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Autore: SEA_Fangirls    30/05/2014    6 recensioni
La pace che regna tra il Campo Mezzosangue e il Campo Giove è solo apparente. Una nuova profezia arriva ad incrinare l'equilibrio.
.
Dal profondo della morte il pericolo arriverà
Per gettare il mondo in una crudele oscurità
Nel mezzo di una guerra persa
Ricorda che il cuore è protetto dalla maggiore forza
Oh Buio, non dimenticare chi sei
Perché il mondo potrebbe finire per un errore degli dei.
.
Al Consiglio degli Dei del solstizio d'inverno, Ade dichiara guerra ai suoi fratelli, disposto a sacrificare l'intero mondo, ad annientare l'equilibrio che vige fin dai tempi più antichi, pur di ottenere il potere che reclama. I semidei si troveranno divisi, costretti a seguire le scelte dei propri genitori, costretti a combattere quelli che fino al giorno prima erano amici.
Tuttavia, gli dei non sono la minaccia più grande.
[NO SPOILER BLOOD OF OLYMPUS]
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Jason Grace, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Beginning of the End


Ottaviano
 
«Santi numi, manca ancora molto?» si lamentò Ottaviano. Erano due giorni che era stipato in quel furgoncino, insieme a una ben nutrita delegazione del Campo Giove. Erano almeno una cinquantina, tutti dentro ad un camioncino che da fuori sembrava normale, come uno di quelli per trasportare le squadre di calcio giovanili.
Non avrebbe attirato per niente l’attenzione se non fosse stato per il fatto che era viola e aveva entrambi i fianchi occupati dalla scritta SPQR a grandi lettere dorate, più diversi sponsor tra i quali Amazon, che non aveva mai capito cosa c’entrasse con tutto il resto.
Era il 20 dicembre. Fuori faceva un freddo cane, ma dentro a quel trabiccolo tutti erano smanicati, boccheggianti e appiccicaticci.
Non potevano rimanere nella comodità del Campo Giove, no. Dovevano per forza andare a quello stupido consiglio degli Dei. Reyna aveva fatto così tanta pressione sul senato che alla fine avevano deciso che sarebbero partiti, proprio nella settimana di Natale.
Avrebbero passato il 25 Dicembre sul pulmino. Fantastico.
Ottaviano sapeva che era un pensiero un po’ da bambini, ma avrebbe tanto voluto passare il Natale con la sua famiglia. Ma per Reyna il Solstizio d’Inverno era venuto prima di tutto.
«Allora, qualcuno mi vuole dire quanto manca?» insisté Ottaviano.
«Vuoi stare zitto un momento?» gli rispose brusca Reyna dal posto di guida. Quella strega rompiscatole della Levesque rincarò la dose: «Perché non sbudelli un peluche e lo leggi nell’ovatta?».
Prima che potesse rispondere per le rime, intervenne Jason: «Circa due ore e mezzo. Ti consiglio di trovarti qualcosa da fare».
“Certo, come no…” pensò Ottaviano. Poi diede una scrollata di spalle e decise di farsi una dormita, nonostante il caldo e il sedile scomodo.
Prese il suo sacco dei peluche, che si portava sempre dietro per qualsiasi evenienza e se lo sistemò dietro alla testa.
Abbassò il sedile e allungò le gambe sulla spalliera di fronte la lui, provocando diverse proteste. Naturalmente non si prese neanche la briga di badarci.
Sentì subito il sonno che si impossessava della sua mente e le palpebre che gli si chiudevano. Stirò le braccia in alto, sbadigliò e finalmente chiuse gli occhi.
Non aveva pensato ai sogni che lo perseguitavano da settimane. Perché doveva? Erano cinque giorni che non si presentavano e, in fondo, quali grandi rivelazioni poteva avere mentre era su un furgoncino rovente diretto a Long Island? Nessuna.
Naturalmente si sbagliava.
