Crossover
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Autore: Monochrome Kiss    28/05/2014    2 recensioni
“Sai di cioccolato…” Mormorò, stringengosi a lui.
“Non ti piace..?” Chiese tenendo gli occhi chiusi, mezzo addormentato.
“Mi piace… Un sacco.”
Lui sorrise di nuovo lasciandole un piccolo bacio sul collo. Non aveva allungato le mani su di lei quella notte, si limitarono a domire abbracciati l'uno all'altra, ma nonostante questo, sentì quella sua solitudine che ogni giorno lo uccideva lentamente, dissolversi in quel abbraccio.
Genere: Drammatico, Fluff, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Si trovò di nuovo a correre con il cuore in gola non curandosi della pioggia, del vento forte, degli sguardi dei passanti tutti fissi su di lei. Stava scappando di nuovo, stavolta stava scappando da se stessa. Aveva paura di fermarsi e guardare indietro. Quella notte la passò sotto un ponte, non aveva intenzione di tornare. Faceva dannatamente male non poterlo vedere, sentire la sua voce, ma se sarebbe tornata avrebbe fatto ancora più male. Non stavano insieme, quindi non c’era bisogno di dirsi addio. In fondo cos’erano loro? Amici? Oh, questi pensieri la uccidevano.
I seguenti due mesi li passò facendo ‘l’artista di strada’, era pur sempre stata educata come una ragazza di buona famiglia. Il  proprietario di un vecchio negozio di musica le prestava di tanto in tanto uno dei tanti violini che aveva messo in vendita e la lasciava pernottare nel negozio, a patto che suonasse davanti alla vetrina. Così riusciva a guadagnarsi il minimo indispensabile. Giorno dopo giorno però si sentiva sempre più  vuota. Non riusciva più a trovare un senso a ciò che faceva. Aveva il cuore a pezzi, sapeva che non avrebbe retto per molto, era arrivata al capolinea.
Quei giorni però quando passava la notte nel parco e guardava il cielo, sapeva che anche lui lo stava guardando, ne era sicura e prima di addormentarsi passava intere ore a piangere a dirotto.
Lui dall’altro canto passava le giornate nei bar a ubriacarsi, scatenando di tanto in tanto qualche rissa, finendo per risvegliarsi buttato in qualche vicolo buio di quella città spazzatura, indolenzito. Ma non era quello il dolore che sentiva maggiormente. Da quando lei sparì, era come vivere senza aria, persino respirare era doloroso.  Ma il peggio veniva quando arrivava la notte, i motel si riempivano di gente e le luci si accendevano nelle case. Tornare nel suo piccolo appartamento, buio, dove non c’era nessuno ad aspettarlo, era una della cose che odiava di più. Passava la maggior parte delle notti a casa dei suoi ‘amici’, ma neanche allora riusciva a smettere del tutto di pensare a lei. E quando persino il biondino era troppo impegnato per venire a ‘fargli compagnia’, passava notti insonni, senza riuscire a chiudere occhio, piangeva silenziosamente, soffocando le grida nel cuscino, prendendo a pugni le pareti e mettendo sottosopra tutta la casa. Era straziante.
Una di quelle notti aveva capito che non poteva più andare avanti in quel modo. Aveva rivenduto il violino che aveva rubato, con quei soldi era riuscita a procurarsi dell’eroina, una piccolissima quantità. Le rimanevano ancora una manciata di soldi. Camminava per la città tra tutta quella gente, facendo finta di dirigersi anche lei verso un posto caldo e sicuro, dove qualcuno che l’amava la stava aspettando. Indossava un paio di scarpe nere, con il tacco, non troppo alto, una maglietta larga, la maglietta di lui, e un paio di pantaloncini corti. Si fermò davanti ad una tabaccheria, ricordandosi quanto odiava il fumo delle sigarette. Ogni volta che il suo vecchio zio abusava di lei, alla fine accendeva uno di quei sigari e la stanza di riempiva di fumo.  Era entrata osservando la grande quantità di pacchetti di sigarette esposte. La commessa con un’espressione scocciata, le chiese:
“Cosa desidera signorina?”
