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Autore: Samarskite    03/06/2014    3 recensioni
Perché Harry Styles, giovane uomo residente nel centro di Londra e costruttore di altalene nei posti più disparati, si ritrovi coinvolto in un'indagine per omicidio, all'agente Tomlinson non è ben chiaro. Ma non gli importa quanto le prove dicano il contrario, a lui qualcosa non torna.
Harry/Louis, Policeman!Louis, Swingbuilder!Harry
Ed Sheeran/Nina Nesbitt + Matty Healy
Genere: Mistero, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Altalene sul letto del fiume



Come with me to a place of fantasy, I'll take you on a see-saw
Come with me to a place that's by the sea [...]
I don't wanna grow old, bring me all the toys you can find
You don't wanna grow up, you can be my partner in crime

 

 
PROLOGO

Si sente annegare. Ha i polmoni pieni d'acqua.
Guarda attorno a sè, e non vede nient'altro che oscurità. Stava cercando qualcosa, ma non riesce a ricordarsi cosa diavolo dovesse cercare. Gira su sè stesso, cerca di valutare la situazione; vede il pelo dell'acqua sopra la sua testa, non molto lontano. Prova a nuotare fino alla superficie, tiene lo sguardo fisso su di essa, ma qualcosa lo trattiene. E quando abbassa lo sguardo, vede un bambino pallido come la morte, gli occhi neri, la bocca rossa e i vestiti laceri. 
Spalanca la bocca per urlare, prova ad urlare, vuole sentire la propria voce, ma sente solo suoni ovattati. Sta annegando. Ha i polmoni vicino al collasso...
Poi qualcuno gli dà una sberla, e lui apre gli occhi. Vede un viso preoccupato a dieci centimetri dal proprio.
“Era un sogno”, dice il viso nella penombra. Pausa.
“Ho urlato?”, chiede lui.
“Come un matto”.
Altra pausa. Poi il viso storce la bocca e una mano corre a tirarsi indietro i capelli, visibilmente scuri persino nel buio: “Devi perdonarti, amico. Voglio dire, anche io ho gli incubi perché mi manca, ma tu non riesci a perdonare te stesso”.
Lui guarda il viso sopra di sè e chiude gli occhi, cercando di tornare ad una respirazione regolare. “Non so come si faccia”. Osserva il proprio salvatore - perché costui questo ha fatto, lo ha salvato dall'incubo - scivolare accanto a lui e sedersi tristemente: “A perdonarti?”. Il silenzio dell'altro è una risposta sufficiente, perciò aggiunge: “Pensa a come sarebbe andata se non te ne fosse fregato niente.”





Fuori ci sono dieci gradi, ma Harry ha freddo. Un freddo terribile. Sta sotto le coperte ed è certo di non avere la febbre, perché sta oggettivamente bene - abita solo in una casa sfigata messa in posizione sfigata, nella quale passa metà delle sue giornate sfigate prima di andare al suo lavoro sfigato.
Ah, non è vero. Ama il suo lavoro. Che poi non è nemmeno un lavoro, riflette mentre si rigira con estrema cautela. La schiena gli duole terribilmente negli ultimi giorni, probabilmente perché ha passato troppe ore ad issare corde e travi. E non lo pagano nemmeno per fare queste cose. Ma lui si diverte a piazzare altalene in giro per Londra e vedere come reagisce la gente, perciò continua e non se ne lamenta. Ne ha fatto il proprio lavoro part-time. Quando non issa altalene sui lampioni di Trafalgar Square, lavora in una pasticceria. Ma principalmente, in effetti, monta altalene. Lui questo risponde quando gli chiedono che lavoro fa. “Monto altalene in giro per Londra.”
Harry si stiracchia e sente le vertebre urlare di dolore misto a piacere. È giovane, ma alla mattina il suo corpo gli si ritorce contro come se fosse vecchio. Terribilmente vecchio. È l'umidità, si dice. La fottuta umidità.
E in effetti fuori piove; forse è meglio che per oggi stia in casa a cazzeggiare, da solo. Solo. Come un cane. Harry fa una smorfia, si tira su a sedere, si volta e prende a pugni il cuscino per renderlo più confortevole; poi si sdraia di nuovo. Da quanto tempo non ha una compagnia? Un compagno? Un gatto? Un ragno da circo? Nemmeno i topi vengono a fargli compagnia, cristo.
Osserva il soffitto e gli viene improvvisamente da piangere. A sedici anni non avrebbe mai pensato di ridursi in quelle condizioni, a venti. Non patire la fame solo perché tua madre lavora in una pasticceria, sacrificare il tuo tempo libero per vedere le persone sorridere nell'uscire dallo Starbucks, trovandosi di fronte un'altalena che quando erano entrati non c'era. Vivere da solo. In una casa tutto sommato carina, ma cazzo, viverci da solo riesce a renderla brutta.
È meglio rendere felici gli altri, riflette Harry pensieroso mentre gli occhi gli si chiudono. È molto meglio che perdere tempo a curare sè stessi.
È la scusa migliore che riesca a trovare, prima di scivolare nel sonno.


