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Autore: Shainareth    02/08/2008    4 recensioni
[Mai HiME - anime] Aggrottò le sopracciglia, stranita da quella situazione in cui si sentiva tutt’altro che a suo agio, come un pesce fuor d’acqua o come un uomo che si fa prendere in spalla da una donna. In questo caso, però, la donna era lei ed era un uomo ad offrirle la sua schiena. Insomma, era così che doveva andare, no? E allora perché quella sensazione di smarrimento, come se ci fosse qualcosa fuori posto?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akira Okuzaki, Takumi Tokiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Aggrottò le sopracciglia, stranita da quella situazione in cui si sentiva tutt’altro che a suo agio, come un pesce fuor d’acqua o come un uomo che si fa prendere in spalla da una donna. In questo caso, però, la donna era lei ed era un uomo ad offrirle la sua schiena. Insomma, era così che doveva andare, no? E allora perché quella sensazione di smarrimento, come se ci fosse qualcosa fuori posto?
«Akira-kun?» La voce di Takumi le giunse in un mormorio confuso, ma riuscì nell’intento di smuoverla.
«S-Sì?»
Il giovane sorrise, forse intuendo il suo disagio. «Stiamo intralciando gli altri» le comunicò, in un gentile invito a togliersi dal centro del campo di pallamano.
Sebbene Akira fosse molto agile in tutto ciò che richiedeva uno sforzo fisico o un’attività motoria, prima di allora le era stato precluso di partecipare alle lezioni di ginnastica perché altrimenti non solamente avrebbe dovuto condividere lo spogliatoio maschile con i suoi compagni di classe, ma per di più avrebbe dovuto scoprire parti del suo corpo che fino ad allora aveva tenuto celate agli occhi di tutti benché non fossero necessariamente considerate “intime”. Ma le gambe di una ragazza sono diverse da quelle di un ragazzo, stessa cosa dicasi per girovita e circonferenza petto, come se già Akira non avesse dato nell’occhio perché più basso e minuto degli altri maschi della scuola, oltre che per una bellezza fuori dal comune dovuta esclusivamente ai lineamenti delicati del volto.
Con il nuovo anno scolastico, però, nella primavera in cui avrebbe compiuto quattordici anni, la sfortunata Okuzaki aveva finalmente potuto mostrarsi al mondo per quello che era realmente, frequentando la scuola con una graziosa uniforme alla marinaretta ed aggregandosi alla componente femminile della classe per le lezioni di ginnastica. E se da una parte la cosa la rendeva felice, dall’altra la metteva fortemente a disagio per via dei bloomers: abituata a non scoprirsi mai, in nessuna occasione, quei pantaloncini le sembravano poco più casti di un paio di slip. E pertanto alla ragazzina non riusciva di smetterla di sistemarli ogni due minuti, convinta che, svestita in quel modo, lo sguardo di chiunque avrebbe avuto vergognosamente accesso proprio a quelle parti del corpo ch’ella invece sperava di non dover mai mostrare per la troppa timidezza.
Era stato questo a farla distrarre, questa sua ossessione per quello striminzito pezzo di stoffa che, se da una parte avrebbe voluto evitare perché, appunto, troppo pudica, dall’altro aveva voluto comunque indossare perché desiderosa di potersi uniformare in tutto e per tutto alle sue coetanee almeno in queste piccole cose. Avendo perciò avuto il terrore che, dopo l’ultimo suo intervento sulla palla, quei maledetti bloomers le avessero giocato un brutto scherzo, si era attardata nel sistemarseli senza rendersi conto che un’altra pallonata era in arrivo. L’aveva schivata per puro miracolo, avvertita dalle urla delle sue compagne, ma non le riuscì di vedere quella dispettosa pallina da baseball che uno dei ragazzi della sua classe, che giocavano nel campo accanto al loro, aveva ribattuto con forza, e in malo modo, quando aveva ruotato la mazza per evitare l’ennesimo strike che lo avrebbe eliminato dal gioco. La pallina era quindi finita fra le giocatrici di pallamano, rotolando sul terreno, ed Akira, per schivare una pallonata che l’avrebbe altrimenti colpita dritta sul naso, si era mossa velocemente verso sinistra. Con la suola della scarpa aveva pestato la pallina da baseball, che di nuovo era rotolata via, facendole perdere l’equilibrio e facendola crollare in terra con una leggera distorsione alla caviglia.
Tutti erano accorsi attorno a lei, perché preoccupati, ma, rossa in viso per la figura appena fatta, la ragazzina aveva ribattuto che non c’era nulla di cui allarmarsi poiché il suo infortunio non era affatto grave, cosa che aveva potuto confermare anche l’insegnante di ginnastica non appena le aveva dato uno sguardo alla caviglia. Questi però le aveva consigliato anche di stare comunque a riposo, e sebbene Akira era stata sul punto di alzarsi da sola in piedi, qualcuno le aveva offerto invece la schiena affinché si recasse lo stesso in infermeria per pura prudenza e senza che potesse affaticarsi.
«Takumi, sul serio… ce la faccio da sola» tentò di dissuaderlo lei, già abbastanza in imbarazzo per via dei pantaloncini troppo corti e dell’infortunio.
«Sì, ma se non ti sforzi, ti rimetterai prima» insistette lui, testardo.