Appena perse la presa sulla realtà che lo circondava, ritornò lo stesso sogno da giorni. La ragazza con i capelli rossi.
Si ritrovò nella caverna. L’ingresso era piuttosto lugubre, con quei drappi viola e le torce verdi. Ma una volta entrato sapeva che avrebbe trovato un grande spazio accogliente, arredato in modo moderno e pieno di colori.
In mezzo a tutto c’era lei, la ragazza con i capelli rossi. Aveva una felpa di Harvard e i jeans strappati macchiati di pennarello e colori acrilici. Era in piedi davanti a una tela, ma non stava dipingendo.
Non appena lo sentì entrare si voltò: aveva un bel sorriso e due caldi occhi verdi. In quegli occhi, però, c’era qualcosa che turbava tutto. Un’altra tonalità di verde, più scuro, più freddo. Quasi malvagio avrebbe detto Ottaviano, anche se non percepiva la ragazza come un pericolo.
«Ti aspettavo, era da un po’ che non ci vedevamo.» Sembrava che lo conoscesse, anche se non ne aveva mai dato prova. Non aveva mai detto il suo nome, o qualcosa che lo riguardasse. Si era soltanto limitata a mostrargli quelli che lei chiamava “i Fatti”.
«Chi sei?» le chiese per l’ennesima volta Ottaviano. Le poneva sempre quella domanda, e lei dava sempre la solita risposta: «Sono come te.» Lui non aveva mai compreso il significato di quelle parole. Non conosceva quella ragazza. Non aveva la minima idea di chi fosse né del perché continuasse a perseguitarlo tutte le notti. Come poteva essere come lui?
Avrebbe voluto costringerla a rivelargli qualche dettaglio in più su quegli incubi. Invece fece esattamente quello che faceva tutte le volte. Fissò i suoi occhi verdi finché lei non disse: «Devo mostrati qualcosa». Tipico. Tutte le volte gli mostrava qualcosa. Erano scene di imprese eroiche. In molte di esse c’era Jackson, a volte insieme a un fauno e a una biondina. In altre c’era un ragazzo biondo con una spaventosa cicatrice su un occhio. Erano scene di guerra, per lo più.
Stavolta però la ragazza dai capelli rossi aggiunse: «Oggi però sarà un po’ diverso. Finora ti ho mostrato il passato. Adesso ti mostrerò il futuro».
Si scostò dalla tela e Ottaviano fu assorbito da una delle consuete visioni. Per un attimo fu tutto nero. Aspettò che immagini colorate gli apparissero davanti agli occhi, ma non successe niente. Solo buio. Poi, lentamente, l’oscurità prese vita e cominciò ad avvolgersi intorno a lui come un soffocante panno di velluto nero. Barcollò all’indietro, cercando di liberarsi da quel senso di oppressione. Non riusciva a vedere assolutamente niente, neanche il resto del suo corpo. L’oscurità pulsava e si diffondeva, mentre fievoli lamenti di voci umane salivano alle sue orecchie. Sembravano persone agonizzanti, disperate.
Che razza di posto era quello? Dove si trovava?
Le gambe non riuscirono più a reggere il suo peso e cadde, mentre il buio gli entrava in bocca, nei polmoni, negli occhi. Il terrore più cieco lo invase. Quello che era intorno a lui lo stava lentamente uccidendo, lo sentiva. Stava prosciugando ogni goccia di vita dal suo corpo. Si sentiva paralizzato. Stava morendo.
Ad un tratto Ottaviano vide due bagliori verdi nella coltre nera. All’inizio lontani, grandi come capocchie di spillo, poi sempre più vicini, fino a diventare occhi. Gli occhi della ragazza: «Svegliati!» gli ordinò.
«Aspetta! Dimmi almeno cosa significa!» gridò Ottaviano mentre tutto intorno a lui si faceva un vortice confuso e spariva.
