- “Valore” e
“onore” sono parole vuote-
Così aveva
detto Shikamaru e lei non poteva essere più in disaccordo. Non riusciva a dargli ragione neanche su
congiunzioni, preposizioni o verbi: tutto quello che aveva detto era sbagliato.
Cosa ne poteva sapere lui del valore, lui che era nato in una famiglia normale,
con padre e madre normali, che viveva in un villaggio normale ed era figlio
unico?
Nulla, non
ne poteva sapere assolutamente nulla.
Per lui
forse quelle parole tanto disprezzate potevano valere meno di zero, per lei
significavano molto e tutto. Alla fine era solo un ragazzino che non sapeva
dare alle cose il loro giusto valore: doveva ammettere di essersi sbagliata sul
suo conto.
Si dice che
in alcune coppie l’importante non è tanto andare d’accordo sulle piccole cose,
ma sapere di condividere quelle grandi: beh, non era il loro caso. Quelle
semplici e brevi parole dette con noncuranza durante una cena con gli amici le
si erano stampate nella mente e si ripetevano come un mantra in ogni attimo di
pace mentale.
Grazie a
quell’affermazione le si erano effettivamente aperti gli occhi su chi fosse
Shikamaru Nara e su come la loro relazione fosse stata solamente questione di
divertimento. Null’altro.
Uno che la pensa così non può che essere un
ragazzino ingenuo vissuto negli agi della sua casettina perfetta. Una persona
adulta avrebbe capito e avrebbe saputo tenere la bocca chiusa.
Era logico
parlare così, per lui che non aveva dovuto affrontare grandi problemi nella sua
esistenza se non doversi alzare presto la mattina o andare a prendere il padre
ubriaco fuori da un bar ormai chiuso.
Era nato nel ramo principale del suo clan, era figlio unico e per di più
maschio: godeva di ogni privilegio senza aver dovuto muovere mai un dito. Tra
l’altro suo padre non era stato una persona dalle grandi pretese o aspettative, ma anzi, gli era
bastato che il figlio crescesse intelligente, con u buon spirito di
osservazione, giusto nelle sue decisioni e indipendente rispetto al pensiero e
le chiacchiere della gente.
Troppo
semplice la vita per quel moccioso. Non aveva mai avuto un pensiero nella sua
vita. Non gli avevano chiesto nulla e lui non aveva mai dato nulla. Era logico
che non capisse il significato di quella parole fondamentali. Era come uno di
quei principini candidi candidi con la pelle delicata che svengono davanti alle
atrocità del mondo.
Erano sì
capaci di bei discorsi pieni di retorica e belle parole, ma di fatto si
scontravano contro il muro della
crudeltà della vita come tutti gli altri, se non in maniera più rovinosa.
Bambino ingenuo figlio dell’agiatezza.
Lei non
aveva avuto la stessa educazione e sapeva quali
fossero le cose importanti della vita: conosceva e ne difendeva il
valore, come era giusto che fosse.
Pur essendo la
primogenita del Kazekage non aveva ricevuto alcun trattamento paticolare: ma non
solo e di favore, di gentilezza. Sapendo di aver doppiamente deluso il padre
lanciando il primo urlo, Temari non era cresciuta con il migliore dei benvenuti.
Una donna come primogenita e per di più non compatibile con l’Ichibi, a cosa
serviva?
La risposta:
a nulla.
Fortunatamente
il bebè seguente era stato un maschio che, anche se non compatibile con il
Bijuu, avrebbe potuto ereditare le tecniche del marionettista tramandate a Suna
da secoli. La bambina non aveva di certo abbastanza importanza per poter
praticare quell’arte gloriosa. Il Kazekage l’aveva affidata a Baki che l’aveva
istruita sull’Arte del Vento, insomma l’abc per un soldato semplice di quel Paese.
