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Autore: David Lestrange    30/05/2014    0 recensioni
- Fuggire. Non gli restava altro. Fuggire.
Correre, finché le gambe lo reggevano e i polmoni dolenti gli permettevano ancora di respirare, in quegli immensi campi illuminati dal tramontare poetico e impietoso del sole. Correre per sfuggire a quei genitori che non lo amavano, a quei genitori che cercavano disperatamente di “curarlo”.
Ma curarlo da cosa? -
L'inizio dell'indipendenza e della storia di questo personaggio molto particolare: Jamie Madrox.
Il tutto si ispira a Earth 1005, ma contiene numerose variazioni personali e non.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta
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'And then a fiery Red Horse came out and his Rider was give the Power to take Peace from the Earth'.

Fuggire. Non gli restava altro. Fuggire.
Correre, finché le gambe lo reggevano e i polmoni dolenti gli permettevano ancora di respirare, in quegli immensi campi illuminati dal tramontare poetico e impietoso del sole. Correre per sfuggire a quei genitori che non lo amavano, a quei genitori che cercavano disperatamente di “curarlo”.
Il ragazzo non tentava nemmeno più di difendersi dai rovi e dai rami che gli graffiavano il viso, le mani e persino le braccia sotto la vecchia giacca nera. Correva più veloce di quanto avesse mai corso, tra le alte spighe di grano e la fitta boscaglia oltre i campi, senza mai volgere lo sguardo indietro.
Non era necessario. Sapeva che i cani erano vicini e che neppure il suo innegabile vantaggio avrebbe impedito loro di raggiungerlo in breve tempo. I migliori cani da caccia dell’intero Sud America, risuonavano temibili le parole di suo padre, seguite dal riso sonoro della moglie; i Madrox erano un’allegra famigliola di campagna, tutta lavoro e chiesa. Giovane e bella, lei, grezzo e massiccio, lui. Quando James nacque, stravolgendo il loro status quo, l’uomo divenne aggressivo e la donna cadde in depressione. L’arrivo di un bambino tanto desiderato, corrotto dal germe del male: una mutazione genetica, non poteva che causare profondo sgomento in quella piccola comunità di Los Alamos, dove la ‘normalità’ era sacra e inviolabile.
Se non fosse stato per l’amore della madre, James sarebbe sicuramente morto o mandato in adozione, tuttavia il padre continuava a nutrire un profondo odio per quel figlio mostruoso, trattandolo come uno schiavo e nascondendolo al mondo. I genitori, quindi, decisero ben presto di trasferirsi altrove, in Kansas, nella campagna appartata di Lawrenceville.
James non sapeva quale fosse il suo ‘problema’, tantomeno la soluzione adottata dai genitori, anzi appariva come un normale ragazzo di una normale famiglia contadina. Nessun mostro.
 
