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Autore: Emrys_____    31/05/2014    6 recensioni
Pressione.
Artù era pressione contro di lui. Premeva sulla sua vita, la agguantava e ne faceva quello che voleva. Contraeva le sue giornate sigillandole nella morsa di un destino già siglato.
Premeva contro i suoi occhi quando lo guardava, pronunciando il suo nome in un modo tutto suo. E tante volte aveva premuto contro la sua coscienza quando gli aveva chiesto di confidarsi e lui invece non lo aveva fatto.
E contro la sua magia. Artù la stringeva la sua magia, la comprimeva fino a frantumarla.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Avevo aperto per caso il quaderno che ho riempito in questi ultimi mesi. Come mio solito ho scritto un mucchio di pensieri, niente di particolarmente lungo o concreto. Ormai chi mi legge sa come sono fatta, perciò prendete questa cosa per quello che è: un pensiero, un momento di silenzio in casa in cui la tv era spenta.
Buona lettura,
Emrys_____
 

 

 

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Ti amo non tanto per ciò che sei, bensì per ciò che io sono quando sono con te.

                        E. B. Browning

 

Pressure
 

 

 
Merlino si sfiorò lo zigomo con le dita.
Quasi balzò sulla sedia per il dolore. Strizzò l’occhio e quando Gaius tornò da lui, premendogli un impacco sulla faccia con poco garbo, gli lanciò un’occhiata seccata.
-E’ inutile che mi guardi così Merlino. Non posso risolvere la situazione-
-E credete che io possa?-
Per alzare la voce quasi si strozzò, senza contare che il dolore diventò più forte, allo zigomo e anche al resto dei punti in cui lo avevano picchiato.
Di nuovo.
Quella volta ci erano andati parecchio pesante e se nei mesi precedenti avevano evitato di colpirlo al viso dandogli modo di nascondere la cosa ad Artù, era chiaro che ormai avevano cambiato strategia.
Volevano che portasse addosso i segni della sua colpa, che si vedessero.
E tutto per delle voci.
Gaius sembrò voler rispondere qualcosa di mordace ma ci ripensò. Merlino avrebbe voluto dire di non capire il motivo dell’astio che si vedeva scagliare contro con tanta silenziosa perizia.
Purtroppo Gaius non persona in grado di celare ciò che provava, le emozioni il suo viso le scriveva nei lineamenti.
Gli lanciò un ultimo sguardo e si allontanò verso il paravento, cominciando a togliersi il camice da lavoro.
Merlino aveva capito. Aveva capito ed era terrorizzato, all’idea del giorno in cui sarebbe stato costretto a mettere le carte in tavola. Poteva dire che non gliene importava ma non era vero.
Teneva ancora a Gaius. Alle sue parole. 
Anche se la maggior parte di quelle che aveva udito nel corso della sua vita, i consigli della madre, il conforto di persone che gli erano state amiche, un tempo, avevano perso in lucentezza. Si erano sbiadite. Artù le aveva scolorite tutte.
A Gaius le voci che circolavano a Camelot davano fastidio per una sola ragione.
Merlino non lo avrebbe mai ammesso ma si sentiva giudicato da quegli occhi. Ogni sacrosanta volta in cui tornava dal mercato con un nuovo pettegolezzo, ogni volta che per qualche motivo lui e Artù ridevano nei corridoi del castello, perfino se Artù domandava a Gaius un medicamento, quest’ultimo lo osservava per un tempo così lungo prima di dargli ciò che voleva, da farlo lentamente vacillare e Merlino se ne accorgeva sempre: ad Artù tremavano le mani, quando si sentiva sotto accusa da quel sopracciglio non più ironico come prima.
Ma la cosa peggiore per Merlino, era essere diventato disgustosamente bravo nel mentire. Mentiva come se nulla fosse, soprattutto quando tornava a notte fonda dalle stanze di Artù e quando era soprappensiero nascondeva i propri problemi con un’abilità da manuale.
Odiava raccontare bugie a Gaius ma era praticamente certo che quell’abilità presto lui l’avrebbe rasa al suolo. Ne intaccava piano piano le fondamenta, ogni giorno e lo faceva senza quasi aprire bocca.
E Merlino non sapeva come uscirne.
-Mi dispiace- mormorò, premendosi l’impacco sullo zigomo. Non sapeva perché lo faceva ma finiva sempre per scusarsi con lui, come se fosse un modo sottile di ammettere la verità. Leniva lo stress. Allentava la tensione. Anche se per poco.
