A
xonlyexception,
che non conoscendoli
sopporta i miei deliri su questi due.
E,
più semplicemente,
a tutti quelli che credono in loro.
Colourblind~
Sasuke-kun.
Fu
poco più di un sussurro, un sussurro che il vento portò
via con la promessa di custodirlo per sempre. Gelosamente. Sakura
pronunciò il suo nome ancora un volta, con voce tremante –
spaventata, terrorizzata all'idea che di trovarsi di nuovo
faccia a faccia con un sogno che non sarebbe mai divenuto realtà.
Fu
il sorriso di Naruto a confermare che sì, il momento
che stavano vivendo avrebbero potuto ricordarlo per sempre,
raccontarlo a nipoti che, dopo un lungo, lunghissimo – e
sofferto, certamente – racconto, avrebbero urlato di
gioia nell'apprenderne la lieta conclusione.
Sasuke-kun, alla
fine, è tornato al villaggio.
Dal canto suo, Sasuke
non poté far altro che stupirsi della reazione composta –
tanto composta da sembrare (essere) finta – della
ragazza che, anni prima, gli aveva urlato il suo amore come un
insulto, sporcandolo con la sua stessa purezza. «Sei
tornato», constatò. Due parole tanto semplici quanto
banali, ma che ebbero il potere di scavarle il vuoto dentro.
Aveva uno sguardo duro, Sakura, mentre cercava disperatamente di
convincersi che ciò (chi) che avesse davanti fosse solo
un'illusione. Bellissima ed insperata, certo, ma restava un'illusione
e lei aveva imparato a gestirle da tempo. Doveva
essere così.
Resterai
questa volta, Sasuke-kun?
Non
lo disse, non ce n'era affatto bisogno. La sua domanda era un segreto
di bambina – un segreto che solo l'orecchio di un'amica, o di
una madre, avrebbe potuto accogliere e custodire in eterno. Un
segreto che per il mare era conchiglia, custode di sospiri. E in
quanto tale, andava protetta.
Perché l'innocenza poteva
averla persa, smarrita nel sangue di chi non
ce l'aveva fatta, ma il
suo cuore era ancora tutto lì con lei.
Non poté dire
altro; le tenebre, semplicemente, l'avvolsero nel loro abbraccio.
VVV
Dopo tre giorni,
durante i quali non aveva visto neppure l'ombra di uno
Sharingan, Sakura decise di andarlo a cercare non appena finito il
turno. Doveva farlo, era (troppo) importante.
Bentornato
Sasuke-kun, semplicemente. E si sarebbe tolta un gran peso dal
cuore. Non aveva la presunzione di credere che il mondo avrebbe
iniziato a girare nel verso giusto, ma almeno avrebbe avuto la
possibilità di affrontare sé stessa – affrontando
lui. Lui che non si era fatto vedere, che aveva cercato di
ucciderla, che l'aveva lasciata, priva di sensi, su una squallida
panchina. Scosse con decisione la testa, una passeggiata sul viale
dei ricordi era l'ultima cosa di cui aveva bisogno. Era meglio
concentrarsi sul lavoro: finire il suo giro di visite, aggiornare le
cartelle dei pazienti e poi, soltanto dopo, preoccuparsi di
mettere in chiaro le cose. Gli avrebbe che sì, era contenta
che avesse fatto ritorno a casa – che poi, lui, aveva idea
di cosa significasse “casa”? – ma che
no, non era disposta a perdonarlo. Ciò che la feriva di
più (e lei lo sapeva, certo che lo sapeva, lo aveva sempre
saputo) però, era il fatto che Sasuke non le avrebbe mai
chiesto di farlo.
Una biondissima Ino Yamanaka fece capolino nel
suo ufficio torturandosi le mani dal nervoso, con uno sguardo che non
prometteva niente di buono.
«Sakura-chan, c'è
qualcosa che dovresti sapere».
Sakura-chan. No,
decisamente non c'erano buone notizie ad aspettarla. Difatti, dopo
una lunga introduzione in cui la sua migliore amica aveva spaziato
gli argomenti più vari – dal nuovo taglio di capelli di
Kurenai-sensei all'orrida collezione di calzini verdi di Neji Hyuuga
(che poi, Ino cosa poteva saperne dei calzini di Neji?) –, era
finalmente giunto il momento della verità.
