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Autore: Moris    01/06/2014    3 recensioni
In questo racconto un'Alice presumibilmente adolescente si ritrova di nuovo a Wonderland, in una stanza buia e legata ad una sedia. Non sa come è arrivata li, sa solo che vuole andarsene. Davanti a lei siede il Cappellaio Matto, consumato da 10 anni passati in prigione con l'accusa di aver ucciso il tempo; con lui la Lepre Marzolina, ridotta ormai ad un essere instabile ed in preda a spasmi. Il Cappellaio considera Alice la responsabile della sua sventura e si prepara a compiere la sua atroce vendetta.
Genere: Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice, Cappellaio Matto, Coniglio Bianco, Gatto del Cheshire, Lepre Marzolina
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
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Buio. La testa piegata in avanti si fa sempre più pesante. Sono seduta, ma dove? Non vedo nulla e ho l’impressione che tutto giri. L’unico dei miei sensi che sembra funzionare a dovere è l’udito. C’è qualcuno che parla accanto a me, o forse è davanti; non riesco a capire, la voce sembra essere ovunque. Ma cosa sta dicendo? Sembra ripetere sempre la stessa cosa.
“Twinkle, twinkle, little bat!                                                                                            
How I wonder what you're at!”

No, non sta parlando. Sta cantando.
“Up above the world you fly,                                                                                                
Like a tea tray in the sky”