Quando si era scoperto che Temari era una delle poche a possedere il chakra del
vento, aveva sperato di poter in qualche modo dimostrare al padre quanto
valesse, ma un’altra volta le sue speranza erano state disattese. In quel
periodo il Quarto era troppo concentrato a seguire il suo ultimo e più grande
esperimento: il terzogenito molto più pallido e gracile degli altri era
risultato compatibile con Shukaku, ma dimostrava seri problemi nel gestire il
demone. Aveva sacrificato anche sua
moglie per avere vedere un altro buco nell’acqua!
Fallimenti,
fallimenti, fallimenti! Era circondato da fallimenti del suo stesso sangue,
della sua stessa genia.
Eppure
Temari era forte! Aveva sconfitto tutti quelli del suo anno, in missione non
aveva mai riportato ferite e si era distinta per le sue doti analitiche e di
stratega. Tutto questo, ovviamente, era passato inosservato agli occhi del
padre, concentrato nel potenziare gli armamenti per non si sa quale motivo
preciso. Proteggere il villaggio non era di certo la ragione visto che non
aveva più alcun essere vivente caro da voler preservare essendo scomparsi ormai
tutti. La moglie morta per causa sua, il cognato morto per suo ordine, il
figlio minore, il suo più grande fallimento, ridotto ad un bimbo semifolle, il
secondogenito relegato nell’ombra e la bambina, a cui non andava neanche un
pensiero, erano coloro che avrebbero dovuto rientrare nella categoria “persone
care” del Quarto Kazekage. Eppure tutto il giorno lo si vedeva in ufficio a
soppesare bilanci, firmare cambiali e a parlare di provvigioni.
Una delle
più grandi umiliazioni che Temari dovette soffrire fu quando compì 12 anni. Di
solito, quelli del suo anno, partecipavano agli esami dei Chunin per poi
diventare capisquadra ed evitare le missioni da recluta. E invece no! Perché mai avrebbe dovuto partecipare
agli esami, lei che era solo una ragazza?
Aveva dovuto
aspettare che suo fratello Gaara, il più piccolo, avesse raggiunto l’età giusta
per poter prendervi parte, in ritardo di tre anni rispetto a tutti gli altri
come se fino ad allora non fosse stata all’altezza.
E poi era
accaduto il peggio e aveva dovuto seguire quel progetto folle e autodistruttivo
che Il Kazekage progettava da anni. Temari non desiderava la guerra, non
avrebbe mai voluto mettere piede a Konoha eppure aveva obbedito agli ordini
cercando di non fiatare.
Dopo la
scomparsa di quell’ingombrante figura paterna era riuscita a dimostrare a tutti
quanto valeva: grazie al suo valore, grazie alle sue fatiche e grazie alla sua
costanza era riuscita a passare al grado di chunin e subito a quello di
jonin. A chi la scherniva dicendole che
era riuscita ad arrivare così in alto solo perché sorella del Kazekage, faceva
assaggiare il metallo del suo ventaglio. Aveva dovuto faticare anche dopo
essere arrivata in cima, per gli esami dei chunin o per il suo ruolo di
ambasciatrice e c’erano stati ancora individui che la chiamavano “Temari-san”
mentre a suo fratello Kankuro si rivolgevano con il “-dono”.
Ma lei
strenuamente non si era arresa e ora il trattamento che le riservato era uguale
a tutti gli altri, senza pregiudizi o ingiustizie: il suo valore era stato
conosciuto e riconosciuto.
Tutta una
vita, anche se breve, spesa per quell’unico e solo obiettivo le sembrava una
vita che valeva la pena di essere vissuta. È vero che non aveva mai avuto
amiche o amici e, fatta eccezione per i suoi fratelli, tutti i rapporti che
aveva con il mondo esterno erano di subordinazione. Non era uscita, non si era
concessa molti divertimenti, ma piuttosto si era allenata e aveva ubbidito
anche agli ordini più stupidi, crudeli o irrazionali.
Ora però
tutti sapevano chi era e cosa era capace di fare Temari della Sabbia.
-Buongiorno
Shikamaru-san-
Stava
cercando di oltrepassarlo con molta disinvoltura quando venne tirata per il
gomito: -“-san” ? Che c’è Tem?- Shikamaru aveva l’espressione divertita di chi
è stato preso in giro.
