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Autore: Blam_    02/06/2014    0 recensioni
Mi chiedo che senso ha?
Non la vita. La vita non ha nessun senso. Già il parto è una cosa inutile: devi soffrire per regalare al mondo una vita che probabilmente non avrà nessun senso.
Prima dovevi sopravvivere per vivere, ora se sei vivo esisti.
La vita è un peso.
Ma che senso ha?
Si può essere indipendentemente liberi?
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Durante il viaggio facemmo una sola sosta in otto ore, perchè a mia madre scappava. Il resto della nottata la passammo svegli a cantare tutta la playlist di mia madre.
Di tutte le cose che avrei preferito non ereditare , di sicuro una era l'insonnia.
Non dormivo un sonno decente da almeno sedici anni e di solito le mie "notti brave" le passavo insieme a mia madre sul divano a guardare orrendi programmi che nessuno ha il coraggio di trasmettere alla luce del giorno. 
In quel momento, non avendo una televisione, ci riducemmo a fare la cosa più ovvia: rovinare le stupende canzoni dei Ramones o dei Beatles o di qualsiasi altro gruppo uscisse dal CD. Mia madre cantava per non assopirsi, io per distrarmi.
Le parole di Giuly le avevo ancora impresse nella mente, il suo fiato ancora sul collo  che  mi provocava orrendi brividi freddi. 
Mia cugina era diventata una cocainomane e non me ne ero reso conto. 

Sapevo che era un pò strana, un pò instabile caratterialmente. 
A volte ti salutava con affetto, rimaneva a pranzo quei rari giorni in cui non doveva  studiare per l'università e veniva a farci visita, divertiva tutti con i suoi aneddoti da neo universitaria; altri in cui arrivava e si chiudeva in camera sua. In quei giorni nessuno le si poteva avvicinare , altrimenti sarebbe stato sbranato vivo dalla belva in cui si trasformava  lì dentro. Oppure aveva degli attacchi isterici e poi scoppiava in lacrime chiedendo scusa  a tutti per non si sa quale ragione in particolare.
Ricordo che una volta io e Hector le mettemmo una lucertola in testa e lei ci rincorse per una giornata intera con un coltellino svizzero.Come ho già detto: amavo mia cugina. 
 Aveva uno sguardo assassino negli occhi, una luce innaturale. Non erano i suoi occhi quelli, che mi davano sicurezza e ridevano alle mie battute. 
Occhi sconosciuti mi rincorrevano armati di coltellino svizzero con la promessa di uccidermi.
Ricordo che sognai quegli occhi la stessa sera, che mi perseguitavano, perforavano i muri. Ma non appartenevano a lei. Una figura indefinita con un impermeabile nero gli indossava e continuava a ripetere " Ti prendo, Tom. Corri, Tom". 

Non feci troppo caso al comportamento di mia cugina però. Il mio era una amore cieco, passavo su ogni scherzetto come quello del coltellino e rifiutavo di credere che fosse spezzata a metà. 
Ma la sera del suo compleanno fui riportato alla realtà. Mentre pedalavo lei mi sussurrava all'orecchio segreti e scuse. Non guardavo nemmeno le strade che percorrevo, tanto ero assorto dalle sue confessioni, e arrivai con mezz'ora di ritardo all'appuntamento con mia madre. 
Mi rivelò che negli ultimi mesi aveva fatto uso di cocaina. La calmava, diceva, la rassicurava. E riusciva a rimanere Giuly per tutta la durata dell'effetto. 
Mi disse che aveva un ragazzo. L'aveva conosciuto in un bagno di un bar, intento a farsi  una striscia e  lei, che era entrata lì per il medesimo obbiettivo, gli chiese di condividerla. 
La loro storia non iniziò con un "ciao" ma con un "Ce l'hai anche per me". 

Ogni volta finiva una frase con un "scusa" soffocato ma io non le rispondevo, "guardavo" la strada e basta. Avrei potuto sostenerla, dirle qualcosa, un suggerimento magari. Ma tutte quelle informazioni scioccanti mi avevano turbato. La verità, tutto quello che io cercavo, sbattuta in faccia così mi aveva colto alla sprovvista e in quel momento mi ripromisi di vivere nella verità, abituarmi a guardare le cose più oggettivamente possibile. 
Ma la rivelazione che mi causò una violenta sterzata con la bici, fu quando mi strinse più forte e disse:-Sono incinta.-
Non le chiesi se voleva tenere il bambino, il perchè non l'aveva detto subito o di chi era la colpa. Sterzai solamente il manubrio, mi fermai a guardare il vuoto e poi senza dire una sola parola, ricominciai a pedalare. Giuly intanto dietro di me, tratteneva le lacrime. 
Se non fosse stato per il viaggio programmato, probabile che sarei rimasto e avrei cercato di aiutarla a risolvere i suoi problemi come lei faceva con i miei,o semplicemente di alleviarle il dolore standole vicino ma in quel momento desiderai solo di scappare più lontano possibile da un individuo che a stento riconoscevo. Avevo paura di lei.
"Tanto ha sempre il tossico del suo ragazzo", mi dissi, " io sono il cuginetto tonto che usa quando torna a casa per dimenticare". 
Per una volta i viaggi di mia madre mi avrebbero salvato. Eppure una parte di me, quella forte e sicura, cercò di prevalere su quella terrorizzata e vendicativa: mi quasi costringeva a restare, ad abbandonare mia madre e le sue idee folli, ad abbracciare mia cugina e a rassicurarla. Non so ancora perchè non lo feci.

Poggiai la fronte sul finestrino gelato per rimettere a posto i miei pensieri, continuando a cantare Take me down to the paradise city, where the grass is green and the girls are pretty, mentre mia madre attaccava a gridare le strofe. 
Poi verso l'alba mi addormentai fissando le maestose Alpi che mi guardavano dai margini dell'autostrada.
-Benvenuto a casa, Tom-.
→→→¬

Mi svegliai verso le dieci e ancora eravamo in viaggio ma non sulla grigia e monotona autostrada. Sta volta attraversavamo i campi, affiancavamo un prato pieno di pale eoliche. Erano così grandi e innaturali che completavano il paesaggio che avevo di fronte, sembrava che il loro spuntare come margherite da un prato fosse la cosa più naturale che avessi mai visto: Montagne alte, boscose, la cui cima spariva nel cielo come risucchiata da esso; prati verdi, così verdi che ipnotizzavano e mucche che si cibavano di quel verde. 
Rimasi ipnotizzato da quel paesaggio, neanche sbattevo le palpebre. Mi resi conto che un mondo così mi era ignaro: nei nostri viaggi, mia madre mi aveva portato solo in posti tropicali o marittimi. Non ero mai venuto a conoscenza di questo.
E mi piacque.
La maestosità delle montagne mi dava sicurezza, come se loro fossero lì con il preciso scopo di difendermi dal resto del mondo.
Subito chiesi a mia madre:-Dove siamo?-
-Rettifica in: dove stiamo andando.-
-Ok..dove stiamo andando?- Chiesi con fare incerto, temevo le risposte di mia madre.
-Dove sei nato, ai tre confini.-
-E quanto ci rimarremo?-
-Un pò...-.
  
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