L’augure aprì gli occhi e si ritrovò faccia a faccia con una Reyna piuttosto perplessa: «Cosa significa cosa?» gli chiese.
«Oh… io… niente Reyna. Stavo solo sognando».
Reyna lo guardò ancora più perplessa, e forse anche un po’ preoccupata: «Sei sicuro di star bene?» gli domandò, stavolta con più gentilezza.
Solo allora Ottaviano si vide riflesso nel finestrino. Era ancora più pallido del solito, e i suoi capelli erano sparati in tutte le direzioni. Aveva una chiazza rossa sullo zigomo, il segno lasciato dall’occhietto di plastica di quello che riconobbe essere un leoncino di peluche. “Tu sarai il primo ad essere squartato” promise all’animaletto. Poi rispose a Reyna: «Gentile a preoccuparti, ma ho avuto solo un brutto sogno. Non è niente».
Il pretore si accigliò ancora di più, ma riacquistò il suo tono brusco: «Muoviti a scendere, siamo arrivati».
Ottaviano si accorse che sul furgoncino erano rimasti solo lui e Reyna, così si affrettò a radunare le sue cose e scese in fretta.
Appena varcata la soglia del pulmino si pentì di non avere con se una giacca. Il freddo di fuori era pungente e il sudore gli si gelò immediatamente addosso.
Si strinse nelle spalle e gettò uno sguardo davanti a lui: avevano parcheggiato ai piedi di una collina sulla cui cima c’era un pino. Appeso ad un ramo c’era quello che, almeno così gli avevano detto, era l’originale Vello d’Oro, recuperato dall’isola del ciclope Polifemo.
Ottaviano prese la sua valigia dal bagagliaio del furgoncino e si incamminò con gli altri su per il crinale della collina.
Continuava a tenere lo sguardo fisso davanti a se, impaziente di vedere il famoso Campo Mezzosangue.
Nella settimana che avrebbero passato a Long Island sarebbero stati ospitati dai loro “fratelli greci”.
Come se l’odio protratto per millenni potesse essere annullato da uno scambio culturale tra semidei.
Man mano che si avvicinava al pino, Ottaviano notò che c’era qualcosa adagiato ai piedi dell’albero. All’inizio sembravano solo cavi elettrici viola, poi, quando i cavi sbuffarono e si mossero, capì che si trattava di qualcos’altro: «Ah! Un drago! » non poté trattenersi dal gridare.
Proprio in quel momento una figura arrivò di corsa verso di loro: Percy Jackson. Figlio di Nettuno, pardon, di Poseidone.
Percy salutò con la mano la delegazione del Campo Giove e poi disse: «Scusatemi se non vi avevo detto di Peleo. E’ a guardia del Vello. È ancora un cucciolone, non vi farà alcun male. Spero che non vi abbia spaventati, prima ho sentito una ragazza gridare». Il commento generò diverse risatine diffuse, facendo avvampare di rabbia Ottaviano.
«Facci strada Jackson» disse brusco.
Percy si voltò e li condusse su per la collina. Una volta arrivati all’altezza del pino si fermò e disse: «Aspettate. Devo darvi l’autorizzazione a passare. Ci vorrà un attimo». Alzò entrambe le mani e proclamò: «Io, Percy Jackson, do l’autorizzazione al Campo Giove ad entrare». Poi procedette tranquillamente, seguito a ruota da Jason, Hazel e Frank.
Tutti gli altri indugiarono per un attimo verso la vallata che si estendeva sotto di loro. Ottaviano si aspettava di trovare edifici e templi maestosi.
Invece c’era solo una semplice villa. Una casa colonica azzurra.
Alla fine anche Ottaviano si decise a superare il pino.
La prima cosa che sentì fu l’aria tiepida intorno a sé, niente a che vedere con il freddo dell’istante prima.
