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Autore: Cheonefer86    02/06/2014    4 recensioni
Per Severus era più facile cucinare che lasciarsi andare all’amore, all’amore completo, ma forse qualcosa e qualcuno gli faranno finalmente aprire gli occhi e sconfiggere la paura.
«Io so che certi appetiti, come quelli per il cibo, in un modo o nell'altro vanno soddisfatti. Se quando torni a casa trovi la dispensa vuota, allora vai a mangiare da un'altra parte.»
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Lucius Malfoy, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I personaggi originali (oltre che delle persone alle quali sono ispirati), i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Nota: Storia scritta per il Gioco Creativo n°1 “A Tavola con Severus” facente parte della Severus House Cup del Forum “Il Calderone di Severus”.

 

 

 

 

 

 

 

Paura d’amare

 

Il coltello scivolava lento, poi veloce, poi ancora lento, mentre sulla lama il riflesso di un volto pallido sorrideva: bianco perso nell'argento, come quando indossava quella maschera, nelle notti in cui le nere vesti oscuravano la luna, ma in quell'istante non c'era nient'altro che i suoi occhi, specchio di mare avvolto nel buio dove il passato era soltanto sabbia ferma sul fondo che si muoveva ogni tanto ad intorpidire l'acqua.

La lama continuava ad affondare come un pugnale ben stretto tra le dita di un assassino, ma con la precisione di un bisturi nelle mani di un abile chirurgo.

E nell'osservarlo, poteva scorgere ogni singola differente persona in lui: poteva vedere l'assassino che non era più e le mani abili di chi era esperto a maneggiare le cose con cura.

Anche lei.

E fin troppo.

Seguitava a muoversi, veloce e poi lento, in una danza di mani che poteva definirsi ipnotica ed estenuante al contempo, soprattutto perché quelle mani le voleva su di sé. Anche in quel momento.

Il profumo che iniziò a sprigionarsi da quelle erbe tagliate finemente era inebriante, e aveva riempito l'aria con la sua freschezza: era come trovarsi in un campo, all'aperto, carezzando l'erba sotto un caldo sole primaverile.

E di nuovo si perse nel desiderio, pensando di essere fresca erba sfiorata dalle sue mani.

Stava diventando davvero esasperante tutto quello.

L'uomo si fermò un istante, guardandola con un'intensità che la stava mandando a fuoco – troppa – e afferrò il calice di vino poco distante dalla sua mano destra, mentre lei si perse per qualche secondo ad osservarlo, osservare ogni sua sfumatura rossa che si muoveva appena, spinta dalle sue stesse dita.

E vide la tinta del sangue tra le sue pieghe, e vide il colore della passione quando ne sorseggiò un po', lentamente, assaporando le numerose fragranze che racchiudeva in sé.

E scorse quella stessa passione negli occhi della giovane donna, e sorrise.

«È vino. Buono» parlò non appena ebbe sorseggiato anche lei un po' di vino, imitando i gesti del mago.

«La tua capacità di deduzione è disarmante.»

«Ah ah. Divertente.»

Il vino aveva un aroma fruttato, era dolce e corposo, e il mago, dopo aver portato il calice alle narici, inspirò a fondo, chiudendo gli occhi, per cercare di scorgere ogni particolare sentore racchiuso in ogni singola goccia.

«Non è giusto, sai.»

«Ne abbiamo già parlato.»

Severus posò nuovamente il calice di vino sul tavolo e tornò a guardarla: nel suo sguardo c'era riflesso tutto il desiderio che aveva di lei, ed era forte, lo sentiva ogni giorno stringerlo di più, afferrargli lo stomaco come un forte pugno e poi farsi sensuale carezza che gli sfiorava ogni linea del corpo.

«No, tu hai parlato, io non ho aperto per niente bocca.»

Il mago sospirò guardandola per un'ultima volta prima di afferrare nuovamente il coltello per continuare a tritare le aromatiche erbette. «Non cambia la sostanza delle cose» le disse, tenendo sempre gli occhi bassi al piano di legno sporcato di verde.

«È una cosa ridicola!»

«No, non lo è, e lo sai benissimo anche tu.»

«Io so soltanto che è una cosa alquanto ridicola.»