“Black Devil. Al cioccolato.”
Rispose automaticamente, con un tono monotono. La commessa lasciò il pacchetto di sigarette sul banco, prendendo poi i soldi e preparando il resto. Ma lei era già uscita, gli occhi vitrei fissavano incessantemente il pacchetto di sigarette. Si fermò su un ponte, aprendolo e rigirando una delle sigarette, più volte tra le dita. Il suo viso era inespressivo. Si sedette per terra e ne accese una. Inspirò una volta per poi trovarsi a tossire disperatamente; inspirò una seconda volta avvolgendosi in quell’essenza di sigarette con una morbida sfumatura al cioccolato. Guardava il tramonto all’orizzonte,  il sole dipingeva il cielo di un rosso acceso. Chiuse gli occhi, trovandosi il viso coperto di lacrime.
“…Matt...”
Continuava a ripetere il suo nome, più volte, sottovoce, all’infinito. Finito di fumare la sigaretta, buttò il mozzicone nel grande fiume sottostante. I lampioni era già accesi, e la gente passava davanti a lei, erano tutti accecati dalla loro propria felicità. Si alzò in piedi, fissò l’acqua del fiume, e prima di raggiungere il mozzicone galleggiante si diresse alla cabina telefonica, alla fine del ponte. Inserì le monete, compose il numero e aspettò, accartocciando il pacchetto di sigarette che teneva nella mano tremante.
“…Pronto?”
Rispose lui con una voce spenta, si riusciva a percepire la sua stanchezza.  Non disse nulla.
“ …Yume… sei tu? Che altro vuoi?”
Non si sarebbe mai aspettato di sentire il nome di un’altra ragazza. Quello fu il colpo finale, probabilmente era ancora sotto l’effetto della droga,  altrimenti non sarebbe stata in grado di aprire bocca.
“Sono io...”
Un lungo silenzio seguì quelle parole. Una confusione totale si creò all’improvviso dentro di lui. Confusione, rabbia, odio, dolore, tanto dolore, come se lo stessero accoltellando dall’interno. Ma subito dopo si sentì pian piano sollevato, euforico, ansioso e poi, infinitamente innamorato, incredibilmente, pazzamente, perdutamente, di lei. Lei e nessun’altro. Con una voce tremante chiese:
“Dove sei?”
Sentiva il rumore delle macchine e la confusione della strada dall’altra parte del telefono. Lei non rispose.
“…Mi manchi. Ecco, l’ho detto… stupido eh? Non ho nessun diritto di dirlo, dopo tutto sono stata io quella che se n’è andata.”
“Sei qui vicino? Ti è successo qualcosa??”
L’ansia e la paura crescevano velocemente dentro di lui, mentre lei continuava a parlare ignorando le sue domande.
“Sono scappata perché non riuscivo più a starti accanto e sorridere come niente fosse. Mi dispiace… è una così semplice, … lo so, ma non ce l’ho fatta...”
La sua voce era interrotta dai singhiozzi. La sua infinita disperazione le stava ricadendo addosso, dopo l’esaurimento dell’effetto della droga.  Lui si stava infilando velocemente i pantaloni. Aveva preso la sua giacca e uscì di corsa di casa, salendo in macchina. Il jingle del luna park lì vicino si sentiva appena, ma lui era riuscito comunque a capire dov’era.
“… Non ce l’ho fatta..! Perché ti amo..”
Le sue ultime parole, gli fermarono il cuore per un attimo. Sorrise, e sfrecciò a tutta velocità verso il luogo un cui lei si trovava.
“Tranquilla piccola, sto venendo da te. Sto arrivando.”
A quel punto avrebbe dovuto riattaccare e raggiungere il fondo del fiume, invece le sue ginocchia cedettero e scoppiò a piangere, proprio come una bambina che si è persa.
