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Autore: DreamingIsLiving    25/05/2014    0 recensioni
"Ci hanno insegnato a combattere, resistere, sputare sangue pur di sopravvivere, eppure ci hanno fatto dimenticare ciò che vivere significhi".
Genere: Avventura, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era il momento, poteva aprire gli occhi. Il dolore era cessato, i rumori erano sempre piu nitidi e chiari, ricominciava a sentire i profumi in maniera distinta. Eppure non fece nulla. Aveva paura, paura di quello che avrebbe trovato, paura di quello che avrebbe visto, paura di quello che avrebbe scoperto. I ricordi si accavallavano nelle sua testa confusi e sconnessi, ma uno strano presentimento le diceva di prolungare quel piccolo momento di pace, come se fosse l'ultimo della sua vita. Era come quando sua madre l'andava a chiamare e lei fingeva di non aver sentito la sveglia, che ormai giaceva distrutta, scaraventata al suolo. In quei momenti si gustava il tocco delicato della donna, la sua voce dolce, sorrideva quando sentiva il tono alterarsi per buttarla giù dal letto. Poi tutto era cambiato, sua madre era morta, non erano più state  in due ad affrontare il mondo, era sola.
Aprì gli occhi, o almeno le parve di farlo, nulla cambiò, le tenebre non la abbandonarono, dal nero pece era passata ad un viola opaco. una nuova lacrima scivolò al suo controllo e le solcò la gote.
Alzò lentamente le mani, quando però stava per sfiorarsi gli occhi qualcosa la bloccò. Non tentò neppure di lottare, era stanca.
"sei viva" disse una voce calda.
Non rispose, poteva considerarsi vita? Era ceca ed il solo muovere le mani l'aveva stancata oltremisura.
"acqua" fu il suo istinto a parlare, prima ancora che la mente riuscisse a formulare alcunché.
La donna al suo fianco le strinse le mani, dopo pochi attimi vi pose un bicchiere e l’aiutò ad accostarlo alla bocca. Il primo sorso fu lento, come una fiera che guardinga si accosta alla trappola del cacciatore, ma appena l'acqua la riempì ne volle ancora, insaziabile.
"piano, starai male" tentò di avvisarla la donna ma lei non le diede ascolto.
Fu il suo  corpo a ribellarsi, quello che prima le aveva provocato una piacevole soddisfazione ora sembrò rivoltarsi contro di lei. Riuscì a fatica a voltarsi dalla parte opposta a quella in cui, almeno così credeva, doveva trovarsi la sua salvatrice e vomitò.
Pianse, non solo per il dolore, le lacrime scendevano incontrollate, due torrenti in piena.
"Andrà tutto bene" disse l'estranea scostandole i capelli e sorreggendole il capo.
"sono ceca" si limitò a rispondere.
"ma sei viva" replicò con veemenza "comunque non sei ceca, almeno non per sempre, solo momentaneamente".
Qualcosa di nuovo le riempì il ventre. Era forse felicità? soddisfazione? Qualsiasi cosa fosse, dopo minuti, ore e giorni, di fiamme infernali, ora quel calore che la scaldava, pur debolmente, era incredibilmente piacevole.

"per quanto tempo?" chiese.
"cosa?" la voce era paziente, calma, ma lasciava trapelare una sottile tensione.
"per quanto tempo non ci vedrò?"
Silenzio. Un piccolo sospiro di impotenza.
"non lo so"
"Avevi detto che non sarebbe stato per sempre" riuscì a formulare, nonostante l'arsura alla gola.
"e lo ripeto" rispose "ma non sono un medico, quando lui verrà, lo sapremo"
"dove sono?"
Fino a quel momento non si era posta il problema, aveva pensato di essere morta e in seguito, non appena era stata consapevole di aver ancora qualcosa da dare in quel mondo, ogni altra cosa aveva perso importanza. Erano passati diversi giorni dal suo risveglio, era la prima volta che parlava, fino a quel momento aveva assaporato ogni cosa come fosse  rinata, i profumi, i rumori, l'aria, l'acqua. Tutte le cose più semplici, ciò che prima aveva ritenuto scontato, tutto le sembrava un tesoro da custodire il più a lungo possibile.