Dall'altra parte di Londra viene ritrovato il corpo di una donna con una corda attorno al collo, sulla riva del Tamigi. Ad una prima perizia il medico legale stabilisce che si tratti di strangolamento, e non di annegamento come sosteneva la collegiale isterica che l'ha ritrovata.
Il medico legale le ha prescritto un sedativo perché non riusciva più a sopportare i suoi strilli: sta cercando di portare a termine il proprio lavoro sotto il diluvio universale, ci mancano solo gli attacchi isterici dei testimoni. Mentre misura la grandezza del bacino che si trova ai suoi piedi, il medico sente una voce alle proprie spalle: “Ti stai indurendo, amico. Te l'avevo detto che la pietà prima o poi scivola via.”
Il medico legale si volta e vede un uomo in divisa che gli sorride. Risponde apologetico, mordendosi un labbro: “Non taceva un attimo, ti giuro su Dio che...”
“Anni fa l'avresti giustificata e le avresti offerto un the. Cosa mi sai dire della vittima?”, taglia corto l'agente di Scotland Yard accovacciandosi accanto a lui.
“Aveva circa vent'anni, donna caucasica. La morte sembrerebbe ad un primo esame essere per strangolamento. Considerando i segni che riporta sul collo e il fatto che l'abbiano trovata nel Tamigi, sarà morta da circa due giorni, massimo quattro.”
L'agente annuisce, pensieroso. Sta per dire qualcosa, quando una voce alle sue spalle interrompe la conversazione tra lui e il medico: “Dottor Horan! Mi scusi, le ho -- le ho portato un caffè.”
Il dottore si volta, e vede un ragazzino biondo caracollare verso di lui con una busta di carta mezza fradicia stretta al petto e un ombrello giallo limone nella mano libera. Ha i jeans inzuppati di acqua e la faccia di chi inizia a disperare.
Il dottore scocca un'occhiata all'agente, quasi divertita. L'agente ricambia con un sorriso.
“Oh, grazie, Irwin.”, dice il medico legale.
“Fai una cosa, Irwin, già che sei qua. Chiama la centrale e fatti dire se qualcuno ha denunciato la scomparsa di una donna sui vent'anni, bianca, con i capelli tinti di viola.”, dice l'agente afferrando la busta di carta che gli tende il ragazzo, dal momento che il medico ha le mani immerse nel fango putrido e colloso; egli sorride al ragazzino e torna al lavoro. Quest'ultimo, felice di essere stato apprezzato, caracolla invece via nell'ansia di rendersi utile.
“Carino, il ragazzo.”, considera l'agente sbirciando nella busta di carta. “Ti ha anche portato una ciambella. Molto carino.”
“Chi, Ashton? Mh, sì.”, replica distrattamente il medico mentre solleva le pupille del cadavere.
“Stravede per te, Niall. Non gli servi solo per arrivare ai piani alti.”, rincara l'agente addentando la ciambella.
“Mi stai suggerendo di recitare la parte del protettore buonista che sfrutta fino in fondo il proprio allievo? Mi sento proiettato in un potenziale hentai yaoi, Tomlinson.”
L'agente scoppia a ridere e lascia cadere la metà di ciambella rimasta nel sacchetto. “Hai fatto tutto da solo, io non ti ho detto proprio niente.”
“Dici sempre così quando mi fai certe proposte, non sei così sottile come credi.”
“O magari sì.”, replica l'agente Tomlinson con un sorriso. Poi torna serio: “Riesci a mandarmi un identikit entro la fine della giornata?”
“Ad occhio e croce ti direi di sì. Ma oggi la babysitter ha deciso di darmi buca, perciò dovrò trovare un modo per piazzare Theo. Altrimenti mi tocca chiedere il pomeriggio libero.”
“Sei un infame.”
“Senti, ti pare colpa mia?”, si offende il medico legale. Nel mentre si alza, si sfila i guanti usa-e-getta e accetta tra le mani pulite il bicchiere di caffè che il collega gli sta tendendo. Mentre sorseggia la bevanda osserva il cadavere della donna, pensieroso; l'agente, accanto a lui, fa lo stesso. Non dicono niente, ma è chiaro che stanno pensando entrambi a qualcosa.