Raggomitolata su se stessa, nella cabina telefonica, continuava a piangere, quando davanti a lei il rumore perforante dei pneumatici risuonarono fortemente, lasciando il segno nero delle ruote dietro di sé. Alzò la testa e vide precipitarsi fuori dalla macchina un ragazzo con la maglietta a righe bianche e nere e sapeva di sigarette e cioccolato. Lei lo vide e sorrise debolmente, aveva gli occhi gonfi e arrossati. Eccolo lì, pensò, l’unica droga di cui ho bisogno. 
Appena la vide si precipitò da lei, gettandosi in ginocchia e stringendola forte tra le sue braccia, riuscendo a malapena a trattenere le lacrime.
“…Sono qui, piccola-…sono qui…!”
Lo sentiva piangere per la prima volta, tremava come un bambino. Lo abbracciò a sua volta. Incurante dei passanti che a poco a poco si raggruppavano incuriositi dalla scena. In quel momento loro erano in tutto un altro mondo, completamente diverso da quello grigio e falso in cui vivevano loro, che vivevano soltanto aggrappandosi  alle loro bugie. Si scambiarono dei baci veloci, ma intensi. Le labbra di lei erano bagnate dalle lacrime, le sue sanguinavano un po’ per i morsi. La prese in braccio, e la posò sul sedile anteriore della macchina, in seguito partirono a tutta velocità, senza un precisa destinazione.
Guidò per tutta la notte, lei invece crollò quasi subito. Aveva passato troppe notti insonne, a piangere e a morire dentro.  Lui, vedendola dormire beatamente al suo fianco, si sentiva più tranquillo. Sorrise, aumentando di più la velocità, voleva andare il più lontano possibile, lasciandosi alle spalle quell’enorme città insieme ai brutti ricordi legati ad essa.
Il mattino seguente, quando riaprì gli occhi si sentiva tutta indolenzita, spalancò gli occhi guardandosi attorno. Era la stanza di un albergo, e non uno qualunque, ma uno di quelli a quattro o cinque stelle. Il colore pesca delle pareti si abbinava perfettamente con il bianco dei mobili  e delle porte. Notò solo allora il braccio avvolto intorno alla vita e il respiro del ragazzo sul suo collo. I ricordi della sera precedente allora le tornarono alla mente uno dopo l’altro, tranquillizzandosi, anche se non capiva ancora come avevano fatto a finire in un luogo così costoso.  Scostò leggermente la sua testa dalla spalla che l’altro usava come cuscino e  osservò a lungo il suo viso addormentato, accarezzandogli piano i capelli arruffati. Decise di svegliarlo con un bacio, sfiorò appena le sue morbide labbra, prima piano, poi più intensamente, finché lui  ancora mezzo addormentato, non cominciò a ricambiare i suoi piccoli baci con altri molto più passionali e possessivi.
“Hmmn…”
 Tutto ciò che gli era successo fino a quel giorno sembrava essere spazzato via dai baci di quella mattina, come un arcobaleno dopo una tempesta con tanto di grandine, lampi e tuoni. Tutto sembrava soltanto un brutto sogno. Si staccò dalle sue labbra e si mise seduta a cavalcioni sopra di lui, che si strofinava gli occhi con un mano.
“…Buongiorno.”
Lui sorrise ancora di più, guardandola più innamorato che mai. Lei arrossì lievemente e distolse lo sguardo da lui, portandolo sui dettagli della tappezzeria.
“Allora? …Mi dici dove siamo finiti?”
Lui intenerito, le rispose.
“Uhm, in luna di miele no?”
Lei spalancò gli occhi e lo guardò diventando tutta rossa in viso.
“COSA?- Come?- Q-Quando??”
Gli scappò una leggera risata.
“ N-Non è possibile, non siamo ancora nemmeno sposati. Me la ricorderei una cosa così.”
Disse un po’ imbronciata e delusa, cercando di essere realista.
“Beh, allora... sposiamoci.”
Le disse rivolgendole un sorriso sincero, mentre la guardava dritto negli occhi. Lei incrociò le braccia.
