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Autore: Alaska__    02/06/2014    9 recensioni
{ 75esimi Hunger Games • Finnick Odair • DISTRETTO 4 • Profondi accenni Odesta }
Guardando il disco lunare, gli venne in mente una lezione scolastica a cui aveva assistito da piccolo. Si diceva che la luna potesse controllare le acque del mare, in qualche modo. Quando Finnick era bambino, pensava che il mare impazzisse, vicino alla luna, perché era innamorato di lei. A distanza di anni, invece, gli piaceva paragonare se stesso al mare e Annie alla luna. Ogni volta che lei gli stava vicino, lui impazziva, impazziva d’amore per lei.
[ Questa storia partecipa al contest "La notte di una vita", indetto da Giulia-EFP e Nikij sul forum di EFP ]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '«Mi ha colto di sorpresa». '
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NOME AUTORE E NOME SUL FORUM: nihal:) / Paolinz su EFP (presto Alaska__)
TITOLO: È tutta colpa della luna.
FANDOM: Hunger Games. 
RATING: Verde.
PERSONAGGI/O PRINCIPALE: Finnick Odair.
AVVERTIMENTI (se ce ne sono): //
NOTE (facoltativo) 
la storia è ambientata durante i settantacinquesimi Hunger Games, precisamente dopo la morte di Mags. È molto introspettiva, ed è presente un flashback ambientato qualche anno prima delle vicende narrate, intorno ai settantaduesimi Hunger Games. Sono presenti profondi accenni Odesta [ Finnick/Annie ].

 

Ovunque sarai e qualsiasi cosa stia accadendo nella tua vita, tutte le volte che ci sarà la luna piena, tu cercala nel cielo. E mentre la guardi, pensa a me, perché dovunque sarò e qualsiasi cosa stia accadendo nella mia vita, io farò lo stesso.
-Dal film “Dear John”
 
È tutta colpa della luna, quando si avvicina alla Terra fa impazzire tutti.
-William Shakespeare
 
Passò distrattamente un dito sulla sabbia, disegnando dei ghirigori contorti, come gli capitava spesso quando era sovrappensiero. Il leggero sciabordio delle onde era l’unica cosa che lo tenesse sveglio e gli facesse pensare al Distretto 4, alla sua casa.
Prima c’era Mags accanto a lui. Se solo lei fosse stata ancora viva, lui avrebbe potuto sfogarsi con lei, raccontarle tutte le sue turbe e i suoi pensieri più cupi. Mags lo avrebbe capito e gli avrebbe sorriso in quel modo gentile e materno, come faceva sempre quando Finnick correva da lei, disperato dall’ultimo incubo.
Ma Mags era morta poche ore prima, ingoiata da una fredda, viscida e bianca nebbia, che l’aveva uccisa in un modo orribile.
Una lacrima solitaria scorse lungo la gota di Finnick, ma il ragazzo non la ricacciò indietro. Era troppo preso dai suoi pensieri, in cui troneggiava il volto dell’anziana vincitrice dei noni Hunger Games.
In quei dieci anni, Finnick aveva guardato a Mags come a una madre, dopo che la sua era morta. La loro fine era stata quasi uguale: entrambe erano morte per un capriccio di Snow. La prima se n’era andata una sera, poco prima dei sessantasettesimi Hunger Games. Trucidata nella sua stessa casa, insieme al marito: quella fu la punizione del presidente. Dopo quell’evento, Finnick aveva imparato che era meglio accontentarlo, in qualunque modo. Prostituirsi rientrava in questa categoria.
Finnick portò le mani alle orecchie, come faceva sempre Annie quando i brutti pensieri le offuscavano la mente. Anche lui voleva dimenticare, dimenticare tutto. Non ce la faceva più a pensare al corpo dei suoi genitori dopo la loro morte, a Mags. Non voleva ricordare quelle orribili notti passate a Capitol City, tra candide lenzuola dove lui aveva incontrato donne di cui non sapeva neanche il nome, donne che lo avevano usato a loro uso e consumo, come un bambolotto con cui potevano fare ciò che volevano. Anche loro popolavano gli incubi di Finnick, con i loro sorrisini estasiati, i loro gemiti e le parole che sussurravano al suo orecchio con voce roca, mentre erano al massimo dell’estasi. Finnick ricordava i loro volti, il fruscio dei loro vestiti che cadevano a terra. Aveva l’impressione che le loro mani lo toccassero, violandolo, privandolo della sua dignità. Perché quello gli avevano fatto: lo avevano visto nudo, mentre faceva lo sporco lavoro designatogli dal presidente Snow. Sapevano che lui non voleva fare ciò, eppure nessuna di loro aveva mosso un dito, seguendo invece quel primitivo istinto che le buttava a cercare avidamente la bocca di Finnick, i suoi baci, le sue mani sul loro corpo.
«Andatevene», mormorò il ragazzo, premendo sempre di più le mani sulle sue orecchie. «Voi e i vostri stupidi segreti dovete lasciarmi in pace».
In quel momento, capì benissimo come doveva sentirsi Annie quando era tormentata dalle voci che sentiva nella sua testa.
Annie.
Tra tanti volti brutti, era il suo quello più bello. Lei era diversa da tutte le donne con cui era stato. Aveva quel qualcosa in più che la rendeva speciale, poco importava se tutti la consideravano una pazza.
Annie era unica, ecco perché tutti la temevano, ma Finnick l’amava.
Il ragazzo tolse piano piano le mani dalle sue orecchie, cercando di tornare alla realtà. Osservò la distesa d’acqua davanti a lui. Era leggermente increspata, la superficie. Si chiese se anche al Distretto 4 fosse così, in quel momento.
Provò ad immaginare qualcosa di bello che lo distraesse. Pensò ad Annie che correva sulla spiaggia, con i capelli castani che svolazzavano e gli occhi verdi che ridevano, mentre lo guardava da lontano e lo salutava. La vide come nei giorni in cui era felice. Ad Annie bastava poco per esserlo: una carezza, un lieve bacio, il sole che splendeva. Quando era con lei, Finnick imparava ad apprezzare le piccole cose a cui magari prima non prestava attenzione.
Alzò lo sguardo verso il cielo, dove la luna splendeva, bianca, tonda. Alzò un braccio verso di essa, con il pollice proteso all’infuori. Mosse la mano finché il suo dito non coprì il cerchio bianco.
 