E la verità
– c'era da aspettarselo – la colpì con l'ipocrisia
di un felice anno nuovo. Perché era anche il trentuno
di dicembre, fra le altre cose, ma lei era stata troppo presa dai
suoi pensieri per ricordarselo.
«Sasuke è stato
portato al pronto soccorso qualche ora fa. Adesso si è
ripreso, ma...». Ino si scostò dall'uscio della
porta e si avvicinò alla scrivania. La fissò dritta
negli occhi – fu un fendente, un fendente dalla katana migliore
in circolazione –, con aria quasi colpevole e senza
smettere di torcersi le mani. «...ha chiesto di te, vuole
vederti».
Una mezz'ora dopo, riaffiorando dall'oceano in
tempesta che erano i suoi pensieri, dapprima notò che era
rimasta sola, in seguito si accorse del fatto che il suo turno era
finito da un pezzo e, infine, ricordò.
Cosa voleva (ancora)
Sasuke da lei? Per quanto ci avesse disperatamente provato, non era
riuscita a darsi una risposta e, per quanto le dolesse ammetterlo –
soprattutto a sé stessa, non poteva far altro che
andare da lui.
Perché, alla fine, era sempre lei che
correva da lui.
In
qualche sua vita precedente (o forse in questa?) doveva aver fatto
davvero un brutto torto al destino, il quale sembrava provare un
particolare piacere nel fargliela
pagare.
Bussò alla porta della stanza in cui si trovava lui
– la stanza numero sette, sette come il loro team e come i
giorni in cui aveva pianto ininterrottamente dopo che se n'era andato
– e
sobbalzò nell'udire il suo compitissimo «Avanti,
entra pure».
Con il cuore in gola – prese in considerazione anche
l'eventualità di vomitarglieli
nuovamente in faccia, i suoi sentimenti bastardi – serrò
la presa sulla maniglia, la cartellina nell'altra mano, e, dopo aver
preso una boccata d'aria (o forse due?), fece il suo ingresso con
tutta la professionalità
di cui era capace.
«Sasuke Uchiha, ventidue anni, cecità
parziale dovuta a-».
Le sue stesse parole quasi la
strozzarono e lei si ritrovò, gli occhi già
lucidi – perché, certamente, non aveva escluso la
possibilità di piangere (e anche tanto) nell'avere un
confronto con lui
–, a sollevare lo sguardo verso l'uomo seduto sul lettino.
Teneva la fronte bassa, lui, aveva entrambe le mani posate sulle
ginocchia e le stringeva con forza – quasi quella stretta
dovesse ricordargli che era ancora
vivo.
«Sakura». Telegrafico – come
sempre nei suoi ricordi, d'altronde.
Eppure c'era un qualcosa
nel modo in cui il suo nome fuoriusciva da quelle
labbra che ebbe il potere di smorzare la rabbia e gonfiarle (ancora
una volta, perché c'era
sempre un'altra volta)
il petto d'amore. Di amore per lui.
«Come
stai?». Aveva posto quella domanda di proposito, sebbene non
sembrasse, tanto era uscita fuori come un rantolo; tutti conoscono la
risposta.
Sasuke no. E di nuovo, come
la prima volta,
riuscì a stupirla.
Aveva girato appena il viso verso di
lei, scoprendo le bende che gli fasciavano gli occhi. Non le aveva
risposto, ma... andava
bene così.
Perché c'era qualcosa, nel sorriso che le rivolse, che fu
capace di spiegarle ogni cosa.
Sasuke non sorrideva (mai), era
una delle cose che sapeva per certo – eppure la fila di denti
bianchissimi che spuntava appena dalle labbra sottili (non era certo
Naruto, lui) le fece rapidamente rivalutare tutto ciò in cui
aveva creduto negli anni in cui erano stati lontani.
«Sakura».
Sentì i fogli caderle dalle mani e i suoi occhi elargire
più lacrime di quante ne possedevano. Gli corse incontro –
gli
corse nel cuore
– e lo strinse forte fra le sue braccia, come se non ci fosse
un domani. Perché Sasuke era lì (per
lei)
e quello, per quanto la riguardava, poteva anche essere il suo ultimo
giorno.
Le
cure procedevano bene, meglio di quanto si aspettasse. Era ricoverato
in ospedale da appena una settimana e lei era quasi certa che, nel
giro di un paio di giorni, avrebbe potuto dimetterlo. Sakura quella
mattina era particolarmente di buonumore e la ragione di tanta
felicità non poteva che essere lui.
