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Autore: batcamem    25/05/2014    3 recensioni
Mary era un’anima vagante, un’anima senza un corpo vero e proprio.
Ogni 17 anni moriva e nasceva nuovamente in un nuovo corpo. Un ciclo senza fine e straziante, per lei e per chi l’amava.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Tossisce e si fa largo tra la gente* eccomi qui, l'autrice di questa One Shot...
Non mi uccidete dopo che avrete letto questa storia!
Non vi voglio dire niente riguardo a questo, aspetterò con pazienza le vostre recensioni, se ce ne saranno, ovvio.
Buona lettura!


«Era una primavera del 1946. Mary si trovava in un vasto prato verde. Correva con il vento che le smuoveva i folti capelli rossi e mossi. Gli occhi color bronzo brillavano alla luce del sole.
Il vestito a fiorellini azzurri e rosa le stava a pennello e le circondava in modo armonioso le gambe snelle mentre il suo ragazzo Alec la ricorreva per baciarla.
Lei, scherzosamente, l’aveva spinto ed era scappata per il grande prato.
Il dolce profumo dei fiori primaverili e dei pini riempivano l’aria del pomeriggio.
I due ragazzi, ancora giovani e ingenui, si amavano alla follia, ma lei sapeva che presto lui sarebbe stato male, nel vederla morire al suo fianco. Entro un’ora tutta quella magia sarebbe finita.
Mary, per la prima volta dopo tanti anni, si era innamorata veramente di un ragazzo perbene. Sapere che sarebbe morta di lì a poco per rinascere subito dopo le faceva dolere il cuore.
Si fermò chinandosi e poggiando le mani sulle ginocchia nude e bianche. Sul suo viso era stampato un sorriso, che però nascondeva un senso di tristezza e nostalgia.
- Eccoti, ti ho presa! - Alec l’afferrò per i fianchi e la baciò sul collo.
- Sono stata io a fermarmi, non tu a prendermi! - gli disse toccandogli la punta del naso con l’indice. Erano a pochi centimetri di distanza e i loro respiri andavano allo stesso ritmo.
Il ragazzo si sdraiò e con lei anche Mary, poggiò la testa sul suo petto e rimase a sentire i battiti del suo cuore, veloce.
Alec le accarezzò i folti capelli mentre la osservava. L’amava così tanto che sarebbe morto per lei. Anche lei avrebbe fatto la stessa cosa per lui.
- Ti amo. - le sussurrò all’orecchio.
Gli occhi bronzei della ragazza incrociarono quelli di lui e in pochi secondi si ritrovarono di nuovo abbracciati con le labbra che si sfioravano in dei baci dolci e casti.
- Anche io ti amo. - disse lei, mentre una lacrima le scendeva silenziosamente.
Scivolò dalle sue braccia e si rannicchiò con la schiena poggiata sul suo petto che si alzava e si abbassava, facendola rilassare.
Chiuse gli occhi, addormentandosi con la consapevolezza che sarebbe presto morta. L’aria fresca del tramonto le sfiorava il viso, mentre la pelle le si avvizziva e profonde rughe si mostravano sul suo volto giovane.
Dopo pochi minuti sentì la sua anima volare lontana, verso una nuova vita, e le grida di dolore del suo ragazzo che si alzavano nel cielo azzurro.
Mary era un’anima vagante, un’anima senza un corpo vero e proprio.
Ogni 17 anni moriva e nasceva nuovamente in un nuovo corpo. Un ciclo senza fine e straziante, per lei e per chi l’amava.
* * *
Era una nuova primavera, del 1963. Altri 17 anni erano passati e Marie stava seduta alla sua scrivania in camera da letto. Parigi era una città così bella che le dispiaceva molto lasciarla.
Ma mai come la volta prima.
Era ritornata a Edimburgo, un paio d’anni prima, e aveva ritrovato Alec. Si era rifatto una famiglia, ma quasi tutti i giorni andava al cimitero per andare a trovare la sua amata Mary.
Si mise a scrivere su un foglio di carta giallognola una lettere ai genitori. Chiedeva loro scusa per tutto quello che aveva fatto i quei 17 anni.
Controllò dall’orologio da polso l’ora. Le mancavano tre minuti e il tempo sarebbe scaduto. Sarebbe morta un’altra volta.
Ormai non sapeva più che cosa provava ogni volta che il cuore le smetteva di battere e l’aria non arrivava più ai suoi polmoni.
Non sentiva dolore, solo tristezza.
Ogni volta che rinasceva si sentiva sempre più vuota, nonostante le tante vite vissute nei secoli.
Posò la penna stilografica con cura e si asciugò una lacrima che scendeva sulla guancia.
Cadde a terra, priva di vita.
I genitori corsero sentendo quel tonfo sordo provenire dalla sua stanza e gridarono per il dolore, mentre il padre lesse la lettera.
* * *
1997, primavera. 34 anni dopo Mary era ancora viva, sempre 17 anni. Sempre in fin di vita, in un letto d’ospedale.
Era stata malata di leucemia, ma guarita. Non era in fin di vita, ma dovevano tenerla ancora sotto controllo per quel giorno.
Era fuori pericolo, anche perché da tutti i controlli effettuati in quel mese quasi concluso, si era capito che non aveva nessuna forma di malattia.
Sfogliò le pagine di un libro che le aveva portato la nonna e lo lesse molto velocemente. Quando lo terminò lo posò sul comodino bianco di fianco a lei e accese la televisione, dove trasmettevano i simpatici cartoni animati giapponesi, come per esempio Gigi la trottola.
Lo guardò felice, ma morì quasi senza accorgersene. La macchina che segnava i battiti cardiaci di fianco a lei emise un unico suono acuto, e nonostante i tentativi dei dottori, Mary morì.»
 

 
2014, primavera.
Finii di raccontare la storia alla mia sorellina Giorgia, che però ancora non dormiva.
«Ti è piaciuta la storia?» le domandai posando il libro di favole nella mensola di fianco al suo letto.
Lei annuì portandosi le coperte fin sotto il naso e osservandomi con i suoi grandi occhioni neri e luccicanti. «Me ne racconti un’altra Maria, per favore?» mi domandò.
Le sorrisi e le scompigliai i capelli castani corti. «No, ora devi andare a dormire, intesi?»
Annuì nuovamente.
Feci per andare in camera mia, quando però mi fermò facendomi un’altra domanda. Mary esiste veramente? Perché secondo me è molto fortunata a vivere in eterno!»
Mi irrigidii a sentire quelle parole e tornai indietro. Le lasciai un bacio sulla fronte e le dissi «se esiste non lo so, ma credo che non sia facile vivere come lei, non trovi?»
«Mmmh…» non mi diede una risposta vera e propria. Chiuse gli occhi e si addormentò, rannicchiandosi su un lato e abbracciando un mio vecchio peluche.
Andai in camera mia e mi misi il pigiama, mi sdraiai sul letto e chiusi gli occhi, facendo uscire le lacrime in un pianto liberatorio. Ero stufa di dover abbandonare le mie famiglie in quei modi.
Corsi di nuovo da mia sorella e mi infilai nel suo letto, abbracciandola stretta a me. Lei si girò e mi diede un bacio sulla punta del naso, per farmi capire che la mia presenza le era gradita.
Chiusi gli occhi e sorrisi, mentre la mia anima lasciava il mio corpo e volava via…

 
  
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