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Autore: Koa__    31/05/2014    3 recensioni
La relazione tra Spock e il capitano Kirk visto in tre fasi cruciali del loro rapporto: amici, fratelli, amanti.
[TOS]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sa-kai



«Dove diavolo siamo capitati?» È il dottor McCoy a spezzare il silenzio anche se, tecnicamente, da che sono sbarcati su Zlato II e hanno incontrato i primi abitanti, l’ufficiale medico dell’Enterprise non ha fatto altro se non borbottare. Spock si rende perfettamente conto che se non fosse per il suo ben noto contegno vulcaniano o per la presenza del capitano, che in ogni caso non sembra badare alle insulse domande del dottore, lo avrebbe già azzittito. Naturalmente, Spock non può negare il fatto che McCoy abbia ragione perché Zlato II, pianeta di classe M mai esplorato dalla Federazione, non è il luogo che si aspettavano di trovare. Le uniche informazioni in loro possesso sono state reperite da antichi database vulcaniani, fino ad ora gli unici ad essere entrati in contatto con quella civiltà già più di duecento anni prima. Stando alle notizie avrebbe dovuto essere un pianeta a precurvatura in rapido sviluppo e invece gli alieni appaiono come primitivi ed ostili. Spock si ritrova ad osservarli e a farlo con fare confuso mentre al suo fianco, il capitano Kirk pare tendersi e farlo impercettibilmente. Nessuno della squadra sembra averci fatto caso, ma d’altra parte, Spock sa benissimo d’avere con il proprio superiore una sorta di atipica affinità. Con il tempo ha imparato a notare le sfumature, piccole espressioni che appaiono per brevi momenti sul volto di quel giovane e sfacciato capitano terrestre. Non è un’abilità che ha sviluppato da un giorno all’altro; di quei primi tempi al suo fianco, Spock ricorda principalmente tanta confusione. Stare a stretto contatto però lo ha aiutato ad intuire almeno un lato del suo carattere. Lo ha studiato, osservato, ha provato a capire che tipo di persona fosse, ha cercato di intuirne i pensieri. Adesso, il primo ufficiale dell’Enterprise, sa molto sul suo capitano, ma è anche ben conscio del fatto che Jim è un individuo molto più complesso di quanto non sembri ad un primo impatto. Nasconde un animo sfaccettato, James T. Kirk e il solo pensiero di svelare poco a poco il suo animo, è intrigante e affascinante. Interessante al pari dell’avventura che vive ogni giorno a bordo dell’Enterprise. Già perché Jim ha un carattere complesso e di difficile interpretazione: spesso è mosso da un forte senso di giustizia, applica le regole e quando lo fa, agisce sempre in maniera logica e ragionata. In altre situazioni però, in lui prende il sopravvento l’istinto e il suo modo di pensare e comportarsi diventa insensato. Eppure, anche quando segue linee comportamentali date da schemi illogici e imprevedibili, Jim riesce sempre a far volgere le situazioni nel modo che gli è più opportuno. Se fosse terrestre e non vulcaniano, Spock direbbe che è un uomo fortunato. Se pensasse un po’ più come il dottor McCoy, direbbe che quella di Kirk è tutta questione di buona sorte. Ma Spock è prima di tutto figlio di Sarek e non crede in qualcosa di illogico ed effimero come la fortuna. Essa non esiste perché non ha fondamenti scientifici, tanto che gli umani la evocano come se fosse qualcosa di magico. No. L’universo è scienza e matematica. I calcoli probabilistici sono la sola cosa che dà loro la possibilità di fornire una spiegazione agli insensati successi di Jim Kirk. Come al solito però, il primo ufficiale Spock si sente spaccato a metà, e mentre una parte di lui rimane fermamente convinta del fatto che la ragione sia la sola spiegazione, un lato di lui è quasi sicuro che il capitano sia una specie di Dio a cui è concessa un’immensa fortuna. Ricaccia indietro quell’assurdo pensiero non appena lo formula, tentando di riportare l’attenzione sugli alieni che ha davanti a sé. Controllo. Deve riprendere il controllo perché quello non è il momento più opportuno per provare a capire Jim. Sposta lo sguardo su di lui e lo osserva per brevi istanti: è ancora teso, ma fa ogni cosa pur di non darlo a vedere. La sua priorità è far sì che la squadra sia al sicuro, del resto poco gli importa, specie perché (giustamente) il capitano è certo che gli zlataniani siano imprevedibili. Quelli che ha di fronte sono un gruppetto di pochi individui, ma di sicuro non sono i soli a popolare il pianeta.