Guadagnavano terreno. Gli erano ormai addosso.
Il ragazzo dovette liberarsi della giacca scura, appesantita dal sudore che ne aveva impregnato la stoffa, gettandola nella direzione opposta, nel tentativo di confondere le bestie. Non riusciva quasi più a respirare, tanto i polmoni gli bruciavano, eppure continuava a correre tra la vegetazione di quel bosco inquietantemente illuminato d’argento da una luna tanto piena, quanto distante. La vista gli sembrava svanire lentamente, lasciandolo stordito. La sacca scura, con i suoi pochi ricordi, gli sbatteva sul dorso, con un ritmo differente a quello dei suoi passi veloci, e gli mozzava maggiormente il respiro. Il rumore dei rami spezzati sotto i piedi, mescolato al respiro affannoso, anticipavano di poco i latrati e il ringhiare famelico dei cani tra i rami intrecciati.
I cacciatori si avvicinavano.
Il fuggitivo scavalcò con un balzo un tronco spezzato a terra, quasi crollando non appena i suoi piedi si ritrovarono al suolo, ma riuscì a riprendere la corsa, su quelle gambe sfinite che non ancora per molto lo avrebbero sorretto.
Alle sue spalle, un latrato lacerò la notte.
Il ragazzo volse lo sguardo indietro, forse per la prima volta da quando iniziò la fuga, e vide con chiarezza due grossi cani, dal pelo scuro, sbucare dall’oscurità degli alberi, tra l’intrico dei rovi illuminati dalla gelida luce lunare.
Eccoli, i cacciatori: erano quasi sul punto di afferrarlo.
Ora si sentivano i loro passi vicini, oltre ai loro versi orripilanti. Non temevano il bosco, reso infido dalle ombre, avevano fame, avevano un obiettivo e quello era il ragazzo.
Intento a guardarsi le spalle, inciampò in una grossa pietra ai piedi di una quercia. Con un debole lamento, si aggrappò velocemente a quest’ultima, tentando di rimanere in piedi. Si voltò nuovamente, un cane correva proprio verso di lui, la bava che colava copiosa nel vento, per un istante il ragazzo rimase immobile, affascinato da quella ferocia, ma, quasi come uno spasmo, con il braccio destro scaraventò contro l’animale, la sacca che gli era scivolata dalle spalle poco prima. L’animale cadde a terra, contorcendosi dolente, il colpo inferto al muso lo aveva stordito non poco. Non voleva morire così, pensò, a quasi diciotto anni, senza mai aver vissuto davvero. Non sarebbe morto così, continuava nella sua mente, come un animale braccato dai cacciatori. Riprese a correre.
Dopo il fitto bosco, il terreno crollava in una depressione spoglia, coperta solo da ortiche e foglie secche; il ragazzo si lanciò lungo il pendio, cadendo sulle braccia, spinse il corpo in avanti, facendo fulcro delle proprie mani, posando le natiche e rialzandosi poi sulle gambe, riprendendo la corsa. Tossì per respirare, gettando lo sguardo dietro di sé, aveva iniziato a farlo spesso, lasciandosi sfuggire un’imprecazione vedendo l’intero branco dei suoi inseguitori. Tornò con velocità a correre, inciampando poco dopo in un lungo ramo, le sue gambe erano troppo stanche anche per poter superare il più misero degli ostacoli. Si voltò rassegnato verso i cani, sollevando il busto quanto poteva. Uno di loro scattò, con furia, verso il ragazzo, lacerandogli la carne. Ogni morso gli mozzava il fiato e lo faceva piegare e contorcere in smorfie di dolore. Socchiuse gli occhi, ascoltando attento ogni suono. Una furia cieca, il sangue denso che impregnava gli abiti, il penetrare famelico dei denti nella carne, se solo non ne fosse stato il protagonista, avrebbe amato questo momento.
Uno tagliò la maglia all’altezza del petto, con i possenti artigli.  – Devo cambiarla. –  Questo fu il suo primo pensiero. Ogni volta che la maglia si strappava, il padre lo legava fino a immobilizzarlo alla grande poltrona del salotto, fino a quando non riappariva misteriosamente con una nuova, diverso disegno, stesso tessuto, imponendogli di indossarla. Incredibile come James continuasse a obbedirgli, forse a causa dell’affetto che provava per la madre.
 