"sei al sicuro" si limitò a risponderle.
"grazie" disse, sprofondando nei cuscini e gustandosi il torpore donatole dalle coperte. Per ora non aveva bisogno d'altro, le bastava la consapevolezza di come fosse il presente, del futuro si sarebbe preoccupata domani.
"ti ricordi chi sei?" le chiese la donna.
Prese fiato ma poi esitò, sapeva benissimo chi fosse e perché fosse ridotta in quello stato, ma si chiese se la sicurezza che le era stata promessa fosse reale. Ammettere la sua identità non avrebbe compromesso solo lei ma anche molte altre persone.
"io.." e se fosse sincera? e se veramente si sarebbe potuta fidare di lei? Confidandole tutto avrebbe messo a rischio la - o le - persone che l'avevano aiutata.
"tranquilla" fu interrotta, quasi le avesse letto il flusso di pensieri "noi sappiamo tutto e, se avrai bisogno, ti aiuteremo a ricollocare i tasselli nei posti giusti".
Mentre parlava le cambiava il bendaggio al polso sinistro, riusciva a sentire l'odore metallico del sangue, la  ferita doveva faticare a chiudersi.
"mi chiamo Isabelle" disse "facevo l'infermiera a Prugh ma a causa dei nuovi disordini hanno richiamato il maggior numero di civili in città e nella palude hanno lasciato solo membri dell'esercito. Solo pochi però, non la reputano una zona a rischio"
No, non era una zona a rischio, solo pochi conoscevano le strade esistenti che permettevano di superarla e chiunque avrebbe cercato di attraversarla, con grande probabilità, sarebbe stato inghiottito dalle sabbie mobili o sarebbe diventato cibo di mostri.
"dis.." la gola le dava ancora diversi problemi e dovette concentrarsi per riuscire a continuare "disordini?".
"avete fatto una bella confusione, lo ammetto" una breve risatina la obbligò a interrompersi "ma ci sono cose più grandi in atto".
A cosa poteva riferirsi? il suo cuore accelerò.
"ti avevo detto di non disturbarla"
Non aveva sentito nessuno entrare, si rimproverò, doveva stare più attenta.
"mi scusi" la tonalità era scesa, era diventata fredda e distaccata "ho pensato che avesse bisogno di parlare".
Un rumore acuto si sovrappose a qualsiasi altra cosa, ebbe paura che il nuovo arrivato la stesse picchiando, alzò la schiena e tentò di muoversi in direzione dello schiocco ma un giramento la travolse e sarebbe caduta dal giaciglio se due mani muscolose non l'avessero sorretta.
"queste macchine" disse la voce maschile "sono vecchie, troppo vecchie, e giocano brutti scherzi. riesci a farla ripartire, Is?".
Nessuna risposta, solo il rumore di qualcuno che si allontanava e trafficava con metalli.
"come sta la nostra paziente?" chiese l'uomo.
"quando tornerò a vedere?"
Un piccolo sospiro appena trattenuto. Doveva aspettarsi quella domanda anche se doveva aver sperato di evitarla.
"presto" disse "è difficile dirlo con esattezza, un proiettile le è esploso a pochi centimetri dal viso, un nervo è stato fortemente danneggiato ma, nonostante l'assenza dei macchinari adeguati, l'abbiamo ricostruito. Ricorda qualcosa?".
Nuovamente si chiese come rispondere. Sarebbe bastato negare tutto? O avrebbero voluto sapere sempre di più?
"ne stavamo parlando prima" intervenne Isabelle "solo immagini confuse e sfuocate".
