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Autore: amy holmes_JW    26/05/2014    1 recensioni
Sherlock, come spesso accade, è annoiato e John, cosa ancora più solita, corre in suo aiuto.
Nulla di nuovo, se non fosse per quello che il medico inventa per scacciare la noia.
Dalla storia :
" - Sai già che gli sport estremi non sono contemplati nella mia idea di adrenalina, e sai bene che i miei metodi per darmi quella scarica di adrenalina non sono esattamente legali - sussurrò a pochi centimetri dal’orecchio di John per non farsi sentire.
- Di certo non stiamo andando a drogarci - sussurrò a sua volta nell’ orecchio dell’ altro."
"Chiuse la porta ripensando alle parole che gli aveva detto pochi, pochissimi, minuti fa. Consapevole che domani sarebbe tornato il freddo sociopatico detective Sherlock Holmes."
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ehilà :)
Grazie a una giornata di stacco dalla scuola mi sono permessa di pubblicare una piccola storia senza pretese.
ispirazione : ero a fare due passi e, passando davanti al bowling della mia zona, mi è saltato agli occhi lo slogan del laser game e da lì èpartito tutto.
Premessa : Sherlock e John non mi appartengono, su di loro non ho nessun diritto, che, invece, vanno pienamente a Sir Arthur Conan Doyle e ai geni di Mark Gatiss e Steven Moffat.
Buona lettura.

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Tutto il resto è noia



Il sole alto nel cielo illuminava Londra, mentre un venticello primaverile scacciava ogni nuvola nei paraggi.
John camminava tranquillamente, le borse della spesa nelle mani; un sorriso smagliante, per avere avuto la meglio sulla cassa automatica, e il passo ondulatorio a causa della gamba. Per una volta la zoppia non era data da un dolore psicosomatico, ma era causata dalla cicatrice che una pallottola aveva lasciato mesi addietro.
Arrivato davanti alla porta del 221B la aprì con poche cerimonie davanti al volto magnanimo della vecchia padrona di casa.
- Oh, John caro, non dovresti faticare tanto: dovrebbe portarsi dietro anche Sherlock a fare la spesa. Fa ancora male la gamba? - chiese apprestandosi a prendere una delle due buste, ma il dottore la precedette prontamente.
- Meglio di no, è già ridicolo quando litigo io con le casse automatiche, figuriamoci se venisse insieme anche lui. La gamba deve solo adattarsi al tempo e, mi creda, lo sta già facendo. Curi la sua anca, piuttosto -  le sorrise amabilmente e lei ridette sommessamente alla strana idea di Sherlock in un supermercato.
Ad ogni passo che il medico compieva, uno sparo proveniva dall’appartamento : un passo, uno sparo; un altro passo, un altro sparo; passo; sparo e … la porta si aprì con violenza andando a scontrarsi con una pila di libri, ordinatamente sovrapposti, abbandonata sul pavimento.
- Che diamine stai facendo? Quante volte ti ho che non devi sparare al muro?! - urla,per sovrastare gli spari, mentre molla le buste sul tavolo della cucina in un angolo, incredibilmente libero da strane sostanze o attrezzi da laboratorio.