E io quella nenia la conosco molto bene. Non può essere! Di colpo spalanco gli occhi e subito una luce bluastra mi acceca; strizzo le palpebre e faccio per coprirmi con la mano destra, ma solo adesso mi accorgo di non poterla muovere. Passa ancora qualche secondo prima che io riesca a mettere a fuoco l’immagine delle mie braccia legate ai braccioli di una sedia. La prima reazione è quella di strattonarmi, ma è del tutto inutile: le corde sono ben strette, chiunque mi abbia portata qui ha fatto un buon lavoro. Ma ora che ci penso non riesco neanche a ricordare dove fossi prima di trovarmi qui, ho solo l’immagine di mia sorella impressa in testa, il resto è tutto dannatamente confuso, devono avermi drogata. Ma non è questo il momento: sono legata a una sedia e non so come ci sono arrivata.
D’un tratto la cantilena si ferma e solo in quel momento mi accorgo che veniva dall’altra parte del tavolo. Alzo lo sguardo e vedo proprio ciò che più temevo: alla sinistra della lunga tavolata siede una lepre che indossa una lunga giacca color cremisi e un farfallino legato al collo; ridacchia a scatti e ha un occhio puntato su di me e l’altro sulla figura seduta dall’altra parte del tavolo. E’ un uomo con un abito verde acceso, con le maniche strappate e un’aria decisamente trasandata; si intravede un ghigno dietro i lunghi capelli biondi portati disordinatamente davanti al viso. In mano ha una teiera. Non lo riconoscerei se non fosse per il cilindro ormai rovinato.
Una tazza di tè, Alice?”
Esordisce.
Lo osservo mentre si versa nella tazza una brodaglia verdastra che tutto sembra tranne tè; per tutta risposta sento le viscere contrarsi e un senso di nausea salirmi. Taccio. Lui non sembra alterarsi.
“Andiamo, piccola Alice. Che modi sono questi? Dopotutto, saranno dieci anni che noi due non ci vediamo.”
Abbasso lo sguardo per non incrociare i suoi occhi.
“E va bene…” riprende “…vediamo di trattare come si deve la nostra ospite.”
Allunga il braccio destro per andare ad afferrare una piccola campanella dorata posta sul tavolo. La suona. Dopo pochi secondi sento una porta aprirsi alle mie spalle, qualcuno avanza.
“Slegala!”
Ordina il Cappellaio. Subito sento le corde allentarsi e le osservo cadere a terra, e solo allora lo vedo. Colui che ha tagliato le funi che mi tenevano legata alla sedia è un esserino ricurvo su se stesso, tremolante nel suo smoking nero in contrasto col suo pelo bianco.
“Signor Coniglio...”
Sussurro appena. In che stato era ridotto?
“Allora ce l’hai la voce.”
 Il Cappellaio interrompe subito il mio flusso di pensieri.
Non badare a lui. Dopo l’incidente alla Regina di Cuori non ha più avuto un padrone a cui leccare i piedi. Possiamo dire che l’ho salvato da un’esistenza senza scopo.
Sogghigna mentre si sposta una ciocca di capelli. Sono molto più lunghi di quanto ricordassi.
“Vedi Alice, ho passato gli ultimi dieci anni nell’odio e nella solitudine. Imprigionato per aver ucciso il tempo, per quanto avrei dovuto aspettare prima che mi liberassero? Quanti anni tra quelle mura, per colpa TUA?!”
Sbatte il pugno destro sul tavolo. Snervata dalla situazione, gli rivolgo la parola.
Perché mi hai portata qui?
Sguardo truce. Pensavo di essermi liberata da questo incubo. E invece era reale, è reale. Lui mi capisce, e la cosa sembra divertirlo un mondo.
“Alice, Alice, tu morirai, ma voglio darti una possibilità di salvarti, se risponderai bene. Perché un corvo è come uno scrittoio?”
Dopo tutti quegli anni, ancora quel maledetto indovinello, una delle tante domande a cui non ero mai riuscita a rispondere davvero.
Perché…entrambi sono dotati di penne?
Abbozzo una risposta, per nulla convinta, mentre mi preparo alla fuga. Solo allora mi accorgo che il Coniglio è sparito. Il Cappellaio sorride e fa scivolare la mano destra ai piedi della sedia, dove il mio sguardo non può arrivare.
“RISPOSTA SBAGLIATA!!!”
Urla in modo isterico mentre rapidamente risolleva il braccio destro brandendo un’accetta, la quale, con un movimento secco, viene lanciata verso la mia direzione. Prima che riesca a rendermi conto di cosa stia accadendo va a conficcarsi nel tavolo in legno a pochi centimetri da me. Istintivamente mi alzo di scatto e arretro di qualche passo. Di nuovo non riesco a dire nulla, sono gli occhi che esprimono la mia paura.
“Lepre, uccidila!”
Mi ero quasi dimenticata della Lepre Marzolina. L’animale caccia una risata agghiacciante e balza sul tavolo, afferrando un coltello dalle notevoli dimensioni con cui giocherella, passandoselo da una mano all’altra. Nel suo sguardo vedo la follia. Non fa altro che ridere. Provo a fare un altro passo all’indietro, ma ben presto mi rendo conto che servirebbe a ben poco: la Lepre continua ad avvicinarsi e con un salto ben calibrato potrebbe raggiungermi senza troppe difficoltà.
Solo alzando lo sguardo posso notare quel sorriso senza gatto che aleggia proprio sopra di lei. E subito dopo ecco due occhi stralunati, seguiti poi da tutto il resto. La Lepre non fa nemmeno in tempo ad accorgersene che quel grosso, grasso, Gatto obeso si lascia cadere a peso morto su di lei. Il tavolo quasi si spezza e da sotto quell’ammasso di peli sbucano solo le orecchie appiattite della Lepre, seguite da una pozza di sangue che si espande a macchia d’olio.
“Alice, SCAPPA!”
Mi urla mentre mantiene sul volto quel ghigno insano. Non ci penso molto e subito mi volto, notando con la coda dell’occhio il Cappellaio che si alza furente dalla sua sedia. Corro a perdifiato e con la testa bassa, non osando voltarmi, La luce si fa sempre più lieve mentre sento il Gatto urlare dietro di me. Continuo a percorrere quel corridoio infinito e buio. Ai miei lati ombre orribili si stagliano imponenti. Alberi forse, ma non importa.
Sento il Cappellaio ridere, la sua voce è ovunque e si fa sempre più forte nelle mie orecchie.
Sono costretta a fermarmi per riprendere fiato. Le tenebre sembrano diradarsi e qualcosa viene verso di me fluttuando. Riconosco la faccia del Gatto che galleggia in aria, sempre sorridendo. Per la prima volta provo un po’ di sollievo.
“Gatto! Ma allora sei vivo!“
Sorrido, rendendomi conto di non essere mai stata tanto contenta di vedere qualcuno.
“Ti prego, dammi una mano.”
Il Gatto piega la testa di lato, confuso.
“Una mano?”
Chiede, mentre il resto del suo corpo dilaniato dai colpi d’ascia ricompare. Abbassa lo sguardo verso i due moncherini alle zampe anteriori.
“Ma io non ce le ho le mani.”
Ride ora, divertito da quella situazione grottesca, mentre comincia di nuovo a svanire a pezzi. Ormai sono in preda al panico; le parole mi si fermano in gola e penso solo a correre via per lasciarmi alle spalle quel Gatto menomato. So solo che devo raggiungere la tana del Coniglio per uscire da questo posto.
“Aliiiiiice, è tardi. Ormai ho vinto io.”
La voce del Cappellaio mi gira intorno così come il paesaggio circostante. In pochi secondi si fa di nuovo tutto buio ad eccezione di una piccola luce dritta davanti a me: l’uscita! Pian piano mi riaffiorano i ricordi: ero andata a fare un pic-nic con mia sorella come quel giorno di dieci anni fa, poi il buio più totale. Devo prenderla e tornare a casa, fuggire da questa gabbia di matti.
Nel momento in cui arrivo alla porticina in legno lasciata aperta in fondo al tunnel la risata e le parole di scherno del Cappellaio cessano, ora domina il silenzio. Varco la soglia e la luce accecante del sole quasi mi provoca dolore agli occhi. E’ di nuovo la bella giornata primaverile che ricordavo, con gli uccelli che cantano e il fiume che scorre silenzioso nella radura. Forse è stato un altro sogno, forse è questo posto che mi fa venire gli incubi. Mi incammino verso lo spiazzo dove ci eravamo sedute e trova la risposta. Il corpo di mia sorella giace a terra privo di vita, a pochi metri di distanza un’accetta è conficcata nel cranio della sua testa mozzata. Lui è arrivato prima di me e se l’è presa.
Mi inginocchio e scoppio in lacrime.
 
 
 

Ho lo sguardo perso mentre fisso quel poco di paesaggio che riesco a scorgere dalla finestrella sbarrata. Oggi è venuto di nuovo a parlarmi l’ispettore Abberline; ancora non crede alla mia storia, ed è per questo che sono confinata in un manicomio. I poliziotti credono che sia un’omicida, i medici affermano che sono pazza e nessuno ha mai sentito parlare di un Cappellaio completamente matto. Io però lo vedo: a volte si traveste da secondino e sogghigna mentre passa davanti alla mia cella, altre è un medico che dà conferma della mia instabilità mentale. Solo io so la verità. Penso che un giorno farò come il Gatto e me ne andrò via svanendo poco per volta.
   
 
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