Disclaimer: I
personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a
chi ne detiene i diritti. I personaggi originali (oltre che delle persone alle
quali sono ispirati), i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa
storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per
pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa
storia non è stata
scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del
copyright è
pertanto intesa.
Nota: Storia scritta per il
Gioco Creativo n°1 “A Tavola con Severus” facente parte della Severus House Cup
del Forum “Il Calderone di Severus”.
Paura d’amare
Il coltello scivolava lento, poi veloce,
poi ancora lento, mentre sulla lama il riflesso di un volto pallido sorrideva:
bianco perso nell'argento, come quando indossava quella maschera, nelle
notti in cui le nere vesti oscuravano la luna, ma in quell'istante non c'era
nient'altro che i suoi occhi, specchio di mare avvolto nel buio dove il passato
era soltanto sabbia ferma sul fondo che si muoveva ogni tanto ad intorpidire
l'acqua.
La lama continuava ad affondare come un
pugnale ben stretto tra le dita di un assassino, ma con la precisione di un
bisturi nelle mani di un abile chirurgo.
E nell'osservarlo, poteva scorgere ogni
singola differente persona in lui: poteva vedere l'assassino che non era più e
le mani abili di chi era esperto a maneggiare le cose con cura.
Anche lei.
E fin troppo.
Seguitava a muoversi, veloce e poi lento,
in una danza di mani che poteva definirsi ipnotica ed estenuante al contempo,
soprattutto perché quelle mani le voleva su di sé. Anche in quel momento.
Il profumo che iniziò a sprigionarsi da
quelle erbe tagliate finemente era inebriante, e aveva riempito l'aria con la
sua freschezza: era come trovarsi in un campo, all'aperto, carezzando l'erba
sotto un caldo sole primaverile.
E di nuovo si perse nel desiderio,
pensando di essere fresca erba sfiorata dalle sue mani.
Stava diventando davvero esasperante
tutto quello.
L'uomo si fermò un istante, guardandola
con un'intensità che la stava mandando a fuoco – troppa – e afferrò il
calice di vino poco distante dalla sua mano destra, mentre lei si perse per
qualche secondo ad osservarlo, osservare ogni sua sfumatura rossa che si
muoveva appena, spinta dalle sue stesse dita.
E vide la tinta del sangue tra le sue
pieghe, e vide il colore della passione quando ne sorseggiò un po', lentamente,
assaporando le numerose fragranze che racchiudeva in sé.
E scorse quella stessa passione negli
occhi della giovane donna, e sorrise.
«È vino. Buono» parlò non appena ebbe
sorseggiato anche lei un po' di vino, imitando i gesti del mago.
«La tua capacità di deduzione è
disarmante.»
«Ah ah. Divertente.»
Il vino aveva un aroma fruttato, era
dolce e corposo, e il mago, dopo aver portato il calice alle narici, inspirò a
fondo, chiudendo gli occhi, per cercare di scorgere ogni particolare sentore
racchiuso in ogni singola goccia.
«Non è giusto, sai.»
«Ne abbiamo già parlato.»
Severus posò nuovamente il calice di vino
sul tavolo e tornò a guardarla: nel suo sguardo c'era riflesso tutto il
desiderio che aveva di lei, ed era forte, lo sentiva ogni giorno stringerlo di
più, afferrargli lo stomaco come un forte pugno e poi farsi sensuale carezza
che gli sfiorava ogni linea del corpo.
«No, tu hai parlato, io non ho
aperto per niente bocca.»
Il mago sospirò guardandola per un'ultima
volta prima di afferrare nuovamente il coltello per continuare a tritare le
aromatiche erbette. «Non cambia la sostanza delle cose» le disse, tenendo
sempre gli occhi bassi al piano di legno sporcato di verde.
«È una cosa ridicola!»
«No, non lo è, e lo sai benissimo anche
tu.»
«Io so soltanto che è una cosa alquanto
ridicola.»
«Ti ho già detto che finché non avrai
finito il tirocinio, non ti sfiorerò neppure con un dito, e non intendo venir
meno a ciò che ho detto.»
La giovane strega sbuffò, ben sapendo che
era del tutto inutile continuare a discutere con lui su quell'argomento, tanto,
testardo com'era, non avrebbe mai cambiato idea.