Il ragazzo aveva ormai smesso di opporre resistenza all’attacco dei cani, quando il taglio nella maglia non si fece più ampio, scoprendo il petto ben disegnato. Il morso successivo fu come una scarica di adrenalina. Si sollevò, cacciando le bestie. Sentiva la potenza scorrere nelle sue vene.
Tutti i morsi, i tagli, le cicatrici erano spariti, la sua pelle era liscia e impeccabile come mai prima d’ora.
Un cane si avventò su di lui, finendo a terra con il collo spezzato.
Non sapeva come, ma era invincibile.
Poi un secondo tentò l’attacco e un terzo. Le bestie sembrarono rallentare, intimorite, fu allora che James ebbe la possibilità di vedere cosa era realmente accaduto: un individuo identico a lui, giaceva morto dove prima era disteso lui. Sgranò gli occhi spaventato, quando un altro cane gli balzò addosso, il ragazzo, preso alla sprovvista, lo colpì con l’avambraccio spingendolo via. Ecco che, al suo fianco, apparve un’altra di quelle creature identiche a lui, come se fosse uscita dalla sua carne, trascinando via la fatica e il dolore. Ad ogni passo, se ne divideva una nuova. James si pietrificò al terzo, immobile a osservare quei quattro doppi intenti a uccidere e scacciare le bestie. In fondo era quello che lui desiderava.
Il suono di un colpo d’arma da fuoco spezzò i lamenti.
La copia alla sua sinistra, cadde carponi, per poi crollare tra le braccia della morte.
Uno stormo si uccelli si era alzato in volo, spaventato, puntellando il cielo notturno. Parve che lo stormo trascinasse dietro di sé nuvole cupe, segnale di tempesta.
Lo sguardo del ragazzo iniziò a vagare confuso alla ricerca dell’arma. Un uomo sulla quarantina, dai capelli fulvi, sedeva su di un cavallo scuro, quasi come i suoi abiti. Imbracciava un fucile di moderna fabbricazione, adesso puntato al cielo. Adesso puntato verso James. Il ragazzo inspirò profondamente, per poi voltarsi e riprendere a correre. Nessuna copia si divideva dal suo corpo ai suoi passi, forse era riuscito a controllarlo.
Un secondo sparo lo mancò per un soffio, andando a colpire un albero alla sua destra, producendo innumerevoli schegge che gli graffiarono il viso. Imprecò furioso.
I suoi inseguitori si erano fermati, ne sentiva i lamenti lontani, ma il cacciatore era ancora sulle sue tracce. Dopo i tre spari successivi, il ragazzo era certo che i doppi lasciatosi indietro, adesso, non erano più di alcuna utilità.
Un altro sparo colpì il terreno, sollevando frammenti di foglie secche. Nel tentativo di proteggersi, cadde a terra. Da lui si divise un’ennesima copia, che scivolò e cadde in una macchia di rovi. Dopo un successivo sparo, che si piantò a poca distanza dal suo piede, rinunciò alla flebile idea di aiutarla.
Aiutandosi con le braccia, si rialzò e riprese la corsa tra la boscaglia, nel momento stesso in cui la voce grave del cacciatore, alle sue spalle, gli gelò il sangue nelle vene.   – Dove pensi di andare, mutante? Non puoi sfuggirmi, non dopo il denaro che mi ha dato tuo padre! –  Attaccò superbo l’uomo, terminando con un’inquietante e sonora risata.
Terribile come James non considerò tali parole. Sapeva di avere un vantaggio sull’uomo, probabilmente aveva percorso il pendio lentamente per non azzoppare l’animale, e continuò a correre, pur sapendo che lo avrebbe preso in qualche modo. Vivo o morto.
La corsa era interminabile, nella cupa umidità del bosco. La vegetazione si faceva sempre più fitta, era terreno di lupi, ma questo non era più un problema. Dietro di lui, il cavallo nitriva sempre più vicino, nonostante i suoi cambi di direzione, nel tentativo di depistarlo.
Ancora un cespuglio da oltrepassare, un tronco da scavalcare. Il respiro era mozzo, il sudore scendeva gelido lungo la schiena. Avanti, sempre avanti, perché non c’era altra soluzione. Correre o morire.
Colpì con la spalla un intreccio di rami, nel tentativo di aprirsi un varco. Sentì la pelle tagliarsi e pungere le ortiche. Ancora qualche passo e il crepitio dei rami e delle foglie era accompagnato dai versi dei cani.  – Non di nuovo. –  Sussurrò irritato. L’uomo era riuscito a spronare nuovamente i cani, anche dopo quello che era successo?
Seguì un fruscio metallico, veloce. Una fitta tagliente alla caviglia destra, poi uno strattone violento. Il ragazzo si ritrovò carponi, ansante. Gli avambracci sporchi di fango denso, il collo e la caviglia dolenti. Si mise seduto, riprendendo fiato. Sapeva che ogni secondo lì, volgeva a favore del nemico. Si piegò sulla gamba, slacciando il laccio metallico dalla caviglia, al suo posto, un alone scuro. Nessun doppio si era diviso da lui, forse era meglio così, pensò.
Si alzò, pulendosi, per quanto potesse, dal fango. Alzò lo sguardo, la luna aveva percorso buona parte del suo arco, ancora poche ore e il sole avrebbe nuovamente giganteggiato sul suo cammino. La caviglia dolorante gli impediva la corsa, il suo vantaggio si era quasi esaurito e una camminata in un bosco notturno, braccato da cani e fucili, non era l’idea migliore. Posò lo sguardo su di un grande castagno, cavo e contorto, facile per un’arrampicata veloce. Con poco sforzo raggiunse un’altezza sufficientemente elevata per sfuggire all’occhio del cacciatore, si sedette su un ramo spesso e perpendicolare al tronco, immobile a fissare il terreno. Quasi si addormentò.
Due cani passarono proprio sotto i suoi occhi, mozzandogli il respiro, uno sorpassò l’albero, ma l’altro si fermò annusando l’aria. Il cacciatore fu il seguente. Fermi sotto di lui, intenti a guardarsi attorno.
 – Ragazzino, hai idea di quanto sia delusa tua madre? –  Disse come se, in qualche modo, sapesse che il ragazzo lo stava ascoltando.  – E’ colpa tua se è caduta in depressione, lo sai? –  Continuò irritante.
Il ragazzo digrignò i denti e piantò le mani sulla corteccia, tentando di controllare gli impulsi.
 – E che è morta per questo? Le hai spezzato il cuore. Ma d’altronde si sapeva che era una poveraccia, una debole. Un po’ come te. –  Terminò con tono mellifluo.
James non sapeva se quelle parole fossero vere, ma la rabbia aveva ormai preso il controllo delle sue azioni. Saltò giù dall’albero, incurante delle conseguenze, una copia dolente si liberò a terra. Afferrò un ramo robusto, spezzandolo energicamente dal tronco. Colpì una delle due bestie alla testa, stordendola, e azzoppando l’altra. Si avvicinò al cavallo, creando copie a ogni sparo.
Camminava, la caviglia non lamentava più dolore, e nemmeno i fori dei proiettili.
Afferrò la canna del fucile, trascinando a terra il cacciatore.
Il vuoto negli occhi, il cuore sembrò scomparire, così come la sua pietà.
L’uomo gridava e invocava il perdono. James sembrava non sentire nulla, nessuna parola, nessun sentimento umano, afferrò il ramo, conficcandolo con forza nel cranio dell’altro; gli occhi del nemico parvero uscire dalle orbite, tanto erano spalancati, il corpo si contorse in un movimento inquietante. Il ragazzo estrasse il ramo, grondante di sangue denso e sporco, scagliandolo via, i cani posarono il muso al suolo, guaendo, come a volersi inchinare alla preda. Una lacrima rigò il viso impolverato di James, forse per l’ultima volta della sua vita. Un tuono attirò l’attenzione del ragazzo, le nuvole avevano ormai oscurato il cielo. Iniziava la pioggia.
La maglia ormai sporca e intrisa di sudore e sangue era diventata inutile, l’ultimo simbolo della sua ‘prigionia’, la strappò, gettandola a terra. Alzò lo sguardo alle ultime lame di luce lunare, disegnando assurdamente un sorriso compiaciuto sul viso. La pioggia picchiettava delicatamente sul corpo allenato e rilassava i muscoli rigidi in difesa. Lasciò cadere lo sguardo nuovamente serio a terra, poi alle sue spalle.
 Uno scintillio riflesso fuoriusciva di poco dalla tasca del cacciatore. Si chinò sul cadavere, frugando nella giacca, ne levò una piccola cornice circolare, chiara, semplice. Il disegno di una donna, castana e di bell’aspetto. Sua madre. Socchiuse gli occhi, come a volerne onorare la memoria.
Nascose il quadro nella tasca dei pantaloni, riprendendo la corsa. Non sapeva perché stesse correndo, adesso non era più necessario, eppure ne aveva bisogno.
Bisogno di correre, bisogno di sentirsi libero.
 