«Ieri ho scoperto una cosa», esordì Annie, contenta, mettendosi a sedere.
«Cosa?», domandò Finnick, imitandola e passandole una mano tra i capelli, per tirare via della sabbia che vi si era infilata.
«Guarda la luna», ripose semplicemente, indicandola. Finnick seguì la traiettoria del suo dito, osservando quel perfetto cerchio luminoso che era la luna quella sera.
Annie alzò il pollice, mettendosi la lingua tra i denti come un pittore che cerca di rendere al meglio il proprio dipinto. «Ci sono quasi», sussurrò. Finnick aggrottò la fronte, chiedendosi cosa stesse facendo. Ogni tanto Annie faceva delle cose strane, ma lui si era abituato e aveva capito che con lei non bisognava farsi troppe domande sul perché e sul come delle cose. Annie aveva un modo tutto suo di ragionare, forse troppo contorto per un semplice umano come lui.
«Ecco!», esclamò soddisfatta. «Guarda, Finnick, ho coperto la luna con il pollice», spiegò, ridendo gioiosa, come capitava solo poche volte. «Lo sai? La luna vista così non è più grande del tuo pollice!», esclamò, guardando Finnick con gli occhi spalancati. Il ragazzo rise, pensando a quanto Annie sembrasse una bambina in quel momento.
Le baciò affettuosamente il naso, appoggiando la sua fronte contro quella di lei. «La luna non è niente in confronto a te», sussurrò, con le labbra a un centimetro dalle sue, prima di baciarla timidamente. Era un tipico bacio tra di loro quello: casto, a fior di labbra. Finnick aveva sempre paura di farle male, come quando aveva paura di rompere i bicchieri da piccolo. Annie era come fatta di vetro. Era sottile, delicata. Bastava poco per buttarla giù e romperla. La sua fragilità spaventava Finnick certe volte, ma lui si era assunto il dovere di curarla, di impedire che cadesse e si rompesse.
«La luna piena però è stupenda, non trovi?», domandò la ragazza, appoggiando la testa contro la spalla di Finnick. Lui le posò un bacio delicato in testa.
«Sì. È meravigliosa».
«Ed è identica dovunque, la luna. Siamo tutti sotto lo stesso cielo, qui a Panem. Quindi, quando tra poco andrai a Capitol City, osserva la luna e pensa a me. Io farò lo stesso. Promettimelo, Finnick».
 