Erano denti che si stringevano quelli che aveva sentito? Ebbe paura per la donna ma non accadde nulla, il dottore sospirò ancora prima di affermare "è normale, il nostro cervello spesso censura qualsiasi cosa possa ricordare il dolore. Incidenti, cadute e passioni, tutto viene rimosso. Prima o poi ricorderai".
"mi dispiace" disse addolorata.
Né il dottore né l'infermiera risposero, ciò non la rassicurò per nulla, era lei che volevano o le informazioni in suo possesso? Si morse la lingua, punendosi per quello che si era detta, infondo la donna l'aveva aiutata.
Rimase inerte mentre il medico la esaminava, sentì a malapena l'ago col quale le iniettarono un liquido dall'aroma pungente. Le fecero bere tre diversi tipi di medicinali e altrettante pillole.
Li sentì allontanarsi e riuscì a distinguere le raccomandazioni del medico. Avrebbe dovuto prendere fermenti lattici e la morfina doveva essere diminuita se non si voleva rischiare la dipendenza.
"come stai?" chiese l'infermiera al ritorno.
"ho un tubo nel ventre, due aghi per braccio e non so quante bende" sospirò "sono stata meglio".
"posso immaginarlo" rispose "devi dormire, da domani toglieremo gli aghi, che, concedimelo, ti danno l'aria di una più al di là che al di qua"
Una leggera risata riempì l'aria "sono messa così male?"
"ti abbiamo presa per i capelli da dove stavi andando, ovunque fosse. Ne ho viste tante ma.. non pensavo ce l'avresti fatta"
"sono contenta che ti sia sbagliata"
L'infermiera stava per replicare ma non appena vide la sua paziente contrarsi e mordersi le labbra, fino a sanguinare, sentenziò "ti do un po' di morfina così fino a domattina potrai stare tranquilla".
"ma il dott.. " una nuova fitta interruppe ogni tentativo di replica.
Riuscì appena a sentire la voce, nuovamente calda, che le diceva "sarà il nostro piccolo segreto", prima di sprofondare in un mondo di incubi, dove urla e sangue la accompagnarono per un tempo indeterminato.

Quando si svegliò qualcosa era cambiato, la luce che trapelava dalla benda era meno opaca e più luminosa, il dolore era diminuito e l'angoscia che aveva accompagnato i sogni fu sostituita dalla speranza di un nuovo giorno da vivere.
"è ora di mangiare" esclamò Isabelle.
La aiutò ad alzarsi e appoggiare la schiena a due cuscini abbastanza gonfi da permetterle di stare seduta eretta.
"Isabelle" bofonchiò "io ci.. insomma, c'è più luce, riesco a vederla"
"è un buon segno. Fermati!"
Il tono della sua voce fu così perentorio che la ragazza scostò immediatamente le mani dal viso e lasciò la benda dove si trovava.
"se acceleri le cose peggiorerai solo la situazione, fidati di me"
Lasciò cadere la questione visibilmente delusa e, sorridendo, sussurrò "parlavi di cibo vero?"
"per quanto si possa ritenere un  vero pasto una tazza di latte e dei biscotti affogati in esso" scherzò lei.
"ottimo" rispose "ho una fame da lupi".
Non era vero, non sentiva nessun bisogno in particolare, eppure voleva tentare di instaurare un rapporto con quella donna.
Si sentiva come una bambina mentre veniva imboccata. I biscotti si rivelarono essere pane vecchio di qualche giorno, reso appena più morbido dall'immersione nel latte annacquato. Ciononostante mangiò con avidità, gustandosi ogni sapore, le era mancato da morire e, man mano che deglutiva un boccone dopo l'altro, i ricordi delle diverse pietanze la inondava.
"mi spiace" disse Isabelle, il tono era imbarazzato "la cucina è un po' misera".
"ti assicuro, ci sono stati giorni in cui avrei dato un dito per una cosa del genere" rispose sincera, ricordando i giorni prima dell'incidente.
"allora devi averne proprio passate di tutti i colori" disse.