Quello non significava, però, che era una
situazione che le andava bene: aveva impiegato una certa dose di fatica – e
anche lei di testardaggine – per insinuarsi nel cuore e nell'anima di Severus,
e non aveva alcuna intenzione di cedere, neppure su quel fronte.
Lo desiderava, voleva sentire il peso del
suo corpo toglierle il respiro, voleva sentirlo dentro di lei, forte e
innamorato.
Dannate le
sue stupide regole!
La cucina era avvolta da fumi dai
molteplici aromi e il mago poteva coglierne uno dopo l'altro, e non solo perché
ogni singola pietanza era stata cucinata da lui, ma perché, da abile Pozionista
qual era, non aveva difficoltà a distinguerli.
Li avrebbe riconosciuti, anche se ogni
piatto fosse stato cucinato dalla giovane strega, cosa assai improbabile viste
le sue – non – abilità.
«Perché questa cena, allora?» la giovane
strega non aveva intenzione di mollare, ne era consapevole, era una maledetta
Grifondoro, non poteva mollare per indole; si ritrovò nuovamente a sbuffare,
scocciato per il dover ripetere sempre le stesse cose, e a bere un altro sorso
di vino per cercare di rilassarsi.
«Non posso semplicemente prepararti una
cena?»
«No. Queste cose sono soltanto la
preparazione, le chiacchiere di ciò che viene dopo. Il vero scopo è il
sesso.»
Snape la guardò allibito, e dovette
alzare entrambe le sopracciglia per mostrare quanto quelle parole gli erano
suonate assurde.
«E questa dove l'hai letta?»
«In un libro.»
«E credi a tutto ciò che sta scritto nei
libri?» Hermione non rispose, si limitò a guardarlo, bevendo anche lei qualche
altra goccia di vino, giusto per mandare giù quei bocconi amari: forse non la
desiderava affatto, doveva essere quella la spiegazione più plausibile.
Severus sospirò, di nuovo, ingollando di
fretta quell'ultimo residuo di liquido porpora ormai caldo, d'altronde in
quella cucina l'aria era piuttosto surriscaldata.
Snape posò nuovamente il coltello sul
tavolo, mentre sui fuochi l'olio era ormai caldo e sfrigolava forte, e,
lentamente – troppo lentamente, pensò Hermione – iniziò a slacciarsi la
lunga casacca nera, bottone dopo bottone.
«Fa caldo qui dentro» la sua era una
semplice costatazione, come se avesse detto che fuori pioveva o che stava
passando un gatto tutto bagnato.
«Troppo caldo,» ma per la strega
il caldo era dovuto ad altro.
Merlino! Non era più un'adolescente in
preda agli ormoni!
«Smettila!»
Severus posò la lunga casacca su di uno
sgabello poco lontano, poi, a passi lenti, si avvicinò al piccolo frigorifero,
argentato come la lama che giaceva sporca sul tavolo, come la maschera
dell'odio e del dolore che aveva gettato in un angolo remoto della sua stessa
anima.
«Vorrei sapere qual è il vero problema,»
gli chiese avvicinandosi al mago. «Tutto qui.»
«Te l'ho già spiegato» le rispose mentre
versava un po’ di vino nel calice, prima che Hermione gli togliesse la
bottiglia dalle mani per riempire il suo, di calice, ormai vuoto.
«Quella non è la vera ragione, sono
soltanto idiozie» si voltò per tornare a sedersi, senza neppure guardarlo,
senza posare sui suoi, quegli occhi che gli avevano squarciato il petto e
ridestato il cuore.
«Pensi che per me sia facile? Pensi che
io non ti desideri?»
«A me sembra che ti riesca piuttosto
facile starmi lontano» e in un istante mandò giù tutto il contenuto del
bicchiere senza respirare neppure, come se fosse stata l'ultima goccia di
liquido che avrebbe bevuto nel resto della sua vita.
Una scia scarlatta le scese verso il
mento, sembrava un rivolo di sangue che avanzava lento, ma non era sangue, non
più ormai, nello sguardo di Severus quel tratto di rosso aveva il sapore della
passione, il sentore forte dell'amore.
Il mago le si avvicinò, lento come il
vino sulla pelle, e le strappò dalle mani la bottiglia e il bicchiere,
posandole incautamente sul tavolo, e in un attimo entrambi rovinarono a terra,
spaccandosi in una miriade di frammenti di vetro, una moltitudine di lacrime
limpide che emergevano come sassi in un fiume di sangue.