Mentre fuori era nuvoloso, dentro questa “barriera” splendeva il sole e c’era aria di primavera. Soprattutto, però, a parte la casa azzurra adesso nella vallata c’era di tutto e di più.
Campi coltivati si estendevano fino ad una piccola baia e una foresta enorme copriva il resto del terreno fin dove si riuscisse a vedere. Sul margine del bosco venti casette completamente diverse l’una dall’altra erano disposte a formare un’Ω. C’era un laghetto, una parete per l’arrampicata che sembrava infuocata, un’arena, delle scuderie, delle postazioni di tiro con l’arco, campi da gioco e una fucina.
Su tutto troneggiava un padiglione aperto, costruito su un’altura. Tutto era in perfetto stile greco, elegante ed equilibrato, ma mancava della potenza e dell’austerità romana.  “Probabilmente i greci passano le giornate a raccogliere i fiori” pensò Ottaviano.
Percy Jackson si voltò verso la comitiva, spalancò le braccia ed esclamò: «Benvenuti al Campo Mezzosangue!». Vedendo le facce stupite di molti, poi, aggiunse: «Il Campo è protetto da confini magici. Qui dentro fa sempre caldo e splende il sole, a meno che non gli sia ordinato di fare altrimenti».
“Ah, però. questi greci sì che si trattano bene. Magari avessimo noi roba del genere al Campo Giove” si disse Ottaviano.
Il figlio di Poseidone continuò:«Abbiamo pensato che potreste sperimentare la vita come la trascorriamo noi qui. Ogni ragazzo verrà ospitato nella capanna in onore del suo equivalente greco e saranno i vostri fratelli greci a farvi da guida al Campo. Chi di voi non avesse un genitore divino con un corrispondente greco, o semplicemente non se la sentisse, verrà ospitato nella Casa Grande. Lasciate pure i vostri bagagli qui. Se ne occuperà Argo, il nostro guardiano. Questa sera daremo un party e ci sarà una Caccia alla Bandiera in vostro onore. Adesso sono circa le 12:30. Tra poco sarà servito il pranzo, poi avrete tutto il pomeriggio per riposarvi in vista del Consiglio degli Dei di domani. Bene, ho finito. Ci sono domande?».
Una mano si levò dalle retrovie del gruppo del Campo Giove: «Che cos’è la Caccia alla Bandiera?» chiese una ragazzina della Seconda Coorte.
Percy Jackson rispose:«Oh, lo scoprirai presto! Nessun altro? Ah, quasi dimenticavo. Chi avesse intenzione di alloggiare alla Casa Grande, lo dica ad Argo che sarà qui a momenti. Lo riconoscerete da, beh… gli occhi. Ah eccolo che arriva!».
Un tizio gli stava andando in contro e aveva… occhi. Dappertutto. In ogni lembo di pelle scoperta c’era un occhio. Forse era ancora più spaventoso del drago.
Reyna e altri cinque gli si avvicinarono timidamente per dare i nominativi e indicare i bagagli da portare alla Casa Grande. Anche Ottaviano si unì al gruppo. Benché fosse un Legato discendente di Apollo e con il dono della profezia, aveva l’impressione che sarebbe stato meglio se non avesse diviso la sua stanza. Non gli piaceva per niente l’idea di dormire con dei greci.
Mentre Argo compilava il suo nome nella lista, Ottaviano intravide un lampo rosso in lontananza. Si staccò un attimo dalla fila e scese di qualche passo giù per la collina, per vedere meglio.
Sul portico della Casa Grade, riparate all’ombra, c’erano due ragazze che stavano chiacchierando. Una era la biondina che doveva essere fidanzata con Jackson, com’è che si chiamava? Ah, ecco Annabeth. Se la ricordava vagamente da alcuni suoi sogni. Ma era l’altra ragazza a sconvolgerlo di più, perché era stata lei ad attirare la sua attenzione. La ragazza dai capelli rossi.
