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Autore: andrea    26/12/2004    10 recensioni
"Ti piace questo Draco?" pronuncia ancora il mio nome in quel modo, e vorrei morire perchè odio sentirlo. Vorrei non avere nome, né un corpo, vorrei essere solo aria.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Narcissa Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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She Hate Me

 

She Hate Me

 

 

Odio quando mi sveglio all'improvviso, di solito rimango di cattivo umore per tutto il giorno. Una striscia di luce si è posata sopra parte del mio volto illuminandomi gli occhi, poi un colpo di vento ha fatto oscillare di nuovo le tende e lo spazio dov'è entrata la luce si è richiuso. Ma ormai sono sveglio e pensare di riaddormentarmi è fuori questione.
Mi alzo scostando velocemente le coperte e spalanco le tende delle finestre. Rimango lì per qualche secondo, con la luce del sole ormai alto nel cielo che mi acceca. Riapro gli occhi poco dopo ma non riesco ad orientarmi perchè vedo tutto bianco e appannato. A passi incerti mi dirigo verso il bagno e lì mi spoglio velocemente infialandomi sotto la doccia fredda.
"Draco!" la sua voce sottile proviene dalle panchine in giardino, pensavo che se ne fosse già andata presa da tutti i suoi traffici mattutini, ma evidentemente oggi fa troppo caldo anche per lei.
"Draco!" la sento richiamarmi, la raggiungo nello spiazzo del giardino sotto il piccolo gazebo bianco. Lei se ne sta seduta su una poltroncina di ferro battuto coperta da cuscini bianchi, ha il volto completamente coperto da un ampio cappello di paglia gialla e da un paio di occhiali da sole. Vestita così mi sembra quelle dive anni cinquanta.
"Avresti potuto asciugarti i capelli invece di girare come un selvaggio per casa", sorrido alle sue parole pensando che per lei nemmeno un cataclisma naturale può essere una scusa per avere un aspetto non perfetto come il solito. Mi fa cenno di sederle vicino sul divanetto bianco "Stasera c'è la festa dai Lloyd, verrai con me, vero?" mi chiede nascondendosi dietro il cappello e gli occhiali "Sai bene che non potrei sopportare un'intera serata da loro...non è nelle mie forze". Ama questa frase 'non è nelle mie forze ' ; lo dice spesso quando è contrariata o non a voglia di fare qualcosa. "mamma..." sbuffo io senza osare a guardarla, ma quando finalmente alzo gli occhi vedo la sua bocca arricciata. "Fai un piacere alla tua mamma" mi dice, e il suo tono è carezzevole, bellissimo, mi ricorda quello di una vera mamma, e lo sembra davvero per un attimo.

Assecondo questa fantasia e le sorrido, lei allora mi passa la mano tra i capelli umidi della doccia che mi arrivano sino alle spalle, passa la sua unghia rossa sulla mia guancia. In questo momento mi prende un po' di malinconia e mi viene voglia di dirle tante cose, di farle capire altre, ma all'improvviso tutte le mie parole mi sembrano prive di senso: banali. La guardo allora sorridendo, pensando che ci sono proprio molte cose da dire, ma che forse non ne vale la pena.
"Ti metti il vestito bianco, vero?" mi chiede con aria da bambina, "e anche le scarpe che ti ho fatto arrivare dalla Francia, vero?" i suoi occhi brillano di emozione, e mi sento come un bambolotto che viene vestito e curato. Per un attimo l'idea non mi dispiace poi molto, e mi stupisco di come nemmeno pochi giorni prima quasi mi mettevo ad urlare dalla rabbia quando mia madre mi trattava in quel modo, per poi ripormi su una mensola, come faceva sempre quando si era stufata di me. Faccio di sì con la testa e penso che è proprio un bel momento, e che sarei veramente un pazzo se provassi a rovinarlo con i miei schiocchi pensieri.