Lei si limitò ad annuire ed a scrollare le spalle. Rievocare il passato le faceva male, le preoccupazioni si ammassarono le une alle altre, vide i volti dei suoi amici, i loro sorrisi, immaginò le loro facce sfigurate e deturpate. Finse di addormentarsi subito dopo lo spuntino, ignorando lo stomaco che ne invocava ancora. Aveva bisogno di meditare sulle prossime mosse, doveva smetterla di illudersi che quella fosse pace, era solo un momento, presto sarebbe passato e lei non doveva farsi trovare impreparata.

"sei sicura?"
"si"
"non è troppo presto?"
"no"
"ma e.."
Isabelle sbuffò "prima era impossibile trattenerti, adesso non vuoi. Deciditi"
"va bene, fallo"
Le tolse la benda con calma e delicatezza, sorridendo per la sua evidente eccitazione, le mani le tremavano a mezz'aria, incerte se toccarsi il volto o stringersi alle lenzuola.
Quando le pezze di stoffa caddero a terra una luce immensa la obbligò a chiudere gli occhi. Era ironico, aveva così voglia di sistemare anche questo tassello della sua vita e, adesso che avrebbe potuto farlo, non ci riusciva.
"è normale" disse l'infermiera "i tuoi occhi non più sono abituati a ciò che una volta consideravano routine”.
Le ci vollero diverse ore per riuscire a distinguere i contorni dei diversi oggetti, non aveva fretta, passava il tempo a scherzare e ridere con la donna, l'euforia l'aveva conquistata.
Appena ne ebbe la possibilità studiò colei che l'aveva accudita. Era giovane, incredibilmente più giovane di come l'aveva immaginata, forse aveva tre o quattro anni più di lei ma non oltre. Il viso era delicato e magro, gli occhi, pur segnati dagli orrori che doveva aver vissuto, rimanevano gentili e vivaci. Qualcosa attirò la sua attenzione, un leggero rigonfiamento in prossimità dell'occhio sinistro. Sentì l'eco del rumore di alcuni giorni prima e vide confermarsi i suoi sospetti.
"ti ha picchiata" disse.
Lei scostò il viso e scrollò le spalle con un gesto di noncuranza "non è successo niente" si limitò a bisbigliare.
"non è vero" quasi urlò "mi hai aiutata e non sai neppure chi sono, ti ha picchiata perché sei stata gentile"
"se le persone dimenticano di fraternizzare con chi ha bisogno, in cosa potremmo differire dalle bestie?" chiese come se tutto fosse ovvio.
"ma non sai neppure chi sono"
"questo non cambia le cose" la voce era ferma e sicura.
La giovane trasse un profondo sospiro. Non aveva bisogno di altre prove.
"il mio nome è Ginevra".
Non aveva bisogno di dire altro, se veramente non l'aveva riconosciuta il suo nome le sarebbe bastato, la sua storia era conosciuta da tutti, più lei cercava di fuggirla più tutti sembravano interessarsi.

Il periodo che seguì ebbe per la giovane la stessa importanza che per un bambino ha l'infanzia. Dovette re imparare a compiere tutti quei gesti che prima aveva considerato istintivi e naturali, Però, differenza di un infante, lei sapeva esattamente quale fosse il suo obbiettivo e non riuscire in piccoli atti come stringere una penna o stare in equilibrio sulle proprie gambe, la estenuava. Aveva una maestra paziente, Isabelle le stava accanto il più possibile, le faceva tornare un sorriso sulle labbra quando lo sconforto era troppo e non la obbligava a far nulla.
I momenti peggiori erano quando si svegliava e, aprendo gli occhi, nulla era cambiato, ritornava ceca per interminabili istanti. La prima volta l'infermiera dovette sedarla, i  nervi le saltarono a tal punto che i singhiozzi rischiarono di soffocarlo. Era normale, dicevano, l'occhio lentamente sta tornando al suo lavoro, presto quelle ricadute sarebbero scomparse.