«Ti ho già detto che finché non avrai finito il tirocinio, non ti sfiorerò neppure con un dito, e non intendo venir meno a ciò che ho detto.»

La giovane strega sbuffò, ben sapendo che era del tutto inutile continuare a discutere con lui su quell'argomento, tanto, testardo com'era, non avrebbe mai cambiato idea.

Quello non significava, però, che era una situazione che le andava bene: aveva impiegato una certa dose di fatica – e anche lei di testardaggine – per insinuarsi nel cuore e nell'anima di Severus, e non aveva alcuna intenzione di cedere, neppure su quel fronte.

Lo desiderava, voleva sentire il peso del suo corpo toglierle il respiro, voleva sentirlo dentro di lei, forte e innamorato.

Dannate le sue stupide regole!

La cucina era avvolta da fumi dai molteplici aromi e il mago poteva coglierne uno dopo l'altro, e non solo perché ogni singola pietanza era stata cucinata da lui, ma perché, da abile Pozionista qual era, non aveva difficoltà a distinguerli.

Li avrebbe riconosciuti, anche se ogni piatto fosse stato cucinato dalla giovane strega, cosa assai improbabile viste le sue – non – abilità.

«Perché questa cena, allora?» la giovane strega non aveva intenzione di mollare, ne era consapevole, era una maledetta Grifondoro, non poteva mollare per indole; si ritrovò nuovamente a sbuffare, scocciato per il dover ripetere sempre le stesse cose, e a bere un altro sorso di vino per cercare di rilassarsi.

«Non posso semplicemente prepararti una cena?»

«No. Queste cose sono soltanto la preparazione, le chiacchiere di ciò che viene dopo. Il vero scopo è il sesso.»

Snape la guardò allibito, e dovette alzare entrambe le sopracciglia per mostrare quanto quelle parole gli erano suonate assurde.

«E questa dove l'hai letta?»

«In un libro.»

«E credi a tutto ciò che sta scritto nei libri?» Hermione non rispose, si limitò a guardarlo, bevendo anche lei qualche altra goccia di vino, giusto per mandare giù quei bocconi amari: forse non la desiderava affatto, doveva essere quella la spiegazione più plausibile.

Severus sospirò, di nuovo, ingollando di fretta quell'ultimo residuo di liquido porpora ormai caldo, d'altronde in quella cucina l'aria era piuttosto surriscaldata.

Snape posò nuovamente il coltello sul tavolo, mentre sui fuochi l'olio era ormai caldo e sfrigolava forte, e, lentamente – troppo lentamente, pensò Hermione – iniziò a slacciarsi la lunga casacca nera, bottone dopo bottone.

«Fa caldo qui dentro» la sua era una semplice costatazione, come se avesse detto che fuori pioveva o che stava passando un gatto tutto bagnato.

«Troppo caldo,» ma per la strega il caldo era dovuto ad altro.

Merlino! Non era più un'adolescente in preda agli ormoni!

«Smettila!»

Severus posò la lunga casacca su di uno sgabello poco lontano, poi, a passi lenti, si avvicinò al piccolo frigorifero, argentato come la lama che giaceva sporca sul tavolo, come la maschera dell'odio e del dolore che aveva gettato in un angolo remoto della sua stessa anima.

«Vorrei sapere qual è il vero problema,» gli chiese avvicinandosi al mago. «Tutto qui.»

«Te l'ho già spiegato» le rispose mentre versava un po’ di vino nel calice, prima che Hermione gli togliesse la bottiglia dalle mani per riempire il suo, di calice, ormai vuoto.

«Quella non è la vera ragione, sono soltanto idiozie» si voltò per tornare a sedersi, senza neppure guardarlo, senza posare sui suoi, quegli occhi che gli avevano squarciato il petto e ridestato il cuore.

«Pensi che per me sia facile? Pensi che io non ti desideri?»

«A me sembra che ti riesca piuttosto facile starmi lontano» e in un istante mandò giù tutto il contenuto del bicchiere senza respirare neppure, come se fosse stata l'ultima goccia di liquido che avrebbe bevuto nel resto della sua vita.

Una scia scarlatta le scese verso il mento, sembrava un rivolo di sangue che avanzava lento, ma non era sangue, non più ormai, nello sguardo di Severus quel tratto di rosso aveva il sapore della passione, il sentore forte dell'amore.

