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Autore: FrancyBorsari99    26/05/2014    1 recensioni
Amber ha vissuto i quindici anni della sua vita cercando un posto adatto a lei, ma ovunque sia stata non si è mai sentita a casa, ben accetta, è una reietta respinta da entrambe le ali della sua famiglia: da parte paterna è uno Shinigami, un Dio della Morte, da parte della madre sarebbe stata l'ente di una setta di Alchimisti, se il capocongrega non l'avesse cacciata.
Finchè un giorno, dal mondo degli Shinigami, non intravede sulla terra un posto strano, che sembra ospitare gente dal sangue misto e semidivino: il Campo Mezzosangue.
Forse, questa è l'unica possibilità che le resta per riscattare un passato da esiliata e annientare i fantasmi che la tormentano. E poi c'è Leo.
Lo strano meccanico sempre sorridente, ma nei cui occhi Amber riesce a vedere le ombre.
Chissà che non le sconfiggano insieme...
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hazel Levesque, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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AMBER

 

L'infermeria è piuttosto accogliente, e ad Amber non dispiace la sua permanenza lì.

Dopo la morte di Deoniok è svenuta, e il suo letargo è durato più di quattro giorni, ma della lotta ha pochi ricordi sfocati, che si sovrappongono l'un l'altro nella sua testa allontanandola sempre di più dalla verità.

Decide di rilassarsi, ed il periodo della convalescenza si rivela piuttosto riposante, se non fosse per il lancinante dolore alla schiena. E poi, con una compagnia come Leo, non c'è motivo di annoiarsi.

Lui si è rotto solo la spalla, quindi riesce ad alzarsi ed andare i giro a suo piacimento, un paio di giorni dopo i miracoli dell'ambrosia lo hanno completamente rimesso a nuovo, ma non si allontana mai troppo dall'infermeria.

Seguitamente alla vittoria, subito dopo il suo risveglio dal breve coma, tra i due c'è stato un brevissimo attimo di imbarazzo. Amber non lo ha gradito affatto, non le piace dover soppesare troppo le parole quando si tratta di parlare con Leo, che diamine, è il suo amico ed è talmente abituata a parlare più che schiettamente con lui che pensare troppo prima di dire qualcosa la lascia spiazzata.

E tutto a causa del bacio. E prima ancora, di quel... “quasi-bacio”.

Entrambi lo sanno perfettamente, non c'è scusa che tenga, e Amber sente un dolore sordo alla bocca dello stomaco ogni volta che ci ripensa.

Forse perché, sotto sotto, le sarebbe piaciuto farlo. Avrebbe davvero voluto un contatto così completo e vero, come un segreto che condividevano soltanto loro, qualcosa che li univa ancora di più e definitivamente.

Purtroppo, Deoniok aveva altri progetti, ed era saltato fuori con tanto di nebbia nera giusto per ucciderla. Carino da parte sua farsi vivo proprio in quel maledettissimo momento, ma ad Amber sembrava di covare rancore nei suoi confronti nonostante fosse morto.

Un altra cosa che turba lo Shinigami, è il fatto che Leo abbia usato il quaderno, e che ne stia subendo le conseguenze: nella settimana di convalescenza, il ragazzo ha dormito poco, Amber passava notti intere ad attendere che si addormentasse, ma quell'angoscia che solo chi ha usato il quaderno conosce lo aggredisce violenta anche in sonno, trascinandolo in incubi orrendi da cui si risveglia sempre terrorizzato.

Amber sa cosa si prova: non dimenticherà mai la la prima volta che ha ucciso con quel quaderno, quando aveva nove anni e non aveva idea di come funzionasse. Era piccola ed ingenua, si era risparmiata la lettura del regolamento, la sua vera identità di Shinigami le era ignota dal momento che nessuno si era degnato di raccontargliela, e aveva fatto tutto per errore.

Il compito era stato assegnato dalla maestra di scienze, doveva scrivere i componenti del gruppo di laboratorio con cui lavorava... e meno di un minuto dopo erano tutti caduti, morti come mosche, ai suoi piedi.

Era esattamente quell'emozione che Deoniok le aveva fatto provare, riportando a galla quella spossante sensazione di gelo e terrore, la consapevolezza di aver ucciso, l'impotenza di fronte a tutto ciò. Sì, il Re l'aveva davvero fregata, in pochi secondi l'aveva inchiodata al suolo facendole rivivere i giorni peggiori della sua vita.

