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Autore: laviatraversa    26/05/2014    2 recensioni
Dalla OS:
"«Che ti prende, Sasuke-kun?».
Sakura era sull'orlo di una crisi di nervi.
Quando era abbastanza vicina da vedere il traguardo, questo tornava a essere tutt'uno con l'orizzonte.
Lontanissimo.
Poi però l'aveva stupita, perché aveva incatenato lo sguardo al suo e non sembrava aver la voglia (o la forza) di rompere quel legame.
«Quando potrò vedere di nuovo, Sakura?».
Gli occhi di Sasuke erano perfettamente funzionanti e lei seppe fin dal principio che, se voleva rispondergli, doveva guardare dentro se stessa.
«Non lo so», sussurrò appena.
Allora era andata a sedersi accanto a lui su quella branda troppo piccola, gli aveva preso una mano fra le sue.
«Ma se vuoi posso essere con te quando lo scoprirai».
[...]
«Ti amo, Sasuke-kun».
«E questo che c'entra?».
«È per questo che mi vedi»."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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A xonlyexception, che non conoscendoli
sopporta i miei deliri su questi due.
E, più semplicemente,
a tutti quelli che credono in loro.






Colourblind~



Sasuke-kun.
Fu poco più di un sussurro, un sussurro che il vento portò via con la promessa di custodirlo per sempre. Gelosamente. Sakura pronunciò il suo nome ancora un volta, con voce tremante – spaventata, terrorizzata all'idea che di trovarsi di nuovo faccia a faccia con un sogno che non sarebbe mai divenuto realtà.
Fu il sorriso di Naruto a confermare che , il momento che stavano vivendo avrebbero potuto ricordarlo per sempre, raccontarlo a nipoti che, dopo un lungo, lunghissimo – e sofferto, certamente – racconto, avrebbero urlato di gioia nell'apprenderne la lieta conclusione.
Sasuke-kun, alla fine, è tornato al villaggio.
Dal canto suo, Sasuke non poté far altro che stupirsi della reazione composta – tanto composta da sembrare (essere) finta – della ragazza che, anni prima, gli aveva urlato il suo amore come un insulto, sporcandolo con la sua stessa purezza. «Sei tornato», constatò. Due parole tanto semplici quanto banali, ma che ebbero il potere di scavarle il vuoto dentro. Aveva uno sguardo duro, Sakura, mentre cercava disperatamente di convincersi che ciò (chi) che avesse davanti fosse solo un'illusione. Bellissima ed insperata, certo, ma restava un'illusione e lei aveva imparato a gestirle da tempo. Doveva essere così.
Resterai questa volta, Sasuke-kun?
Non lo disse, non ce n'era affatto bisogno. La sua domanda era un segreto di bambina – un segreto che solo l'orecchio di un'amica, o di una madre, avrebbe potuto accogliere e custodire in eterno. Un segreto che per il mare era conchiglia, custode di sospiri. E in quanto tale, andava protetta.
Perché l'innocenza poteva averla persa, smarrita nel sangue di chi
non ce l'aveva fatta, ma il suo cuore era ancora tutto lì con lei.
Non poté dire altro; le tenebre, semplicemente, l'avvolsero nel loro abbraccio.