Il mago le si avvicinò, lento come il vino sulla pelle, e le strappò dalle mani la bottiglia e il bicchiere, posandole incautamente sul tavolo, e in un attimo entrambi rovinarono a terra, spaccandosi in una miriade di frammenti di vetro, una moltitudine di lacrime limpide che emergevano come sassi in un fiume di sangue.

Stava allontanando Hermione, e lo sapeva, e sentiva il cuore della giovane strega andare in pezzi come quel vetro ad ogni minuto che passava, spingendola lontano da lui, ma cosa poteva fare?

Non poteva di certo dirle la verità, sarebbe sembrato ancora più ridicolo di quanto già non fosse ad inventare quella sciocca scusa: lo sapevano tutti che stavano insieme, quindi che cosa poteva contare una stupida formalità di ruoli?

L'olio sfrigolava ancora con più insistenza e, visto l'odore che emanava, doveva anche essersi bruciato, ma nessuno dei due se ne curò, a nessuno dei due importava un bel niente di quella cucina che poteva anche esplodere per quanto li riguardava.

Severus, però, sapeva che ad esplodere sarebbe stato il petto di Hermione, se avesse continuato su quella strada, sarebbe esploso in mille pezzi il loro amore, e quando sarebbe successo, che cosa avrebbe fatto?

Il mago fece un passo avanti, mentre la giovane strega, impassibile, lo scrutava, cercando di scorgere anche solo un bagliore dietro il nero che proteggeva i suoi occhi, ma lui era bravo ad alzare muraglie intorno a sé, era dannatamente bravo.

Un altro passo finché non sentì il calore di Hermione sfiorargli la stoffa della camicia, finché non senti il petto spingersi contro il suo.

Le afferrò i polsi mentre continuava a guardarla, mentre non riusciva a staccare gli occhi dalla sua bocca, da quella scia porpora che la sfiorava come lui voleva sfiorarle ogni lembo di pelle, con le dita in tocchi leggeri, con le labbra in carezze morbide e con la lingua in soffi umidi.

E il suo corpo per un attimo parve farsi strada da solo nella sua volontà e la lingua era come se non rispondesse alla sua mente, ma si perse in quel rivolo rosso per succhiarne ogni sapore, ogni tinta di quel vino che aveva afferrato l’aroma di Hermione, il suo profumo.

Quella voglia forte che aveva di lei.

Eppure…

«Dimmi la vera ragione ed io non insisterò oltre, e aspetterò.»

«È quella la vera ragione» le rispose staccandosi da lei, dalla sua pelle, dal suo viso e da quelle labbra che voleva soltanto baciare, giorno dopo giorno, e ogni notte, finché non fossero diventate rosse come quel vino che giaceva informe sul pavimento.

Hermione Granger non aggiunse altro, sapeva che stava mentendo, era bravo nel farlo, ma non disse altro, prese semplicemente le sue cose e se ne andò da lì, da quegli aromi e da quel tepore, e si allontanò dagli occhi neri di Severus che, come il buio più denso, l'avevano avvolta come una delicata coperta: calda nel gelo e fredda nella calura.

 

***

 

Era bastato un colpo di bacchetta per eliminare ogni residuo di olio bruciato e tutto il cattivo odore che in un attimo aveva pervaso tutta la cucina, soltanto un rapido movimento del polso.

Se fosse bastato così poco anche per eliminare ogni sensazione che aveva dentro, si disse rassegnato Severus, mentre beveva l’ultimo sorso di vino, ormai caldo, che era rimasto nel suo bicchiere, lì dove l’aveva lasciato, lì dove, forse, aveva annegato il suo futuro con Hermione.

«A cosa devo l'onore di questo invito?»

«A niente, odio sprecare tempo e cibo inutilmente. E tu sei la prima persona che mi è venuta in mente.»

«Quindi non è una cena romantica tra noi due. Che peccato.»

Lucius iniziò a ridere piuttosto sonoramente, non riuscendo a trattenersi neppure con tutto l'impegno possibile.

Severus si ritrovò a grugnire per mostrargli tutto il suo disappunto, ma Malfoy, per tutta risposta, rise ancora più forte.