Cadde il silenzio.
-Non è colpa tua- rispose il vecchio, dandogli le spalle. Gli dava sempre le spalle quando glielo diceva, lo giustificava senza guardarlo.
Merlino si alzò e tornò nella sua stanza zoppicando un po’. Si portò dietro l’impacco e lo appoggiò sul cassettone, tanto sapeva che il medico non sarebbe entrato a controllare che lo stesse usando. Ultimamente lo lasciava a curarsi le proprie ferite da solo.
Abilità da manuale.
Fece per levarsi la casacca, cercando di non emettere sibilo quando il suono di qualcosa contro il vetro della finestra bloccò quel gesto a metà: per un momento pensò a cosa fare, non avrebbe voluto aprire i vetri ma siccome non sarebbe servito a niente si rassegnò, sperando nella clemenza delle stelle.
Era una notte buia, magari la poca luce lo avrebbe aiutato.
Artù era dabbasso, seminascosto dietro una colonna. Lo faceva spesso, lanciare sassi contro la sua finestra quando doveva contattarlo e Gaius era in casa. Ormai preferiva non bussare più alla porta.
Artù poteva sembrare poco intuitivo ma era diventato pericolosamente bravo nel leggere gli altri. Il che significava recepire più di chiunque altro i commenti squallidi sussurrati al suo passaggio, le continue allusioni dei cavalieri, troppo velate per essere veramente contenute, il chiacchiericcio riguardo il suo avere un’amante che infastidiva Gwen più di quanto fosse lecito dato che ormai da interi mesi si scambiavano poco più di qualche parola.
Da quando quella situazione li aveva travolti, da quando loro stessi si erano letteralmente travolti a vicenda, Merlino si sentiva legato. Del tutto. Intrappolato da una tempesta di eventi in una grotta senza uscita come quella volta in cui erano in missione e Artù era rimasto ferito e avevano passato la notte al riparo nell’incavo di una roccia.
Alla luce delle fiamme, le spalle di Artù che compivano il movimento di svestirsi avevano calamitato i suoi occhi, incatenandoli. E lo aveva fissato di sottecchi, in silenzio, mentre si spogliava. Il profilo delle natiche, delle cosce, dei polpacci. Era rimasto a guardare col cuore in gola qualcosa a cui aveva assistito decine di volte incapace di descrivere la pressione che quella vista causava su ogni muscolo del suo corpo.
Sotto la pelle. Sotto le vene. E il respiro gli era diventato più veloce, lame di fuoco dentro la gola e un dolore sordo all’altezza dell’inguine. Come un affondo. Una cosa che gli faceva venire il vuoto alla bocca dello stomaco.
Pressione. 
Artù era pressione contro di lui. Premeva sulla sua vita, la agguantava e ne faceva quello che voleva. Contraeva le sue giornate sigillandole nella morsa di un destino già siglato.
Premeva contro i suoi occhi quando lo guardava, pronunciando il suo nome in un modo tutto suo. E tante volte aveva premuto contro la sua coscienza quando gli aveva chiesto di confidarsi e lui invece non lo aveva fatto.
E contro la sua magia. Artù la stringeva la sua magia, la comprimeva fino a frantumarla.
Lo aveva sempre fatto.
Sin da prima.
Aveva sempre voluto Artù, ancora prima di arrivare a Camelot. Da prima che al villaggio il suo amico Will lo sorprendesse a compiere una magia. Sin da quando si era accorto di poter incenerire una foglia o far sbocciare un fiore, aveva pensato che dovesse esserci qualcuno nel mondo creato apposta per vedere tutto quello. Qualcuno a cui potesse servire, che non avesse paura, a cui importasse. Qualcuno da guardare e toccare e custodire, come quel potere. Qualcuno che quel segreto lo dividesse con lui.
Bastò uno sguardo ad Artù per intuire che lo avevano colpito. Strinse gli occhi, una luce pericolosa dietro le iridi di ghiaccio.
Restarono in silenzio.
Poi lui si avvio versò lo studio di Gaius e Merlino fece appena in tempo ad aprire la porta della propria camera e incantare il sonno del vecchio, prolungandolo, rendendolo inaccessibile a qualunque suono.
Nel precipitarsi verso la porta però compii dei movimenti troppo bruschi.: mentre Artù entrava dovette aggrapparsi alla maniglia, le costole che pulsavano contro i polmoni troncandogli il respiro, le escoriazioni alle ginocchia, che neanche aveva guardato, bruciarono contro la stoffa dei pantaloni.