Amber si rigira nel letto, ma la schiena dolorante e le ali ingombranti rallentano i suoi movimenti e si ritrova bloccata su un fianco, quando dormire a pancia in giù sarebbe l'ideale in quella scomoda situazione. Con un ultimo scatto, riesce a sistemarsi, ma una fitta improvvisa le lascia scappare un gemito strozzato.

“Amber, va tutto bene?” la capacità del figlio di Efesto di materializzarsi al suo fianco quando più ne ha bisogno la lascia piuttosto dubbiosa, ma decide di non fare domande.

“Non tanto, continua a fare male. Non è che puoi costruirmi una colonna vertebrale nuova?” dice, affondando la faccia nel cotone della federa del cuscino. Profuma di limone e disinfettante, ed inspira profondamente.

Leo ridacchia. “se potessi lo farei, ma sono solo un meccanico, non un chirurgo.” si siede sul bordo del letto. “altrimenti avrei una spalla nuova come il protagonista di quell'anime... come si chiamava?”

“Full Metal Alchemist.” sorridono entrambi, al ricordo di quel soprannome dato da Leo ad Amber il giorno in cui si sono conosciuti. Il ragazzo lascia vagare lo sguardo su qualcosa di indefinito nella stanza, come se avesse la testa altrove, poi si riscuote.

I loro occhi si allacciano per un attimo, un lasso di tempo non misurabile che però sembra durare un'eternità, potrebbe anche avvenire l'apocalisse ma continuerebbero a guardarsi così... finché Amber non abbassa il capo.

C'è qualcosa che non va. Leo ha qualcosa che non va. Lo ha notato anche quella mattina, è silenzioso e solitario, non parla con nessuno e a quanto ne sa, non si è presentato a pranzo.

Adesso che sono le dieci di sera e l'infermeria è vuota a parte loro, i suoi occhi le sembrano più distanti che mai, quando non la guarda.

“Stai bene?”

lui sobbalza per un attimo, ma le sue pupille continuano a perdersi in un qualche vuoto intorno a loro.

“Sì. Credo di sì.” dice, ma non ne è per nulla convinto. “torno al bunker, devo finire di riparare Festus.”

E se ne va, senza aggiungere altro.

L'uso del quaderno lo ha turbato più di quanto Amber si aspettasse... oppure c'è qualcos'altro che il ragazzo non le vuole dire. Più per non farla preoccupare che perché non si fida di lei. E questo è impossibile, perché ormai si fidano ciecamente l'uno dell'altra.

Amber getta l'occhio sull'orologio alla parete. Le dieci e un quarto.

Del diciassette luglio.

Il diciassette luglio.

Ma certo. È ovvio.

Esperanza Valdez è morta il diciassette luglio.

 

 

Prima ancora di partire si pente di averlo fatto. Quando è in cielo ogni battito d'ali è come una lancia che cerca di aprirle gli spazi tra le vertebre, e compiere tutto il viaggio la strema fino all'ultima goccia.

Si accascia sul suolo di alabastro opaco e lascia che il bianco del cielo le schiaffeggi la faccia, interrotto solo dalle anime che le galleggiano a qualche centimetro dal naso.

Cerca di rialzarsi, ma se non fa riposare la schiena trasportare un ulteriore peso fin sulla terra potrebbe ucciderla.

L'ultima persona che vuole incontrare è Sebastian. È meglio che non la veda in quello stato, con la fronte imperlata di sudore dallo sforzo ed il fiato corto per il dolore lancinante.

Aspetta un minuto e si alza a fatica, comincia a guardarsi intorno.

All'inizio non la vede, ma quando sente un sibilo più forte degli altri alle sue spalle, si volta e la trova: la bolla la cui nebbia turbina come se stesse per scatenare una tempesta, il cui dolore è talmente forte che nemmeno la pace eterna può risanare.

 

 

Precipita con un tonfo al suolo. La schiena grida in segno di protesta, ma Amber la zittisce, o almeno ci prova, tentando di ignorarla.

Deve essere mezzanotte passata. Una falce bianca è alta nel cielo terso, e fa creare agli alberi ombre lugubri tra i sentieri ed i campi di fragole.

La ragazza si guarda intorno, prende tra le mani la bolla, sussurrando parole lievi e gentili per calmare il temporale che sfuria attorno ad essa e, con delicatezza la spinge davanti a sé.

Ogni passo che fa è sempre più in ansia. Certo, Leo potrebbe gradire la cosa, ma potrebbe anche farlo stare peggio.

Diamine, è ovvio che starà uno schifo, è talmente logico da sembrare banale e scontato, ed è troppo tardi per tornare indietro.

Giunge al bunker nove che a malapena si regge sulle sue gambe, apre i battenti ordinando alla schiena l'ultimo sforzo ed entra.