Si risveglia appena nota Jim protendersi verso il gruppetto di ostili, lui invece dovrebbe riportare l’attenzione su quanto sta per accadere, ma è come se non potesse non starsene lì a riflettere su quanto sia sorprendente il modo di fare di quel terrestre. Ancora adesso, dopo più di un anno al suo fianco fatica a capire come faccia il capitano ad essere così straordinario e che cosa nasconda ancora quella mente splendida. Però sta imparando, Spock e forse è merito di quell’affinità che indubbiamente scorre tra loro e che troppe volte lo irrita. Non deve provare simili sentimenti, ma il non riuscire ad afferrare la complessità dell’animo del suo capitano, lo indispone. È come se ci fosse qualcosa di sbagliato in loro, in quel rapporto strano che hanno. Anche adesso, ad esempio, sa cosa sta provando e ciò non è spiegabile in termini di logica. Il capitano è teso e non solo lo nota dalla postura rigida, dalla mano pronta ad afferrare il phaser sistemato nella cintola, dagli occhi sottili e dalla bocca contratta, ma soprattutto lo sente: sente tutta la sua tensione. È preoccupato e Spock lo sa, non ha idea di come sia possibile che riesca ad intuire tanto bene certe cosse di lui e non si vuole nemmeno interrogare. Perché, lentamente, il suo granitico rigore sta iniziando a prendere il sopravvento su quella metà umana che lo fa sragionare. Rifletterà, ovviamente, su quelle strane sensazioni e su quanto riesca ad essere incredibilmente intuitivo, per essere un vulcaniano. Ma non adesso. Riporta lo sguardo sul capitano: è fermo al suo fianco ed è nervoso. Le loro spalle si scontrano e si sfiorano di tanto in tanto. Il contatto è piacevole e permette a Spock di infondergli un po’ di sicurezza. Addirittura si volta verso di lui, ne studia lo sguardo e lo vede intento a pensare. Sa che sta vagliando la situazione e che sta cercando di capire in cosa hanno sbagliato. Lo conosce e sa che formula simili pensieri anche se si dice che non dovrebbe (perché non è il momento opportuno). Sta infatti per fargli notare di concentrarsi, dicendolo forse più a sé stesso che a Jim, quando Checov lo precede.

«Capitano, guardi là!» esclama il giovane russo, indicando un gruppo di zlataniani spuntare da dietro le colline.
«Saranno un centinaio» interviene invece il dottore.
«Capitano, le suggerisco di teletrasportaci sull’Enterprise. Il numero di zlataniani che ci circonda inizia ad essere elevato e se cinque uomini sono innocui, un centinaio (come dice il dottore) potrebbero essere pericolosi.» Lo vede annuire, dopodiché estrarre il comunicatore e chiamare l’Enterprise. Andarsene da lì è la sola azione logica che si possa fare, di certo la prima cosa che farà una volta tornato a bordo sarà capire il perché di un simile errore, occorreranno indagini approfondite: il capitano vorrà delle risposte e dargliele sarà suo compito in quanto primo ufficiale scientifico.
«Scotty, dobbiamo filare via da qui subito, ci porti immediatamente a bordo.»
«Non possiamo, capitano, c’è un guasto alla matrice di teletrasporto. Mi servirà del tempo.»
«Quanto?»
«Devo ricostruire tutto e…»
«Quanto tempo, Scott?»
«Due ore al massimo. Posso far scendere una navetta, se siete in difficoltà.»
«No, abbiamo contaminato questo luogo a sufficienza. Troveremo un nascondiglio, torni al lavoro e ci contatti subito appena avrà finito.»
«Sì, signore. Scott, chiudo.»