-Nulla e ti
prego di riferirti a me in maniera più appropriata la prossima volta- detto
questo ritirò il braccio con stizza e
proseguì per la sua strada.
Shikamaru la
guardò allontanarsi un po’ inebetito come se avesse visto un drago a tre teste,
chiedendosi e richiedendosi dove, come,
perché e cosa avesse fatto di male per meritarsi un bentornato del genere.
Ripassò nella propria mente tutte le volte che si erano visti durante la sua
ultima visita a Konoha e constatando che, effettivamente, si era comportato in
maniera più che decente, alzò le spalle e si diresse verso il suo ufficio
momentaneo.
Probabilmente
stava ingigantendo un’inezia, non ci sarebbe voluto molto per far pace.
L’ottimismo
di Shikamaru si scontrò contro il muro dell’indifferenza che gli riservò Temari
sia durante la cena tra colleghi sia l’indomani mattina alla riunione. Si era
aspettato che lo venisse a trovare in camera come aveva fatto le volte
precedenti, visto che le guardie non permettevano ad uno straniero di
avvicinarsi in alcun modo agli alloggi di Kazekage e famiglia: invece era
rimasto ad attendere due ore prima che il sonno sopraggiungesse nella triste
camera che gli era stata assegnata.
Nel
pomeriggio le si avvicinò di nuovo: -Seccatura, mi vuoi dire che hai?-
Ma la
ragazza non si girò nemmeno continuando a controllare il verbale, seguendo le
parole con la penna.
-Tem, non
essere ridicola!- protestò.
-Vuoi
ascoltarmi?- Era estremamente difficile cercare di attirare l’attenzione di
qualcuno dovendo parlare a bassa voce.
-Temari-dono?-
tentò.
A
quell’appellativo, la jonin si girò effettivamente verso di lui e con cipiglio
educato disse: -Hai bisogno di qualcosa?-
-Che tu
smetta di fare la cretina-
-Non so di
che cosa tu stia parlando- rispose pacatamente dando sporadiche occhiate al
documento.
-Mi vuoi
dire che sta succedendo?- Stava sinceramente cominciando ad arrabbiarsi e solo
il fatto di dover sussurrare gli faceva montare ancora di più la rabbia.
Temari appoggiò
la matita un po’ spazientita e lo guardò dritto negli occhi: -E’ finita. Ci
siamo divertiti, è stato carino, ma ora è finita-
Non stava
mentendo, glielo si poteva vedere negli occhi acquamarina. Non c’era traccia di
tristezza, dibattito interiore o tutte quelle emozione che pareva giusto
provare sentenziando una condanna del genere. Era naturale, pensava Shikamaru,
di provare una qualsiasi emozione quando si troncava un rapporto, ma lui non
percepì nulla.
Forse fu
questo a bloccarlo in quel momento.
-Ah, ho
capito- Si voltò velocemente e mormorò un veloce –Devo andare-
-Arrivederci-
rispose Temari riprendendo da dove si era interrotta.
Shikamaru
cominciò a percorrere velocemente i corridoi ancora indeciso su come
classificare quello che gli era stato detto. Era stato inatteso e repentino e
senza alcun minimo senso. Mentre usciva ul terrazzo si pizzicò leggermente il
braccio, tanto per assicurarsi che non fosse davvero un orribile incubo. Si
distese all’ombra e chiudendo gli occhi cercò di riordinare le idee: aveva
bisogno di pensare, aveva bisogno di stare da solo, ma in realtà aveva solo il
sacrosanto dovere di chiedere una spiegazione a Temari.
Perché
nessun essere umano potrebbe pensare dire una cosa del genere e rimanere
impunito pensando di aver sistemato la faccenda con quattro parole messe in
croce. E che faccenda!
Ok, stavano
insieme solo da poco tempo e non avevano parlato mai seriamente, avevano
semplicemente trascorso il tempo in
reciproca compagnia seguendo metodi ricreativi più o meno vari e interessanti
nelle ore libere,
per il resto avevano lavorato fianco a fianco in continuazione.