VVV


Dopo tre giorni, durante i quali non aveva visto neppure l'ombra di uno Sharingan, Sakura decise di andarlo a cercare non appena finito il turno. Doveva farlo, era (troppo) importante.
Bentornato Sasuke-kun, semplicemente. E si sarebbe tolta un gran peso dal cuore. Non aveva la presunzione di credere che il mondo avrebbe iniziato a girare nel verso giusto, ma almeno avrebbe avuto la possibilità di affrontare sé stessa – affrontando lui. Lui che non si era fatto vedere, che aveva cercato di ucciderla, che l'aveva lasciata, priva di sensi, su una squallida panchina. Scosse con decisione la testa, una passeggiata sul viale dei ricordi era l'ultima cosa di cui aveva bisogno. Era meglio concentrarsi sul lavoro: finire il suo giro di visite, aggiornare le cartelle dei pazienti e poi, soltanto dopo, preoccuparsi di mettere in chiaro le cose. Gli avrebbe che sì, era contenta che avesse fatto ritorno a casa – che poi, lui, aveva idea di cosa significasse “casa”? ma che no, non era disposta a perdonarlo. Ciò che la feriva di più (e lei lo sapeva, certo che lo sapeva, lo aveva sempre saputo) però, era il fatto che Sasuke non le avrebbe mai chiesto di farlo.
Una biondissima Ino Yamanaka fece capolino nel suo ufficio torturandosi le mani dal nervoso, con uno sguardo che non prometteva niente di buono.
«Sakura-chan, c'è qualcosa che dovresti sapere».
Sakura-chan. No, decisamente non c'erano buone notizie ad aspettarla. Difatti, dopo una lunga introduzione in cui la sua migliore amica aveva spaziato gli argomenti più vari – dal nuovo taglio di capelli di Kurenai-sensei all'orrida collezione di calzini verdi di Neji Hyuuga (che poi, Ino cosa poteva saperne dei calzini di Neji?) –, era finalmente giunto il momento della verità.
E la verità – c'era da aspettarselo – la colpì con l'ipocrisia di un felice anno nuovo. Perché era anche il trentuno di dicembre, fra le altre cose, ma lei era stata troppo presa dai suoi pensieri per ricordarselo.
«Sasuke è stato portato al pronto soccorso qualche ora fa. Adesso si è ripreso, ma...». Ino si scostò dall'uscio della porta e si avvicinò alla scrivania. La fissò dritta negli occhi – fu un fendente, un fendente dalla katana migliore in circolazione –, con aria quasi colpevole e senza smettere di torcersi le mani. «...ha chiesto di te, vuole vederti».
Una mezz'ora dopo, riaffiorando dall'oceano in tempesta che erano i suoi pensieri, dapprima notò che era rimasta sola, in seguito si accorse del fatto che il suo turno era finito da un pezzo e, infine, ricordò.
Cosa voleva (ancora) Sasuke da lei? Per quanto ci avesse disperatamente provato, non era riuscita a darsi una risposta e, per quanto le dolesse ammetterlo – soprattutto a sé stessa, non poteva far altro che andare da lui.
Perché, alla fine, era sempre lei che correva da lui.


In qualche sua vita precedente (o forse in questa?) doveva aver fatto davvero un brutto torto al destino, il quale sembrava provare un particolare piacere nel fargliela pagare. Bussò alla porta della stanza in cui si trovava lui – la stanza numero sette, sette come il loro team e come i giorni in cui aveva pianto ininterrottamente dopo che se n'era andatoe sobbalzò nell'udire il suo compitissimo «Avanti, entra pure». Con il cuore in gola – prese in considerazione anche l'eventualità di vomitarglieli nuovamente in faccia, i suoi sentimenti bastardi – serrò la presa sulla maniglia, la cartellina nell'altra mano, e, dopo aver preso una boccata d'aria (o forse due?), fece il suo ingresso con tutta la professionalità di cui era capace.
«Sasuke Uchiha, ventidue anni, cecità parziale dovuta a-».
Le sue stesse parole quasi la strozzarono e lei si ritrovò, gli occhi
già lucidi – perché, certamente, non aveva escluso la possibilità di piangere (e anche tanto) nell'avere un confronto con lui –, a sollevare lo sguardo verso l'uomo seduto sul lettino. Teneva la fronte bassa, lui, aveva entrambe le mani posate sulle ginocchia e le stringeva con forza – quasi quella stretta dovesse ricordargli che era ancora vivo.
«Sakura». Telegrafico –
come sempre nei suoi ricordi, d'altronde. Eppure c'era un qualcosa nel modo in cui il suo nome fuoriusciva da quelle labbra che ebbe il potere di smorzare la rabbia e gonfiarle (ancora una volta, perché c'era sempre un'altra volta) il petto d'amore. Di amore per lui.
«Come stai?». Aveva posto quella domanda di proposito, sebbene non sembrasse, tanto era uscita fuori come un rantolo; tutti conoscono la risposta.
Sasuke no. E di nuovo,
come la prima volta, riuscì a stupirla.
Aveva girato appena il viso verso di lei, scoprendo le bende che gli fasciavano gli occhi. Non le aveva risposto, ma...
andava bene così. Perché c'era qualcosa, nel sorriso che le rivolse, che fu capace di spiegarle ogni cosa.
Sasuke non sorrideva (mai), era una delle cose che sapeva per certo – eppure la fila di denti bianchissimi che spuntava appena dalle labbra sottili (non era certo Naruto, lui) le fece rapidamente rivalutare tutto ciò in cui aveva creduto negli anni in cui erano stati lontani.
«Sakura».
Sentì i fogli caderle dalle mani e i suoi occhi elargire più lacrime di quante ne possedevano. Gli corse incontro –
gli corse nel cuore – e lo strinse forte fra le sue braccia, come se non ci fosse un domani. Perché Sasuke era lì (per lei) e quello, per quanto la riguardava, poteva anche essere il suo ultimo giorno.


