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Autore: DouglasSpunk    02/06/2014    5 recensioni
"Quando fai entrare qualcuno nella tua vita e gli concedi una parte di te -fosse anche quella più brutta- è sempre come dare un coltello in mano al nemico. Non sai mai come andrà.
Potrebbe essere l’esperienza più bella che tu abbia mai vissuto oppure la più brutta.
Con Lydia è stato diverso: io, quel coltello, gliel’avevo messo a disposizione da tempo; è stata lei a decidere quando impugnarlo."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Kira Yukimura, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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I don’t care if it hurts.




 
 
Sola.
Mi sentivo sola.
Era accaduto all'improvviso, come un crampo ad una gamba che ti sveglia nel mezzo della notte, smorzandoti il respiro.
Nella mia vita, nella mia vecchia vita, quella prima della morte della mia migliore amica, non mi ero mai sentita sola, non del tutto, comunque. C'era sempre stato Stiles, c'era sempre stata Allison.
Il mio migliore amico, la mia migliore amica.
Mi appoggiavo a loro come si fa con i muri quando ti tremano le gambe e non riesci a restare in piedi, non mi ero mai accorta di quanto fossero vitali per me. Non mi ci ero mai soffermata a pensarci, troppo presa dai miei problemi, dai miei momenti di confusione.
Se piangevo c'era Stiles, se avevo bisogno di un sfogo qualsiasi c'era Allison. Era un rapporto equo. C'eravamo l'uno per l'altro.
Ma Allison è morta e Stiles non ha più bisogno di me. Ed io da sola cado a pezzi, mi sembra di bruciare.


Non me ne sono accorta subito; della morte di Allison, intendo. Non che sia così stupida da non capire quando una persona è morta o quando è viva, ma la morte delle persone non ti colpisce nel momento in cui accade; l'impatto della scomparsa di qualcuno che amiamo, arriva dopo. Arriva quando hai qualcosa da raccontare, prendi il telefono e capisci che no, lei non c'è.
La mancanza non la senti subito, è graduale. Parte con l'idea della morte e finisce col desiderare di entrare nei propri ricordi ed abbracciarli.
Mi dissero che le memorie, col tempo, sarebbero sbiadite; non avrei ricordato la sua voce, temevano. Ma io non lo voglio, non l’ho mai voluto; così ho fatto una cosa, ho passato tutti i video che avevo di me e Allison, sull'iPod.
Ce l'ho con me quando vado a scuola, quando vado a correre e quando faccio finta di studiare. Non voglio dimenticarla.
Ogni tanto c'è anche la voce di Stiles in quelle immagini; non voglio dimenticare neanche lui.

Anche Aidan è morto.
Non riesco a farmelo mancare nel modo in cui dovrebbe.

 Oramai la routine è questa: mi sveglio, mi lavo, mi trucco, mi vesto, faccio finta di avere fame, varco la soglia di scuola con la voce di Allison nelle orecchie, cerco di seguire le lezioni, parlo con qualcuno, Scott mi chiede come sto e se ho visto Stiles; gli dico che va tutto bene e che Stiles è con Malia, allora lui annuisce, mi dà una pacca sulla spalla e mi saluta con un 'a dopo'.
Poi quando Allison ride ad una battuta di papà Stilinski, di solito, arriva la fine della giornata e devo posare i libri.
Ho cambiato armadietto.

«Lydia, ehi.» Kira. Kira sorride spesso ed è mia amica; lei lo sa. Quindi le sorrido sempre in modo sincero, in fondo se lo merita.
«Bella la gonna», arrossisce.
«Uh, beh, sì grazie.» Si schiarisce la voce, «andiamo a mangiare qualcosa?»
«Non è che ne abbia così tanta voglia.» Il suo viso, per un attimo, si rabbuia. «Di cibo, non ho voglia di cibo. Però se vuoi possiamo andare a farci un giro per negozi, tu prendi da mangiare ed io un paio di tacchi nuovi.»
«Però mangi qualcosa anche tu.» Sposto con una mano due ciocche di capelli dietro l'orecchio.
«Certo, una bella insalata di pollo. Non troppo grassa, non troppo leggera. Ci tengo che il mio corpo sia perfettamente bilanciato, che credi.» Mi fissa per qualche secondo e poi scoppia a ridere.
«Tu non sei normale, Lydia Martin.» Mi appoggio a lei, cominciando poi a camminare a braccetto.
«Oh ti prego, trovami qualcuno che in questa scuola possa essere definito normale.»