"Ti piace questo, vero Draco?". Scandisce il mio nome lentamente, lo storpia, lo fa divenire un motivo di umiliazione. Alzo lo sguardo spaesato, m rannicchio su me stesso, cerco di farmi più piccolo che posso, per passare inosservato, ma non ci riesco, sono dannatamente al centro dell'attenzione.
"Ti piace questo Draco?" pronuncia ancora il mio nome in quel modo, e vorrei morire perchè odio sentirlo. Vorrei non avere nome, né un corpo, vorrei essere solo aria.
"Allora rispondimi ragazzo!" urla ancora. Ma io rimango fermo, immobilizzato dalla paura. Sento la sua mano afferrarmi il braccio con forza e per poco mi metto ad urlare, ma mi trattengo e penso che l'aria certamente non urla. Forse il vento quando corre forte. Ma l'aria se ne sta tranquilla e calma, nessuno si accorge di lei, eppure c'è.
La sua mano mi artiglia il mento e mi obbliga ad alzarlo verso i suoi occhi. Il suo volto è vicinissimo al mio e posso vedere tutte le piccole rughe che gli circondano gli occhi e che rendono i suoi lineamenti più aspri.
"Allora, la prossima volta che ti parlo mi rispondi hai capito ragazzino?" mentre parla scuote la testa e io sono rapito da tutti quei luccichini d'oro che i suoi capelli fanno sotto la luce della finestra. Mi dà un manrovescio che mi butta a terra, io non mi alzo, ho paura, e poi penso ancora che l'aria non si muove di sua spontanea volontà: c'è sempre qualcosa d'altro che la fa muovere. Aspetto allora che lei mi dia una scossa o un altro schiaffo, ma invece se ne esce dalla stanza senza più guardarmi. Io rimango sdraiato per terra, e provo a trattenere il fiato più che posso perchè certamente l'aria non respira.

"Ti piace questo, vero?" vomito queste parole sulla persona che ora mi guarda terrorizzato.
"Ti piace proprio provocarmi, se no non saremmo sempre in questa situazione". Chissà, penso, se anche lui fa finta di essere aria, perchè se ne sta immobile per terra senza nemmeno respirare e si copre la testa con le mai, anch'esse incredibilmente immobili.
"E alzati dannazione!" gli prendo un braccio con la mano e lo obbligo ad alzarsi, lui non riesce a guardarmi, e io penso che forse anch'io avevo lo stesso sguardo anni addietro con mia madre.
Lo spoglio della sua dignità pronunciando il suo nome storpiato, come lei aveva pronunciato il mio. Lo umilio con il suo stesso nome, e penso ancora all'aria di quando ero bambino, di quanto sicura e protetta mi sembrava. Sorrido e lo guardo negli occhi "Guardami" gli ordino, lui mi guarda con aria di supplica, trattiene le lacrime, ma fa quello che gli ho detto, vedo delle lacrime che gli scorrono sul volto e avrei voglia di assaggiarle per sapere se sono salate come lo erano le mie, così potrei misurare il suo terrore, saggiare la sua consapevolezza della fine imminente.
Mi allontano da lui di due passi sempre guardandolo negli occhi e gli punto la bacchetta in mezzo agli occhi; lui si dimena in maniera buffa, cercando di andare più indietro possibile con il capo e la schiena per evitare il colpo, ma il corpo rimane immobile. In quel momento so che potrei posare la bacchetta, girarmi e andarmene dalla stanza come fece mia madre, e per un istante lo sto per fare davvero, ma poi penso che mia madre in quel momento aveva altre cose da fare più importanti, mentre io non ho niente di particolare in programmazioni questo pomeriggio.



 

 

Due paroline…

Allora il titolo l’ho preso dal film di Spike Lee, che c’entra un cavolo a merenda, ma il nome mi ha subito colpito…

Questo è un esperimento, piccolo piccolo…per cui chiedo venia! J

Any

  
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