Stava allontanando Hermione, e lo sapeva,
e sentiva il cuore della giovane strega andare in pezzi come quel vetro ad ogni
minuto che passava, spingendola lontano da lui, ma cosa poteva fare?
Non poteva di certo dirle la verità,
sarebbe sembrato ancora più ridicolo di quanto già non fosse ad inventare
quella sciocca scusa: lo sapevano tutti che stavano insieme, quindi che cosa
poteva contare una stupida formalità di ruoli?
L'olio sfrigolava ancora con più
insistenza e, visto l'odore che emanava, doveva anche essersi bruciato, ma
nessuno dei due se ne curò, a nessuno dei due importava un bel niente di quella
cucina che poteva anche esplodere per quanto li riguardava.
Severus, però, sapeva che ad esplodere
sarebbe stato il petto di Hermione, se avesse continuato su quella strada,
sarebbe esploso in mille pezzi il loro amore, e quando sarebbe successo, che
cosa avrebbe fatto?
Il mago fece un passo avanti, mentre la
giovane strega, impassibile, lo scrutava, cercando di scorgere anche solo un
bagliore dietro il nero che proteggeva i suoi occhi, ma lui era bravo ad alzare
muraglie intorno a sé, era dannatamente bravo.
Un altro passo finché non sentì il calore
di Hermione sfiorargli la stoffa della camicia, finché non senti il petto
spingersi contro il suo.
Le afferrò i polsi mentre continuava a
guardarla, mentre non riusciva a staccare gli occhi dalla sua bocca, da quella
scia porpora che la sfiorava come lui voleva sfiorarle ogni lembo di pelle, con
le dita in tocchi leggeri, con le labbra in carezze morbide e con la lingua in
soffi umidi.
E il suo corpo per un attimo parve farsi
strada da solo nella sua volontà e la lingua era come se non rispondesse alla
sua mente, ma si perse in quel rivolo rosso per succhiarne ogni sapore, ogni
tinta di quel vino che aveva afferrato l’aroma di Hermione, il suo profumo.
Quella voglia forte che aveva di lei.
Eppure…
«Dimmi la vera ragione ed io non
insisterò oltre, e aspetterò.»
«È quella la vera ragione» le
rispose staccandosi da lei, dalla sua pelle, dal suo viso e da quelle labbra
che voleva soltanto baciare, giorno dopo giorno, e ogni notte, finché non
fossero diventate rosse come quel vino che giaceva informe sul pavimento.
Hermione Granger non aggiunse altro,
sapeva che stava mentendo, era bravo nel farlo, ma non disse altro, prese
semplicemente le sue cose e se ne andò da lì, da quegli aromi e da quel tepore,
e si allontanò dagli occhi neri di Severus che, come il buio più denso,
l'avevano avvolta come una delicata coperta: calda nel gelo e fredda nella
calura.
***
Era bastato un colpo di bacchetta per
eliminare ogni residuo di olio bruciato e tutto il cattivo odore che in un
attimo aveva pervaso tutta la cucina, soltanto un rapido movimento del polso.
Se fosse bastato così poco anche per
eliminare ogni sensazione che aveva dentro, si disse rassegnato Severus, mentre
beveva l’ultimo sorso di vino, ormai caldo, che era rimasto nel suo bicchiere,
lì dove l’aveva lasciato, lì dove, forse, aveva annegato il suo futuro con
Hermione.
«A cosa devo l'onore di questo invito?»
«A niente, odio sprecare tempo e cibo
inutilmente. E tu sei la prima persona che mi è venuta in mente.»
«Quindi non è una cena romantica tra noi
due. Che peccato.»
Lucius iniziò a ridere piuttosto
sonoramente, non riuscendo a trattenersi neppure con tutto l'impegno possibile.
Severus si ritrovò a grugnire per
mostrargli tutto il suo disappunto, ma Malfoy, per tutta risposta, rise ancora
più forte.
«E dove sarebbe il cibo che non vuoi
sprecare?»
«Non avevamo detto niente domande?»
«Va bene, va bene. Ogni tanto aprirti un
po' non ti farebbe poi così male, sai? E ho solo chiesto della cena giacché mi
hai invitato.»
