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Autore: Selhen    25/05/2014    2 recensioni
Sono una nuova autrice e credo di aver scelto una sezione parecchio difficile per farmi conoscere. Ma spero che apprezzerete questa travagliata storia d'amore one shot, e chi lo sa? Magari, se gradirete, potrei pensare di scrivere un seguito, un domani.
La storia nasce in maniera totalmente disimpegnata, quindi sarebbe meraviglioso se spendeste un pochino del vostro tempo per recensire e darmi qualche dritta in più! Un bacio grande.
Azphelumbra, Daeva lettori!
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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Ho sempre pensato che ognuno è padrone di se stesso, che ognuno vale. È quello che dico sempre, è quello che metto in atto ogni giorno nelle situazioni che mi si presentano davanti: “ordini mai, preghiere sempre”.
La mia storia comincia come semplice essere umano, una ragazza speciale dai lunghi capelli candidi e gli occhi rossi come il sangue. Una giovane asmodiana nata ad Atreia sotto l’onnipotenza del dio Aion e dei suoi iniziati.
Lasciai casa all’età di vent’anni, avrei dovuto essere iniziata anch’io, il mio destino era quello di diventare una Daeva, una creatura alata dall’immensa forza e bellezza, fedele ad Asmodae e guerriera instancabile.
Ero brava col tiro a bersaglio con cui sin da bambini io e il mio amico Dhanael ci divertivamo a sfidarci, e così,  da una stupida pistola giocattolo automatica io e Dhanael facemmo ingresso in accademia, dove ci furono dati in mano due veri revolver.
Imparammo la tecnica, cominciammo a ricoprire gli incarichi che ci venivano assegnati e raggiungemmo il tanto atteso giorno dell’ascensione. Il giorno che ogni Daeva aspetta, quando finalmente sei pronta a spiegare le ali, a diventare una creatura divina, una creatura di Aion, e a combattere per lui la sporca e infida razza degli elisiani, nostri nemici.
Selhen, ero la Daeva Selhen, il tiratore scelto a cui il benevolo Aion aveva concesso parte della sua forza e della sua essenza divina.
Ma dopo la mia ascensione nulla era compiuto e la strada da fare era ancora lunga.
La vita mia e di Dhanael si separarono, ognuno di noi doveva diventare più forte, essere reclutato in una legione.
Prendemmo strade diverse. Litigammo per una stupida incomprensione e nulla fu più come prima. Della nostra infanzia felice non era rimasto che un ricordo lontano.
Non lo rividi più. Fu la mia legione a sostenermi, a farmi crescere. Demon, Ethun, Death, il nostro capo. E poi c’era Shad, il Daeva più irritante, odioso e pigro che avessi mai conosciuto in vita mia.
“Buongiorno Selh!”.
Shad era fermo davanti all’obelisco di Katalam Nord. Sul suo viso il solito sorrisetto furbo che non si estendeva agli occhi, come se infondo, non fosse poi così felice.
Era un centurione della gilda. Ne aveva senza dubbio viste più di me; io invece, ero una recluta, e in un certo senso anche un po’ imbranata e senza esperienza.
Sollevai un sopracciglio con aria superiore e lo guardai da sotto in su con la mano sul fianco. “Ciao Shad, qual buon vento?” dissi sarcastica dandogli subito dopo le spalle per spostarmi verso l’ingresso della fortezza.
“Mi mancavi”, disse lui con tono ambiguo di chi non faceva altro che rimorchiare belle donzelle a tutte le ore.
Mi fermai all’entrata, continuando a dargli le spalle. I suoi stupidi complimenti mi facevano sentire importante. Chiusi gli occhi, e le mie lunghe ciglia coprirono per un attimo una piccola parte dell’occhio prima che si riaprissero e mi voltassi nella sua direzione. Le mie pupille rosse e severe si puntarono su quelle blu notte di lui, percorrendo poi i lineamenti del suo viso e la muscolatura asciutta delle spalle, fasciate dagli abiti ricercati e aderenti che indossava. Perfino i suoi vestiti parlavano di lui. Erano spia del suo alto rango all’interno della legione, e le cicatrici sulle sue braccia scoperte segno delle innumerevoli battaglie combattute e vinte.
Un incantatore bello e prepotente coi capelli blu notte e il ghigno strafottente perennemente disegnato sul viso. Un accenno di barba e un tomo tra le mani fasciate di polsini.