A Kira piace Scott.
Me l'ha confessato mesi fa, quando la mancanza di Allison era ancora qualcosa di molto flebile, che andava e veniva; come le onde del mare in una giornata tranquilla.
Penso sia stato in quel momento che il mare mosso sia diventato un mare in tempesta. Una centrifuga che ti risucchia l'anima.
Avrei voluto parlarne con Stiles, beh, in effetti a casa sua ci arrivai per davvero. Avevo portato anche del gelato, contando nei biscotti della sua dispensa, come avevamo fatto tante volte in precedenza. Solo che lui non era solo e a me la sua nuova compagnia non piaceva.
«Secondo me dovresti provare a dirgli che ti piace, insomma, anche a lui tu piaci.»
«Ah, certo, come no. Allora tu vai da Stiles e digli che ti manca.» Rido. In modo sarcastico o nervoso, fa lo stesso. Lei se ne accorge e scuote la testa. «Sbagli.»
Sospiro, calmando le risa.
«Lo so.»

«Ti squilla il cellulare.»
«Mh, è Malia.» Perché io poi Malia me la sono fatta amica. Stiles mi ha chiesto di aiutarla ad integrarsi, a farla sentire di nuovo... umana. Ah, che affronto.
«Certo che è lei, hai messo quell'assurda suoneria quando ti chiama.»  Alzo gli occhi al cielo.
«Perché assurda? È così carina.»
«Sei pessima. È il verso di un coyote.»
«E quindi? Ripeto: È carina.»
«Certo. Le rispondi? Mi innervosisce.» Sbuffo; prendo il cellulare e rispondo a Malia.
«Ciao», uso un tono educato, pacato ed amichevole. Neanche è così male, lei, solo che si è scelta il ragazzo sbagliato e non me ne dovrebbe importare… ma m’importa.
«Lyd» socchiudo gli occhi. «Mi chiedevo se potessi aiutarmi con una cosa importante.»
«Dimmi pure.» Davvero, non è male.
«Oh ecco, io ho saputo che a Giugno è stato il compleanno di Stiles e che non ha avuto nessuna festa di compleanno, ed è un peccato! Io da piccola amavo le feste di compleanno, le torte, i festoni e i giochi gonfiabili, li amavo, davvero, e volevo fargli una festa. Un compleanno in ritardo.»
«E perché?» Il suo tono di voce si è afflosciato.
«È un'idea stupida?» Sì.
«Ma no, è un bel pensiero.»
«Stiles mi è stato molto vicino e vorrei ripagarlo in qualche modo, ecco.»
«Niente giochi gonfiabili, però.» La sento ridere; immagino che sia stato difficile provare di nuovo tutte queste esperienze umane. Forse è anche per questo che ho deciso di aiutarla. Siamo un gruppo, un branco, una famiglia, e tutti dobbiamo aiutarci a vicenda. È così che ha detto Scott, e se lo dice lui...

«E perché ha chiesto aiuto a te?» Allaccio il cinturino della scarpa nera di vernice, allungo il collo del piede, stendendo la punta e guardo nello specchio.
«Mh, perché sono la regina delle feste, ovvio» le rispondo, facendo roteare il piede.
«Ma non è una idea stupida?» Alzo un sopracciglio. Tolgo la scarpa e ne indosso un'altra, stavolta di velcro blu.
«Beh, sì. Ma lei ci tiene a ringraziare Stiles.»
«Non basta farci se» la fermo.
«Non finire quella frase.»
«Una volta eri più divertente.» Alzo la testa, la guardo e le faccio una linguaccia. «Molto maturo. Beh, comunque, secondo me è una cazzata.»
Scrollo le spalle, facendo oscillare il decoltè che avevo in mano «Lei è stata un animale per anni, credo che queste cose le siano mancate.»
«Tu la odi, eppure la difendi. Ti giuro, è qualcosa di così... così stupido che non riesco a trovare un aggettivo adatto.»
«Non la difendo, dico soltanto che io al posto suo avrei fatto più o meno la stessa cosa.»
«Ma... siamo a Settembre! E Stiles è nato a Giugno.» Sbuffo. Mi siedo sul divanetto blu, giungo le mani sulle ginocchia e sospiro.
«Stiles è stato impossessato da un Nogitsune, ma prima ancora ha temuto di essere malato, abbiamo tutti rischiato la vita, tutti, più di una volta; Allison ed Aiden sono morti, Isaac ed Ethan sono andati via e»
«Ho capito, ho capito... abbiamo -avete- tutti bisogno di una pausa.»
«Forse abbiamo solo bisogno di riprendere in mano la nostra vita, ecco. Di essere dei normali adolescenti che fanno feste e si divertono.»
«Ma noi non siamo dei normali adolescenti.» Mi parafrasa.
«No. Ma faremo finta di esserlo. Almeno per una sera.»