Ma di certo
la loro storia non era così poco importante, o forse doveva dire era stata, da
permettere di chiudere tutto in meno di un fiato. E poi aveva deciso tutto lei!
Andava bene
quando era lei che decideva il ristorante, quando decideva cosa mangiare,
quando decideva dove e come incontrarsi, persino quando decideva le posizioni,
ma questo non glielo lasciava fare. Non era una questione di semplice orgoglio
o di puntiglio, ma Shikamaru Nara non stava mai con qualcuno intanto per stare
e, in effetti, non era mai stato con una ragazza fino all’arrivo di quella
prorompente seccatura che ora non voleva avere niente a che spartire con lui.
Che gli piacesse era ovvio, infatti i suoi sedicenti amici adoravano prenderlo
in giro imitando i sorrisi ebeti che faceva quando Temari appariva nella stanza
o per il suo dare buca se per caso era arrivata al villaggio. Quando poi
partiva per missioni a Suna e aveva la poca intelligenza di riferirlo
cominciavano a fare “uhuhuuuuu” supponenti davvero poco sopportabili. Ma non
era solo quello insomma. Non era stato mai persona da pensieri troppo
complicati, ragionamenti arzigogolati, ma più un uomo di fatti che quando
capiva cosa voleva cercava di ottenerla, magari con il minimo sforzo, ma si
impegnava. Che Temari gli fosse ormai indispensabile era logico se non
naturale. Se non fossero stati a tre giorni di cammino l’uno dall’altra questa
consapevolezza forse gli sarebbe arrivata con gli anni, ma lui conosceva bene
lo stato del suo animo quando vedeva quel puntino sparire dall’orizzonte. Non
le avrebbe permesso di andarsene giusta, o sbagliata che fosse la sua ragione.
Il giorno
dopo fu lui ad ignorarla volutamente e senza troppa fatica visto che si
incontrarono in un corridoio per pochi istanti, ma la voglia che lo assalì di
prenderla ed affrontarla faccia a faccia gli vibrò in corpo per tutto il tempo.
Non poteva di certo fare una scenata nel palazzo del Kazekage, ma purtroppo sapeva che non poteva neanche
chiederle civilmente di incontrarsi in un luogo più appartato perché era certo
che lei non si sarebbe fatta alcun problema nel rispondere con il suo solito e
categorico “no”.
L’occasione
propizia arrivò quando, finita un’altra cena con i vari delegati, vide Temari uscire prima degli altri. Le lasciò qualche
minuto di vantaggio prima di imitare il suo gesto, abbandonando il suo pasto a
metà. Non gli fu difficile trovarla visto che dai tetti di Suna con una vista
acuta e il chiaro di luna si può scorgere il singolo passante. La seguì per un
pezzo senza capire dove si stesse dirigendo quando riconobbe la via che portava
alle serre. Le piaceva guardare le piante ed accudirle nella calma della sera
quando tutti erano andati a letto e poteva starsene da sola, qualche volta ci
aveva portato anche lui per fargli vedere cosa era riuscita a far crescere a
Suna.
In quei
momenti abbandonava qualsiasi maschera avesse indossato e tornava ad essere
Temari della Sabbia, quel suo lato genuino e vivo che tanto gli piaceva.
La vide
sedersi per potare qualche rametto della pianta che le stava di fronte.
Shikamaru si calò giù dal tetto e senza
far rumore aprì la porta dietro di sé:- Ti sei stufato di fissare la gente,
Shikamaru? Sono una kunoichi, so quando qualcuno mi segue-
-Oh siamo
tornati al “Shikamaru” normale. Ora che siamo soli non ti da più fastidio?-
Era davanti
a lei che non riusciva questa volta a farsi interessare il terriccio come era
stato per il verbale.
-No, è solo
che è mia abitudine non portarti gran che rispetto- Cercò la paletta , ma fu
bloccata da Shikamaru che le prese il polso.
-Che vuoi?-
-Una
spiegazione- sibilò serio.