Il tributo del Distretto 4 abbassò il braccio, facendo ricadere la mano sulla sabbia. Strinse forte le dita, afferrando qualche granello. Poi l’alzò, facendo scivolare via tutta la sabbia.
Le sue labbra si incurvarono in un piccolo sorriso.
Per quanto l’ambiente fosse ostile, per quanto avesse sofferto a poche ore dall’inizio dei Giochi, dovette ammettere a se stesso che in fondo quell’Arena qualcosa di buono ce l’aveva: gli ricordava la sua casa. La sabbia soffice gli riportava alla mente i bei pomeriggi passati al Distretto 4, quando camminava scalzo sulla spiaggia e la sabbia si infilava tra le sue dita. Faceva il solletico e dava anche abbastanza fastidio, ma pian piano ci aveva fatto l’abitudine. Era un altro insegnamento di Annie, questo. Lei detestava andare in giro con le scarpe. Era una cosa molto strana, ma Finnick sapeva che per Annie le cose più strane erano normali e anche lui stava iniziando a pensarla così.
Il suo sguardo si soffermò sulla superficie dell’acqua. Avrebbe volentieri fatto un altro bagno, ma non poteva. Doveva curare Katniss e Peeta, affinché non fosse fatto loro del male. La Ghiandaia Imitatrice doveva uscire viva dall’Arena e lui avrebbe fatto di tutto perché ciò accadesse. Era il simbolo della ribellione, colei che avrebbe cambiato le sorti di Panem, che avrebbe potuto fermare gli Hunger Games.
Nonostante Finnick provenisse dal Distretto 4 – uno dei Favoriti, come odiavano chiamarlo – aveva sempre provato una certo odio nei confronti dei Giochi. Gli avevano portato via tutto: l’infanzia, costringendolo ad imparare come uccidere una persona a soli otto anni; l’adolescenza, i suoi genitori, suo fratello e Annie.
Spesso, Finnick provava ad immaginare come sarebbe stata la sua vita con Annie se lei non fosse impazzita durante gli Hunger Games. Forse non si sarebbero nemmeno innamorati, forse lei sarebbe stata solo un’altra Vincitrice.
Nel buio della notte, Finnick si ritrovò a pensare che forse qualcosa di buono gli Hunger Games avevano fatto.
“Tornerò, Annie. Quando tutto sarà finito, io e te ci ritroveremo sulla spiaggia a contemplare la luna”, pensò, mentre alzava lo sguardo verso il cielo. Guardando il disco lunare, gli venne in mente una lezione scolastica a cui aveva assistito da piccolo. Si diceva che la luna potesse controllare le acque del mare, in qualche modo. Quando Finnick era bambino, pensava che il mare impazzisse, vicino alla luna, perché era innamorato di lei. A distanza di anni, invece, gli piaceva paragonare se stesso al mare e Annie alla luna. Ogni volta che lei gli stava vicino, lui impazziva, impazziva d’amore per lei.
Abbassò lo sguardo, con un sorriso ancora stampato in volto.
Era bellissima, la luna. Poteva esercitare quanta attrazione voleva sul mare, ma non era niente in confronto ad Annie.
 

Paola's corner

Rieccomi :3
Questa one-shot l'ho scritta appositamente per il contest "La notte di una vita". Diciamo che volevo scrivere un'Odesta e ho usato questa come scusa.
Sh, zitta coscienza. Che dire, volevo scrivere di Finno turbato dopo la morte di Mags (?) e voilà. Ci sono alcuni riferimenti ad un mio head-canon, in questa fanfiction. I genitori di Finnick, secondo me, sono morti perché lui inizialmente si è rifiutato di prostituirsi. E così Snow li ha fatti fuori poco prima dei settantasettesimi Hunger Games - durante i quali Finnick aveva proprio sedici anni. Ho sempre immaginato che avesse un fratello più piccolo di nome Bora, autistico. E anche lui ha fatto una brutta fine. Tutto ciò fa riferimento alla mia long But innocence is gone and what was right is wrong, che racconta, appunto, la vita del Finno. 
Come avrete notato ci sono numerosi riferimenti al film Dear John, perché mi piaceva l'idea della luna e del pollice, mi sembrava molto da Annie. Io ho visto un pezzo del film, e tra l'altro non m'è manco piaciuto molto. Non sono per il genere romantico. E boh, c'erano tante cose che mi facevano storcere il naso, ma non sto qui a raccontarvele. Ammetto che l'ho visto solo perché Channing Tatum interpreta il protagonista.
Il titolo della storia è - ovviamente - ripreso dalla frase di Shakespeare che ho inserito all'inizio. Fa tanto "Colpa delle stelle", ma voi non fateci caso.
Ordunque (?) spero abbiate apprezzato, anche se non è nulla di che.
Baci,
Paola. 
   
 
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