Stiles pov.

«Qual è il tuo colore preferito?»
Siamo sdraiati sul letto, a guardare il soffitto; io e Malia. Le mani intrecciate sullo stomaco, la sua testa sul mio braccio, l'odore di miele di capelli femminili.
Guardo la pittura del muro, poi vago con lo sguardo nella stanza, come se fossi alla ricerca di qualcosa che richiami il mio colore preferito.
Non ci ho mai pensato, in effetti.
I mobili della stanza hanno le stesse sfumature, perfino le lenzuola a righe. Poi intercetto una foto, forse è l'ultima fatta tutti insieme. C'è qualcosa che spicca in mezzo a tutto quel grigiore della scuola: il rosso invernale dei capelli di Lydia.
Mi piace il rosso. Mi piace perché tutti i colori fanno rumore, l'ho scoperto da poco, ma il rosso urla.
Il bianco è un brusio. È come quelle macchine in cui mi hanno messo quando pensavo di essere malato.
Il grigio è un lamento.
Il giallo è una risata.
L'arancione è una stanza piena di gente che parla.
Il viola è qualcosa di indeciso, ma forte.
Il rosa è un pianto dolce; non se si possa definire “dolce” un pianto, ma il rosa per me è quello.
Il blu è calma è dolore.
Il marrone puzza. Puzza di terra, di sporco, di lacrime. Di dolore.
Il nero è rumore di bicchieri e cucchiaini che raccolgono cioccolata dal fondo di un barattolo.
Poi c'è il rosso. Il rosso grida. Il rosso sente. Il rosso non ti lascia scappare, anche se tu lo vuoi, anche se ti serve una via di fuga.
Il rosso è senso di colpa.
Il rosso è Lydia.
«Rosso. Il rosso è il mio colore preferito.»
 
 
«Stiles, quando una ragazza si ferma qui  a dormire, preferirei saperlo.»
«Papà, ci siamo solo addormentati.» Che poi è la verità.
«Ci sono delle regole.»
«Da quando?»
«Da quando hai una fidanzata.» Mi gratto la testa, imbarazzato. Okay, questa non me l'aspettavo.
Una fidanzata. Ahhahahahah. Mi viene da ridere al solo pensiero, ma pare sia davvero così che ci vedono le persone.
«Malia non è la mia fidanzata, papà. Che vai a pensare, ma sei matto, Malia la mia fidanzata, ti prego, tu non stai bene, hai la febbre vero? Ti prendo il termometro, perché davvero ciò che dici è opera del delirio più assoluto.»
«Quella ragazza che passa tutta la giornata con te non è la tua ragazza?» Assottiglia lo sguardo indagatore. Ah, ispettore in azione. Lo odio. «Figliolo, io non sono nato ieri.»
«Lo so, altrimenti di chi sarei figlio, scusa?»
Papà scuote la testa, forse rassegnato dalla piega che ha preso questa conversazione.
«Stiles, non prendermi in giro. Non voglio che tu e Malia dormiate insieme, in casa mia, senza che io lo sappia.» Si volta, come se avesse messo un punto alla discussione e se ne va.
«Malia non è la mia fidanzata, papà.» Affermo per l'ultima volta, prima di chiudermi in camera mia.
 