Non sapeva con certezza quanti giorni fossero passati. Aveva trovato un modo per capire il loro alternarsi: Isabelle usciva la mattina dopo averle servito la colazione e rientrava dopo molto tempo, doveva andare a lavoro, almeno così credeva. Al ritorno, prima di andare da lei, saliva le scale e rimaneva ai piani superiori per diverso tempo, probabilmente si riposava. Quando scendeva cominciava la  lezione. Riprendere il controllo dei propri arti, sentenziava, sarebbe stato più veloce se il riposo fosse stato accompagnato da un opportuno allenamento.

"Dannazione" Urlò Ginevra, lasciandosi cadere sul cuscino.
Isabelle la guardò pensierosa per un momento, sembrava incerta sul da farsi, quindi, improvvisamente, scoppiò a ridere senza ritegno.
"lo trovi così divertente? o magari hai pensato alla barzelletta del secolo?" disse sprezzante "no, perché se è così raccontamela perché ho una grande voglia di farmi due risate".
La donna continuò come se nulla fosse e solo quando i polmoni invocarono pietà riuscì a fermarsi.
"nessuna barzelletta, sei solo tu" disse, tutto d'un fiato.
"grazie, mi conforta"
"è solo che guardandoti sembri così giovane, ingenua e ignara di tutto" si spiegò "dopo, in pochi secondi, imprechi e diventi estremamente aggressiva. Sai nascondere bene le tue carte migliori".
Nuova risata che la paziente ignorò, guardando in direzione della finestra serrata. Quelle parole.. non  era la prima volta che le sentiva, qualcun altro gliele aveva rivolte, in circostanze così diverse, circostanze che le sembravano appartenere ad un'altra vita.
"perché le finestre sono serrate?" chiese per distrarsi.
Lo sguardo della donna che l'accudiva tornò freddo e distante, scrollò le spalle e si limitò a rispondere "ordini dall'alto".
"che sarebbe?"
"quando sarai pronta saprai tutto, ora ti basti sapere che è meglio che nessuno sappia dove tu sia" il tono non ammetteva repliche.

Quella mattina, dopo che fu sola, decise di fare da sé alcuni esercizi di equilibrio. Era stanca di passare le giornate a dormire e pensare, i sogni, come i pensieri, diventavano sempre più cupi e violenti. Inoltre un rumorio, che doveva provenire dalle stanze accanto, aveva attirato la sua attenzione. Si alzò lentamente e, dopo i primi passi incerti, tenendosi alle pareti, iniziò la perlustrazione. Trovò la fonte del suo interesse nella stanza adiacente, era una televisione vecchio stile, dimenticata accesa. Nonostante il suono fosse disturbato, le immagini erano chiarissime. Cadde sul pavimento con le lacrime che sgorgavano incontrollate e la testa stretta fra le mani, mentre la il monitor presentava un gruppo di soldati che, senza pietà, sparavano ad un uomo  con i vestiti già intrisi  di sangue. Supplicò sé stessa di chiudere gli occhi ma era troppo tardi, vide il corpo cadere a terra esanime e si chiese se in quell'istante anche il suo cuore avesse smesso di battere.

Isabelle la trovò in quell'identica posizione diverse ore dopo. Non le ci volle molto per capire cosa fosse successo. Sospirò. La fece alzare e la riportò a letto. Non fu difficile, le sembrava di stringere tra le mani un corpo senza vita, che procedeva per inerzia, due lacrime ormai secche le marcavano il volto e lo sguardo era vacuo e freddo, rivolto altrove. Non si oppose quando la fece mangiare ma, non appena ebbe finito, vomitò tutto, prima di cadere in un sonno profondo e disturbato, in un sonno che di ristoratore non aveva nulla.


"è successo veramente?" chiese Ginevra.
Non sapeva neppure se accanto a lei ci fosse qualcuno, non aveva ancora aperto gli occhi, eppure aveva bisogno di demolire anche l'ultima speranza che le era rimasta.
"si" fu la semplice risposta, senza nessun'inutile frase d cortesia.