Il primo ufficiale Spock ha sempre considerato il proprio capitano e diretto superiore innanzitutto come un uomo da rispettare. Seppur, in quanto vulcaniano, sia mosso da evidenti dubbi e pregiudizi circa il suo essere troppo umano, dopo, si è ritrovato a doversi ricredere. Ha cambiato idea e con il tempo è diventato anche suo amico. Sono state le partite a scacchi ad avvicinarli più di tutto il resto, più delle missioni, più dei pasti condivisi. Lui e Jim trascorrono le serate insieme a parlare e a muovere pedine, è stato così che sono diventati amici. Spock non ha mai avuto un amico. Molti conoscenti, tanti colleghi, ma di amici nessuno. Sua madre quando era bambino diceva che sperava che un giorno ne avrebbe avuto uno e che niente è più bello che condividere le proprie esperienze con un amico. Dei racconti di Amanda, Spock ricorda l’incomprensione. Il non riuscire a capire, nonostante gli sforzi, il significato di quelle parole troppo umane ed illogiche per avere un senso. Anche adesso, se ripensa a quel che lei gli diceva e al significato dal termine amico, si rende conto che su Jim è ancora più sbagliato. Lui non è un suo t’hai’la, ma il suo capitano e lo sarà sempre; anche se è perfettamente conscio dell’esistenza di un rispetto reciproco che va al di là della divisa che portano. Se Spock dovesse trovare una parola per definire il loro rapporto direbbe che lo considera come suo fratello. Anche se da un punto di vista prettamente logico, sarebbe insensato affermare che Jim è il suo sa-kai perché non hanno legami di sangue, né parentele lontane. Però sono talmente tante le affinità che possiedono, che Spock non riesce a concepire altra parola che vada bene per loro. O meglio ce n’è una, ma al momento è talmente insensata che la richiude in un angolo del cervello, deciso a non aprire mai più quella porta. Perché in quel momento la sola cosa che domina la sua mente è salvare quello stesso capitano che chiama fratello. E non c’è solo cieca fedeltà nei suoi intenti, ma un profondo desiderio di saperlo al sicuro. Anche se è insensato scindere due parti di una stessa persona, Spock lo fa e non ha timore di apparire illogico. Perché è come se Jim, per lui, fosse due persone differenti. C’è il suo capitano, Kirk e poi c’è il suo amico e fratello, Jim. E di certo Spock si trova ad un passo dalla follia, ma sa che entrambi devono essere tratti in salvo. Portar via tutti da lì e far sì che nessuno venga ferito o ucciso. Questo ha in mente Spock e questo ha intenzione di mettere in pratica. Ha un’idea e gliela propone. Il capitano non è contento perché non vuole che il suo primo ufficiale faccia tutto da solo, ma poi capisce che mettere la squadra al riparo dagli alieni anche a discapito di un solo membro, è l’azione più logica da compiere. Il bene dei molti. È quella la frase che, da vulcaniano, non fa altro che ripetergli fin dal primo giorno a San Francisco. Parole che il capitano rispetta perché ben conscio del fatto che sono più che sensate, per quanto riluttante si mostri ogni volta in cui Spock gli ribadisce il concetto che sì, il bene dei molti è più importante di quello di un solo individuo. E anche quella volta sembra che Jim se ne sia reso conto anche se è riluttante ad ammetterlo, mostrandosi decisamente più cocciuto del solito. Pertanto nega, il giovane Kirk­, nega e lo fa vistosamente. Spock non ama ripetersi o ribadire concetti elementari a individui che dovrebbero essere dotati di un’intelligenza superiore come il capitano, ma si ritrova ad insistere affinché se ne vada e a farlo con determinazione.