Severus non gli rispose, rimase in
silenzio a sistemare una ciotola sul tavolo mentre Lucius fissava il mondo
fuori la finestra, quel grigiore che non aveva mai abbandonato quel quartiere,
quei colori smorti che avevano sempre reso depresso Malfoy ogni volta che era
andato a trovare il suo giovane amico.
«L'ho buttato» disse semplicemente.
«Prima che arrivassi tu, ho preso la bacchetta e ho fatto sparire tutto.»
Lucius si voltò verso di lui con un
bicchiere di bourbon in mano, ambra che si perdeva nel cristallo, guardandolo
con aria piuttosto perplessa sotto quegli occhi di ghiaccio, come i cubetti che
man mano si scioglievano nel bicchiere.
«Non ti capisco proprio.»
«Non mi devi capire, Lucius.»
Malfoy si avvicinò a Snape, fissandolo
incuriosito mentre rompeva, una dietro l'altra, quattro uova, appena prese dal
ripiano della cucina, con una sola mano e con molta maestria: gli sembrava di
essere tornato indietro nel tempo, a quando erano entrambi studenti di Hogwarts
e Severus si nascondeva spesso a preparare le sue adorate pozioni, chiudendosi
in qualche stanza nascosta del castello senza vedere nient'altro che il
calderone e i libri.
Era sempre stato molto chiuso, anche se
ultimamente lo aveva visto diverso: l'amore e la guerra cambiavano le persone
fin dalle radici.
Snape lo aveva cambiato l'amore, mentre
lui, lui era stato schiacciato e distrutto dalla guerra che gli aveva portato
via ciò che di più caro aveva al mondo.
«Come hai capito che Narcissa era quella
giusta?» gli domandò all'improvviso mentre versava lentamente lo zucchero nelle
uova già sbattute, una cascata di minuscoli cristalli bianchi che scendevano
come fine sabbia in una spiaggia dove il vento non arrivava.
«L'ho capito e basta. La vedevo ed ero felice.
Non la vedevo e pensavo a lei. E lo stesso valeva per lei. Non si può spiegare
il motivo per cui una persona è quella giusta, si capisce e basta.»
Severus continuò a mescolare le uova con
lo zucchero finché non divenne un composto omogeneo nel quale, al tatto, si
poteva sentire la miriade di granelli dolci, mescolava mentre anche la farina
scendeva lenta, un manto candido che profumava di sole sulla pelle.
«Una cosa così dura, come può
diventare un cibo commestibile?»
«Hai mai cucinato in vita tua, Lucius?»
«Non che io ricordi.»
«E allora taci.»
Per tutta risposta Malfoy iniziò di nuovo
a ridere mentre Severus prese a fissarlo con sguardo piuttosto truce.
«Cosa sarebbe?» chiese Lucius.
«Una torta. La sua torta
preferita.»
Lucius sospirò e si perse ad osservarlo
aggiungere dell'acqua e dell'olio all'impasto e amalgamare tutto lentamente,
con molta destrezza, come se non avesse fatto altro per tutta la vita, e,
effettivamente, si fermò a riflettere che cucinare e preparare pozioni non era
poi così differente.
In ogni caso, lui non faceva né l'una né
l'altra cosa.
«Hai una bacchetta, perché non usarla?»
Severus non gli rispose, continuava a
mescolare il composto chiaro per renderlo ancora più omogeneo, il profumo era
così dolce che per un attimo ebbe l'impulso di affondare le dita in quella
crema, come tante volte aveva fatto Hermione, sporcandogli il naso con essa per
poi tracciare quell'unica scia con la lingua che sempre lo mandava a fuoco.
«Un elfo domestico?»
E ci voleva tutto il controllo di cui
disponeva per non prenderla sul tavolo della cucina, incurante di tutti gli
ingredienti sparpagliati su di esso.
Snape scosse la testa e tornò a dedicarsi
al suo fastidioso ospite che non poteva neppure cacciare via, non dopo
averlo invitato lui stesso nemmeno un'ora prima.
«Posso essere sincero con te?»
«Non lo sei sempre?»
«Certo.»
«E allora perché me lo chiedi.»
«Sei un idiota.»
«Ho dei coltelli e delle forchette a
portata di mano: quale dei due preferisci nella tua, di mano?»
