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Autore: Elefseya    28/05/2014    2 recensioni
Alza lo sguardo, e non è più la Luna che la osserva, ma occhi che pare abbiano imprigionato essi stessi l'astro della notte: oro liquido la scruta curioso, innocenza corrotta dal mondo sta davanti a lei, burattino di una bambola altrettanto corrotta.
Pura anch'essa, un tempo. Dono d'addio.

[ Elisabeth von Wettin!centric - Märchen von Friedhof ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Serie: Märchen
Titolo: The Caged Bird that fell in Love with the Moonlight
Personaggi: Elisabeth von Wettin, Märchen von Friedhof/März von Ludowing
Warning:
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Wordcount: 460
Challenge: Writing Stuff Series
Prompt: Day # 12 - «Pensiamo sempre che ci sarà tempo... poi il tempo finisce»
Note: ... se non conoscete i Sound Horizon, le opzioni che avete sono due:
- iniziate ad ascoltare i Sound Horizon
- ignorate questa storia
Perché credetemi, se la leggete e non sapete nulla della vicenda cantata in Märchen, capirete poco o niente; già il mio stile è criptico di suo, sarebbe un bel problema se non conosceste nemmeno i fatti di riferimento Altra annotazione da tenere a mente: questa introspezione va collocata prima della straziantissima (?) scena dove Elizabeth parla a Märchen, e probabilmente ancor prima che inizi la sua "canzone" nell'album -... sì, fa strano parlare così, eheh- ; e l' "infantile risata di bambina" è Elyze, quella cara bambolina <3
Ah, il primo che mi obietta la parola "astro" lo uccido. Perché "l'astro generalmente è qualsiasi oggetto visibile nel cielo notturno o diurno, al di fuori dell'atmosfera."
Disclaimer: La flash appartiene a me, il resto a Revo. Quel genio. Maledetto. NNNH <3



« The Caged Bird that fell in Love
with the Moonlight »



Era ancora bambina quando pose a terra quella pietra bianca, muto epitafio sotto cui non riposano nell’eternità nessun corpo né cenere; col tempo vi erano cresciute attorno rose selvatiche color del rubino, sigillando quel piccolo sepolcro dimenticato e stritolando nella loro pungente morsa il ricordo straziante di März.
Rosso e bianco commisti, come l’albino stesso che, una notte, bussò alla sua finestra e la portò sotto la luce della luna per la prima volta facendola fuggire da quella gabbia che era il piccolo mondo in cui viveva e dove unica compagnia era uno spicchio di cielo intoccabile.
Brillavano quei rubini -i suoi occhi- immersi nello splendente avorio di seta che erano i suoi capelli, luccicava il fiore -rosso anch'esso- che le aveva messo tra i capelli, sotto la luce liquida della Luna gentile ma tiranna padrona del tempo: la loro separazione fu scandita dal suo calare ad occidente.

Quelle funebri e fragili rose appassirono presto, diventando di un cupo cremisi misto al nero tenebra e corrompendo quel memoriale -immagine della stessa breve esistenza del suo giovane liberatore.

Ora, stagioni e anni passati e svaniti, così come la sua stessa vita che più non è, Elisabeth è di nuovo accanto a quel cenotafio: nella notte eterna che è l’oblio della morte, quelle rose dalla breve vita risplendono di sangue vivo, brillando assieme alla Luna che spande il suo bagliore.
Accarezzare quei petali, una volta morenti ma adesso vibranti, è gesto abituale: pure e amorevoli dita ne tracciano i contorni con delicato affetto, proseguendo lungo lo stelo spinoso ma che non provoca alcun dolore.
Ha finito di sopravvivere al tormento terreno.

Passi nel silenzio la distolgono da un lutto compianto per tutta la vita; lo scricchiolio delle foglie cadute sul manto d’erba umida li accompagna nel loro ritmico incedere lento e cupo, assieme ad un'infantile risata di bambina.
Alza lo sguardo, e non è più la Luna che la osserva, ma occhi che pare abbiano imprigionato essi stessi l'astro della notte: oro liquido la scruta curioso, innocenza corrotta dal mondo sta davanti a lei, burattino di una bambola altrettanto corrotta.
Pura anch'essa, un tempo. Dono d'addio.
Tenebre unite a luce lattea. La riconosce quella luce nell'animo imprigionato in perversa corruzione.

Ed Elisabeth sa che März è tornato da lei per mantenere quella promessa tanto consumata e logora quanto quella pietra tombale che le sta davanti, entrambe erose dal tempo che scivola.
Quella promessa ora nascosta sotto il peso di un animo splendente legato da nere catene e accecato da nere ali piumate macchiate di sangue.
La sua voce profonda nasconde e tradisce l'entusiamo infantile, ora distorto.

«Cominciamo con la nostra tragedia di vendetta?»

Di tempo ce n’è stato, per loro. Adesso, al rintoccare a morto della campana, anche esso più non esiste.
   
 
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