“Che cosa vuoi Shad?”, dissi con tono seccato. “Se sei qui per fare il cascamorto oggi non è giornata”, mi spostai nervosamente una ciocca di capelli bianchi dagli occhi. Lui mi prese per un polso, per farmi voltare di tutto punto, e avvertii una strana sensazione. I revolver ai miei fianchi sbatacchiarono per protesta a quel movimento brusco, la bisaccia con le bombe intrappolanti sbattè alla mia gamba. Mi misi dritta e abbassai gli occhi quando lui puntò i suoi sui miei.
“Ero solo venuto per darti una mano, visto che avevi chiesto aiuto alla legione”.
Scoppiai a ridere nervosamente a quell’affermazione. “Avanti Shad, dove sta la fregatura? Mi lascerai da sola in mezzo a un’orda di elisiani impazziti? Non hai mai alzato un dito in mio aiuto in vita tua e lo faresti adesso?”, mi morsi le labbra rosse pensierosa prima di tornare a guardarlo.
Ero bella e questo molto spesso faceva sì che molti gentiluomini dell’altro sesso fossero disponibili a darmi una mano con le missioni quando ne avevo bisogno. Gli uomini… tutti uguali!
Feci una smorfia sdegnata che Shad non riuscì a interpretare perché lo vidi accigliarsi.
“Perché te lo stai chiedendo? Accetta il mio aiuto e basta”. Di nuovo comparve sul suo viso quel sorrisetto irritante.
“D’accordo” dissi arresa e da una parte un po’ sollevata per essermi trovata un compagno di missione perfino più forte di me. “Devo infiltrarmi nella settantaduesima guarnigione. Mi aiuteresti?”.
Per tutta risposta Shad sorrise e disegnate delle linee immaginarie nell’aria evocò al suo fianco uno spirito della terra. Pensai che forse il fatto di essere un incantatore e avere tutti questi seguaci ai suoi ordini gli avesse dato alla testa, ecco perché in ogni suo discorso c’erano quell’ironia e quel sarcasmo che rendevano evidente un certo egocentrismo di fondo.
“Mai stato più pronto!” ammise con un sorriso a trentadue denti. “Vieni, andiamo”. Mi fece segno di seguirlo e salì di corsa la rampa spiegando le ali in direzione della corrente d’aria che ci avrebbe condotti fino a quel posto. Odiavo le correnti d’aria, quando ci entravo mi si disordinavano tutti i capelli e in certi casi avrei potuto addirittura vomitare. In pochi secondi Shad sparì dalla mia vista, e non mi rimase altro che seguirlo a malincuore pronta a scendere in direzione della guarnigione settantadue.
Quando forzai per uscire dalla corrente, avendo visto il balenio delle ali colorate di Shad, fuori da essa, ebbi un capogiro e mi sentii ad un tratto più leggera.
Planai, poggiandomi morbidamente sul soffice manto d’erba e attutii il colpo della caduta richiudendo le ali all’ultimo minuto. Per poco non mi ritrovai addosso a Shad che per tutta risposta mi fermò con la forza delle braccia e ne approfittò per fare una delle sue solite battutine irritanti: “gnocca quanto imbranata, piccola Selh”.
Lo fulminai con lo sguardo spingendolo via per tirare fuori dai foderi i miei due revolver. Gli occhi luminosi e lo sguardo severo di un asmodiano combattente trasfigurarono il mio viso. Mi voltai verso Shad che mi aveva imitata. I tratti severi donavano al suo viso giovane e spigoloso.
Ignorai quella strana sensazione che avevo avuto poco prima, quando mi aveva stretto i polsi e gli diedi le spalle per iniziare a muovermi furtivamente verso l’ingresso della guarnigione.
“Uccidiamo il legato e facciamola finita” mi bisbigliò vicino. Percepii il suo alito caldo che mi solleticò l’orecchio e un brivido mi percorse la schiena.
“Piantala”, dissi stizzita consapevole che lo stesse facendo apposta.
Lui mise su un sorriso sghembo e divertito.  “Di fare che?”, bisbigliò nuovamente sfiorandomi l’orecchio con il labbro superiore.
Stavo per replicare ma lui stava già mormorando una formula magica per mandare il proprio seguace a fare da distrattore alle porte della guarnigione. In poco tempo si scatenò il caos.
Imbracciai i miei revolver e caricai il colpo mentre cercavo nella confusione l’uomo con la divisa da legato. Era lui che dovevamo fare fuori.
Lo vidi, che impartiva ordini ai suoi uomini elisiani. Presi la mira, il tempo rallentò, e con la freddezza calcolatrice cui ero stata da sempre educata, sparai. Un colpo secco dritto al cuore e ancora altri tre ben calibrati col secondo revolver: al torace, alla spalla, alla testa…
L’uomo si accasciò stramazzando sul terreno erboso in un lago di sangue e io e Shad ci demmo alla fuga.