- Oh, John, finalmente sei arrivato, hai cambiato strada per arrivare? O hai incontrato qualcuno mentre tornavi? Se non è nessuna delle due cose, allora non mi so spiegare il tuo ritardo - gli spari si fermarono un attimo, per poi riprendere con più insistenza.
- Non ho cambiato strada, ho solo incontrato tuo fratello - rispose sarcastico. Si avvicinò Sherlock allungando il braccio  per prendere la pistola; a sua volta il detective gliela lasciò cadere in mano e si lasciò scivolare disteso sul divano con, l’immancabile, svolazzare della vestaglia, e mani congiunte sotto il mento.
- E cosa voleva? Ha un caso? - chiese scocciato, come ogni volta che si parla del fratello. Chiuse gli occhi pronto ad ascoltare il suo blogger.
- No, nulla, era solo la giornata del tè con Mycroft Holmes, me ne ero dimenticato ed lui è stato tanto gentile da ricordarmelo - lo schernì il dottore andando a sistemare la spesa e appoggiando la pistola su una sedia. A quel punto Sherlock si accorse del sarcasmo di John.
- Speravo lo avessi incontrato, così avrei avuto un caso: non mi sono mai annoiato così tanto, avrei accettato di risolvere qualsiasi cosa avesse avutoi per me. - sbuffa abbassando le mani e abbandonando le braccia lungo il corpo.
- Se sei così annoiato perché non gliene chiedi uno? - 
- Giammai - lo fulminò con gli occhi di ghiaccio.
- Dimenticavo, rivalità tra fratelli, e allora cosa vuoi fare? - chiese incrociando le braccia.
- Non saprei, tu oggi uscirai, di nuovo, con la tua attuale fiamma. Io non ho nessun caso ad occuparmi la mentre, perciò, magari, andrò da Grahm o da Molly -
- Greg – precisò John – e che significa “di nuovo” ? -
- Ieri sei uscito, immagino con la tua nuova ragazza, sei tornato a casa tardi. - spiegò  Sherlock chiudendo gli occhi.
- Non ho nessuna fiamma, ero uscito con degli amici, siamo andati al bo… -
Un’idea saltò nella testa di John così velocemente che Sherlock, se si fosse voltato, avrebbe visto la consueta lampadina dei fumetti accendersi sulla testa del biondo.
- Ho un’idea - quella frase rimase sospesa per aria, perché  il moro sembrava dormire, ma lui sapeva bene che non lo sentiva perché era perso nel suo mind palace. forse il silenzio in cui era caduto sarebbe durato qualche minuto, per poi tornare a lamentarsi, come un bambino capriccioso, della noia.
Fu un attimo.
John prese la pistola e sparò al muro dietro al divano. Dio, quante volte aveva voluto farlo. La traiettoria della pallottola era precisa, dritta. La velocità del lancio portò a uno spostamento d'aria tale che i ricci di Sherlock furono mossi e il rimbombo strappò il detective dal palazzo mentale. Sulla sua faccia si poteva leggere tutto lo stupore per il gesto dell’ amico.
- Vestiti, ti faccio dimenticare la noia - disse semplicemente aspettando che l’altro si alzasse e andasse a cambiarsi.

