Un esile corpo sfiancato giaceva in
uno stato pietoso nel
bel mezzo di un terreno alquanto informe che aveva formato una
pozzanghera di acqua
stagnante.
Il liquido fangoso sfiorò leggermente il viso spento e privo
di
emozioni, mentre qualche goccia cadente dall’alto
colpì i ciuffi biondi,
provocando al giovane un fastidioso prurito alle parti delicate del
viso.
Stava
per riaprire gli occhi dopo un lasso di tempo indeterminato trascorso
in quel
putrido marciume, infatti le pesanti palpebre stentavano a reagire di
fronte a
diversi colori oscuri e indefiniti.
Se lo avesse saputo prima, non avrebbe mai
tentato di scorgere una realtà ancora più triste
e malinconica di
quell’oscurità che lo turbava tanto.
“Eh? Una pozza.. Ma che
diavolo sta succedendo?”
La sua voce rauca rimbombò
contro dei muri di cemento
decadenti che cingevano una grossa stanza priva di pavimentazione. Le
sue
pupille, assetate di curiosità, vagavano ripetutamente e
instancabilmente su
ogni dettaglio dell’ambiente circostante.
Raggi di luce penetravano attraverso
la vegetazione selvaggia che aveva ramificato senza cura un buco
artificiale
nella parete, che apparentemente sembrava essere una finestra.
Attirato dalla
nuova scoperta, si alzò lentamente e decise di sgranchirsi
le gambe con una
silenziosa camminata fino alla fonte di curiosità. Scostando
le foglie
marroncine e secche, un’ambiente autunnale, ma alquanto
tenebroso, si estendeva
all’orizzonte: un venticello trasportava con leggerezza le
ultime foglie
strappate dagli alberi, che si scontravano contro i muri in rovina di
alcuni
edifici. Sembravano palazzi residenziali, alcuni piani sorreggevano
ancora dei
piccoli balconi, mentre sulla maggior parte dei tetti erano presenti
delle
strane antenne.
Un forte e improvviso dolore alla nuca lo scostò dai suoi
pensieri, facendolo accasciare contro la parete in cerca di sostegno.
Apparentemente non stava sanguinando, poiché non percepiva
la presenza di alcun
liquido, ma evidentemente qualcuno doveva averlo colpito
così violentemente da
avergli lasciato i dolori post-colpo. Dopo minuti di agonia passati ad
emettere
singhiozzi causati sia dall’ansia che dal dolore, il biondo
si ricompose e
tornò all’esplorazione.
Uscito da una strana incavatura e ritrovatosi all’esterno,
riprese la cognizione del tempo: era il tramonto, parte del sole si
intravedeva
tra un condominio ed un altro, il cielo stava assumendo un colore
più oscuro e
nuvoloso, lasciando intendere che presto sarebbe anche piovuto.
Davanti a
quella poca luce, iniziò ad osservare lo strano
abbigliamento che stava
indossando.. Un giacchino nero copriva una t-shirt del medesimo colore,
leggerissima e consumata, quasi invisibile. I pantaloni erano larghi e
parevano
ancora più pesanti a causa dell’acqua inzuppata.
Non erano di certo indumenti
provenienti dal suo armadio, pensò. Però
approvò lo stile e il colore dei
mocassini, gli davano un’aria da don Giovanni.
Nel cercare indizi tra le
tasche, trovò una strana collana di metallo con una
piastrina rossa penzolante.
“Nove. Kida
Masaomi” lesse con voce rauca il ragazzo sulla
targhetta. Si sorprese dal fatto che sul retro vi era scritto il suo
nome,
soprattutto perché non aveva mai posseduto un oggetto del
genere. E poi..
Perché quel numero? Inciso così
com’era, non significava nulla.
O probabilmente aiutò il
ragazzo a ricordare.
“Pretendo
delle
spiegazioni ora! Non potete legarmi, incatenarmi e portarmi a fare un
giro
turistico in mezzo al mare!” Le sue urla erano nascoste dallo
sciabordio delle
onde che si increspavano contro lo scafo. I due uomini alla guida forse
non
avevano nemmeno sentito, nessuno si era girato.
“..
Soprattutto se non
mi offrite nemmeno una bella ragazza con la quale fare due
chiacchiere!” Il
ragazzo era terrorizzato e si nascondeva dietro ad una maschera
d’ironia,
mostrandosi come un coraggioso mentre nel profondo pregava per il fatto
di
essere legato. La paura lo avrebbe comunque paralizzato, ma non voleva
mostrarsi debole.
Dopo alcuni
minuti che
parevano ore, il guidatore aveva attraccato di fianco ad un ponticello
di legno
apparentemente instabile, dove però erano ormeggiate altre
imbarcazioni. Il
giovane osservava le ambientazioni circostanti con un nodo in gola,
incapace di
urlare davanti a quell’orribile spettacolo di edifici
decadenti e strade
deserte. Era appena arrivato su un’isola disabitata, legato
come un salame e
controllato da due uomini in nero. Cosa poteva andare peggio?
“Eh,
anche gli altri
sono arrivati. Dobbiamo sbrigarci.” Uno dei due individui
loschi aveva appena
aperto bocca, rivelando una voce rauca e annoiata, quasi stesse facendo
qualcosa di ordinario. Non sembrava un tipo particolarmente imponente,
dalle
maniche si potevano intravedere i piccoli polsi circondati da vene
parecchio
visibili. Per lo meno i vestiti larghi coprivano la maggior parte del
suo
corpo, così da non renderlo uno scheletro ambulante. Il
corpo del compagno ,
però, raccontava tutto il contrario: era magro, ma le spalle
larghe e i muscoli
che facevano pressione attraverso la camicia aderente lo rendevano un
vero
bestione temibile.
“Non
preoccuparti,
sarà facile trascinare questo agnellino spaventato. Se penso
a quali individui
hanno trasportato gli altri, mi viene quasi pena per loro.”
L’omaccione era
rilassato, frugava lentamente in una borsa alla ricerca di
chissà cosa. Dal
discorso, Kida aveva ipotizzato che forse non era l’unico ad
essere stato traportato
senza motivo sull’isola. Ma ancora non ne capiva la ragione.
Non aveva
azzardato parola, neanche mentre i due uomini lo avevano trascinato
bruscamente
sul ponticello e poi lungo la strada principale. Non voleva far altro
che
tornare a casa e rilassarsi, ma la rassegnazione lo aveva costretto ad
abbassare lo sguardo e fissare la terra mentre veniva condotto in un
qualche luogo
a lui ancora sconosciuto.
“Credo
sia questo il
posto, mettiamolo là dentro.” Uno dei due si era
fermato e aveva indicato un
edificio che sembrava ancora intatto rispetto agli altri.
L’altro gli aveva
infilato una strana targhetta rossa in tasca e aveva bisbigliato
qualcosa di
incomprensibile. Il biondino stava quasi per aprire bocca, ma la
velocità con
la quale l’uomo scarno lo aveva colpito con un qualche
oggetto lo aveva
nettamente anticipato. Il buio gli aveva annebbiato la vista e le gambe
avevano
smesso di sorreggerlo, mentre la sensazione di un pavimento umido e
freddo lo
accoglieva.