni passati, Sebastiano si rese conto anche della bravura di Medea a nascondere tutto, a continuare a vivere, facendo finta di tutto. Sebastiano si rese conto quanto gli mancassero gli abbracci rubati a Medea e quel banco vuoto, non faceva che ricordarglielo.
La sera precedente era entrato su Facebook, giusto per evitare di fare qualche sciocchezza e, quindi, di chiamarla.
Appena fece l’accesso, comparsero due nuove foto della suddetta.
Il fatto che avesse attivato le notifiche per Medea era solo perché amava gli stati velenosi che ogni giorno scriveva. Se l’era ripetuto mille volte, pur di crederci a sua volta.
C’era lei, con un rossetto rosso e quella maglia verde che ben ricordava, precisamente ai piedi del letto in cui avevano passato la notte insieme.
C’era lei con Amelia, la sua amica di Firenze. Brindavano alla loro amicizia.
Era bello vedere Medea così felice, così se stessa. Capitava raramente di vederla così. A volte era anche merito di Sebastiano e lui ne era così orgoglioso!
Ma era tanto che non capitava.
Decise di continuare a guardare, per non soffermarsi così tanto a parlare.
C’era un’altra foto sua, questa volta però abbracciata a qualcuno che non era assolutamente Amelia ma che aveva barba e ricci capelli castani. Lui la abbracciava da dietro e la sua stazza nascondeva praticamente il corpo di Medea.
Quel ragazzo era ciò che lei aveva sempre desiderato, lui lo sapeva.
Era felice anche questa volta, lo notava dal sorriso che comprendeva gli occhi.
Era felice con qualcuno che non era lui, che non era Sebastiano, ma che era Matteo, un Matteo qualunque fiorentino, con gli occhi azzurri.
 
Un colpo al cuore.
Sarà mal di pancia, si disse.
 
Ormai il cellulare si era rassegnato a finire contro la parete.
 
Quindi quel giorno stava aspettando, aspettava che quel posto si riempisse.
Sperava che da un momento all’altro Medea tornasse, con la sua larga maglia grigia, la sciarpa più grossa di lei e gli occhi incazzati con il mondo, ma che avevano sempre uno sguardo per lui.
Ma quegli occhi non c’erano, non c’era nessuno che lo guardava.
Ed il suo cellulare, seppur dopo i mille voli, continuava a suonare per alcuni messaggi. Messaggi di Giulia, a cui non era sicuro di voler rispondere.
E fu così che iniziò a domandarsi se fosse il caso di scriverle.
Le scrivo o non le scrivo, si domandava continuamente.
«Medea mi ha appena scritto che è partita ora. Oggi pomeriggio viene da me a studiare, ci sei pure tu Seba?» gli aveva detto Fabio.
Perché ha scritto a lui e non a me, si domandava adesso.
 
Un colpo al cuore, come quello di ieri sera.
Mal di pancia, si disse.
 
«Non lo so, ti scrivo più tardi».
Solito saluto e via ognuno per la propria strada.
Era arrivato alla macchina quando il cellulare suonò nuovamente.
Alzò gli occhi al cielo pensando all’ennesimo ‘Perché non mi rispondi?’ di Giulia.
Ma quando prese il cellulare e lesse ‘Medea’ quasi cadde.
‘’Ho conosciuto uno’’, diceva il messaggio.
 
Un colpo al cuore.
Ma questa volta non era mal di pancia.
 
‘’Matteo?’’ Diretto, semplice.
‘’Sì. Abbiamo passato la serata insieme e sono stata bene’’
La serata o la notte?
‘’Perché me lo stai dicendo?’’ domandò Sebastiano.
‘’Perché sei mio amico’’ rispose, allora, lei.
 
Amico.
Un colpo al cuore.
Avrebbe chiamato il dottore, si disse.
 
Arrivato a casa, decise di non avere fame, così si buttò sul divano.
Quindi era questo quello che Medea aveva passato sapendo di Giulia?
Erano questi i dolori di amore?
Ma soprattutto, lui provava amore?
 
Chiuse gli occhi, ormai stanco di pensare, ma l’immagine di Medea nuda avvolta nel lenzuolo di quell’hotel a Praga, lo tartassò.
Poteva davvero fare a meno di lei?
Poteva davvero lasciarla nelle mani di quel Matteo?
 
Fu così che prese il cellulare e scrisse a Fabio per confermare la sua presenza per quel pomeriggio.
Fu così che in tre secondi prese le chiavi e uscì.
 
Dopo dieci minuti di viaggio ad una velocità considerevole, arrivò a destinazione.
‘’Sono sotto casa tua, scendi’’ scrisse.
 
Medea sapeva che sarebbe arrivato quel momento.
Dopo mesi passati a stare in silenzio, a ripetersi come un mantra che se Sebastiano era felice, allora anche lei doveva esserlo per lui.
Anche se aveva preferito le labbra di Giulia, piuttosto che le sue.
Però doveva ammetterlo, Giulia era bella.
Nemmeno mesi e mesi di sacrificio le avrebbero donato quelle gambe.
Era così che aveva ingoiato il rospo ed era andata avanti.
Era andata avanti e aveva incrociato Matteo.
Matteo non era Sebastiano, nessuno era Sebastiano.
Però in Matteo aveva riconosciuto semplicemente Matteo. Non c’erano momenti in cui aveva collegato un gesto a Carani.
Matteo era novità, sapeva semplicemente di se stesso.
 
Era così scesa di sotto, lentamente, pronta a qualsiasi comportamento.
Era pronta all’indifferenza, alla falsa felicità e, nella più brutte delle ipotesi, alla vera e pura felicità.
Fu così, però, che quando entrò nell’abitacolo, lui fece ciò a cui lei non era pronta.
Fu così che Sebastiano baciò Medea.
 
Casa, pensarono entrambi.
Felicità, si dissero.
Giusto, capirono.

E quando Medea sorrise, Sebastiano lo fece di riflesso.
Allora capì che non era il sorriso di Giulia che cercava, era quello di Medea.
 
E non erano le lunghe gambe di Giulia che voleva, erano le forme di Medea.
 
Fu così che quando le prese la mano, quando intrecciò le loro dita, capì che era quello ciò che voleva.
 
E non ci furono Giulia o Matteo che tennero.
In quella macchina, c’era solo spazio per Sebastiano e Medea.
 
Perché anche se per metri o per chilometri, Sebastiano avrebbe sempre cercato Medea.
 
Perché nessuno era Medea.
Perché nessuno era Sebastiano.
Ed era giusto così.

Piccolo angolo di Martowl.

Hi pipol,
sono di nuovo qui con Medea e Sebastiano.
Stamattina dovrei studiare ma girovagando per la cartella ‘Scritti’ del mio computer mi sono resa conto di un’altra avventura di questi due.
Pensavo fosse iniziata ma non completata ma, contro ogni mia previsione, era già pronta.
Quindi niente, spero vi piaccia, spero che questi due rimangano nel vostro cuore come lo sono nel mio.
Questa frase non ha senso ma peace.

Tanto amore a tutti voi,

Martowl.


 
   
 
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