Usciti di casa presero un taxi e John disse una via sconosciuta al detective.
Il viaggio non fu lunghissimo, ma Sherlock si innervosiva sempre di più ogni secondo che passava; il gesto di John lo aveva ridestato da un vero rompicapo, ma quello che aveva davanti agli occhi lo era ancora di più. Le vie si susseguivano e lui non ne riconosceva nemmeno una: era una parte della città che non aveva mai attraversato. La faccia del dottore non era mai stata così criptica, se solo avesse ascoltato quello che aveva detto prima di sparare.
- Dove andiamo? Perché non lo vuoi dire? - chiese battendo nervosamente il piede.
- Non ti voglio rovinare la sorpresa, tu dici sempre che l’unico modo per farti passare la noia è una scarica di adrenalina, perciò andiamo a fare qualcosa di adrenalinico - disse sorridendo sotto i baffi.    
- Sai già che gli sport estremi non sono contemplati nella mia idea di adrenalina, e sai bene che i miei metodi per darmi quella scarica di adrenalina non sono esattamente legali - sussurrò a pochi centimetri dal’orecchio di John per non farsi sentire.
- Di certo non stiamo andando a drogarci - sussurrò a sua volta nell’orecchio dell’altro.
La vettura si fermò.
- Fine corsa. Avvicinatevi di due centimetri e la corsa è triplicata: niente pomiciate, toccatine e cose del genere. - Tuonò il taxista guardandoli con tanto d’occhio.
- No, guardi che … oh, al diavolo - John diede i soldi e scese, affiancò Sherlock che si era bloccato davanti all’ingresso di un bowling in periferia.
- Che diamine ci facciamo qui? Non credo che un paio di partire a bowling mi facciano piacere, di certo mi occuperebbero, ma mi annoierei ancora di più -
- Stai zitto una buona volta, stiamo andando al laser game -
- e come cavolo si gioca? -l consulting detective non sapeva più cosa credere, come cavolo ha fatto a portarlo fuori di casa a fare una cosa così stupida?
- Non so bene, ma, a quanto ho capito, bisogna sparare con delle pistole laser addosso ad altre persone - spiegò brevemente.
- E perché? -
- Leggi la scritta - disse indicando una piccola insegna con scritto “laser game : un gioco adrenalinico, 15 minuti di puro divertimento adrenalinico
- Puntano molto sull’adrenalinico - una risata amara proruppe dalla bocca di Sherlock, nulla di buono.
- Andiamo e deciderai tu -
John lo spinse dentro, prese i biglietti, i giubbotti e le pistole, davanti ad una commessa alquanto divertita.
Entrarono in una stanza completamente al buio, tranne per delle piccole luci bianche, rosse e blu che segnavano le pareti ed ogni oggetto nella stanza.
- John? John? – chiamò Sherlock, senza ricevere risposta – nemmeno iniziato e già l’ho perso… - iniziò a sbuffare abbassando la pistola  laser che aveva teso mentre veniva spinto dentro. Dietro di lui avanzava una figura, gli toccò la spalla e il detective alzò l’arma nella direzione dello sconosciuto.
- Tranquillo, Sherlock, sono io. Bisogna coprirsi le spalle a vicenda, ho dato un’occhiata, siamo circondati da bambini e ragazzini. - disse John alzando le braccia come in segno di resa.
- Stai scherzando?! Dovremmo cercare di sparare ai dei ragazzini? Fortuna che non volevi fare niente di illegale - Sherlock mostrò tutto il sarcasmo di cui era capace, ma l’acidità delle sue parole non indispettirono il biondo, che, per risposta, allargò il suo sorriso facendo luccicare gli occhi, ben visibili anche nell’ombra che li avvolgeva.
In lontananza si udirono delle urla. Intorno a loro, in semicerchio, si avvicinavano correndo un gruppo di ragazzi. Presero la mira e spararono, senza beccarli.
Sherlock si girò e, fermo immobile, iniziò a guardarli stranito.
- è un gioco, andiamo, non gli spariamo con dei proiettili veri - rise il dottore mentre i nemici  in miniatura erano a pochi passi da loro, fermi per prendere la mira.
- Al diavolo - imprecò prima di prendere l’amico, ancora immobile, e sparare precisamente sui giubbotti dei ragazzi compiendo un mezzo giro su sé stesso.
Un verso di frustrazione si alzò dal gruppo e se ne andarono a testa china ed armi basse.
Rifugiati dietro una parete i due si misero ad aspettare.
- Ho sempre saputo che hai un lato tenero, ma qui è del tutto inutile, non gli uccidiamo, facciamo solo i bastardi e li mandiamo a casa a mani vuote; credo che questa sia la parte più facile per  te.- il dottore cerca di spiegare la situazione in modo serio e contenuto, ma i risultati sono alquanto pessimi.
- Non ho nessun lato tenero, e non ho sparato solo perché stavo studiando una strategia - sbottò imbronciandosi Sherlock.
- Ma certo – allungò la e – ma adesso, spero che ai prossimi che arrivano tu spari senza pensare, ti coprirò io le spalle -John allungò una mano a stringere il braccio nella parte alta. Si sorrisero.
- Qui, tra i due il più stronzo sei tu - Watson lo guardò dubbioso, senza capire.
- Hai scelto di fare questo gioco, ma sai benissimo che in quanto a mira e precisione con le armi tutti gli altri giocano partendo svantaggiati - si guardano e scoppiano a ridere come era successo la prima volta che avevano inseguito quel taxi per Londra.