“Non mi hai ancora nemmeno detto che mi ami.”
“…Ma.. non è già abbastanza chiaro..?”
Aveva colpito uno dei suoi punti deboli. Lei sospirò e si alzò dal letto, tutta sorridente, non riuscendo a nascondere la felicità di quel momento. 
“Come hai fatto a pagare la stanza?”
Chiese con un tono un po’ più serio, mentre lui era rimasto a rotolarsi nel letto.
“Non preoccuparti per qu---“
“No. Stavolta non voglio bugie. Tutto ciò che ti riguarda, riguarda anche me d’ora in poi.”
Lui sospirò, si alzò dal letto e andò ad abbracciarla da dietro cingendole la vita con entrambe le braccia.
“Voglio vivere il resto della mia vita insieme a te, voglio passare con te i miei momenti più belli, e non mi importa se per questo dovrò  derubare una banca o due, mandare KO centinaia sistemi di sicurezza o ferire qualcuno.”
Lei gli rispose senza esitazione, entusiasta.
“Allora diventeremo due fuori legge, dei delinquenti. Come Bonnie e Kleid!”
Lui ridacchiò, stringendola più forte.
“Ahaha, sì!”
La caricò su una spalla e la buttò sul letto cominciando a farle il solletico. Lei, cominciò a dimenarsi e ridere, posò le mani sulle sue cercando di allontanarlo e farlo smettere, ma poi lui si fece sempre più serio, si avvicinò alle sue labbra mentre le sue mani scivolavano lentamente sopra la camicia da notte. Infilò una mano sotto la camicia bianca di seta, ma a quel punto bussarono alla porta e vennero interrotti.
“Servizio in camera!”
 
Ciò che seguì poi fu la così detta luna di miele: per scappare alla polizia, dovevano cambiare spesso macchina, perciò ogni tanto ne ‘prendevano in prestito’ un’altra, lui poi era un esperto in questo campo. Si fermavano per pochi giorni soltanto negli hotel a cinque stelle, disattivavano il sistema di sicurezza e poi se la svignavano senza pagare. Poi, dal momento che non dovevano farsi scoprire, per cambiare look, una notte si intrufolarono in un centro commerciale mettendo tutto sopra. Un concetto tutto loro del self service, rompevano vetrine e si provavano tutti i vestiti atteggiandosi a ricchi milionari. Era come se tutto il mondo gli appartenesse, armi, vestiti, hotel, ristoranti, casinò, boutique, ma soprattutto avevano l’un l’altra: lei distraeva la vittima, mentre lui si occupava del  resto. Dopo essersi ubriacati, passeggiavano per il centro commerciale desolato, tenendosi per mano, come ad un appuntamento. Ridevano entrambi come scemi, con un bicchiere di champagne in mano, con i vestiti più assurdi addosso e le luci del centro commerciale che facevano da sfondo. Notò un piccolo negozio, dalla vetrina luccicante. La trascinò per mano, sfondò l’entrata con un colpo di pistola e la sollevò per la vita adagiandola su uno degli espositori . Accese infine la luce. Era una gioielleria.
“Ecco, puoi sceglie quello che vuoi!”
“Ne voglio uno uguale al tuo.”
Non prese un anello di fidanzamento, tra tutti quei diamanti ne prese uno semplice, d’oro. 
“…Non posso prometterti nulla, dal momento che non credo nelle promesse. Però, sappi che ogni giorno della mia vita, quando mi sveglierò, vorrei trovarti accanto a me.”
Disse mentre infilava l’anello sull’anulare della ragazza, che in seguito prese il secondo anello e compì lo stesso gesto.
Il giorno dopo si divertivano un sacco a ridere davanti  al telegiornale di una tv dell’albergo, che riportava i fatti della notte prima e le rapine da loro commesse. Nonostante questo, sapevano perfettamente che tutto ciò non era destinato a durare, proprio per questo continuavano con questo tipo di vita troppo pericoloso ed esagerato.