«Capitano, è fondamentale che lei si metta al sicuro. Ho già elaborato uno stratagemma che dovrebbe essere efficace all’80.4 percento.»
«E il restant…»
«Ha ragione, Jim, andiamocene» interviene quindi il dottore, afferrando il capitano per una spalla e stringendo appena. A Spock quel contatto dà fastidio, lo irrita il fatto che il suo sa-kai venga toccato da un altro individuo; sente che è sbagliato e che ogni cosa diventa giusta solo quando lui lo tocca. Qualcosa prende a vibrare in lui e a farlo nel profondo. Controllo. Controllo e logica. Sopprimere le emozioni, il fastidio, la gelosia di vedere Jim dar retta a qualcuno che non sia lui. Perché sì, Jim ha dato retta a McCoy e non a lui, l’idea che sia sbagliato tutto quello si fa strada in lui e prende piede, troppo piede perché riesca a sopprimerlo. Ma ormai non conta più, perché se ne stanno andando, Jim è al sicuro e questo basta.


 
oOoOo


 
Il piano di Spock si basa su un concetto elementare: menti semplici si intimoriscono con stratagemmi banali. Sa che deve scacciare un cospicuo numero di persone e quindi ci vuole un trucco che possa far effetto su una consistente massa di individui. Non elabora nulla di complicato, ma da scienziato sa perfettamente come comportarsi. Tutto ciò che si limita a fare, è causare una reazione chimica con alcuni cristalli di pirovite che ha trovato lungo la strada ed altri di marnesio che ha notato poco lontano. Fumo. Quei due elementi combinati ne sprigionano tanto, dandogli modo di fuggire via. Non si sofferma ad osservare le reazioni degli zlataniani, lo fa dopo essersi messo in una postazione sicura. Si inerpica su un albero decisamente molto alto e una volta giunto in cima, guarda ed aspetta. Da dove si trova può tenere sotto controllo l’intera vallata e ha visto la direzione in cui è fuggita la squadra. Ciò di cui gli importa al momento sono solo gli alieni. Sono rimasti spaesati dalla reazione chimica, il fumo li ha separati, intimoriti e spaventati. Ci vuole un po’ perché tutto quel vapore si diradi, ma quando lo fa, questi fuggono via immediatamente rintanandosi oltre la collina. Non torneranno almeno fino a quando non si sentiranno al sicuro e ciò non avverrà ancora per molte ore. Spock si rovista in cerca del comunicatore, rendendosi conto che non ce l’ha. Gli è scivolata via la cintola, forse nella fuga, e ha perso anche il phaser. Tornare sui propri passi potrebbe essere pericoloso e non è detto che gli zlataniani non tornino o che si spaventino ancora con un trucco tanto semplice. Quindi decide di raggiungere subito il capitano e scende lungo l’albero, ma una volta giunto a metà perde la presa e scivola a terra. Cade pesantemente ed un taglio gli fa sanguinare copiosamente una gamba, ma non è il dolore ad impensierirlo quanto il fatto che la ferita sembra essere profonda. Deve raggiungerle Jim e il dottore, a questo punto non può fare altro e poi la logica e la disciplina lo aiuteranno a far sì che il dolore non precluda i suoi ragionamenti logici. Estrae il tricorder notando che indica tre segni vitali umani a 8.2 gradi nord a due miglia di distanza. È piuttosto lontano in effetti, ma il sole forte e quel caldo lo aiuteranno di certo a mantenere un equilibrio psicofisico. [1]