«Nessuna. Sai che ho ragione.»
«Non credo tu ne abbia. Tu non sai
niente.»
«Io so che certi appetiti, come quelli
per il cibo, in un modo o nell'altro vanno soddisfatti. Se quando torni a casa
trovi la dispensa vuota, allora vai a mangiare da un'altra parte.»
«Smettila.»
«Forse è andata a bussare alla porta di
quel suo ex, Cunningham, o come si chiama.»
«Smettila!»
Severus strinse maggiormente il cucchiaio
di legno tra le dita, facendole diventare ancora più bianche di quanto già non
fossero, e si perse nei pensieri, in quelle parole che, anche non volendo,
s'insinuarono nella sua mente. E iniziò a pensare…
«Sei ancora qui?» parlò Lucius
interrompendo tutti i ragionamenti che, sapeva, il mago più giovane stava
facendo. «Dovresti andare da lei.»
«Ho perso molte persone che amavo in un
modo o nell'altro. Le ho perse perché le ho uccise io stesso. Ogni volta che
una cosa bella si avvicinava a me, appassiva come un fiore senz'acqua. Ogni
volta che qualcuno anche solo mi sfiorava, veniva inghiottito dal buio.»
Lucius gli posò una mano sulla spalla.
«Ti ho appena toccato e non sono morto. Devi smetterla di piangerti addosso e
di vivere costantemente nel passato. Il passato non c'è più, è ora di vivere il
presente e di pensare al futuro.»
«Se rovinassi tutto?» parlò Severus
mentre il profumo delle nocciole aveva invaso tutta la cucina, un aroma intenso
cui andò a mescolarsi la forte fragranza di cioccolata, amara com'era
l'involucro che lo avvolgeva, quella stoffa oscura che gli aveva stretto il
cuore anno dopo anno.
«Stai rovinando tutto comportandoti in
questo modo stupido» parlò Lucius guardandolo con sguardo severo. «Vai da lei»
lo esortò mentre il mago più giovane metteva in forno il dolce che aveva
preparato.
«Non avevamo una cena da consumare?»
Lucius sospirò sconfortato, sapeva che
Severus poteva diventare l'uomo più testardo del mondo – e il più idiota! –, ed
era difficile fargli cambiare idea o aprirgli gli occhi: era più facile domare
un Ungaro Spinato!
«Sei senza speranze, Severus, davvero
senza speranze» Lucius scrollò la testa, esasperato dalla testardaggine del suo
amico: doveva esserci ormai abituato al suo caratteraccio, ma ogni volta si
stupiva di quanto sapeva essere ostinato. «E visto che hai buttato tutto e che
il dolce lo hai messo appena ora in forno, cosa hai intenzione di farmi mangiare?
Ho lasciato un appuntamento interessante per venire qua.»
«Sì, immagino. In quale bettola dovevi
andare, questa sera?»
Lucius rise, sonoramente e amaramente,
Severus lo conosceva molto bene, lo conosceva come nessun'altra persona al
mondo, e non aveva bisogno di inventarsi scuse con lui o dire menzogne, sapeva
che nel suo sguardo nero non avrebbe mai trovato pietà o derisione.
«Una molto carina a dire la verità, la
padrona è una bella donna, molto disponibile.»
Il giovane mago non voleva indagare oltre,
gli riempiva già la testa quasi tutti i giorni su ogni donna che aveva
conquistato, sapeva perfettamente che era una maniera come un'altra per cercare
di non pensare a ciò che lo aveva distrutto.
«Severus. Sei una persona piuttosto
intelligente, ma non parlerò oltre su questa questione: vai da lei, lasciati
andare. Se sei sicuro dei tuoi sentimenti, lasciati andare e basta. E dille ciò
che provi, senza avere paura e senza più trincerarti nel passato.»
«Da dove ti viene questa saggezza?»
«Ero un uomo sposato, un tempo, se te lo
fossi dimenticato.»
«Già. Mi è dispiaciuto per Narcissa e per
Draco»
Le sue erano parole vere, Lucius lo
sapeva, sapeva quanto era legato a suo figlio e quanto affetto provasse per la
sua famiglia. «Lo so. Io, però, sono vivo, e non intendo marcire tra le lacrime
e in mezzo al buio,» ma aveva bisogno di non pensarci, aveva bisogno di portare
la sua mente altrove, tra i fumi dell'alcol e con qualche corpo nudo accanto,
se si fosse fermato tra i ricordi del passato, si sarebbe smarrito, ancora e
ancora, e non sarebbe più stato in grado di risalire dal fondo.