Malia non è la mia ragazza.
Il problema è spiegarlo al mondo.
Ma poi perché spiegarlo? In fondo non facciamo nulla di male, lei sta con me, io sto con lei. Ci facciamo compagnia.
Scott dice che sto allontanando i miei amici, ma non è così... io ho solo bisogno di riprendere un controllo che non mi appartiene più. Se l'è mangiato quel mostro, mesi fa.
Forse è morto con Allison, forse con Aid o magari è andato via con Isaac.
Stiles non esiste più, non quello vecchio.
«Io e te cosa siamo, Stiles?»
La guardo negli occhi, faccio uno strano gesto con le labbra. Forse le ho arricciate, non lo so.
Deglutisco.
“Sai Stiles, io credo che noi due siamo una squadra fantastica. Stiles e Lydia uniti contro i brutti voti, ci sta no?”
Serro le palpebre. Non ora, non ora. Non lei, e non ora.
«Non lo so. Cosa vorresti che fossimo?» Mi accarezza una guancia, mordendosi un labbro.
«Qualcosa di bello. Qualcosa come Scott e Allison.»
Quel nome mi riporta alla mente brutti ricordi.
Cerco di scordarmi di Allison, delle colpe, ma non ci riesco. Lei, Aiden, sono sempre lì. Non vanno via.
Sento il loro incolparmi.
Sento le urla di Lydia; il suo odio.
Mi odia, gliel'ho sentito dire una sola volta,
 
“Lydia? Lydia svegliati”
“Allison?”
“Non sono Lei, sono Stiles. Svegliati... ti prego.”
“Io... io ti odio.”
 
Gli errori si pagano; non è vero quello che ti dicono, non è vero che si può porre rimedio a tutto.
Al primo sbaglio sei fuori e neanche te lo dicono. È così che va.
Lydia mi odia, ho ucciso la sua migliore amica ed il suo fidanzato… beh, non direttamente ma quasi.
Sono morti per salvare me.
Per salvare il fesso che si è lasciato impossessare da un demone.
Inspiro forte, faccio contrarre il costato e dilato i polmoni; non vi è aria pulita in questo giardino.
C’è profumo.
Di rosa.
Di qualche fragranza che vorrei sapere decifrare, ma di cui ignoro le componenti; so chi è.
Lo so sempre, lo so da sempre.
È il mio colore preferito.
«Ciao Malia» è la mia voce preferita, eppure è l’inferno contemporaneamente.
«Lyd» sono amiche, loro. Gliel’ho chiesto io. Ma se mi odia perché ha accettato? «Mi cercavi?»
Non ho il coraggio di guardarla; non lo faccio quasi mai. Non da quella sera. Non da quando mi odia.
«Sì, vieni? Dobbiamo organizzare una cosa. Il progetto.»
«Il progetto? Ahhh, sì, giusto. Dammi cinque minuti ed arrivo.»
«Va bene.» I piedi di Lydia si allontanano; ha ai piedi delle scarpe basse, roba che non le ho mai visto addosso. Ma che mi ricorda qualcosa.
Malia mi mette una mano sulla spalla, intimandomi di voltarmi verso di lei: lo faccio. Appoggio, però, la testa sul tronco d’albero; siamo seduti qua sotto da almeno due ore.
A fare nulla.
Lei non parla molto, neanche io.
Cerco di sorriderle, mi riesce bene. «Dove dovete andare?» Si alza, scattando all’improvviso. Oramai ci sono abituato.
«Oh, un progetto di scuola. Ti spiace se ci vediamo più tardi?» Faccio cenno di diniego. Lei unisce le mani in una specie di applauso; a cosa, esattamente, non lo so. «Grazie, a dopo.» Si abbassa verso di me, incolla per un solo attimo la sua bocca sulla mia.
«A dopo», non mi dà nemmeno il tempo di dire o fare altro. È andata via.
Per un solo istante, uno piccolo, mi lascio andare e volgo lo sguardo verso di Lei. Lydia Martin.
Ha il volto cereo, i capelli di un rosso spento, la bocca scarna di colore. Non vi è alcuna traccia della mia Lydia.
Beh, sorrido a me stesso, Lei non è mai stata la mia Lydia, mi ero solo illuso fosse così.
 