"gli altri?" chiese ancora, evitando di aprire gli occhi, non voleva nessuno sguardo di pietà, non se lo meritava, lei era viva.
" non c'e nessun altro. Solo quel ragazzo è stato riconosciuto come colpevole e condannato".
Condannato? lui non poteva essere condannato, è una legge universale, loro possono essere uccisi, questo si, ma non condannati, non da un giudice o da un politico qualsiasi.
"non è possibile" bisbiglio'.
"è quello che succede quando cerchi di uccidere un parlamentare" le spiegò con dolcezza, quasi si trovasse di fronte ad una bambina ostinata che non accetta che le cose vadano in maniera diversa da come se le era aspettate.
"ma lui non p.."
Il silenzio divenne padrone. Non era troppo tardi, poteva far finta di nulla e tacere. D'altronde che senso aveva ormai il suo silenzio? chi poteva essere compromesso lo era già stato in maniera irrimediabile.
"dove sono?" chiese invece.
"ti ho già risposto"
"no, non l'hai fatto. Hai deviato le mie domande. Non voglio sapere se sono al sicuro o meno, mi interessa sapere il perché. Perché io sono viva? Perché non sono morta anch'io?" dovette fermarsi per riprendere fiato, tale era stata la foga con cui aveva parlato.
"perché non tutti hanno persone potenti che si interessano a loro" si limitò a risponderle.
"chi?"
"lo sai benissimo"
Lo sapeva? si, l'aveva sospettato fin da subito. Suo padre. Il suo senso del dovere doveva averlo portato a fare qualche chiamata. Il dovere, nient'altro. Il sentimento? l'affetto? no, a quello non credeva.
Batte' rabbiosamente i pugni sul letto, non facendo altro che aumentare il suo senso di impotenza.
"hanno violato gli accordi" bisbigliò.
"di cosa parli?"
"loro non potevano condannarlo. Quelli come lui possono morire in missione, possono essere uccisi, ma non possono essere condannati come nemici dello stato" non si stava rivolgendo ad Isabelle, stava riflettendo tra sé  e sé, analizzando tutti i dati in suo possesso.
"di che diavolo parli?"
"dei Daimon. Loro sono sopra le parti, le leggi internazionali l'h.."
"i Daimon?" l'infermiera sobbalzò sulla sedia.
Ginevra la osservò, sembra realmente sorpresa, con gelido sarcasmo affermò "in un mondo dove il miglior alleato può essere una strega, dove i mostri invadono il mondo, mietendo vittime su vittime, senza distinzione alcuna tra bambini o anziani, in un tale mondo, ti sorprendi dell'esistenza di un corpo speciale di mercenari?"
La donna la osservò in silenzio, cercando di cogliere nella giovane qualche segno che le sue parole fossero solo frutto del delirio. Scrollò le spalle e bisbigliò "le tasse".
"come?"
"tutto torna, nelle ultime settimane lo stato ha imposto tasse enormi, ovunque è stato possibile i prezzi sono aumentati" la guardava con uno sguardo nuovo, da una parte orgogliosa della nuova scoperta, dall'altra spaventata "allora è vero, accadrà".
"di cosa stai parlando?" chiese Ginevra.
Isabelle, nonostante l'iniziale eccitazione si era calmata ed ora osservava un punto lontano, oltre la parete di fronte a lei.
"si stanno preparando alla guerra. Accadrà, tutte le  nazioni saranno coinvolte, tutte le città autonome, le tasse a cui ci stanno sottoponendo non sono altro che il modo per potersi permettere l'esercito migliore. Dopo quello che mi hai detto capisco anche chi cercheranno di ingaggiare.." disse.
"Aspetta, hai detto guerra?"
"te l'avevo già accennato"
"no" urlò la giovane "avevi parlato di disordini".
"quelli sono i primi sintomi, fazioni che si scontrano, interventisti e neutrali, anarchici e imperiali..".