Il ragazzo è seduto al piano di lavoro, la zampa posteriore di Festus davanti a lui aspetta di essere riparata, ma non sta lavorando. Fissa ancora il vuoto di fronte a sé, sospirando di tanto in tanto.

Poi accade una cosa incredibile: la nebbia intorno alla bolla si dirada completamente, lasciando una sfera sottile e trasparente all'interno del quale una donna si affaccia con timore.

“Leo, tesoro?” la sua voce sembra un debole pigolio, il meccanico non si accorge nemmeno della loro presenza, così Amber la avvicina e le fa un cenno di incoraggiamento.

Mijo?”

E finalmente si gira.

 

Amber li ha lasciati soli. Non saprebbe descrivere l'espressione di Leo quando ha visto sua madre nella bolla, spera solo con tutto il cuore che sia stata una sorpresa gradita. Appoggia la testa al muro e si addormenta nell'attesa.

 

 

LEO

Mamma è qui, davanti a me, esattamente come la ricordavo, esattamente come il giorno in cui se n'è andata. Non ho la benché minima idea di come abbia fatto Amber a portarla indietro, so solo che questo è il più bel regalo che io abbia mai ricevuto.

Di gran lunga molto meglio della cintura per gli attrezzi, delle sfere ed i rotoli di Archimede, meglio del disco di controllo.

Faccio saettare incredulo lo sguardo da mia madre ad Amber, che si fissa imbarazzata le scarpe torturandosi le mani, senza avere il coraggio di guardarmi.

“Ehm... sorpresa.” dice, sembra riesca a malapena a parlare.

“Che cosa... come... perché...?”

“Non ho finito.” dice lei, allungando una mano. Sembra tesa all'inverosimile, ma lascia che prenda la mia fra le mani e la sollevi fino all'altezza della bolla, facendola aderire perfettamente con quella superficie limpida, pura e cristallina.

La sento tremare e, con un debole puff, scoppia. Sto per mettermi a gridare, ma una pioggerellina fine cade e si addensa sul pavimento, ed Esperanza Valdez prende forma e corpo davanti ai miei occhi.

Sento come se dentro di me ogni cosa prendesse il posto che dovrebbe. Le lacrime cominciano a scorrere a fiumi lungo le mie guance, cerco di asciugarmele, ma invano, e mi precipito fra le sue braccia.

Mijo, va tutto bene...” ha la voce rotta, e mi stringe cullandomi leggermente. Al di sopra della sua spalla vedo Amber che, quatta quatta, esce dalla stanza.

 

Restiamo così per diversi minuti, io che piango a dirotto contro il suo collo e lei che mi stringe piano, parlandomi con calma e baciandomi la testa e le guance. La sua pelle è calda, le braccia accoglienti e protettive come una muraglia, il suo respiro lento e pacato mi soffia lieve sul collo, le sue dita giocherellano con i miei ricci.

Dei, quanto mi è mancata. Vorrei che questo momento durasse per sempre, vorrei vivere in eterno solo per poter restare con lei e non lasciare che ci separino di nuovo.

“Ma guardati, Leo...” dice, sorridendo appena. “sono passati sei anni, e sei riuscito a costruire tutto questo, mijo. Hai una splendida famiglia, degli amici, sei un meccanico degno di tuo padre... sei cambiato tantissimo, non ti rendi conto di che persona stai diventando, di quanto tu sia cresciuto, e di quanto tempo io abbia passato in un nulla infinito covando il rammarico per non averti mai salutato...”

Non dico nulla, sono troppo sconvolto.

“Il tu papà è orgoglioso di te, ed io mi sento la madre più fortunata e fiera di questo mondo, Leo.” continua, senza lasciarmi andare.

“Non mi interessa di quello che pensa Efesto.” dico, cercando di non sembrare troppo duro. “mi interessa molto di più quello che pensi tu, che sei l'unica che mi abbia mai amato.” affondo il viso fra i suoi capelli, ormai sono alto quanto lei.

Le sue spalle hanno un fremito, poi un altro. Per un attimo ho l'immenso timore che stia piangendo, invece quando mi scosto appena sta ridendo. Il suo sorriso mi scalda il cuore, e la imito.

Mi passa una mano sul viso e mi bacia la guancia.

“Lo credi davvero, mijo?”