 
Solo.
A volte mi sento completamente solo.
In realtà la solitudine ha sempre fatto parte di me, credo sia anche abbastanza ovvio con la mia situazione famigliare alle spalle.
Però c’è sempre stato Scott. E Lydia. Lei non lo sa, non l’hai mai saputo, ma in realtà ha sempre fatto parte di me.
Era come una presenza appannata; come i vetri specchiati, quelli in cui tu puoi vedere la persona ma lei non può fare lo stesso con te.
Mi andava bene: lei era Lydia Martin ed io solo Stiles. Avrei voluto essere speciale, lei è così maledettamente speciale, ma sono solo un umano strano e poco gradevole.
Solo.
Quando fai entrare qualcuno nella tua vita e gli concedi una parte di te -fosse anche quella più brutta- è sempre come dare un coltello in mano al nemico. Non sai mai come andrà.
Potrebbe essere l’esperienza più bella che tu abbia mai vissuto oppure la più brutta.
Con Lydia è stato diverso: io, quel coltello, gliel’avevo messo a disposizione da tempo; è stata lei a decidere quando impugnarlo.
«Stilinski»
«De-Derek, ciao»
«Cos’è questa puzza di autocommiserazione?»
«Eh!» Quasi urlo in preda all’idrofobia. «Che c’è, ora senti anche l’odore dei sentimenti?»
«Non è odore, è puzza.»
«Ah, davvero?» Incrocia le braccia, stringendole al petto. Inclina la testa, mi squadra.
«Stiles, tu sei un cretino.»
«Ehi!»
«Beh, che c’è? È vero. Voi umani siete così…» si ammutolisce, forse cercando l’aggettivo adatto. «melodrammatici.»
«Che?»
«Patetici.»
«Oh perché voi siete»
«Il tuo amico Scott è una specie a parte. Dico solo che, guardati, stai lì a piangerti addosso quando invece dovresti solo ringraziare di essere vivo. Non tutti hanno avuto la tua stessa fortuna.»
 
“Siamo tutti vivi?”
 
«Chiamala fortuna.»
«E cosa sarebbe? Sfortuna? Dillo alla tua amica Argent. O al gemello. Dillo a tuo padre.»
«Mi ritengono responsabile.» Confesso. Non l’avevo detto a nessuno.
«Chi? Tu o i tuoi amici?» Che ne so.
«Che differenza fa?»
«Sai Stiles, io di sentimenti non ne spreco. Amo ciò che riesco, odio ciò che lo merita… non mi sento in colpa per nessuno, richiede troppa energia, e ci sono cose più importanti. Perché non la smetti di fare l’umano e cominci ad»
«Io sono un umano.»
«Già» sembra quasi provare compassione, «non tutti possiamo essere perfetti.»
 
 
 
Lydia.
 
«Io direi di metterlo qui, ecco, sì.» Mettiamo un festone in alto, dice ‘buon compleanno in ritardo’.
«Oh Lydia, è bellissimo! Grazie per tutto, questo posto è magnifico.» Alzo le spalle.
Non è stato poi così difficile, bisognava trovare un locale, del cibo… è solo una festa.
«Tranquilla. Non è stato un peso.»
Kira esce dall’anticamera, ricoperta di fili argentali e blu. Ci sta litigando. È divertente.
È tanto divertente da ridacchiare.
«Io sono una kitsune e guardatemi ora… no dico, guardatemi.» Mi copro la bocca con una mano, e reprimo le risa.
«Ti dona l’argento, sai?»
«Che fai? Prendi in giro?»
«Io? Ma vaa.» Ma quando la mia amica comincia a sputacchiare, allora perdo il controllo e comincio a ridere quasi in modo isterico.
E rido.
Rido.
Rido.
Fino a non sentire più le voci, fino a coprire il suono del mio cuore che batte.
Perché le voci ultimamente sono uno strazio, continuano ad aumentare. Bisbigliano, nella mia testa però urlano.
«Rossa, tu. Sei. Una. Stronza.»
Scuote il capo mentre ancora rido.
«Oddio ma guardati»
«Rossa, fottiti.» Cerco di calmarmi, lecco le mie labbra per riprendere il controllo.
«Sai Kira… ho un vestito color argento, davvero, per te. A Scott piacerebbe molto.»
Lei sorride, grata.
«Davvero?»
«Davvero.»
È un grazie.
 