Artù era letteralmente paralizzato.
Lasciò lentamente la maniglia e pure al buio, Merlino vide che serrava le labbra.
Si diresse nella propria stanza e non lo guardò fino a che non furono entrati e non si fu chiuso la porta alle spalle, un sibilo di dolore che lottò contro ogni vergogna per chiudere fra i denti ma che uscì lo stesso.
Il tocco di Artù fu ugualmente chiaro e coinciso, come poche volte era stato e come da poco, aveva imparato ad essere con lui. Usava quell’implicito comando quando voleva imporgli qualcosa, conscio che si sarebbe lasciato imporre tutto.
Le sue dita gli toccarono i capelli, scostandoli dalle tempie, dov’erano sporchi di sangue rappreso.
-Fammi luce-
Merlino sospirò, poi mormorò qualcosa e una piccola fiammella sbocciò nell’aria.
L’espressione di Artù era ferma ma la collera impressa nei suoi lineamenti e nella loro fermezza, indescrivibile.
Merlino avvertì le sue dita tremare per un momento a contatto con lo zigomo e chiuse gli occhi. Non voleva che lo vedesse in quelle condizioni, che sapesse quanto dolore fisico gli costasse stare con lui e quanto fosse ignobilmente incapace di difendersi.
Non aveva mai usato la violenza. La magia aveva sempre reagito per lui quando era piccolo e col tempo aveva imparato a contenerla. Ma non avrebbe mai pensato di venire picchiato da garzoni e stallieri perché ritenuto il giocattolo del sovrano. Lo consideravano un deviato e in fondo lo era: completamente deviato nella direzione sbagliata eppure senza l’intenzione di tornare sui propri passi.
-Spogliati. Fammi vedere le costole-
Lui distolse lo sguardo.
-Sono un soldato prima che un Re e riconosco delle costole rotte quando le vedo. Ti prego- la sua voce vibrò. –Non farmelo ripetere-
Merlino si tolse la casacca con estrema lentezza, trattenendo un gemito mentre lo faceva.
-Te ne sei accorto la buio- disse, mentre l’altro lo aiutava a sfilare l’indumento dalle braccia.
-Non sono così asino, sai?-
Entrambi osservarono la ferita. Merlino riusciva a malapena a respirare senza lamentarsi a causa di quel movimento.
Non voleva guardare Artù e vedere il dolore spanderglisi sul viso come quel livido eppure lo fece: c’era disgusto nella sua espressione e amarezza nella piega della bocca dove si scorgeva una tristezza infinita.
-Perdonami-
No.
Non voleva ascoltarlo.
-Artù…-
Ma l’altro abbassò la fronte sulla sua spalla e poi crollò a terra, aggrappato ai suoi fianchi, il tocco dei suoi capelli contro la pelle contusa faceva male. Si dipanava fino agli organi interni, pulsava.
-Perdonami. E’ solo colpa mia-
Non aveva mai visto Artù crollare, si era sempre considerato la parte debole fra loro due e per quanto sapesse che era un ragazzo fragile non aveva idea di quanto in là potesse spingersi la sua mancanza d’amor proprio. Perché Artù non ne aveva. Nessuno dei due ne possedeva più. Lo aveva calpestato una notte, sbiadito con l’ansimare dei loro respiri spezzati.
-Grazie alla magia potrò curarmi subito… si, Artù: guardami- cercò di sollevargli il capo ma lui glielo impedì allora rilasciò un sospiro, appoggiandosi alla porta, una mano fra i suoi capelli.
-Userò la magia: fine del problema. Non mi interessa come mi sento adesso e ti consiglio di non azzardarti neanche a ipotizzare che dovrei lasciare Camelot o smettere di rivolgerti la parola o cancellarti dalla mia esistenza perché non servirà: possono picchiarmi quanto vogliono, queste dannate voci possono arrivare in capo al mondo, non mi interessa. Dovrai uccidermi, per liberarti di me-
-…sei diventato egoista- disse Artù dopo una pausa di silenzio. Suonò quasi come un rimprovero ma c’era una risata stanca fra quelle parole.
Merlino sorrise.
-Me ne andrò quando me lo chiederai credendoci e scusami ma sono abbastanza bravo nel capirti. Il giorno in cui vorrai una cosa simile potrà anche arrivare, ma non è oggi-
Artù si alzò in piedi, inghiottendo a vuoto.
-Posso restare qui?-
-No-