«E dove sarebbe il cibo che non vuoi sprecare?»

«Non avevamo detto niente domande?»

«Va bene, va bene. Ogni tanto aprirti un po' non ti farebbe poi così male, sai? E ho solo chiesto della cena giacché mi hai invitato.»

Severus non gli rispose, rimase in silenzio a sistemare una ciotola sul tavolo mentre Lucius fissava il mondo fuori la finestra, quel grigiore che non aveva mai abbandonato quel quartiere, quei colori smorti che avevano sempre reso depresso Malfoy ogni volta che era andato a trovare il suo giovane amico.

«L'ho buttato» disse semplicemente. «Prima che arrivassi tu, ho preso la bacchetta e ho fatto sparire tutto.»

Lucius si voltò verso di lui con un bicchiere di bourbon in mano, ambra che si perdeva nel cristallo, guardandolo con aria piuttosto perplessa sotto quegli occhi di ghiaccio, come i cubetti che man mano si scioglievano nel bicchiere.

«Non ti capisco proprio.»

«Non mi devi capire, Lucius.»

Malfoy si avvicinò a Snape, fissandolo incuriosito mentre rompeva, una dietro l'altra, quattro uova, appena prese dal ripiano della cucina, con una sola mano e con molta maestria: gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, a quando erano entrambi studenti di Hogwarts e Severus si nascondeva spesso a preparare le sue adorate pozioni, chiudendosi in qualche stanza nascosta del castello senza vedere nient'altro che il calderone e i libri.

Era sempre stato molto chiuso, anche se ultimamente lo aveva visto diverso: l'amore e la guerra cambiavano le persone fin dalle radici.

Snape lo aveva cambiato l'amore, mentre lui, lui era stato schiacciato e distrutto dalla guerra che gli aveva portato via ciò che di più caro aveva al mondo.

«Come hai capito che Narcissa era quella giusta?» gli domandò all'improvviso mentre versava lentamente lo zucchero nelle uova già sbattute, una cascata di minuscoli cristalli bianchi che scendevano come fine sabbia in una spiaggia dove il vento non arrivava.

«L'ho capito e basta. La vedevo ed ero felice. Non la vedevo e pensavo a lei. E lo stesso valeva per lei. Non si può spiegare il motivo per cui una persona è quella giusta, si capisce e basta.»

Severus continuò a mescolare le uova con lo zucchero finché non divenne un composto omogeneo nel quale, al tatto, si poteva sentire la miriade di granelli dolci, mescolava mentre anche la farina scendeva lenta, un manto candido che profumava di sole sulla pelle.

«Una cosa così dura, come può diventare un cibo commestibile?»

«Hai mai cucinato in vita tua, Lucius?»

«Non che io ricordi.»

«E allora taci.»

Per tutta risposta Malfoy iniziò di nuovo a ridere mentre Severus prese a fissarlo con sguardo piuttosto truce.

«Cosa sarebbe?» chiese Lucius.

«Una torta. La sua torta preferita.»

Lucius sospirò e si perse ad osservarlo aggiungere dell'acqua e dell'olio all'impasto e amalgamare tutto lentamente, con molta destrezza, come se non avesse fatto altro per tutta la vita, e, effettivamente, si fermò a riflettere che cucinare e preparare pozioni non era poi così differente.

In ogni caso, lui non faceva né l'una né l'altra cosa.

«Hai una bacchetta, perché non usarla?»

Severus non gli rispose, continuava a mescolare il composto chiaro per renderlo ancora più omogeneo, il profumo era così dolce che per un attimo ebbe l'impulso di affondare le dita in quella crema, come tante volte aveva fatto Hermione, sporcandogli il naso con essa per poi tracciare quell'unica scia con la lingua che sempre lo mandava a fuoco.

«Un elfo domestico?»

E ci voleva tutto il controllo di cui disponeva per non prenderla sul tavolo della cucina, incurante di tutti gli ingredienti sparpagliati su di esso.

Snape scosse la testa e tornò a dedicarsi al suo fastidioso ospite che non poteva neppure cacciare via, non dopo averlo invitato lui stesso nemmeno un'ora prima.

«Posso essere sincero con te?»

«Non lo sei sempre?»

«Certo.»