«Tokiha-kun ha ragione» intervenne di nuovo l’insegnante.
E alla ragazzina non restò che arrendersi. Titubante, allungò le braccia verso il collo del giovane e glielo cinse con fare impacciato; quindi, lasciò che lui si rimettesse in piedi, sollevandola da terra e reggendola con le mani da sotto i glutei, causandole ulteriore motivo di vergogna. Tuttavia, nascose il viso contro la sua spalla e strinse le gambe attorno alla sua vita quando Takumi si avviò lentamente fuori dal campo.
«Ce l’avrei fatta da sola… davvero» cercò nuovamente di dissuaderlo, la voce che tradiva il suo stato d’animo.
«Lo so, ma non avrei altro modo per ricambiare quanto hai sempre fatto per me» le spiegò lui, serafico. Come Akira, prima di iniziare a frequentare il secondo anno della scuola media, anche Takumi non aveva potuto assolutamente prendere parte ad attività fisiche, che fossero previste dalla scuola o meno. Ma nel suo caso non si trattava di un’imposizione, quanto di una precauzione: malato di cuore, il ragazzo era stato infine operato con successo non molto tempo prima, e adesso poteva infine adattarsi anche lui alla vita condotta da tutti i suoi coetanei.
Akira non obiettò più. Conosceva il suo ex-compagno di stanza lì al dormitorio maschile del Fuuka Gakuen, pertanto sapeva che il potersi sdebitare in qualche modo con chi in passato lo aveva aiutato e sostenuto a causa della sua malattia, era per lui un piccolo passo per prendersi le proprie responsabilità e per diventare un uomo.
«Ti tira la cicatrice?» volle comunque chiedergli.
«Non più del solito, tranquilla.»
«Peso?»
«Sei leggera.»
«Non sforzarti troppo.»
«Non lo farò.»
«Quando ti stanchi, rimettimi giù, ok?»
«Akira-kun, sto bene, davvero» sorrise il giovane, intenerito dalle sue continue preoccupazioni.
«Lo so, ma a volte esageri per l’ansia di volerti subito rimettere al passo con gli altri» lo redarguì lei, ottenendo in risposta soltanto un altro sorriso.
Sospirò, arrendendosi del tutto, e tornò a poggiare la fronte contro la schiena del ragazzo. Non ricordava che fosse così larga, anzi. Le era sempre parsa fragile. Così come le erano sembrate deboli le sue braccia. Dopotutto, fra loro due, era sempre stata lei quella forte, quella che lo difendeva da questo o quel pericolo, quella che non esitava a menare le mani quando ve ne era bisogno. Abituata alla propria femminile mascolinità, aveva invidiato invece la delicatezza e la grazia di Takumi, doti che, si ripeteva, a lei mancavano del tutto. E forse era stato proprio questo loro essere in perfetta opposizione che li aveva avvicinati: ognuno aveva le doti che l’altro ricercava per sé.
Ma da un po’ di tempo a quella parte entrambi si erano accorti che le cose stavano cambiando e che, sebbene loro restassero sempre gli stessi in fondo all’animo, l’una cercava di far propria una grazia ed una femminilità da tempo agognate, l’altro si rafforzava fisicamente giorno per giorno avvalendosi anche della crescita del proprio corpo, che adesso lo faceva apparire alto quanto sua sorella maggiore e persino più robusto di prima perché, da che non condivideva più la camera con Akira, era costretto ad occuparsi da solo anche dei lavori più pesanti che c’erano da fare durante le pulizie.
E quella forza e quella fragilità che entrambi a lungo avevano desiderato, stavano di fatto lentamente impadronendosi di loro: se da un lato la ragazzina rimaneva stupita, e al contempo affascinata, dalle spalle del compagno, dall’altro lui, pur trovando la cosa in parte ingiusta nei confronti di Akira, non poteva fare a meno di apprezzare la morbidezza del corpo che stava portando in salvo in infermeria, prezioso carico che lo faceva tuttavia sentire orgoglioso di essere sulla buona strada per diventare un uomo nel vero senso della parola.
C’era, in tutto quello, un senso di smarrimento in entrambi i ragazzi. E, similmente, anche un senso di soddisfazione.







Quanto tempo, eh? Primo giorno di vacanza nel vero senso della parola, e prima shot buttata giù. Non so quanto possa essere valido, come scritto, ma intanto ho ripreso a scribacchiare qualcosa che ho sentito in qualche modo mio. E intanto chiedo scusa per eventuali sviste (anzi, segnalatemele, se ne trovate qualcuna, per favore).
Mando un bacio a tutti gli assidui lettori e agli altrettanti assidui recensori, in particolare a NicoDevil, Chiarucciapuccia, Gufo_Tave, Atlantis Lux e Hinata_chan/Akira Okuzaki che sono sempre pronti ad incoraggiarmi o anche solo a condividere con me le loro opinioni (positive o negative che siano) sulle mie boiate.
Buone vacanze a tutti!
Shainareth
P.S. Ho finalmente rimesso mano alla mia long fic, che abbraccerà praticamente tutti i personaggi della serie (ma proprio tutti, eh!) e un po’ tutti i generi. Mi auguro solo di riuscire a proseguirla e a portarla a termine con successo.





  
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