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Autore: tetjej    25/05/2014    9 recensioni
Camminava frettolosamente, l’ansia di rivederlo era troppa, nonostante sapesse che lui era lì ad aspettarla come al solito.
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Anche quel giorno lui l’aveva vista da lontano, stava per raggiungerla mentre accadeva tutto così velocemente da non riuscire a capire nulla.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Come quel giorno...






Vagava, come d’abitudine ormai.


Era una giornata grigia, come tutte quelle precedenti.


Indossava i sui jeans preferito, come quel giorno.


Le strade erano deserte, come sempre.


Non aveva neanche bisogno di guardare dove mettere i piedi, conosceva quella strada a memoria tante le volte che l’aveva percorsa.


Era triste, come tutti i giorni da quel giorno.


E ricordava tutto nei minimi particolari, tante le volte che le ritornava in mente.



Camminava frettolosamente, l’ansia di rivederlo era troppa, nonostante sapesse che lui era lì ad aspettarla come al solito.


Indossava il suo jeans preferito, quello che amava tanto anche lui e che avevano comprato insieme.


Le strade erano deserte, d’altronde nessuno va in giro alle tre del pomeriggio.


A vederli sembrava la solita storia, il ragazzo scapestrato, il ribelle che ha rubato il cuore della ragazza per bene.


Camminava Dafne,quasi correva con i libri fra le braccia.


«Vado in biblioteca» era così che salutava sempre la madre, ed effettivamente era lì che si recava ogni giorno.


Ogni pomeriggio si incontravano, lui l’aiutava a portare i libri e poi la osservava fino a quando non finiva di studiare.


Osservava ogni suo più piccolo gesto, seduto in silenzio davanti a lei, la penna portata alla bocca per mangiucchiarne il tappo, la mano che scostava i ciuffi ribelli caduti sugli occhi, l’espressione concentrata e persa in quel mondo pieno di numeri e formule …


Finito di studiare, l’accompagnava a lasciare i libri per poi passeggiare e bagnarsi i piedi sulla riva del mare, andare al parco, o al centro commerciale, ridere e scherzare.


E nel frattempo lui la osservava. E l’ascoltava.


Sempre.


Il suo sguardo era costantemente fisso su di lei.



Ora era lei ad osservare lui.


Fermatasi a qualche metro di distanza, guardava la gamba poggiata sul tronco di dietro, un braccio lungo un fianco e l’altro mentre si portava una sigaretta alla bocca.


Con i dilatatori alle orecchie e i tanti piercing sul viso sembrava uno di quei tanti bulletti, che se la tiravano un po’ troppo, e dire che lei aveva sempre odiato i tipi così!


Eppure lui era diverso, lo si poteva capire notando quella sfumatura triste negli occhi verdi scuro.


Cupi, tristi e assorti ma che brillavano appena lei arrivava.


Anche quel giorno lui l’aveva vista da lontano, stava per raggiungerla mentre accadeva tutto così velocemente da non riuscire a capire nulla.


E lei era immobile, pietrificata a guardare.


Guardare lui quasi volare, talmente forte l’impatto.


Guardare la macchina verde schiantarsi contro il suo albero.


Guardare il passante terrorizzato chiamare un’ambulanza.


Guardare la faccia del pazzo spiaccicata al vetro dell’automobile.


Guardare i libri che scivolavano dalle mani.


Guardare le proprie gambe muoversi e avvicinarsi quasi involontariamente a lui, lui in fin di vita disteso sull’asfalto freddo.


E poi fu l’urlo.


E le lacrime.


E i vari tentativi di svegliarlo.


E scuotere il corpo ricoperto di sangue.


E gridare il suo nome. Ancora e ancora mentre la consapevolezza era giunta.


Il soffio della vita non usciva dalle sue labbra sottili, il cuore non batteva più


I suoi occhi non avrebbero più brillato, le sue mani non l’avrebbero più accarezzata, lui non ci sarebbe più stato.


E allora tutto si bloccò, immobile nel tempo, nella sua mente.


Le sue mani sul suo corpo, sul suo viso, gli occhi appannati di lacrime alla ricerca di un piccolo movimento che le avrebbe dato speranza.


Il suo tentare di negare la realtà, il chiudersi in un mondo tutto suo dove lui c’era ancora.


Il poliziotto che la scostava, il medico che la guardava, con quegli occhi ormai abituati, che le diceva che non c’era nulla da fare…





E poi solitudine.


Solitudine in cui Dafne ripensava a tutto ciò.


Nessuna voglia di mangiare, di studiare, dormire e uscire.


Solo il morboso attaccamento al ricordo di lui, indelebile, fissato nella sua mente.


Il voler ritotrnare, dove tutto accadde e finì, solo per ricordare.


Ricordare i momenti felici, i più belli della sua vita grazie a quel demone dagli occhi di angelo che le aveva rapito il cuore.


Sono passati mesi, ma il dolore è sempre lo stesso, le lacrime minacciano ancora di uscirle la notte.


Così come stanno facendo adesso


sul viso di Dafne


seduta all' ombra del suo tronco.







***







Salve!

Questa shot è il mio primo tentativo di scrittura nella sezione originale, spero che sia piaciuta a qualcuno (ammesso e non concesso che qualcuno si sia fermato a leggere xD).

Non so come mi è uscita, amo le storie malinconiche e spero di essere riuscita a creare qualcosa di questo genere.

Bene, non so proprio che dire, quindi vado a finire di studiare chimica invece di perdere altro tempo al pc lol

Alla prossima :)

tetjej

   
 
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