«E allora perché me lo chiedi.»

«Sei un idiota.»

«Ho dei coltelli e delle forchette a portata di mano: quale dei due preferisci nella tua, di mano?»

«Nessuna. Sai che ho ragione.»

«Non credo tu ne abbia. Tu non sai niente.»

«Io so che certi appetiti, come quelli per il cibo, in un modo o nell'altro vanno soddisfatti. Se quando torni a casa trovi la dispensa vuota, allora vai a mangiare da un'altra parte.»

«Smettila.»

«Forse è andata a bussare alla porta di quel suo ex, Cunningham, o come si chiama.»

«Smettila!»

Severus strinse maggiormente il cucchiaio di legno tra le dita, facendole diventare ancora più bianche di quanto già non fossero, e si perse nei pensieri, in quelle parole che, anche non volendo, s'insinuarono nella sua mente. E iniziò a pensare…

«Sei ancora qui?» parlò Lucius interrompendo tutti i ragionamenti che, sapeva, il mago più giovane stava facendo. «Dovresti andare da lei.»

«Ho perso molte persone che amavo in un modo o nell'altro. Le ho perse perché le ho uccise io stesso. Ogni volta che una cosa bella si avvicinava a me, appassiva come un fiore senz'acqua. Ogni volta che qualcuno anche solo mi sfiorava, veniva inghiottito dal buio.»

Lucius gli posò una mano sulla spalla. «Ti ho appena toccato e non sono morto. Devi smetterla di piangerti addosso e di vivere costantemente nel passato. Il passato non c'è più, è ora di vivere il presente e di pensare al futuro.»

«Se rovinassi tutto?» parlò Severus mentre il profumo delle nocciole aveva invaso tutta la cucina, un aroma intenso cui andò a mescolarsi la forte fragranza di cioccolata, amara com'era l'involucro che lo avvolgeva, quella stoffa oscura che gli aveva stretto il cuore anno dopo anno.

«Stai rovinando tutto comportandoti in questo modo stupido» parlò Lucius guardandolo con sguardo severo. «Vai da lei» lo esortò mentre il mago più giovane metteva in forno il dolce che aveva preparato.

«Non avevamo una cena da consumare?»

Lucius sospirò sconfortato, sapeva che Severus poteva diventare l'uomo più testardo del mondo – e il più idiota! –, ed era difficile fargli cambiare idea o aprirgli gli occhi: era più facile domare un Ungaro Spinato!

«Sei senza speranze, Severus, davvero senza speranze» Lucius scrollò la testa, esasperato dalla testardaggine del suo amico: doveva esserci ormai abituato al suo caratteraccio, ma ogni volta si stupiva di quanto sapeva essere ostinato. «E visto che hai buttato tutto e che il dolce lo hai messo appena ora in forno, cosa hai intenzione di farmi mangiare? Ho lasciato un appuntamento interessante per venire qua.»

«Sì, immagino. In quale bettola dovevi andare, questa sera?»

Lucius rise, sonoramente e amaramente, Severus lo conosceva molto bene, lo conosceva come nessun'altra persona al mondo, e non aveva bisogno di inventarsi scuse con lui o dire menzogne, sapeva che nel suo sguardo nero non avrebbe mai trovato pietà o derisione.

«Una molto carina a dire la verità, la padrona è una bella donna, molto disponibile.»

Il giovane mago non voleva indagare oltre, gli riempiva già la testa quasi tutti i giorni su ogni donna che aveva conquistato, sapeva perfettamente che era una maniera come un'altra per cercare di non pensare a ciò che lo aveva distrutto.

«Severus. Sei una persona piuttosto intelligente, ma non parlerò oltre su questa questione: vai da lei, lasciati andare. Se sei sicuro dei tuoi sentimenti, lasciati andare e basta. E dille ciò che provi, senza avere paura e senza più trincerarti nel passato.»

«Da dove ti viene questa saggezza?»

«Ero un uomo sposato, un tempo, se te lo fossi dimenticato.»