“Vieni, da questa parte”, mi urlò trascinandomi per un braccio.
I nemici erano stati rallentati dall’intervento del suo spirito, che a quanto pareva, era un ottimo diversivo.
“Dobbiamo nasconderci”, continuò accelerando il passo cui stentavo quasi ad andare dietro. Lo vidi tagliare trasversale e lasciarsi scivolare giù per un dolce pendio. Lo seguii spiegando le ali e arrivandogli direttamente accanto, lasciandomi cadere esausta sul terreno. “Wow, che avventura!”, esclamai con un mezzo sorriso distendendomi per terra per guardare lo sprazzo di cielo tra gli alberi che ci coprivano parzialmente.
Shad non rispose subito. Lo sorpresi a fissarmi. La divisa da tiratore che mi avevano dato metteva in risalto le mie forme proporzionate, che negli abiti aderenti emergevano prepotentemente.
“Beh?”, feci con aria stizzita per richiamare la sua attenzione. Lui scosse il capo come se si stesse risvegliando da un sogno, e sembrò appena amareggiato, ma si riprese quasi subito.
“Complimenti, ottimo tiro, recluta!”, mi indirizzò un sorriso mozzafiato, “quando vuoi sai il fatto tuo e non sei poi così imbranata”.
Lo guardai con aria truce. “Ti senti il braccio destro del dio Aion, Shadow?”.
Scrollò le spalle tornando serio, i suoi occhi erano tornati blu e la sua espressione rilassata. “No, ho solo più esperienza di te, e devo confessare che prometti bene!”, annuì avvicinandosi. “Zio Shad, però, deve ancora insegnarti un paio di cosette”. Mi sollevò il viso con un dito sotto il mento, per guardarmi negli occhi. Non riuscii a sostenere il suo sguardo.
Perché da quel giorno, da quando per la prima volta aveva detto sì e mantenuto la sua promessa, aveva iniziato a farmi tutt’altro effetto? Percepii contorcersi lo stomaco a quello sguardo e deglutii vagamente in difficoltà.
“Shad…”, esordii poco convinta, “perché questo atteggiamento altalenante? Mi fai girare la testa!” dissi, mettendomi a sedere.
Lui non rispose per un po’, si limitò a guardarmi negli occhi e lessi nei suoi una vaga forma di rammarico, poi abbassò lo sguardo sulle mie labbra. “Dovresti sentirti onorata”, aggiunse recuperando la sua solita aria furba e togliendo il dito da sotto il mio mento, “non offro a tutti i miei servigi!”
Ripensai per un attimo a tutti i battibecchi avuti con Shad in passato, alle volte in cui mi aveva ignorata quando lo avevo chiamato, o peggio, apostrofata sarcasticamente davanti al resto delle reclute e dei legionari per il puro piacere di farlo. Un impeto di rabbia mi colse.
Avevo addirittura pensato di abbandonare la legione a causa sua, qualche mese prima, e adesso era là con me, con la sua solita aria strafottente ma pronto a darmi una mano. Non capivo.
“Selh”.
Quando mi chiamò, accorciando il mio nome come era solito fare, mi accorsi che mi ero distratta.
Era diventato quasi qualcosa di nostro, quella complicità strana con cui eravamo soliti abbreviare, un po’ per comodità, un po’ affettuosamente, i nostri nomi. Sollevai lo sguardo chiedendomi cosa avesse da dirmi ancora, ma restai di sasso quando mi sorprese con un bacio. Un bacio al quale avrei voluto dire no ma a cui non potei far altro che abbandonarmi. Sentii le sue braccia possenti serrarsi attorno alla mia vita sottile e stringermi al suo petto. Nella tranquillità di quel momento, in mezzo al cinguettio pomeridiano del confine di una foresta, Shadow mi stava baciando. Le sue labbra morbide sulle mie si muovevano quasi a guidarle, mentre il calore del suo respiro mi incitava a non interrompere quel contatto.
Posai le mie mani pallide e sottili sulle sue spalle solide, conficcando le mie dita artigliate, delicatamente, nei muscoli dei suoi avambracci. Li accarezzai, sentendone le curve sotto le dita.
Il suo respiro sonoro inebriava i miei sensi col suo profumo e non mi accorsi dlel’aria che quasi mi mancava quando lui si allontanò da me, interrompendo quel bacio nel momento più inopportuno,  come solo lui, maldestro, aveva la capacità di fare.
“Lo sapevo che eri pazza di me”, disse con un ghigno tornando seduto sul terreno. La sua voce però restava inspiegabilmente gelida.