L’altro portò le mani al viso, fili di capelli dorati fra le dita, scuriti dal buio della stanza. Le briciole di stelle non riuscivano a toccarli.
-Odio dover essere assennato- sibilò.
-Sono sempre io quello meno impulsivo-
Artù riabbassò le mani e distolse lo sguardo da lui.
-Me ne sono accorto, dovrei sentirmi umiliato per questo. Io sono il sovrano. E’ da me che ci si aspetta cautela e lungimiranza-
-E’ per questo che ci sono io a ronzarti intorno-
-Parlo sul serio Merlino-
Il tono che usò lo zittì.
Il mago trattenne un sospiro di stanchezza perché che era una delle cose che stressava Artù. Piccoli accorgimenti, parole negate, gesti soppressi. Si sentiva come se per riparare quel legame stesse impilando tutto dentro se stesso. Per il bene di Artù e solo per quello stava affollando la propria gola di parole, riempiendo le proprie mani di azioni incompiute. Negava la propria volontà. 
Avrebbe negato tutto. 
-Sono finito in un vicolo cieco- mormorava Artù, lo sguardo basso. Detestava mostrarsi stanco di fronte a lui. Per quanta confidenza ci fosse, non contava niente: era una specie di orgoglio diverso quello di Artù Pendragon che non si smorzava di fronte a nessuno. A Merlino all’inizio era dispiaciuto, poi ci aveva fatto l’abitudine perché c’erano dei momenti, come quello di pochi istanti prima, in cui le vedeva tutte le sue debolezze. E si sentiva un verme per aver anche solo pensato di avere il diritto di guardarle da vicino.
-Non vedo una soluzione Merlino… e non voglio trovarne una-
Appoggiò la fronte sulla sua spalla, spingendolo un poco contro la porta. –Se ti chiedessi di andartene non lo faresti-
Con la mano sinistra, toccò il livido all’altezza delle costole.
-Hai ragione, possiamo solo curarci a vicenda-
Merlino gli sfiorò le dita con le proprie.
Strano a dirsi, non lo faceva quasi mai, gli sembrava molto più intimo del prendersi carnalmente. Quando riaprì gli occhi le proprie iridi erano diventate dorate e sapeva, anche senza guardare, che lo erano anche quelle di Artù, pur se con una specie di velatura più sottile, leggera.
Per una ragione del tutto sconosciuta avevano scoperto quel “fenomeno”, non sapeva in che altro modo definirlo.
Artù faceva da conduttore alla sua magia, era una specie di catalizzatore e se Merlino compiva un incantesimo, se in lui c’era anche solo l’intenzione di ricorrere alla stregoneria quella prendeva vita: passava dal proprio corpo a quello di Artù se c’era un punto di contatto.
La prima volta era successo con una candela.
Artù non riusciva a descrivere quella sensazione o meglio, Merlino lo guardava quando l’ambra scemava dalle sue pupille e si rendeva conto che una cosa era troppo intima da chiedere.
Avvertì il dolore passare, dissolversi lentamente e quando il livido fu sparito restò solo il brivido del suo tocco.
Allontanò le dita e lasciò ricadere il braccio lungo il fianco, senza toccare nulla. Quando compiva un incantesimo con lui non toccava mai niente, cercava di conservare quella sensazione dentro la pelle.
-Artù-
Lo sentiva tremare leggermente, la mano contro il legno, la fronte corrugata contro la sua spalla, le scapole contratte. La mano ancora sulle costole. Cominciava a riscaldarle.
-Si-
-Se ti facesse stare meglio… posso andarmene, per un po’. Le voci si placherebbero-
Artù sollevò gli occhi su di lui: era furioso, deluso e spaventato insieme.
-Dico seriamente- Merlino fece un mezzo sorriso –Non sono così incapace di starti lontano-
Artù però non sorrise, appoggiò di nuovo la fronte sul suo petto. Era stanco, le sue ossa pesavano come tutto il tempo che si trascinavano dietro, quello che si stavano prendendo a forza e che li stava sfiancando.
-No- lo udì appena il suo mormorio
 -Le sentirei anche se non ci fossero-
 



 
 
Lo so, LO SO. Investitemi con un tir di zucchero, fatemi insegnare dalla mucca Lilla ad essere tenera, iniettatemi direttamente nelle vene una bella dose di sano fluff.
Credo che le molecole del mio gruppo sanguigno lo convertirebbero in angst, sono un caso disperato. E amo la versione di Artù più fragile di quanto sembri. 
Sono un caso disperato.
Vi voglio bene,
Emrys_____
 
 
 
 
   
 
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