Severus non aveva nessuna intenzione di
discutere ancora con lui, sapeva che aveva ragione, ma tutto quello che fece,
fu prendere ciò che gli rimaneva nella dispensa e metterla sul tavolo con una
bottiglia di fresco vino rosso.
Snape non disse nient'altro, e neppure
Malfoy lo fece, rimasero in silenzio a mangiare e a bere, finché Severus mandò
giù l'ultima goccia di vino e se ne andò, così, senza dire una parola,
lasciando Lucius sbalordito a fissare il punto in cui era sparito.
***
Hermione continuava a piangere, non
sapeva neppure quanto tempo fosse passato da quando aveva iniziato, e non
riusciva a smettere, piangeva e mandava giù un cucchiaio di gelato, faceva così
da parecchio.
Perché Severus non le aveva detto la
verità? Perché non le diceva semplicemente che non era innamorato di lei e che
neppure la desiderava?
Era tanto difficile pronunciare poche
facili parole?
Hermione continuò a singhiozzare,
incapace di dare delle risposte a quelle domande, risposte che, forse, non
voleva neppure conoscere.
La giovane strega stava
ingollando l'ennesimo cucchiaio di gelato, quando bussarono alla porta: un
tocco leggero, delicato, come solo lui poteva fare e fu quasi tentata di non muoversi
neppure di un pollice da dove si trovava.
Era troppo arrabbiata,
delusa e triste anche solo per spostare appena la mano per mangiare. Lui, però,
di sicuro sapeva che fosse in casa.
«Avanti, Hermione. Lo so
che ci sei, apri questa porta» un suono ovattato provenne da fuori.
Appunto…
La giovane strega
sospirò, la sua voce era quiete e tempesta, e andò ad aprire la porta, ad
aprire nuovamente il cuore al dolore, ne era certa.
«Cosa vuoi?» era fredda,
fredda come il ghiaccio più bollente, ma Severus non si lasciò ingannare dal
suo tono di voce, sapeva che dentro ribolliva, ribolliva di diverse forti
emozioni.
«Parlare.»
«Non voglio parlare. Ho
parlato anche troppo e tu non lo hai fatto per niente.»
«Hai ragione, mi
dispiace. Adesso devi solo ascoltarmi,» ma Hermione non rispose, si limitava a
guardarlo, gelida, glaciale, come se non provasse niente, anche se sapevano
entrambi che erano soltanto menzogne le sue.
Ho imparato da te, avrebbe voluto dirgli
la giovane strega, intuendo le perplessità del mago.
«Sai che posso
facilmente lanciarti qualche incantesimo per lo scopo, vero?»
«Non oseresti farlo!»
«Non mettermi alla
prova, sai che perderesti facilmente.»
A quelle parole,
Hermione, stranamente, sorrise, sorrise sentendosi più tranquilla, così si
spostò per lasciarlo entrare.
«Che diavolo è quello?»
gli chiese non appena il mago ebbe varcato la soglia, con uno strano involucro
che si librava dietro di lui.
«Quello è quella. È una torta. La tua torta
preferita, manca solo un po' di panna per accompagnarla.»
«Stai cercando di
comprarmi con i dolci?»
«Posso sperarci?»
«No,» ma Hermione stava
sorridendo, e per un attimo Severus parve ritrovare tutto il suo coraggio nel
parlarle, quello che aveva perso non appena l'aveva vista sulla porta, una maglietta
troppo larga che le lasciava comunque le gambe scoperte, gli occhi arrossati e
i capelli più indomabili del solito.
Come lei…
«Mi dispiace, Hermione,
non ti ho mai detto la verità sul perché non volessi andare… oltre, ma tu lo
sai già.»
«La tua capacità di
deduzione è disarmante» lo canzonò come aveva fatto lui appena poche ore prima
nella sua cucina.
Snape alzò entrambe le
sopracciglia e una smorfia di contrarietà piegò le sue labbra, quelle labbra
che voleva posare su ogni linea del corpo di Hermione, anche in quel momento e
notte dopo notte. «Se non volevo fare l'amore con te» continuò Severus, «era
perché avevo paura. Paura di farti del male.»