Per poco, Ottaviano non si sentì mancare la terra sotto i piedi. Allora quella ragazza esisteva davvero ed era una greca. Frequentava il Campo Mezzosangue. Ma come aveva fatto a trovarlo?
Prima che potesse porsi altre domande, Jackson riprese il suo discorso di benvenuto: «E adesso, venite tutti con me alla Casa Grande. Vi presenteremo Chirone, il nostro capo, e alcuni dei nostri semidei, che vi faranno da guida».
Scesero in branco giù, verso la vallata, mentre un corno risuonava in lontananza. Quando arrivarono al portico della Casa Grande, tutti i semidei del Campo erano allineati in bell’ordine, per dargli il benvenuto ufficiale. Non erano molti, forse non arrivavano neanche ad essere cinquanta.
Tra loro c’era anche la ragazza rossa, che però non sembrò neanche notarlo. Forse si era sbagliato? No, Ottaviano era certo che fosse lei.
Dall’ingresso principale uscì un uomo con la barba curata e su una sedia a rotelle. Tutti ammutolirono e lui prese la parola: «Mi presento, io sono Chirone. Anche se quello che comanda qui sono io, non sono direttore a tutti gli effetti». Lanciò un occhiata eloquente ad un tizio roseo in camicia leopardata, che era rimasto seduto al fresco del portico, che sorrise. Chirone riprese: «Il direttore infatti è il signor D, come lo chiamiamo noi, ma è meglio conosciuto come Dioniso, dio greco del vino».
Dakota, centurione della Quinta Coorte, aprì bocca per dire qualcosa, ma ebbe la buona creanza di starsene zitto.
Proprio in quel momento, a Ottaviano arrivò il segno che aspettava. La ragazza dai capelli rossi, che si guardava intorno curiosa, intercettò il suo sguardo. Per un attimo i suoi occhi verdissimi rimasero fermi su di lui, interdetti. Poi sbiancò, come se avesse appena visto dal vivo il suo peggior incubo.
Il resto del discorso tenuto da Chirone fu solo un mucchio di parole confuse per Ottaviano. Sentì che l’uomo blaterava qualcosa sulle basse frequentazioni del campo nella stagione invernale, ma era difficile concentrarsi quando avevi appena scoperto che la ragazza che ti tormentava in sogno da settimane era reale, solo a qualche metro da te e ti guardava come se fossi un mostro.
L’unica cosa che fu in grado di attirare nuovamente la sua attenzione su ciò che stava succedendo intorno fu Chirone che calciava via la sedia a rotelle, rivelandosi un cavallo dalla vita in giù.
I romani si ritrassero a quella vista, ma il centauro li rassicurò: «Tranquilli! Sono docile!». Poi, con un sorriso, aggiunse: «Adesso sì che siete liberi! Potete fare tutto quello che vi pare, basta che non distruggiate il Campo!».
Mentre i ragazzi romani cercavano di adattarsi, cercando i loro fratelli greci e facendosi spiegare altro sul Campo Mezzosangue, Ottaviano si defilò per entrare nella Casa Grande. Era troppo sconvolto per fare qualsiasi cosa che non fosse darsi una sciacquata al viso con acqua gelida e gettarsi su un letto comodo per cercare una logica alla situazione assurda in cui si era trovato. Prima di varcare la soglia vide Jason Grace che correva in contro ad una bellissima ragazza, forse la Piper di cui aveva tanto parlato, e la baciava, cosa che provocò all’augure una smorfia di disgusto.
Entrato nel salone della Casa, vide Argo che smistava i bagagli. Gli chiese quale fosse la sua camera, ma Argo gli diede semplicemente una chiave. Ottaviano non volle insistere. Aveva decisamente timore di quel… coso. Avrebbe trovato la camera da solo.
Così prese il suo bagaglio e sgattaiolò su per le scale. Arrivato al secondo piano, dopo aver provato la chiave in tutte le porte che aveva incontrato, ma senza successo, sentì che qualcosa si muoveva nella sua tasca.