Il sole stava sorgendo, caldo e rassicurante. La pioggia aveva ormai lasciato spazio alla prepotente luce del giorno. James superò gli ultimi castagni, per poi ritrovarsi sul ciglio della strada asfaltata che ormai usciva dal bosco e terminava, verso sud-est, nei centri di maggiore concentrazione. Si guardava attorno, stordito dall’improvvisa luce solare, quando, da nord, a gran velocità uscì una Corvette rossa come il fuoco, come il sangue dei caduti in battaglia, rossa come la Guerra.
L’auto frenò di scatto, ruotando di novanta gradi. Il fumo causato dalla frenata coprì di poco quella luce violenta, permettendo al ragazzo di concentrarsi. La portiera destra, rivolta verso di lui, si spalancò, senza però mostrare cosa o chi vi fosse all’interno.
Una voce femminile si fece spazio nell’attenzione del ragazzo.  – Hai bisogno di una mano? –  Innegabile il tono malizioso.
James sorrise, con altrettanta malizia, avanzando e accarezzando, con lo sguardo, l’auto e le nivee gambe della donna che apparivano nell’oscurità del fumo, sotto l’aderente abito rosso.
 – Certo. –  Sussurrò quasi impercettibilmente, sedendosi.
La portiera si chiuse e l’auto riprese la sua strada.
 
 
Considerazioni dell’Autore.

Allora… Iniziamo: questo capitolo era nato come inizio di una serie, ma ultimamente mi sono accorto di non potergli dedicare abbastanza tempo e attenzione. Quindi è diventato un racconto concluso, di una storia incompiuta, che segna l’inizio dell’indipendenza di questo personaggio poco conosciuto, quale Jamie Madrox. Se non si fosse capito: il cavaliere sul cavallo rosso, citato nel titolo, è la donna che appare alla fine del capitolo, che poi non è altro che Viper. Spero che il testo vi sia piaciuto e che recensiate per farmelo sapere. Grazie:)
- David.
   
 
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