Lo
sentiva vicino come non lo era mai stato e non si sarebbe arresa
facilmente: Sasuke l'aveva fatta entrare – sotto la pelle,
dritta nel sangue. Non si era fermata neppure per un attimo, voleva
percorrere gli anni luce che li separavano nel minor tempo possibile.
L'avrebbe fatto arrancando,
se necessario, stringendo i denti e senza aver bisogno di rifletterci
sopra. Lei lo sapeva, lui aveva già fatto abbastanza (tanto)
avvicinandosi di un passo.
Quel giorno, tuttavia, quando gli diede
la “buona notizia”, non ebbe la reazione che si
aspettava, che aveva sperato. Deluso (triste?), sconfitto.
Sasuke aveva preso un respiro profondo – uno che sapeva di
Addio
– e si era rifiutato, nella mezzora successiva, di guardarla
negli occhi.
«Che
ti prende, Sasuke-kun?».
Sakura era sull'orlo di una crisi
di nervi. Quando era abbastanza vicina da vedere il traguardo,
questo tornava a essere tutt'uno con l'orizzonte.
Lontanissimo.
Poi
però l'aveva stupita, perché aveva incatenato lo
sguardo al suo e non sembrava aver la voglia (o
la forza)
di rompere quel legame.
«Quando potrò vedere
di nuovo, Sakura?».
Gli occhi di Sasuke erano perfettamente
funzionanti e lei seppe fin dal principio che, se voleva
rispondergli, doveva guardare dentro se stessa.
«Non lo so»,
sussurrò appena. Allora era andata a sedersi accanto a lui su
quella branda troppo piccola, gli aveva preso una mano fra le
sue.
«Ma se vuoi posso essere con te quando lo scoprirai».
E
guardandolo distendere le spalle e rilassarsi, capì di aver
detto la cosa giusta.
VVV
«Come
fai?».
Gliel'aveva chiesto una sera d'agosto, sotto le
stelle cadenti.
«Come faccio cosa, Sasuke-kun?».
Stavano
andando a casa di Naruto – lei sospettava ci sarebbe stata
anche Hinata, lì con loro, perché quella era una cena
di famiglia e chiunque amasse Naruto era, in un certo senso, la loro
famiglia.
Lui non accennava a rispondere, così gli si parò
davanti, mise le mani sulle sue spalle e, facendolo chinare un poco,
poggiò la fronte contro la sua.
Sasuke
era un libro aperto, per lei. Ma restava un libro aperto con tante,
tantissime pagine vuote – e
lei moriva dalla voglia di riempirle tutte.
Il
ragazzo fece un sospiro profondo, gli occhi chiusi. Sembrava stesse
riflettendo e non aveva intenzione di fare mosse brusche o azzardate:
con il tempo aveva imparato che, se voleva dirle qualcosa, doveva
concedergli il tempo di cercare le parole giuste dentro di sé
e, semplicemente, aspettare.
A lei, infondo, non costava.
Perché
a pause tanto lunghe seguiva sempre... qualcosa di bellissimo.
«Come
fai a essere così colorata,
Sakura?», aveva chiesto dopo un po'.
Lei sgranò gli
occhi verdissimi dalla sorpresa, ma non rispose, limitandosi ad
avvicinare un po' le proprie labbra a quelle di Sasuke in una piccola
carezza.
«Com'è possibile che... che riesco a
vederti?».
Lei
rilassò le spalle tese e si lasciò andare ad una risata
liberatoria.
«Ti amo, Sasuke-kun».
«E questo
che c'entra?».
«È per questo
che mi
vedi».
Fine
AngoloDell'Autrice.
Dopo
una pausa più lunga di sei mesi mi sono messa a scribacchiare
qualcosa e, alla fine, è uscita fuori questa one-shot (che
sembra più una flash). L'argomento è trito e ritrito,
banale forse – per quanto il SasuSaku possa esserlo –, ma
sono abbastanza
soddisfatta.
Quel che mi importa è che li amo e tanto mi
basta.
L'OOC l'ho messo per sicurezza e il contesto l'ho scelto
perché proprio non sapevo quale fosse l'ambientazione più
corretta.
Spero che sia riuscita almeno a strapparvi un sorriso,
magari lo stesso che avevo io mentre vivevo queste scene nella mia
mente.
A presto,
egoica