Aggrotto la fronte. “Lo credo davvero, sì.”

lei sospira, come se si trovasse di fronte ad un caso perso. “Accidenti, tesoro, sei più simile a tuo padre di quanto pensi. Perché sia tu che lui, quando si tratta di macchine, trovate il problema in un attimo, vi basta uno sguardo per capire l'intera funzionalità di un meccanismo, e quando si tratta delle persone la risposta la trovate solo con l'aiuto degli altri?” nella sua voce c'è una punta di divertimento che mi alleggerisce, ma ancora non riesco a capire, e le rivolgo uno sguardo interrogativo.

“è una verità che non ti ha mai mollato, Leo, è sempre rimasta al tuo fianco, ha vegliato su di te e ti ha porto una una mano quando credevi che rialzarti ti avrebbe recato più dolore che cadere, è quella risposta che hai sotto gli occhi da così tanto che quasi non la vedi, e hai sempre sperato che fosse davvero quella che cercavi. Quella risposta che non eri sicuro fosse quella giusta, ma che sotto sotto hai sempre saputo che c'è, e una parte di te l'ha quasi data per scontata.”

Leo comincia a vedere la sua figura dissolversi in una nebbiolina fine e leggera. Il suo sorriso si allarga e gli accarezza la guancia prima che perda corposità.

“Addio, mijo, ricordati che sarò sempre qui con te.” So che stavolta è davvero i momento in cui non posso fare nulla. Stavolta dovrò lasciarla andare. Non piango, sorrido soltanto e le faccio un cenno con la testa, una breve intesa, sulla gamba picchieto freneticamente il nostro patto in morse, ti voglio bene.

Mi asciugo le lacrime vecchie e la vedo sparire, ma la sua ultima frase echeggia per lo spazio ormai vuoto dell'officina:

Mijo, non è mai stata colpa tua.

 

Il mio cuore comincia a fare capriole nel petto, e giuro che non mi sono mai sentito così stupido in vita mia, travolto dalla consapevolezza come da un treno in corsa.

Per gli dei dell'Olimpo, ha assolutamente ragione, è così vicina a me che a malapena mi accorgo di quanto sia importante, e solo quando stava per morire mi sono reso conto che io la amavo con tutto il cuore di un amore assolutamente genuino e vero, una sensazione che mi dava pienezza e mi faceva sentire più completo, più vivo.

Senza pensarci troppo mi precipito fuori attraversando tutta l'officina, percorro un paio di corridoi chiamandola e la trovo accoccolata su una sedia, la ali piegate a coprirle i piedi e le gambe. All'inizio mi sembra un po' scortese svegliarla, ma poi penso chissenefrga e le do un colpetto alla spalla, appoggiandomi al muro.

Amber si sveglia sgranando un po' gli occhi e mi rivolge uno sguardo speranzoso.

Probabilmente ho un sorrisone un tantino euforico, perché questo la fa sorridere a sua volta e, raddrizzatasi sulla sedia, mi chiede: “Che hai?”

Non so cosa dire, ci sono miliardi di modi un cui potrei spiegarle quello che ho scoperto e quello che provo, quello che ho aspettato da una vita intera e quanto sia tutto immensamente chiaro e facile ora che me ne rendo conto, così dico la prima cosa che mi viene in mente:

“Ti amo.”

Senza attendere una risposta le prendo il viso fra le mani e la bacio, perché so che anche lei mi ama, è proprio quello che sapevo, quella consapevolezza nascosta nella parte più oscura e profonda del mio cuore, che mai mi sono azzardato ad esplorare per paura di quello che ci avrei trovato.

Sento che risponde al bacio, una conferma così vera e magnifica, vivida e tangibile che non può essere un sogno. Lei è vera, i suoi capelli bianchi fra le mie dita sono reali, le sue labbra unite alle mie sono reali, i nostri respiri che vanno e vengono allo stesso ritmo, sono reali anche quelli, la passione di questo bacio è talmente vera che ho paura che se mi staccassi troppo presto, potrei svegliarmi nel letto dell'infermeria con la spalla rotta.

Sento le sue labbra sotto alle mie dischiudersi e baciarmi più in profondità, come se volesse marchiarmi il cuore di una promessa eterna, non come quella che feci a Calypso, stavolta è una cosa più attesa e conosciuta.

Finalmente ci separiamo.

“Leo?”

“Sì?”

“Mi ami davvero?”

silenzio.

“Sì, ti amo davvero.”

“Ti amo anche io.”

 

 

FIUUUUUUUUUUUUUUUUUUUU mi sono tolta un peso, era un sacco che volevo scriverlooooooooooooo!!!!! ok, basta fangirling, sono le 23.00 e domani ho una versione di latino, vi lascio con questi due qui, e spero vi piaccia il capitolo <3

recensiteeee
  
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