Dopo dieci minuti di marcia, Spock percepisce un rumore di passi che avanzano con fare regolare in sua direzione. Non vede chi sia a venirgli incontro, ma è sicuro che si tratti di un bipede e stia correndo. Pertanto si guarda attorno, è ferito e disarmato: deve nascondersi. Quei cespugli sono relativamente alti e celeranno la sua figura distesa. Si accuccia e rimane il silenzio, in attesa. Di principio non vede nulla, ma poi sente i passi rallentare e infine fermarsi proprio di fronte a dove si è imboscato. Si abbassa meglio che può e scosta l’erba alta di modo da poter vedere di chi si tratti, è allora che nota distintamente la divisa della Flotta: è lui.
«Capitano!» La voce gli esce bassa e roca, ma sa che lui ha sentito lo stesso. Gli si avvicina, scosta l’erba e Spock lo nota subito, il suo sguardo andare diretto alla ferita. Seppur sia un umano controllato, in quel momento non riesce a nascondere la paura. Jim è preoccupato e anche se una parte della propria mente gli dice che un capitano del genere si prende a cuore il benessere di tutti i suoi uomini, una parte di sé gli urla che per il suo primo ufficiale, per lui, Jim si preoccupa un po’ di più.
«La ferita non è grave» mormora in un tentativo di rassicurarlo.
«Questo lo lasci decidere a McCoy, venga: andiamocene da questo posto.» Lo prende per un braccio, gli stringe la vita, ma Spock si lamenta e cerca di divincolarsi.
«Riesco a camminare da solo» afferma con una sicurezza, che viene però totalmente ignorata. Non sta venendo abbracciato, non è da considerasi niente di simile perché il capitano lo sta solo aiutando a stare in piedi. Eppure, Spock si bea di quella sensazione. Sente il proprio cuore battere contro il fianco di Jim, il suo calore, il suo odore… ne è invaso, e gli piace. Capisce di amare quel contatto seppur sia un vulcaniano e trarre piacere fisico dalla vicinanza con un altro individuo è, oltre che poco lecito, del tutto illogico. Senza senso così come per quella strana unione che hanno. No. Spock non ci deve pensare adesso. Lo farà, prima o poi lo farà se lo promette. Ora però si gode semplicemente il momento e dando un po’ la scusa alla debolezza fisica, si crogiola in quel non abbraccio.


La grotta la raggiungono dopo una ventina di minuti di cammino, non ne è certo perché deve esser svenuto un paio di volte, ma a mente ha calcolato più o meno il tempo che hanno potuto impiegare, considerando la velocità dell’incedere. Non che questo sia di una qualche utilità, in effetti. La ferita continua a sanguinare e Spock è debole e più sta in piedi, più è stanco ed affaticato. Non lo ammette, ma vedere il dottore lo rincuora, almeno in parte. McCoy ha modi di fare bruschi, borbotta, si lamenta e non perde mai occasione per dargli del robot o dell’odioso goblin verde. Eppure, mentre è intento a fare il proprio lavoro, si carica di una delicatezza che Spock non ritiene sia plausibile possa esistere in una medesima persona. Quello stesso individuo che lo tratta come se fosse un computer e che si fa prendere spesso e volentieri da un’immotivata passione, è colui il quale sta armeggiando alla sua gamba e lo fa con modi delicati. Spock si rilassa e chiude gli occhi, lascia che McCoy lo curi mentre si rintana nella mente, cercando di riprendere il controllo di sé. Non ha idea di quanto tempo potrebbe trascorrere a meditare, ma il dolore non è troppo acuto e quindi non avrà difficoltà a sopprimerlo. Chiude gli occhi e si concentra, sa come fare perché riesce perfettamente a giostrare le tecniche mentali vulcaniane. E adesso deve solo chiudere gli occhi. Solo chiudere gli occhi.