Infilò la mano per controllare e la chiave volò via, attratta da una forza misteriosa, andando ad infilarsi nella serratura di una stanza infondo al corridoio, aprendo la porta con un piacevole clic.
Ottaviano lodò gli dei e si precipitò nella camera. Si buttò sul letto e cercò di rimettere insieme i pezzi di quell’assurdo puzzle. Ma nessuno sembrava incastrarsi con gli altri. Finì che si assopì, grato per avere un letto comodo.
Fu svegliato dal corno che annunciava il pranzo. Si diede una sciacquata veloce e uscì tranquillamente di camera.
L’unica cosa che riuscì a vedere prima di trovarsi attaccato al muro del corridoio fu di nuovo un lampo rosso.
Un attimo dopo si ritrovò faccia a faccia con la ragazza dai capelli rossi, solo che lei lo aveva inchiodato e gli teneva un avambraccio premuto sul collo per farlo stare fermo.
«Ehi!» protestò Ottaviano.
«Che cosa sono tutte le cose che mi hai mostrato? Che cos’era quella di ieri notte?» ringhiò lei.
«Senti bella, qui l’unica che mi ha fatto vedere cose tragiche sei tu! Sono settimane che mi perseguiti!» rispose lui brusco.
«No, sono settimane che mi perseguiti tu! Che cos’era quel buio? Hai detto che era il futuro, di cosa stavi parlando?».
A Ottaviano piacque la determinazione con cui cercava risposte, ma lui certo non poteva dargliele. L’unica che poteva dare una spiegazione era lei. Poi, improvvisamente, ebbe un’idea. «Aspetta, che cosa hai sognato esattamente?» le chiese.
«C’eri tu, in un tempio. Mi hai detto che mi stavi aspettando e che mi volevi mostrare qualcosa di diverso, il futuro. Poi tutto è scomparso e io mi sono ritrovata da sola al buio, ma non era un buio normale. L’oscurità… mi stava uccidendo».
Ottaviano si sentì mancare. Mise le mani sulle spalle della ragazza e bisbigliò: «È il mio stesso identico sogno. Solo che nel mio non c’ero io. C’eri tu».
La ragazza gli tolse il braccio dal collo e lo guardò perplessa. «Da quanto tempo fai questi sogni?» gli chiese.
Ottaviano ci pensò e poi rispose: «Da circa un mese. Mi pare che il primo sia stato il 15 novembre».
«15 novembre… è anche la data del mio primo sogno» disse la ragazza. Gli tese la mano: «Mi sa che se vogliamo capirci qualcosa sarà meglio collaborare. Sono Rachel Elizabeth Dare, Oracolo di Delfi».
«Ottaviano, augure del Campo Giove». Lui la strinse.
_____________________________________________________ Spazio autrici: Ave a voi, lettori! A scrivere questa fan fiction siamo in due: Adele e Sofia (SEA = Sofia E Adele). 
Idea ci è venuta a scuola, durante un'improduttiva ora di tecnologia.
Abbiamo semplicemente pensato:«Ehi, come sarebbe se ci fosse una guerra tra dei?» e boom! È venuto giù tutto. Abbiamo passato settimane a progettare la storia nei minimi particolari e a perfezionare i capitoli. 
Perciò, adesso, dopo che abbiamo buttato il nostro sangue su questa storia, speriamo che sia venuta bene!
Il titolo di ogni capitolo è anche il titolo di una canzone che pensiamo identifichi bene la trama: in questo caso la canzone è The Beginning of the End, dei Nine Inch Nails.
Tu che leggi, visto che sei arrivato fin qui... ti andrebbe di lasciarci una piccola recensione? Un'opinione, un commento o una critica. Qualsiasi cosa andrà bene! ;)
Tanti saluti dalle vostre
SEA.
  
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