Le cure procedevano bene, meglio di quanto si aspettasse. Era ricoverato in ospedale da appena una settimana e lei era quasi certa che, nel giro di un paio di giorni, avrebbe potuto dimetterlo. Sakura quella mattina era particolarmente di buonumore e la ragione di tanta felicità non poteva che essere lui.
Lo sentiva vicino come non lo era mai stato e non si sarebbe arresa facilmente: Sasuke l'aveva fatta entrare – sotto la pelle, dritta nel sangue. Non si era fermata neppure per un attimo, voleva percorrere gli anni luce che li separavano nel minor tempo possibile. L'avrebbe fatto
arrancando, se necessario, stringendo i denti e senza aver bisogno di rifletterci sopra. Lei lo sapeva, lui aveva già fatto abbastanza (tanto) avvicinandosi di un passo.
Quel giorno, tuttavia, quando gli diede la “buona notizia”, non ebbe la reazione che si aspettava, che aveva sperato. Deluso (triste?),
sconfitto. Sasuke aveva preso un respiro profondo – uno che sapeva di Addio – e si era rifiutato, nella mezzora successiva, di guardarla negli occhi.
«Che ti prende, Sasuke-kun?».
Sakura era sull'orlo di una crisi di nervi. Quando era abbastanza vicina da vedere il
traguardo, questo tornava a essere tutt'uno con l'orizzonte.
Lontanissimo.
Poi però l'aveva stupita, perché aveva incatenato lo sguardo al suo e non sembrava aver la voglia (
o la forza) di rompere quel legame.
«Quando potrò
vedere di nuovo, Sakura?».
Gli occhi di Sasuke erano perfettamente funzionanti e lei seppe fin dal principio che, se voleva rispondergli, doveva guardare dentro se stessa.
«Non lo so», sussurrò appena. Allora era andata a sedersi accanto a lui su quella branda troppo piccola, gli aveva preso una mano fra le sue.
«Ma se vuoi posso essere con te quando lo scoprirai».
E guardandolo distendere le spalle e rilassarsi, capì di aver detto la cosa giusta.


VVV


«Come fai?».
Gliel'aveva chiesto una sera d'agosto, sotto le stelle cadenti.
«Come faccio cosa, Sasuke-kun?».
Stavano andando a casa di Naruto – lei sospettava ci sarebbe stata anche Hinata, lì con loro, perché quella era una cena di famiglia e chiunque amasse Naruto era, in un certo senso, la loro famiglia.
Lui non accennava a rispondere, così gli si parò davanti, mise le mani sulle sue spalle e, facendolo chinare un poco, poggiò la fronte contro la sua.
Sasuke era un libro aperto, per lei. Ma restava un libro aperto con tante, tantissime pagine vuote – e lei moriva dalla voglia di riempirle tutte.
Il ragazzo fece un sospiro profondo, gli occhi chiusi. Sembrava stesse riflettendo e non aveva intenzione di fare mosse brusche o azzardate: con il tempo aveva imparato che, se voleva dirle qualcosa, doveva concedergli il tempo di cercare le parole giuste dentro di sé e, semplicemente, aspettare.
A lei, infondo, non costava.
Perché a pause tanto lunghe seguiva sempre... qualcosa di bellissimo.
«Come fai a essere così
colorata, Sakura?», aveva chiesto dopo un po'.
Lei sgranò gli occhi verdissimi dalla sorpresa, ma non rispose, limitandosi ad avvicinare un po' le proprie labbra a quelle di Sasuke in una piccola carezza.
«Com'è possibile che... che riesco a
vederti?».
Lei rilassò le spalle tese e si lasciò andare ad una risata liberatoria.
«Ti amo, Sasuke-kun».
«E questo che c'entra?».
«È per
questo che mi vedi».



Fine



AngoloDell'Autrice.
Dopo una pausa più lunga di sei mesi mi sono messa a scribacchiare qualcosa e, alla fine, è uscita fuori questa one-shot (che sembra più una flash). L'argomento è trito e ritrito, banale forse – per quanto il SasuSaku possa esserlo –, ma sono
abbastanza soddisfatta.
Quel che mi importa è che li amo e tanto mi basta.
L'OOC l'ho messo per sicurezza e il contesto l'ho scelto perché proprio non sapevo quale fosse l'ambientazione più corretta.
Spero che sia riuscita almeno a strapparvi un sorriso, magari lo stesso che avevo io mentre vivevo queste scene nella mia mente.
A presto,

egoica








  
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