Quella sera però non andò tutto secondo i piani. Nella gioielleria c’era un allarme che si era dimenticato di disattivare, il segnale arrivava direttamente alla stazione di polizia che li informava dell’infrazione del sistema di sicurezza. Erano troppo sbronzi per accorgersi della lucina rossa che lampeggiava silenziosamente e quando finalmente la notarono fu troppo tardi. La polizia sarebbe stata lì a momenti. Si precipitarono fuori, salirono i macchina, e sfrecciarono via a tutta velocità, ma alcune macchine della polizia erano già lì e si misero ad inseguirli. Cercò di seminarli, ma loro avevano chiamato i rinforzi. I due si cambiarono di posto, lei si mise alla guida, mentre lui sparava alle ruote delle macchine che li inseguivano. Dopo due ore di inseguimento, erano finiti su una strada vuota, lontana dalla città, le macchine che li inseguivano erano circa una decina. Non avevano vie di uscita. Avevano dietro persino un elicottero, ma è quando lei notò che la maglietta a righe di lui si stava tingendo di rosso, che andò in panico. Gli avevano sparato prima di salire in macchina, una pallottola l’aveva sfiorato. Lui cercò di nascondergliela ma era completamente inutile, aveva perso troppo sangue. Lei lanciò un grido disperato.
“MAAAATT!”
Cercò di pensare ad una soluzione ma la paura le impediva di ragionare  e le sue mani tremavano. Singhiozzava , mentre lui con una mano faceva pressione sulla ferita, in un’espressione di dolore.
“Basta. Ora torniamo indietro, ti porto all’ospedale! ”
Lui posò una mano su quella di lei, tremante, sul volante.
“N-Non farlo…ugh—“
Si accasciò subito prima di finire la frase.
“Stai perdendo troppo sangue!!”
Gli gridò in lacrime che le sfocavano la vista, perciò fu soltanto lui a notare l’interruzione del ponte ancora in via di costruzione, che avevano appena intrapreso a tutta velocità. Cercò di sforzarsi e finire di parlare.
“…PENSA A QUELLO CHE SUCCEDEREBBE SE TORNASSIMO INDIETRO ORA!”
Smise di singhiozzare sentendolo gridare in quel modo, per la prima volta.
“…S-Se… torniamo indietro ora… io sarò operato, ma poi? ..Ci hai pensato? Io finirò a marcire in prigione, oppure riceverò la pena di morte...Tu invece--… ?... Hai così tanta voglia di tornare da quello vecchio schifoso?!... Ma la cosa peggiore… è che non potremo più vederci… Mai più, capisci…?”
Non sarebbero sopravvissuti comunque, è questo quello che le stava dicendo. La guardò sorridendole dolcemente, nonostante la situazione, poi guardò la fine mancante del ponte che si avvicinava sempre di più. Gli avvertimenti della polizia ,via megafono, di fermarsi erano completamenti ignorati. Quando anche lei lo vide,  fu quasi un sollievo, sorrise a sua volta. Le sue mani smisero di tremare.
“Allora… cosa abbiamo in programma per domani? Dobbiamo pensare ad un piano sennò verremo scoperti subito. Ah, e poi quando avremo abbastanza soldi, dove sarebbe meglio trasferirci? A me piacerebbe una piccola casa, in periferia, un posto tranquillo.”
Lui esitò un attimo, poi rispose tranquillamente.
“Dovrà essere sicuramente vicino all’asilo... Così saremo sempre vicino alla piccola Lia e Miki, Chiaki—“
“E Matt Junior!”
“Ahaha, già! …E quando diventeranno grandi e andranno al college? Rimarremo di nuovo solo noi due…”
“Solo io e te.”
“Per sempre.”
 Lui si sporse verso di lei asciugandole dolcemente le lacrime che le bagnavano il viso, in seguito posò la mano sinistra sulla sua, togliendola lentamente dal volante.
“Ti amo, bambolina.”
Sorrise, prendendole il viso tra le mani e posando per un’ultima volta le labbra sulle sue.
  
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