La ragazza sprofondò ulteriormente nel giaciglio, poi si ricordò di un dettaglio  "la finestra" disse e, dopo aver visto la reazione dell'infermiera, seppe di aver colto nel segno "perché è sempre sigillata?"
"a volte è meglio rimanere all'oscuro" bisbigliò in risposta "sono cambiate molte cose".
"spiegati" la intimò.
La donna esitò ma non ebbe il tempo di trovare alcuna scusa, Ginevra la incalzò, cercando di dissimulare con un tono comprensivo la sua ansia "se vedrò con i miei occhi tu non avrai infranto nessun patto".
"ce la fai a camminare?"
"si" non ne era così sicura ma non si sarebbe lasciata perdere l'occasione tra le mani.
I primi passi furono difficili ed estremamente stancanti ma riuscì a raggiungere la finestra, ora socchiusa. Lo spettacolo che le si presentò la lasciò senza fiato. Il mondo non era cambiato? il mondo era impazzito e scoppiato.
"i primi giorni dopo l'incidente diverse squadre hanno invaso la città, saccheggiato i negozi, distrutto abitazioni, razziato, ucciso.." le spiegò una voce che le apparse distante diverse miglia.
"perché?" Riuscì a trovare la forza di chiedere.
"perché molti di noi hanno dimenticato il confine tra uomo e bestia" il tono era di critica, ma anche di rassegnazione.
"tutto per colpa nostra" stringeva la base della finestra con tale intensità che le mani cominciarono  a sanguinare.
"no, siete stati solo la scintilla di una miccia troppo lunga" non c'era nessun intento consolatorio, era una semplice constatazione.

Un tempo i politici, dinnanzi alle accuse che venivano loro mosse di inefficienza e leziosità, rispondevano che il mondo non si poteva cambiare in pochi giorni. Si sbagliavano, quanto si sbagliavano. Macchine capovolte, bidoni in fiamme, muri dipinti da frasi troppo volgari per essere ripetute. Tutto il mondo, come lei lo ricordava, si era capovolto. Quella città, riconosciuta ed eletta come modello, ora non era altro che caos. L'odore acre dei rifiuti bruciati la nauseava, eppure la sua mente la obbligava a guardare, come se fosse una punizione per la sua impossibilità di cambiare le cose. Le persone camminavano appresso ai muri, cercando il più possibile di mimetizzarsi con essi, i volti scuri e attenti a non incrociare gli occhi di nessuno. Ginevra fu sorpresa di vedere una madre tenere stretta a sé la figlioletta, era tutto sbagliato, loro non dovevano essere li, troppo indifese, troppo deboli e gli sciacalli sentono l'odore della debolezza a chilometri di distanza. Sentì un  botto e spostò velocemente lo sguardo in sua direzione. Due uomini camminavano urlando e ridendo, resi spavaldi dalle armi che reggevano, armi misere e inutili se comparate con quelle in dotazione dell'esercito, ma si trovavano nella zona povera della città, lì l'esercito non passava mai, fatta eccezione di qualche militare che affittava qualche camera da condividere con una o più prostitute.
"dove vai?" chiese Isabelle quando la vide dirigersi verso la porta della stanza.
"secondo te?" chiese "l'hai detto tu, gli uomini sono delle bestie, se gli agnelli vogliono sopravvivere hanno bisogno di una mano"
"da chi? da un disabile?"
"da chi abbia abbastanza coraggio da offrirla loro"
Gli occhi della donna la scrutarono "non ha senso andare ad ammazzarsi, non aiuterai nessuno".