 
oOoOo



È stremato. Ha impiegato molto più tempo del previsto ad eliminare il dolore da corpo e mente, ma adesso che ha finito, non sente più nulla. Persino l’ansia e l’apprensione per Jim è stata soppressa. Non prova nulla, Spock di Vulcano, ma come accade spesso da che è imbarcato sull’Enterprise, l’imprevedibilità di James Kirk ribalta d’improvviso la situazione. Lo vede avvicinarsi e chinarsi al suo fianco e quel che fa dopo rende tutto incontrollabile. Jim allunga la mano, trova la sua e la afferra, la stringe ed intreccia le dita alle sue. No. Non dovrebbe toccarlo a quel modo, non lì, non così. E forse è anche inverdito, ma un tocco del genere tanto privato e intimo, non è un qualcosa che si aspetta di ricevere. Un bacio vulcaniano è un contatto fisico e mentale, sa che probabilmente il capitano non ha idea di che cosa stia facendo, però non è quello a spaventarlo. Gli umani si toccano, sentono la necessità di entrare toccare altri individui sia della loro stessa specie che di qualunque altra, quindi è sicuro che in quel continuo sfiorarsi di mani ed intrecciarsi di dita, Kirk stia cercando niente di più che una sorta di rassicurazione emotiva. O addirittura potrebbe esserci nei suoi intenti il desiderio di confortarlo, per via della ferita riportata. Il problema infatti non è Jim e quello che ancora sta facendo, ma ciò che Spock sta percependo. Un contatto. Qualcosa che sente appena, come una corda che gli vibra in fondo all’anima. Un legame vulcaniano. E c’è tra di loro, tra lui e Jim, è piccolo e appena percettibile però esiste. È come se l’unione delle mani gliel’avesse fatto sentire, anche se in un eco lontano. Lui e Jim legati. Quello che ha pensato riguardo il loro atipico rapporto è quindi tutto vero. Quell’amicizia molto strana che li lega, quel suo riuscire ad intuirne i sentimenti pur non riuscendo ad arrivare ai suoi più intricati pensieri e poi quella parola che aveva ricacciato indietro e sepolto nella memoria e che adesso torna prepotente, quasi volesse tormentarlo. T’hy’la. Jim è il suo T’hy’la? Il legame che ha sentito, questo loro riuscire ad intendersi e l’attrazione magnetica che Spock sa di provare nei suoi confronti. Tutto ha a che vedere con questo? Solleva lo sguardo su di lui, il capitano è in ansia e probabilmente spaventato e anche se non lo dà a vedere, si sente responsabile di quanto è successo. Decide quindi di lasciare da parte per un momento questi pensieri e pensare a lui.

«Non è colpa sua, capitano» mormora.
«Certo che lo è» ribatte Jim, immediatamente. Adesso è arrabbiato e non è necessario sentire certe cose per notarlo. Ha lasciato la sua mano (sbaglia o adesso che non lo sta toccando è un po’ più solo?) e sul suo viso è dipinta una rabbia mal celata.
«Non sia emotivo, la mia ferita non ha leso organi vitali, appena faremo ritorno sull’Enterprise il dottore mi curerà.»
«Il fatto è che siamo bloccati qui e mi sento impotente, lei sa bene quanto odio il non poter agire. Potessi donarle il mio sangue lo farei senza battere ciglio, ma…»
«Sarà sempre e comunque mio fratello, Jim» lo interrompe lui «anche se il suo sangue è rosso.» E non dovrebbe parlargli così, non che non creda a ciò che ha detto, ma perché ora che ha percepito il legame o quel qualcosa di vagamente simile, sente che parlandogli di fratellanza gli sta mentendo. Mentire è illogico e va contro le leggi di Surak, va contro tutto ciò in cui crede e quello che è. Sa che un giorno dovrà parlargliene, ma prima è necessario che Spock stesso capisca quale tipo di rapporto ci sia fra di loro, se il legame esiste veramente.


Quindi allunga la mano, porgendogliela. Questa volta è lui a cercare il contatto e anche se Jim nemmeno ha idea di cosa voglia dire, gli tocca le dita e lo fa dolcemente, poi stringe la mano alla sua e si bea di quel meraviglioso contatto. E anche se è sbagliato, lo fa lo stesso. In seguito, Spock si renderà conto del fatto che è stato in quel preciso momento che Jim Kirk ha smesso di essere suo fratello ed è diventato il suo T’hy’la.



Fine

 
[1] Ho preferito mantenere la misurazione in miglia piuttosto che in chilometri. Non so, mi pareva più coerente.

Quando T’Pol spiega a Trip (Enterprise) che cos’è il legame, lei gli dice che è qualcosa di misterioso che si forma tra due vulcaniani, ma che una credenza comune tra la sua gente sostiene che nasca durante un rapporto sessuale. Ovviamente c’è da tenere in considerazione che quei vulcaniani non sono quelli della TOS. Lì ancora non hanno trovato il Kir’shara. Io sono sempre stata convinta che non basti un po’ di sesso per formarne uno, ma che occorra ben altro. In questo caso il legame non nasce qui, con il bacio vulcaniano, è in quel momento che se ne rende conto perché sappiamo bene che in un bacio vulcaniano c’è molto di più che un toccarsi di dita. Qui faccio intuire che il legame sia già nato fra loro. Certo, lo so che mi sono presa molte libertà… chiamatela una licenza poetica.
   
 
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