Libri > I Regni di Nashira
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Autore: itsrigel    28/05/2014    5 recensioni
//Dal testo//
«Dicono che l'alcol tiri fuori i sentimenti più profondi di una persona» ribatté.
«Ma io non ricordo davvero cos'è successo, Cal.»
Cal si rabbuiò. Lei ricordava. Aveva ancora la sensazione di sentire il suo cuore battere forte a contatto con il petto di lui, le loro mani intrecciate, le labbra che si sfioravano...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '“Perché dividere un amore come il nostro?„'
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Cal aprì gli occhi lentamente, con una smorfia di dolore. Non sentiva più né le braccia né le gambe, troppo intorpidite dal freddo che penetrava dalle pareti di legno.
L'odore del sangue rappreso le prese subito alla gola. Iniziò a tossire senza nemmeno avere il tempo di guardarsi intorno.
Nel frattempo, la sensibilità alle braccia era tornata. Per un lungo, terribile attimo pensò di non aver più le gambe: il cuore perse un colpo per la paura. Riuscì a calmarsi solo quando l'accesso di tosse finì e lei poté alzarsi a sedere, facendo leva sulle braccia. Un dolore lancinante le trafisse l'addome, togliendole il respiro e facendole mordere le labbra fino a farle sanguinare. Ancora una volta, avrebbe dato di tutto per stillare il suo sangue Talarita fino all'ultima goccia e far restare solo i geni Femtiti, almeno per non essere in grado di percepire il dolore.
Quando si riprese, fece percorrere allo sguardo il perimetro della stanza. Era più una specie di magazzino che in una stanza definibile da letto. Sulle pareti spoglie di qualsiasi decorazione erano ammassati gli oggetti dei generi più disparati, la maggior parte dei quali rotta o comunque non usabile. Non ricordava di esserci arrivata...
“Varda”, pensò. Il suo nome rimbalzò per decine e decine di volte nella sua testa, finché non divenne solo un'eco incompreso, la solita colonna sonora dei suoi giorni da anni, ormai.
Non provò neppure a parlare: il bruciore, le continue stilettate di dolore non gliel'avrebbero permesso.
Cercò di ricordare quello che era successo prima... prima di cosa? Probabilmente prima di svenire. Le sembrava di essere stata colpita ad una gamba, di aver perso molto, troppo sangue... Ma non ricordava né da chi – o da cosa – né quando era stata colpita. Ore, giorni prima? Non sapeva dirlo.
Si distese nuovamente sul giaciglio dove si era risvegliata, tra fitte di dolori e gemiti. E aspettò.
Aspettava, aspettava Varda, o chiunque altro... Ma le bende che le fasciavano le gambe si stavano già macchiando di un rosso scuro... Doveva rimanere sveglia, vigile... Ma le palpebre si stavano appesantendo, e lei non poteva farci nulla...
Il mondo sfumò in un groviglio confuso di colori cupi, lasciandola sola in compagnia dell'oblio.

*

Varda aprì la porta con estrema lentezza, per paura di rischiare di svegliare Cal. La ritrovò al posto di prima, sdraiata su quel giaciglio che aveva improvvisato per lei pochi giorni prima.
Si accostò silenziosamente e le scostò qualche ciocca di capelli dal viso, estremamente pallido dopo la perdita di tutto quel sangue.
Le scostò delicatamente la coperta di dosso, scoprendole le gambe magre. Quella destra era ricoperta di bende, la maggior parte delle quali tinte da fiori scarlatti.
Tolse le bende con cura minuziosa, e con la stessa diligenza immerse le nuove fasciature nell'infuso di veronica e le applicò nuovamente sulla pelle color mattone della ragazza.
Poi semplicemente si sedette lì e si addormentò.