-Non c’è
nulla da spiegare. Te l’ho già detto. Mi è piaciuto passare del tempo insieme a
te, ma non è ragionevole protrarla oltre. Siamo di due mondi differenti, di due
villaggi differenti e tu sei ancora un ragazzino- Si liberò con quello stesso
gesto stizzoso che lo faceva imbestialire.
-Questa non
mi sembra una spiegazione, mi sembrano solo cazzate- replicò l’altro senza
muoversi di un centimetro.
-Ne dici
tante anche tu sai?- E con questo Temari pensò di aver posto fine alla
discussione, ma lui rimase ad aspettare
pazientemente una sua vera risposta.
Aveva sempre odiato quel suo lato riflessivo, capace di persistere su una
stessa cosa per tanto tempo anche quando questa aveva perso senso per tutto il
mondo tranne che per lui.
-Perché
sarei un ragazzino?- Poche volte nella sua vita qualcuno aveva osato rimarcare
il fatto che era troppo ingenuo o inesperto, di solito tutti gli riconoscevano
una certa maturità sia nel pensiero che nelle azioni. La prima tra tutte era
stata proprio lei-
-Non ho
voglia di parlarne. Te ne potresti andare?-
Lui rispose
con un semplice “no”, ancora calmo e privo di quel nervosismo che stava
per prendere possesso di lei.
-Temari,
guardami-
-Guardami
Tem-
Ripeté con
tono più basso quasi si fosse fatto uomo in un momento. Non ricordava di averlo
mai sentito così e la cosa non le piacque per niente. Si alzò dandogli le
spalle, maledicendosi per avergli permesso di seguirla. Avrebbe dovuto seguire
il piano originale e non permettergli di avvicinarla più dopo aver messo la
parola fine. Lo sapeva che sarebbe stato più difficile mantenere la risoluzione
in un combattimento più lungo.
-Cosa vuoi?-
sbraitò fissandolo ora con acrimonia –Sei un bambino! Hai capito? Un bambino!
Hai avuto tutto senza chiedere nulla e questo ti ha fatto credere che quello
che si ha lo si è ottenuto senza sforzo!-
-Ma di cosa
stai parlando!?-
-Sto
parlando del valore! Brutto cretino! Quello che tu tanto facilmente hai mandato
alle ortiche!- alzò di nuovo la voce mentre l’altro rimaneva di
quell’impassibilità fastidiosa che ti spinge a picchiare la persona che ti sta
davanti pur di farle avere qualche reazione. Ma ora che Temari aveva iniziato
non riusciva più a fermarsi come un fiume rompe gli argini a causa delle piogge
continue. – Quello che tanto hai disprezzato, tu che non hai dovuto sudarti
niente! Ti hanno sempre giudicato un genio, a me questo non è capitato, a me questo
non è successo. Eppure non sono tanto più stupida di te e mi do molto più da
fare! Questo non lo sai riconoscere e io non posso stare con uno che non l’ha
ancora capito!- Terminò il discorso riportando il tono ad un livello normale,
ma piccole lacrime di rabbia avevano fatto capolino dagli occhi altrimenti
inflessibili.
“Non hai ricevuto l’allenamento per
controllare le emozioni?”
Le parole di
quella Temari distante nel tempo rimbombavano nel cervello di Shikamaru con
potenza inimmaginabile. Capiva ora come era riuscita a troncare tutto con così
tanta genuina sicurezza. Fece un passò verso di lei sempre tranquillo e parlò
con voce leggera: -Per quanto sei dovuta star zitta?-
La ragazza
non capì la domanda e lui diventa vasi faceva sempre più vicino quasi come
un’ombra in un incubo, sempre meno ragazzino fannullone e sempre più uomo: la faceva innervosire. Non
si era preparata ad una sensazione del genere, non aveva mai immaginato che lui
l’avrebbe potuta causare.
-Lo sai che
tu, facendo così, ti sei avvelenata l’animo anche contro di me che non ti avevo
fatto niente? Dimmi, Temari, sei forse invidiosa di quello che ho avuto?-
Sembrava triste e forse un po’ malinconico, ma Temari continuava ad
indietreggiare: non voleva sentire le sue ragioni, non ne aveva bisogno.