Repressi l’impeto di schiaffeggiarlo e sentii le mie guance avvampare nonostante il mio pallore. “Sei un idiota!”.
“Pensa se lo sapesse il capo” continuò lui, con aria di finta tragedia.
“Senti, la colpa è solo tua. Non provare a scaricarla su di me!”. Protestai visibilmente alterata.
Lui mi guardò negli occhi divertito. “In ogni caso non lo direi”, concluse tornando serio.
Stava solo scherzando ma mi ero già surriscaldata. Mi alzai in piedi dandogli le spalle per cominciare a inerpicarmi sul pendio da cui ci eravamo lanciati poco prima.
“Selhen”, mi chiamò lui. Era ancora seduto e per la prima volta non colsi quella sfumatura sarcastica sul suo viso, ma solo una vaga tristezza. “Questa è l’ultima volta che ci vediamo”.
Quella frase fu per me un pugno allo stomaco. Misi da parte tutto l’orgoglio e il rancore e mi voltai a guardarlo improvvisa. “E me lo dici così, Shad?”, dissi cercando di non far trapelare come mi sentivo realmente.
“Io e Ethun cambiamo legione”, aggiunse lui con un tono tetro. “È meglio che sia così, credimi”.
“Tu e… tu e Ethun?”. Conoscevo Ethun, era una delle chierichesse più ricercate della mia legione. Che c’entrava lei con Shad?
“Io e Ethun stiamo insieme”, chiarì lui passandosi nervosamente una mano tra i capelli. “E io non riesco a stare qui in legione, e far finta che non ci sia un interesse nei tuoi confronti”.
Sentii il respiro mancarmi, mi girava la testa. Non potevano accadere tutte quelle cose in una volta, no? Non era una situazione normale, per niente, che un Daeva odioso e antipatico diventava la ragione della tua vita in dieci minuti e in altri dieci ti sfasciava l’esistenza come se nulla fosse.
Le mie labbra si socchiusero dallo stupore.
“Non puoi dirmi tutto questo dopo… dopo…” avermi baciata…. Pensai, ma non riuscii a dirlo.
Ero talmente sotto shock che immaginai il mio viso fosse totalmente insespressivo.
“Comunque, era quello che ho sempre voluto fare da quando ti conosco, e non potevo non farlo una volta prima di andare via”, sorrise, “è stato fantastico come mi aspettavo”, concluse cercando di gettarla sullo scherzo.
Stupido, maledetto, idiota, bastardo, egoista di un Daeva! Aveva idea di come mi avesse appena spezzato il cuore? Un cuore che pensavo di avere blindato da tanto tempo e che lui, in pochissimo tempo, era riuscito a ferire anche profondamente?
“Adesso devo andare a fare i bagagli, piccola Selh, torniamo a casa”. Non disse altro se non un “Hauw Affrehi”, che pronunciò muovendo le mani. Un portale comparve proprio davanti a noi. Vi si lanciò dentro e io, senza sapere bene cosa fare, spaventata, delusa, a pezzi, lo seguì senza volontà, prima che sparisse. Mi ritrovai a Pernon, davanti casa mia. Stava piovendo e i miei capelli avevano cominciato ad inzupparsi mentre le gocce d’acqua scivolavano sul tessuto in pelle dei miei vestiti.
“È stato bello conoscerti, Selhen”, aggiunse con un mezzo sorriso, poi sparì, teletrasportandosi chissà dove, lasciandomi sola, davanti la porta di casa in preda ad un assurdo sconforto. Rimasi impalata sotto la pioggia, a fissare il punto in cui era sparito. Non volevo rientrare, non volevo che se ne andasse in quel modo, ma dopotutto era tipico di Shad essere sfuggente.
Cercai di trattenere una lacrima, mi ero illusa troppo presto, e troppo presto, lui, aveva provveduto a disilludermi. La lacrima si confuse con la pioggia nello stesso momento in cui lo shugo servitore venne ad aprirmi l’uscio di casa.
“Selhen, ciao cara!”, mi salutò con un sorriso.
“Ciao shugo” ricambiai con un cenno. Rimasi a guardare un’ultima volta il vuoto lasciato da Shad, poi ubbidii al servitore ed entrai in casa richiudendomi la porta alle spalle. Quando anche il mio servitore fu sparito in cucina mi lasciai scivolare lungo la porta esausta e vuota.
Non lo avrei mai ammesso, ma forse, mi ero innamorata di Shad dal primo giorno che aveva fatto il pagliaccio con me ed io l’avevo apostrofato a tono.
L’unico problema, forse, era che lo avevo capito troppo tardi.
  
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