"ma.." un urlo la interruppe e la spinse a riguardare fuori dalla finestra. La madre urlava e si dimenava ma l'uomo più grosso le bloccava i polsi, l'altro, nel frattempo, teneva le ginocchia sul petto della bambina e tra una risata e l'altra biascicava "in questo mondo non c'e spazio per l'innocenza" e poi "ti faccio un favore, dovresti pagarmi". La madre urlava la sua disperazione, supplicava, prometteva, ma le sue parole venivano derise, lasciate disperdersi in un oceano di indifferenza e paura. La bambina, la sua piccola creatura, avrebbe dato sé stessa per salvarla, ma lei era vecchia, le sue mani callose, la sua pelle ruvida, per quegli uomini non ci sarebbe stato alcun gusto: lei si sarebbe arresa, immolata a mostri senza pietà, mostri che però aspiravano a qualcosa di diverso, mostri che, incapaci di  vedere un futuro, incapaci di andare avanti in quei giorni bui, cercavano di aspirare ciò che avevano perso, la vita, da una creatura troppo innocente per trovare alcuna ragione di odiare l'esistenza. Le invocazioni squarciavano il cielo, mentre le richieste di aiuto lo fendevano, ma chiunque passasse accelerava il passo e guardava ostinatamente d'avanti a sé, come se, non vedendo nulla, fosse legittimato a non intervenire. Indifferenza, paura, violenza, così diversi eppure così legati: indifferenza per la sofferenza, paura della sofferenza, violenza come maschera che ti permette di crederti superiore, intoccabile.
Due boati, uno in seguito ad un'altro, poi solo silenzio. Due colpi perfetti. Ginevra vide i due uomini piegarsi avanti e cadere, il loro volto rifletteva ancora un ghigno di soddisfazione, l'ultimo, macchiato solo da un rivolo di sangue che scendeva lento da un foro al centro della fronte.
La donna si alzò velocemente, prese la bambina per mano e cominciò a correre. Dopo alcuni metri si fermò, come colpita da un'illuminazione. Si guardò attorno circospetta, uno sguardo a destra, uno a sinistra, nessuno si era ancora avvicinato. Strinse con forza la piccola mano della figlia, le sussurrò qualche parola e la nascose sotto la carcassa di quello che una volta doveva essere stato un Sidecar all'ultimo grido e tornò indietro. Fatti alcuni passi si rivoltò e con un sorriso dolce le fece cenno di fare silenzio, sarebbe tornata subito, o almeno così sperava.
La dolcezza del suo volto lasciò posto ad una maschera di pietra e, con la stessa indifferenza degli uomini che avevano ignorato le sue suppliche, cominciò a perquisire i due cadaveri. Ne ricavò due piccole armi da fuoco, qualche scorta di cibo, due portafogli carichi ma soprattutto sette pacchetti di sigarette e due di sigari, la cosa più preziosa in guerra. Riprese la bambina e se ne andò senza più voltarsi.
"ecco a chi hai voluto salvare la vita, ad una ladra"
La voce atona di Isabelle la portò a rivolgersi a lei e la vide mentre ripuliva la canna di una piccola pistola.
"Colt M1911" sorrise rigirandosi l'arma tra le mani "piccola, leggera, precisa".
"li hai uccisi" disse la giovane.
"non era quello che volevi?" era pungente, carica di sarcasmo e velata di rabbia.
"io...si..insomma.. non .."
"dannazione, devi decidere cosa vuoi" sbottò la donna "saresti andata giù e cosa avresti fato? chiesto se, per favore, potevano smetterla di far baccano, perché tu, piccola  principessa, dovevi dormire?".
Lacrime roventi di rabbia cominciarono a scendere, Ginevra rinunciò presto a trattenerle e, in un sospiro, rispose "non chiamarmi così".
"come?" le fu risposto dopo una risata forzata "piccola principessa? è quello che sei. Questa volta non ci sarebbe stato tuo padre a salvarti. Cazzo, non sai nemmeno cosa vuol dire.."
Non le fu dato tempo di proseguire, una frase, pronunciata da una voce così distante da sembrare provenire da un'altra stanza sussurrò "avevo sei anni".
"cosa?" qualcosa nella sua voce aveva allarmato l'infermiera e torno ad assumere un'aria professionale e calma, ma era troppo tardi, nessuna diga avrebbe fermato quel fiume in piena.
"avevo sei anni la prima volta che uccisi una persona".
  
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