Hermione aveva lo
sguardo perplesso, non riusciva a capire quale paura potesse mai avere, e per
un attimo si perse a guardare il dolce che andava a posarsi sul ripiano della
cucina.
«Amavo mia madre e non
ho saputo proteggerla da mio padre, ho amato Lily e l'ho fatta ammazzare come
una bestia qualunque, volevo bene a Dumbledore e l'ho dovuto uccidere. Avevo
paura che una volta che anche solo ti avessi sfiorato, ti avrei fatto del male
e ti avrei persa.»
La giovane strega era
stupita da quelle parole: come poteva pensare che le avrebbe fatto del male?
«Severus… era tua madre
che doveva proteggere te, non il contrario, lei aveva una bacchetta, ma le
mancava la volontà, tu non l'avevi, la bacchetta, ed eri solo un bambino.»
Si avvicinò al mago e
gli strinse forte una mano tra le sue, e gli sorrise mentre lo guardava con
dolcezza, con quegli occhi nocciola che scintillavano nel riflesso del nero che
avvolgeva i suoi, di occhi, quello sguardo che l’aveva resa schiava di un
sentimento mai provato prima, assoluta prigioniera dell’amore che aveva di lui.
«Lily è morta perché
doveva morire, non avresti potuto fare niente e le tue parole non hanno
cambiato poi nulla, era una guerra e Voldemort eliminava i suoi nemici. Lily lo
era, come molti altri.»
Gli sfiorò dolce il
viso, quel viso ancora segnato dal dolore e dai rimorsi che avrebbe voluto
dipingere di felicità e amore giorno dopo giorno con le sue carezze e le sue
labbra.
«Dumbledore era
destinato comunque alla morte, è stato lui ad aver sacrificato la sua vita, non
tu. Tu lo hai soltanto liberato dalle sofferenze.»
Severus rimase immobile,
beandosi delle attenzioni di Hermione e di quelle parole sulla sua bocca che
sapeva fossero vere, ormai lo sapeva perfettamente, e allora perché continuava
a torturarsi in quel modo?
La strega fece un passo
indietro e, inaspettatamente, si sfilò quella maglia troppo larga per lei
gettandola su di una poltrona poco lontana.
Snape sgranò gli occhi:
sotto quell’indumento, Hermione era completamente nuda, nuda come tante volte
avrebbe voluto vederla e toccarla, ma in quell’istante rimase immobile, fermo
ad osservare la bellezza del suo amore.
Fece di nuovo un passo
avanti verso di lui, verso il suo corpo immobile, e in quell’attimo poté
sentire ogni aroma di cioccolata e nocciole che aveva avvolto anche lei come
delicata seta: profumava del suo dolce preferito, profumava di passione e di
tutta la voglia che aveva di lei.
Hermione gli afferrò le
mani e lentamente le fece scivolare sul suo corpo nudo, le spalle, le braccia e
poi i seni fino ai fianchi morbidi: le sue dita delicate sulla sua pelle liscia
e calda che voleva soltanto lambire con le labbra, perché sapeva che quei
sapori sarebbero stati decisamente più deliziosi sul suo corpo.
«Vedi, Severus? Mi stai
toccando e non mi stai facendo alcun male» Hermione lasciò libere le mani di
Snape, ma lui non si ritrasse dal suo corpo, continuò quelle carezze che
sapevano di zucchero e nocciole, che sapevano d’amore. «Non mi stai bruciando
né uccidendo… beh, bruciando un poco, ma di desiderio»
e rise, rise schiudendo quelle labbra morbide, quelle labbra che voleva e non
seppe più aspettare: le catturò in un bacio che non aveva nulla di dolce o di
casto, un bacio che desideravano entrambi da tempo.
«Non mi hai portato un
dolce?»
«Può aspettare.»
«Ma io ho la panna nel
frigo» e rise di nuovo, forte, ma stavolta la sua risata durò poco, perché Severus
reclamò nuovamente quella bocca, ancora e ancora, senza mai stancarsi di quel
contatto quasi morboso, senza mai stancarsi di lei.
La strinse tra le
braccia e la portò là dove il profumo del dolce era più forte.