*

Risvegliarsi fu come prima. Aprì gli occhi, indolenzita, si guardò intorno, il pensiero corse a Varda, le gambe erano così infreddolite che non le sentiva neppure.
Stavolta però c'era una differenza: sdraiato per terra, vicino a Cal, lui c'era. La ragazza sentì un moto di felicità crescerle dentro. Allungò una mano verso quella di Varda e la strinse, quasi come se avesse paura di perderlo di nuovo. “Non farò più nulla di stupido” si ripromise. “Saremo solo tu ed io.”
Fissò il viso del Femtita per un tempo indefinito. Guardava le sue ciglia, che erano così lunghe e adorabili... E poi quel naso perfetto, quella sua pelle pallida, i capelli lisci, legati in quel codino che a Cal piaceva così tanto... E avrebbe potuto anche continuare ad ammirarlo in quel modo: era come uno di quei passatempi che non ti annoi mai di amare, quel quadro che ami così tanto al punto di volerlo solo tuo. Peccato però che i suoi occhi – i suoi bellissimi occhi dorati – si aprirono, e la magia svanì.
«Hey» biascicò con un mezzo sorriso. Lei si sbrigò a togliere la mano da sopra la sua. Sorrise in rimando al saluto.
Varda si appoggiò sui gomiti, sbadigliando. «Come ti senti?»
Cal fece una smorfia. «Vorrai dire cosa ti senti» replicò con voce roca. Varda si sforzò di sorridere.
«Dai, dimmi cosa ti senti, allora.»
“Il cuore che sfonda il petto” pensò guardandolo. Ma non ebbe il coraggio di dirglielo. «Quasi tutto, dalla vita in sù.»
Varda annuì. «Capisco... Senti freddo? Stai tremando.»
In effetti, Cal tremava come una foglia. «Giusto un po', non troppo» lo rassicurò.
Varda gli cinse le spalle con un braccio, mentre con l'altro spostava le coperte, le sollevava le gambe e le poggiava sulle sue. Poi riprese le coperte e le sistemò sulla ragazza, che nel frattempo lo guardava, sorridendo.
«Va meglio così?» domandò stringendola a sé.
«Molto» rispose lei, chiudendo gli occhi e lasciandosi andare all'abbraccio. In realtà le faceva male tutto, ma era un dolore così dolce, stare vicino a lui... sentire il suo odore sulla pelle, il calore del suo respiro... «Sei caldo...» disse.
Varda ridacchiò mentre poggiava la fronde sui capelli morbidi della ragazza. «Altrimenti non ti avrei preso così, non trovi?»
«Già» ammise lei con un sorriso. «Per quanto tempo sono rimasta incosciente?» chiese poi.
«Qualche giorno» rispose vago il Femtita. «L'esplosione ti ha stordita parecchio. E mi ha anche spaventato. Quindi non provarci mai più, va bene?»
Cal annuì controvoglia. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui: quell'esplosione non era nulla in confronto a quello che sarebbe riuscita a preparare se solo avesse avuto tempo...
«E noi siamo...?»
«Una casa trovata in giro... Sei stata molto fortunata, se non l'avessimo trovata in tempo avrei dovuto amputarti la gamba, sai?»
Cal sbuffò. «E questa casa è abitata o ci siamo solo noi?»
«Ci vive una coppia di Femtiti... Ma non ti preoccupare, non ci denunceranno» aggiunse poi, notando lo sguardo allarmato della ragazza.
«Come possiamo esserne sicuri? Questi Femtiti non mi conoscono nemmeno...»
«Gli ho detto che sei una mezzosangue, si fidano.»
«Sarà...»
Varda sorrise. Le accarezzò il viso con una mano, soffermandosi sulla piccola bruciatura che si era procurata – per colpa sua – qualche anno prima. Era così piccola allora...
«Varda?» La voce della Talarita lo riscosse dai suoi pensieri.
«Cosa c'è?»
«Tu... quello che è successo quando siamo entrati nel Regno d'Inverno... l'hai fatto perché volevi o...?»
Varda cercò di ricordare, ma aveva solo frammenti di quell'esperienza. Si ricordava di aver bevuto tanto, con Cal, per festeggiare... e si ricordava di essersi risvegliato accanto a lei, mezzo nudo.
«Ero ubriaco, Cal. Non ricordo nemmeno cos'ho fatto.»
«Dicono che l'alcol tiri fuori i sentimenti più profondi di una persona» ribatté.
«Ma io non ricordo davvero cos'è successo, Cal.»
Cal si rabbuiò. Lei ricordava. Aveva ancora la sensazione di sentire il suo cuore battere forte a contatto con il petto di lui, le loro mani intrecciate, le labbra che si sfioravano...
«Varda?» chiamò ancora.
«Mh?»
«Tu sai bene che io non mi arrendo mai quando voglio qualcosa.»
Varda annuì. Lo sapeva, certo, ma cosa c'entrava ora?
«Ti avviso» continuò lei, «che attualmente tutto quello che voglio sei tu.»
   
 
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