 
 
La festa è andata alla grande.
Stiles era sorpreso, in imbarazzo. Malia, invece, ha fatto la parte della fidanzata premurosa.
Bella. Bella nel suo vestito di seta e merletto rosso. Dice che il rosso è il colore preferito di Stiles.
Io non lo sapevo.
«Ehi! Ti diverti?» Annuisco nella direzione di Scott. Mi chiede sempre come sto.
«Tu?» Agita le mani in aria, credo abbia bevuto.
«Alla grande! È PAZZESCO!»
«Certo.» Butto uno sguardo a Kira. «Scott?»
«Uh?»
«Perché non la inviti a ballare?» Indico la kitsune. Lui segue il mio sguardo.
« Beh… insomma, dici che accetterebbe?» Annuisco, sorridendo.
«Sì. Penso proprio di sì.» Lui comincia quasi a saltellare sul posto.
«Okay, allora vado. Mi butto.»
«Ah, ah, sì, attento a non farti male» Sorride. Lo faccio anche io.
Malia mi si avvicina, correndo quasi; sembra felice. Sembra umana.
«È l’ora della tortaaa!»
Ha deciso di mettergli una canzone in particolare come sottofondo. Mi prende una mano, chiamandomi in disparte.
«Scusa Scott.» Lui fa un cenno con la testa, poi si sfrega le mani e va da Kira. «Ho bisogno di un favore gigantesco!»
«Cioè?»
«Ecco, io… oddio è imbarazzante, ma non sono riuscita a mettere quella canzone sull’iPad e vorrei fosse tutto perfetto e» la fermo.
Posso essere gentile ancora una volta? Posso. Forse devo, non lo so. Evito di chiedermelo.
«Qual è il titolo?»
«Whispers dei Passengers» la conosco.
«Ce l’ho io.» Apro la borsetta di vernice blu scuro e le passo il mio iPod. «È qui sopra. Sai usarlo?»
«Ci pensa Kira.»
«Okay, beh, allora buona fortuna.»
Lei sorride.
A Stiles piace quel sorriso.
 
 
Malia ha baciato Stiles a termine di quella canzone.
È appena finita, lei gli ha preso il volto lasciandogli un bacio sulle labbra.
«Buon compleanno!» Hanno urlato tutti.
Poi sullo schermo è cambiato tutto. Allison.
La sua risata. Io seduta sul letto, con una bottiglietta di liquido arancione in mano.
 
“Allison, ti ho detto di smetterla con questa tua fissa dei video.”
“Oh ma perché? È divertente riprenderti mentre ti metti lo smalto sulle dita dei piedi.”
 
Poi cambia angolazione. Ora sono io a riprendere Lei.
Il suo volto sereno, privo di sangue. Pulito.
Quasi non me lo ricordavo così.
 
“Allora signorina Argent, a quando le nozze con il signor Scott? Ho un abitino in satin proprio adatto all’occasione.”
“Nell’anno del duemilamai, ma se vogliamo precisi, nell’anno in cui tu sposerai Stiles.”
 
Una risata.
No, due. La mia e la sua.
Una sala ammutolita.
 
“Questi paragoni sono stupidi: Stiles mica ama me.”
 
E poi la sento.
Sento la sua voce, la sua presenza, come una carezza dietro l’orecchio. Chiudo gli occhi, è come se lei fosse qui.
Tremo. Ho freddo alle braccia e caldo alle gambe.
Fa male.
Cos’è questo?
Alzo le palpebre.
 Tutti mi fissano, tranne l’unica persona da cui avrei bisogno di essere guardata.
Scappo via nell’istante esatto in cui Lui ha alzato lo sguardo verso di me.
Perché spesso, quello di cui abbiamo bisogno, è anche ciò che più ci fa paura.
 
 
Ho corso tanto, fino a perdere il fiato.
E fa ancora più freddo qui fuori. Il mio vestito non copre poi molto.
Ma respiro.
Lei… la sento. Odio essere questa cosa.
Odio essere… odio essere me. Odio essere me senza Stiles.
Perché lui mi teneva ferma, lui se ne stava lì e in qualche modo mi riportava indietro.
Mi diceva di urlare, mi diceva che credeva in me.
Stiles mi rendeva una persona migliore.
 