«Già. Mi è dispiaciuto per Narcissa e per Draco»

Le sue erano parole vere, Lucius lo sapeva, sapeva quanto era legato a suo figlio e quanto affetto provasse per la sua famiglia. «Lo so. Io, però, sono vivo, e non intendo marcire tra le lacrime e in mezzo al buio,» ma aveva bisogno di non pensarci, aveva bisogno di portare la sua mente altrove, tra i fumi dell'alcol e con qualche corpo nudo accanto, se si fosse fermato tra i ricordi del passato, si sarebbe smarrito, ancora e ancora, e non sarebbe più stato in grado di risalire dal fondo.

Severus non aveva nessuna intenzione di discutere ancora con lui, sapeva che aveva ragione, ma tutto quello che fece, fu prendere ciò che gli rimaneva nella dispensa e metterla sul tavolo con una bottiglia di fresco vino rosso.

 

Snape non disse nient'altro, e neppure Malfoy lo fece, rimasero in silenzio a mangiare e a bere, finché Severus mandò giù l'ultima goccia di vino e se ne andò, così, senza dire una parola, lasciando Lucius sbalordito a fissare il punto in cui era sparito.

 

***

 

Hermione continuava a piangere, non sapeva neppure quanto tempo fosse passato da quando aveva iniziato, e non riusciva a smettere, piangeva e mandava giù un cucchiaio di gelato, faceva così da parecchio.

Perché Severus non le aveva detto la verità? Perché non le diceva semplicemente che non era innamorato di lei e che neppure la desiderava?

Era tanto difficile pronunciare poche facili parole?

Hermione continuò a singhiozzare, incapace di dare delle risposte a quelle domande, risposte che, forse, non voleva neppure conoscere.

La giovane strega stava ingollando l'ennesimo cucchiaio di gelato, quando bussarono alla porta: un tocco leggero, delicato, come solo lui poteva fare e fu quasi tentata di non muoversi neppure di un pollice da dove si trovava.

Era troppo arrabbiata, delusa e triste anche solo per spostare appena la mano per mangiare. Lui, però, di sicuro sapeva che fosse in casa.

«Avanti, Hermione. Lo so che ci sei, apri questa porta» un suono ovattato provenne da fuori.

Appunto

La giovane strega sospirò, la sua voce era quiete e tempesta, e andò ad aprire la porta, ad aprire nuovamente il cuore al dolore, ne era certa.

«Cosa vuoi?» era fredda, fredda come il ghiaccio più bollente, ma Severus non si lasciò ingannare dal suo tono di voce, sapeva che dentro ribolliva, ribolliva di diverse forti emozioni.

«Parlare.»

«Non voglio parlare. Ho parlato anche troppo e tu non lo hai fatto per niente.»

«Hai ragione, mi dispiace. Adesso devi solo ascoltarmi,» ma Hermione non rispose, si limitava a guardarlo, gelida, glaciale, come se non provasse niente, anche se sapevano entrambi che erano soltanto menzogne le sue.

Ho imparato da te, avrebbe voluto dirgli la giovane strega, intuendo le perplessità del mago.

«Sai che posso facilmente lanciarti qualche incantesimo per lo scopo, vero?»

«Non oseresti farlo!»

«Non mettermi alla prova, sai che perderesti facilmente.»

A quelle parole, Hermione, stranamente, sorrise, sorrise sentendosi più tranquilla, così si spostò per lasciarlo entrare.

«Che diavolo è quello?» gli chiese non appena il mago ebbe varcato la soglia, con uno strano involucro che si librava dietro di lui.

 «Quello è quella. È una torta. La tua torta preferita, manca solo un po' di panna per accompagnarla.»

«Stai cercando di comprarmi con i dolci?»

«Posso sperarci?»

«No,» ma Hermione stava sorridendo, e per un attimo Severus parve ritrovare tutto il suo coraggio nel parlarle, quello che aveva perso non appena l'aveva vista sulla porta, una maglietta troppo larga che le lasciava comunque le gambe scoperte, gli occhi arrossati e i capelli più indomabili del solito.

Come lei…

«Mi dispiace, Hermione, non ti ho mai detto la verità sul perché non volessi andare… oltre, ma tu lo sai già.»

«La tua capacità di deduzione è disarmante» lo canzonò come aveva fatto lui appena poche ore prima nella sua cucina.