-Non dire
assurdità. Non c’entra nulla l’invidia, odio il fatto che tu le abbia avute, ma
non ne sai riconoscerne il valore. Dovresti esserne grato, il preferito di
Tsunade solo per essersi arreso in un combattimento. Io ho dovuto accettare una
guerra per dimostrare quanto valessi-
-Il valore
di cui parli tanto non è proprio nulla-
-Non è
vero!- ribatté ritrovando la voce e la rabbia, ma allontanandosi sempre fino ad
arrivare alla parete della serra, preferendo porre fine a quell’inutile scambio
di parole. –Sei tu che non lo capisci! Io ho sputato sangue per essere
riconosciuta da tutti per quel che valgo, per quel che ho fatto. Un figlio di
papà come te non lo può capire!-
Cercò di
spingerlo lontano, ma Shikamaru le afferrò i polsi guardandola
in faccia e, questa volta con rabbia, l’attirò a sé, ma Temari fece
resistenza.
No, non
poteva credere che con un abbraccio e un bacio
tutto si sistemasse così da nulla come per magia. Ma il cuore, sempre
traditore, aveva cominciato a rimbombare nella cassa toracica, gli occhi si era
sgranati e il respiro non era più lo stesso. Chiuse gli occhi per riguadagnare
l’equilibrio, ma Shikamaru la scosse leggermente.
-Non
allontanarti da me, non ce n’è bisogno-
Scosse la
testa, cercando di ricacciare l’emozioni che non volevano andarsene, volevano
stare lì dove era diventati forti, più che in qualsiasi altro posto. Accanto a
lui.
Ma non
poteva, non poteva vivere vicino a lui. In una vita dove tutto sembrava leggero
e poco importante. Passare il tempo con lui sembrava cancellare il motivo per
il quale si era data tanto da fare. Se valore e onore erano parole prive di
significato per che cosa aveva combattuto fino a quel momento?
-Tem, io…-
-Lascia
perdere, tu non puoi capire-
-Ma cerca di
spiegarmelo! Non puoi pretendere che io sappia tutto così dal nulla! Se ho
sbagliato, se sbaglio voglio capire il perché, chiudere tutto può sembrare la
cosa più veloce, ma anche la più stupida perché io ci sono dall’altra parte di
quella porta-
-Io
volevo solo che papà capisse…che tutti
capissero…che io sono forte- sussurrò quasi spaventata di dire la verità per
una volta. Non l’aveva mai detto a nessuno e perché mai in quel momento le
erano uscite quelle parole?
-Ma io so
che lo sei- rispose in tono accondiscendente, accarezzandole la testa.
-Volevo che
mi guardasse- disse ringhiando la sua
rabbia. –Volevo che tutti vedessero chi ero e che cos’ero capace di fare. E ho
fatto di tutto per dimostrarlo. Di tutto-
Shikamaru
alzò il viso di quella porta seccature di professione: aveva gli occhi rossi di
chi pur di non piangere se li farebbe togliere.
-Questo lo
so, posso non capirlo, ma lo so. Non saresti quella che sei. Ma si può sapere
cosa c’entro io in tutto questo?-
-Ci hai
sputato sopra. Ai miei sforzi, ci hai sputato sopra.-
-Non ricordo
di aver fatto nulla di simile-
-Quella
volta al BBQ hai detto che valore e onore non significano nulla- fu stupita di
vedere uno sguardo dolce in risposta, si aspettava almeno delle scuse. –Non è
uno scherzo!- lo spinse, ma Shikamaru la riacciuffò subito guardandola
dall’alto di quei pochi centimetri, stringendola sé.