Ragazzi, ragazze, ognuno che si poneva davanti a loro venivano battuti, la luce laser delle pistole dei due colpivano uno dopo l’altro, senza esclusione di colpi. La vittoria era quasi loro.
- Fermi! Se sparo a voi due vinco. - una voce maschile proviene da dietro loro, girandosi si trovarono davanti ad un ragazzo tra i 16 e 17 anni, pistola puntata diritta al petto di John.
- Bene, come ti chiami? - chiese Sherlock tentando di distrarlo, dopo l’ennesimo adolescente ansioso di sparare con un’arma giocattolo, aveva iniziato a prenderci gusto e voleva vincere.
- Tom, ma che ti frega? il ragazzo girò la testa nella sua direzione giusto il tempo che John punti la sua pistola su di lui. Notando il gesto spostò nuovamente l’attenzione sul dottore.
- Ciao Tom, so che sarà difficile, ma se ti dicessi di fidarti tu lo faresti? - la domanda criptica del medico accigliò sia l’interlocutore che Sherlock .
- E questo che significa? - la pazienza era agli sgoccioli, probabilmente Tom stava giocando qualche scommessa con qualcuno, e non vedeva l’ora di vincere.
- Noto che a spingerti a vincere c’è una posta in palio alta. Tranquillo, non mi interessa quale sia. – si apprestò a chiarire prima che sparasse per il nervoso – Ti prego, lasciami fare una cosa - in quel momento John si sentiva tanto come Sherlock quando nota qualcosa di invisibile agli occhi di tutti gli altri.
Tom continuava a non capire e a guardare i due uomini, la pistola puntata, un po’ su uno, e un po’ sull’altro.
A quel punto il biondo fece una cosa che lasciò i due a guardarlo stupiti.
Il braccio teso,che teneva sotto fuoco Tom, si spostò e il grilletto sparò. Il laser andò a colpire il petto di Sherlock.
Il detective era incredulo, lo sguardo passò dal sorpreso, all’arrabbiato per poi tornare allo stupore.
Il ragazzo non capiva il perché di quel gesto, in fondo erano lì insieme avrebbero vinto.
- Desideravo sparargli da tanto tempo - si apprestò a spiegare ridendo di gusto e abbassando l’arma; con la mano libera si puntò un dito contro il giubbotto e sorridendo guardò Tom.
Il ragazzo sparò e le luci si accesero. Per pochi attimi rimasero tutti accecati dalle fonti luminose. Nella stanza caddero dei piccoli foglietti argentati e un minuscolo paracadute, probabilmente contenente un riconoscimento da mostrare alla cassa.
Il gioco era finito e i due amici non avevano più un senso a stare lì, John trascinò fuori uno Sherlock attonito.
- Colpito alle spalle dal mio stesso amico - ripeteva scuotendo la testa mentre si spogliava degli oggetti del gioco.
- L’ho fatto per una buona causa - si scusò.
- E quale sarebbe mai? - la risposta era a pochi passi da loro : Tom con in mano un enorme panda che regalò ad una ragazza, la quale ricambiò baciandolo timidamente sulla guancia. Alla vista della scena sdolcinata Sherlock sbuffò inorridendo.
Appena i due furono notati, il ragazzo gli corse in contro.
- è stato molto gentile, signore -  sorrise affabile con una mano tesa verso John che la prese al volto.
- Di nulla, non ce ne saremmo fatti nulla di un panda peluche gigante - sorrise guardò la ragazza che aspettava poco distante.