Snape alzò entrambe le sopracciglia e una smorfia di contrarietà piegò le sue labbra, quelle labbra che voleva posare su ogni linea del corpo di Hermione, anche in quel momento e notte dopo notte. «Se non volevo fare l'amore con te» continuò Severus, «era perché avevo paura. Paura di farti del male.»

Hermione aveva lo sguardo perplesso, non riusciva a capire quale paura potesse mai avere, e per un attimo si perse a guardare il dolce che andava a posarsi sul ripiano della cucina.

«Amavo mia madre e non ho saputo proteggerla da mio padre, ho amato Lily e l'ho fatta ammazzare come una bestia qualunque, volevo bene a Dumbledore e l'ho dovuto uccidere. Avevo paura che una volta che anche solo ti avessi sfiorato, ti avrei fatto del male e ti avrei persa.»

La giovane strega era stupita da quelle parole: come poteva pensare che le avrebbe fatto del male?

«Severus… era tua madre che doveva proteggere te, non il contrario, lei aveva una bacchetta, ma le mancava la volontà, tu non l'avevi, la bacchetta, ed eri solo un bambino.»

Si avvicinò al mago e gli strinse forte una mano tra le sue, e gli sorrise mentre lo guardava con dolcezza, con quegli occhi nocciola che scintillavano nel riflesso del nero che avvolgeva i suoi, di occhi, quello sguardo che l’aveva resa schiava di un sentimento mai provato prima, assoluta prigioniera dell’amore che aveva di lui.

«Lily è morta perché doveva morire, non avresti potuto fare niente e le tue parole non hanno cambiato poi nulla, era una guerra e Voldemort eliminava i suoi nemici. Lily lo era, come molti altri.»

Gli sfiorò dolce il viso, quel viso ancora segnato dal dolore e dai rimorsi che avrebbe voluto dipingere di felicità e amore giorno dopo giorno con le sue carezze e le sue labbra.

«Dumbledore era destinato comunque alla morte, è stato lui ad aver sacrificato la sua vita, non tu. Tu lo hai soltanto liberato dalle sofferenze.»

Severus rimase immobile, beandosi delle attenzioni di Hermione e di quelle parole sulla sua bocca che sapeva fossero vere, ormai lo sapeva perfettamente, e allora perché continuava a torturarsi in quel modo?

La strega fece un passo indietro e, inaspettatamente, si sfilò quella maglia troppo larga per lei gettandola su di una poltrona poco lontana.

Snape sgranò gli occhi: sotto quell’indumento, Hermione era completamente nuda, nuda come tante volte avrebbe voluto vederla e toccarla, ma in quell’istante rimase immobile, fermo ad osservare la bellezza del suo amore.

Fece di nuovo un passo avanti verso di lui, verso il suo corpo immobile, e in quell’attimo poté sentire ogni aroma di cioccolata e nocciole che aveva avvolto anche lei come delicata seta: profumava del suo dolce preferito, profumava di passione e di tutta la voglia che aveva di lei.

Hermione gli afferrò le mani e lentamente le fece scivolare sul suo corpo nudo, le spalle, le braccia e poi i seni fino ai fianchi morbidi: le sue dita delicate sulla sua pelle liscia e calda che voleva soltanto lambire con le labbra, perché sapeva che quei sapori sarebbero stati decisamente più deliziosi sul suo corpo.

«Vedi, Severus? Mi stai toccando e non mi stai facendo alcun male» Hermione lasciò libere le mani di Snape, ma lui non si ritrasse dal suo corpo, continuò quelle carezze che sapevano di zucchero e nocciole, che sapevano d’amore. «Non mi stai bruciando né uccidendo… beh, bruciando un poco, ma di desiderio» e rise, rise schiudendo quelle labbra morbide, quelle labbra che voleva e non seppe più aspettare: le catturò in un bacio che non aveva nulla di dolce o di casto, un bacio che desideravano entrambi da tempo.

«Non mi hai portato un dolce?»

«Può aspettare.»

«Ma io ho la panna nel frigo» e rise di nuovo, forte, ma stavolta la sua risata durò poco, perché Severus reclamò nuovamente quella bocca, ancora e ancora, senza mai stancarsi di quel contatto quasi morboso, senza mai stancarsi di lei.

La strinse tra le braccia e la portò là dove il profumo del dolce era più forte.

 

   
 
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