 
 
«Lydia.»
«No, vai via, via» Mi copro le orecchie, premendo fino a farmi male. Dondolo su me stessa, seduta qui sulle ginocchia.
«Lydia»
«Non sei reale, non sei reale.»
«Lydia… sono io.»
«Non sei reale» mi ripeto. Allora cado a terra, sbucciandomi la pelle delle gambe. Sento due mani stringermi le spalle.
«Guardami.» Lo faccio. Oro fuso in due occhi contornati da ciglia color pece.
«Stiles» E non mi controllo. Non voglio neanche farlo.
Gli butto le braccia a collo, stringendolo fino a fargli male, non mi importa.
«Stiles, Stiles» ripeto come una nenia.
«Stai bene?» Diniego.
«Lei… io la sento. Stiles la sento, io … non voglio sentirla in questo modo, Stiles. E se mi odiasse? Lei mi odia, è così. L’ho lasciata sola, Stiles.»
«Ma cosa vai blaterando?»
 
Che ne so.
Io vorrei solo chiederti come stai, come va, se ami davvero Malia.
Ti piace Malia?
Ti trovo bene, sai? Hai una bella camicia, stasera. Dovresti indossarne di più. Ti rendono più uomo e meno ragazzino. Beh ma forse sei cambiato ed io non me ne sono accorta.
Non mi accorgo mai di niente, Stiles.
Oh, l’ho visto poi quel film che mi hai consigliato, è bello ma non ci ho capito poi così molto, non è il mio genere. Dovremmo vederlo insieme perché magari potrebbe essere diverso.
Ti vorrei abbracciare ancora, posso? Posso abbracciarti fino a farmi entrare in ogni fibra di me stessa, il tuo odore? Quel profumo di talco e dopobarba.
A volte penso a quel bacio; se potessi ritornare indietro credo ti bacerei ancora, non me ne sono mai pentita.
Neanche tu stai bene, vero? Guardati, siamo solo della cenere che circola in tondo, per colpa di chissà quale vento.
Mi manchi, Stiles.
A te manco? Che presuntuosa, certo che no. Perché dovrei mancarti? C’è lei.
Ti manco, Stiles?
 
 
«Lei mi odia.»
«Come tu odi me?»
Spalanco gli occhi. Stupita. Mi stacco. Mi allontano.
«Odiare?» Rido. Scalcio via una pietra che per poco non lo colpisce. Rido ancora. Poi zittisco le voci, le risate e le paura.
Odiarlo? Odiare lui? Come gli è venuto in mente?
«Odiarti?»
«Tu l’hai detto!» Quasi urla, ha la voce vinta dall’idrofobia. «L’hai detto quella sera in cui sei venuta a casa mia e ti sei addormentata. Hai detto che mi odi.»
«Non ti odio, santo cielo! Come potrebbe essere così?»
«Ma l’hai detto.»
Sospiro. «Forse un po’ ti odio.» Alza le mani al cielo, come se fosse esausto. «Fammi finire. Ti odio perché ti sei dimenticato di me. Lei si è presa il mio posto e mi dà fastidio che tu l’abbia lasciato fare, e sì, un  po’ ti odio perché credo che se vuoi bene ad una persona, così come io ne voglio a te, allora un po’ d’odio ci sarà sempre. È illogico forse, non lo so, ma è così.»
«Come posso essermi scordato di te se il mio colore preferito è quello dei tuoi capelli?»
 
Poi non so cos’è che succede, forse è quella consapevolezza nata da un suo sussurro, non lo so.
Forse è che non mi importa più; non mi importa se ferisce.
So solo mi avvicino a lui, prendo il suo viso fra le mie mani; lo guardo negli occhi.
Occhi così diversi da ciò a cui sono abituata a volere.
Occhi che mi hanno sempre fatta sentire a casa… amata.
E poi unisco le nostre labbra, in un contatto effimero, illogico, breve, fino a renderlo profondo e nuovo.
 
«Io ti odio solo perché ti amo, Stiles.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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