-Giuro,
Temari, se fosse stato uno scherzo non ti avrei detto quelle cose prima. Solo
che voi di Suna siete proprio solenni eh…No, no, non arrabbiarti!- aggiunse
subito rafforzando la presa –Era un’innocente chiacchierata con gli amici al
bar, non avrei mai pensato di dovermi difendere. Nella vita normale il valore
che viene attribuito alle cose e l’onore di una persona sono spesso decisi su
cose inconsistenti vecchie di secoli e incongruenti. Non parlavo del valore in
quanto shinobi-
-Non si
posso separare le due cose- ribatté quasi fosse una bambina.
-S^ invece.
Chi ti ha detto il contrario?-
-Mio padre-
-Beh Tem,
permettimi di dirlo, tuo padre non è
l’esempio migliore di educatore. Il mio sciagurato di padre invece, si beveva litri
e litri di sakè impunemente, veniva sgridato da mia madre neanche fosse un
bambino e rimaneva ore a dormire in veranda, eppure queste cose non hanno mai
influito sul suo valore come shinobi-
Non la
chiamava seccatura per puro caso. Non faceva mai le cose per puro caso
dopotutto. Per quanto Temari fosse ormai una donna e una persona migliore di
lui, mancava sempre un po’di senso umano per quanto riguardava i rapporti tra
le persone. Trovava difficile separare i due mondi quello del ninja e quello
civile e solo all’inizio si poteva
ancora stupire del divario tra la ragazza che accudisce le piante e la kunoichi
che spezza la schiena al suo avversario. Non le avevano mai insegnato ad essere
una persona, ma solo un soldato, l’umanità l’aveva trovata lei spontaneamente.
Era questo uno dei suoi migliori pregi secondo lui.
Le accarezzò
la guancia per poi stringerla a coppa. La sensazione di proteggerla lo
inebriava così tanto che si stupì, come si sorprese delle parole che gli uscirono
dalla labbra: -Lo vuoi capire che non è ciò che hai, ma ciò che sei che
le persone amano di te?! Che io amo di te! Non importa se non sei la migliore
kunoichi del mondo e neanche se riesci riempire moduli e moduli in poco tempo,
non importa se distruggi una foresta con un semplice gesto o se tutti ti
rispettano, io ti amo per quello che sei, ovvero una stupida seccatura testarda
che quando si mette delle stupide cose in testa, non la si riesce a far
ragionare-
Vide la
testa ricciuta nascondersi nel suo petto e da quell’ammasso informe di capelli
biondi provenì: -Sei un cretino-
-E ora che
ho fatto?- si lamentò sorridendo.
-Mi hai
appena detto che ami, scemo-
La lasciò
andare solo per riuscire a guardare quel viso tanto seccante: –Capisco il tuo
punto, amare una piaga come te equivale alla pena capitale- incassò il pugnetto
sulle costole –Ma potrai sopravvivere-
-Non l’aveva
mai fatto nessuno magari è contagioso-
-Lo spero-
ghignò circondandole i fianchi.
-Ma non
basta quello che hai detto- continuò piccata.
-Non ti
basta essere amata da me?- le chiese
sorridendo e baciandola dolcemente. Le mise le mani trai capelli, portandola
sempre più ad approfondire il loro contatto.
Temari voleva staccarsi, voleva lasciarlo andare e controbattere cercare
di vincere e fargli capire il suo punto, ma poi sentì le mani nei capelli, la
lingua sulle labbra e si chiese se per un momento poteva anche lei provare a
dividere quei due mondi di cui aveva parlato.
Quando si
staccò, sorrise con un po’ di strafottenza come era suo costume.
-Solo da
te?- inarcò il sopracciglio.
-Ma smettila seccatura!- e la baciò nuovamente, conscio che con quella sua ultima brillante mossa non se la sarebbe staccata per molto, molto tempo.
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Buongiorno buongiorno!
Dopo anni, secoli, eoni, insomma tanto tempo, eccomi qui con una nuova fanfiction! Il motivo della mia rinnovata gioia QUI
Se volete unirvi alla festa insieme ad uno sciame di mosche casiniste, abbiamo una riunione in grande stile naturalmente il 23 giugno: il rinnomato (in tutto il mondo eh) ShikaTema Day. Accorrete in molti!