la partita era finita ed ora Sherlock sarebbe tornato, anche se lentamente,  nella sua solita muta da apatico chiassoso disperato a causa della noia; il medico rabbrividì al solo pensiero.
- Andiamo da Angelo? - tre semplici parole, molto meglio dell’urlo “noia”, che John non credette di averle udite davvero, ma accettò annuendo, con la paura che avrebbe cambiato idea.

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- Grazie, Angelo, la cena era squisita -  John soffiò sopra alla candela posta al centro del tavolo, ormai aveva rinunciato: sarebbe più facile distrarre Sherlock durante la noia piuttosto che far capire al ristoratore che non erano una coppia, in effetti così era stato.
- Solo il meglio per i mie ragazzi.- con le mani grandi l’italiano battè una pacca sulle spalle dei due.
Sherlock si limitava a guardare fuori dal ristorante, il viso straordinariamente rilassato in una sorta di dormiveglia.
- Bene, possiamo andare - disse John accompagnando il detective che sempre più velocemente si stava assopendo.
Si incamminarono tranquillamente con l’aria fresca che li investiva lasciandoli rabbrividire.
Senza alcun preavviso il moro si appoggiò a lui cingendogli le spalle con un braccio.
Jawn hai messo qualcosa nel mio bicchiere? - chiese soffiando fuori le parole in una sorta di sussurro.
- No, è solo che hai mangiato, bevuto e … fatto la persona normale. - ripose strisciandosi fino alla porta del 221B.
- Dannata digestione … sai , Jawn, devo ammettere che è stata una bella giornata, di certo no vorrei fosse la mia routine, ma mi hai tenuto occupato e non mi sono annoiato -  le scale erano difficili con l’uomo a pesargli addosso, ma fine della rampa il biondo potè ringraziarlo con un sorriso.
- Hai scoperto come tentano di combattere la noia i comuni mortali, ma la prossima volta andiamo a fare paintball, è più alla mia portata - dichiarò ironicamente, ma con una punta di verità.
- Fucile - disse semplicemente l’altro andandosi a picchiettare con un dito il naso.
- Comunque non credo che faccia per me. – pronunciò le parole sommessamente scuotendo la testa -  Devo ammettere una cosa - partì solenne, e, a quel punto, Sherlock disse una di quelle frasi che si dicono solo di notte, nel buoi di una stanza, illuminata dal chiarore lunare; una di quelle frasi che nascondi alla luce del giorno, senza aver il coraggio di ripeterle con il sole alto nel cielo.
- Il tuo lavoro è salvare vite, ed è quello che fai ogni giorno, salvi una vita. Oggi non mi sono annoiato, perché me lo hai proposto tu, hai pensato a qualcosa per occuparmi la mente, mi hai salvato dalla noia. E fidati se ti dico che tu salvi vite. Senza di te tutto il resto è noia. Sei l’amico più caro che ho e mi scuso per tutte le volte che ti ho deluso e per quelle volte che ti deluderò, perchè stai certo che lo farò ancora, e ancora. Solo questo posso darti, sono una persona orribile … - il coinquilino non lo lasciò finire andando ad abbracciarlo di slancio.
- Sshh, adesso vai a dormire un po’, piccolo sociopatico ad alte funzionalità - gli ordinò dolcemente sfregandogli la zazzera di ricci neri.
con gli occhi socchiusi Sherlock ubbidì.
L’ultima cosa che John sentì fu la porta della camera picchiare lo stipide, senza chiudersi; così andò ad aprirla: il moro era disteso a pancia in giù, i piedi privi di scarpe e calze, pantaloni e camicia ancora indosso e una faccia beatamente addormentata.
Chiuse la porta ripensando alle parole che gli aveva detto pochi, pochissimi, minuti fa. Sospirò consapevole che il giorno seguente sarebbe tornato il freddo sociopatico detective Sherlock Holmes.
 


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Eccoci qui. Spero di non essere caduta troppo nell'OOC.
Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui, chiunque abbia voglia di lasciarmi la sua opinione.
Sono accette le critiche costruttive.

Che la fortuna possa essere sempre in vostro favore(HG)
Amy holmes_JW

 
  
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