L'agente Louis Tomlinson non è in servizio; sta dormendo sul divano, nel proprio appartamento. È rincasato da circa trentacinque minuti, e sta pisolando da trenta. Questo periodo, ha fatto fumosamente in tempo a riflettere mentre si toglieva le calze e i vestiti e si metteva sotto una coperta patchwok, è stato decisamente faticoso. Non ha avuto un attimo di riposo, veramente - anche se l'aspetto più importante da considerare sarebbe che ha scelto lui di essere così tanto impegnato. Il lavoro lo aiuta a non pensare a faccende di poco conto, che non lo riguardano o in cui non vuole immischiarsi. Come la sua vita; o il fatto che non sia capace di intrattenere una relazione sociale al di fuori dell'amicizia con il medico legale e col suo coinquilino. Che, tra parentesi, lo sta scuotendo per le spalle con vigore per svegliarlo: “Ehi, amico. Sei vivo? Ha chiamato Niall.”
Louis apre un occhio e guarda il proprio coinquilino con faccia assonnata: “Che ti ha detto?”
“Stanno analizzando i segni sul collo della vittima, sperano di risalire al tipo di corda che li ha lasciati.”, replica l'altro con accento ostentatamente ed esageratamente irlandese, tirandosi su e aggiustandosi il maglione. Ama imitare l'accento che risalta le origini del medico legale.
Louis si drizza a sedere e fa per commentare, quando aggrotta la fronte: “No, ehi, aspetta, a te non dovrebbero essere dette queste cose.”
L'amico fa spallucce, con aria furba: “Pulisco i pavimenti della centrale da anni, Louis. Ho sentito madri piangere, padri decidere di non rivelare fraternità scomode, amici confessare gelosie segrete. Ormai sono Sherlock Holmes.”
Louis Tomlinson scoppia a ridere e fa cadere i piedi sul pavimento di legno, cingendosi la vita con la coperta multicolore: “Puoi farne il tuo biglietto da visita: Matty Healy, inserviente di giorno e consulente investigativo di notte. Chiamatemi in caso di diatribe personali.
Matty ride a sua volta e gira i tacchi verso la cucina, cambiando argomento: “Stasera si mangia surgelato, non ho la benchè minima voglia di fare la tua servetta.”
Louis con un occhio lo osserva allontanarsi e con l'altro controlla il cellulare, mentre lascia che il sorriso scompaia lentamente dal suo viso. Ha ricevuto un messaggio diciassette secondi fa, dal medico legale:

 
Vittima identificata // Periwald Edwards, 22 anni, residente nella zona di Trafalgar Square // Convivente di Zayn Malik -- Una foto in allegato

Louis apre la foto. La ragazza sembra carina; le importava molto del proprio aspetto fisico, e tendeva a curarsi con minuzia.
Non potrà più farlo.
Louis lascia che il cellulare gli cada di mano, sulla stoffa del sofà. Si sente improvvisamente stanco, ripensando a quanto quella ragazza potesse ottenere dalla vita, e quanto invece le sia stato proporzionalmente tolto. Aveva persino un fidanzato. Toccherà a lui, dargli la notizia.
Tocca sempre a lui fare il peggio e sporcarsi le mani: “Mr Malik? Le devo dare una brutta notizia...”. Spera vivamente che Zayn Malik non sia un tipo che piange. Perché potrebbe seriamente voltarsi, andarsene e lasciarlo lì senza nemmeno fargli le condoglianze, riflette Louis infilando le ciabatte.
Dalla cucina, Matty scalda il forno cantando qualcosa a proposito di uomini leoni e coraggi perduti: spreca il coraggio che ti è rimasto // cercando di risolvere i problemi che ti sei fatto nella testa. Louis sorride, sentendo che è un indiretto rivolto a lui. Nessuno lo conosce meglio di Matty: se Matty dice che può risolvere i propri problemi, allora dev'essere sicuramente così.


Quando Harry si sveglia, è per colpa del telefono. Mentalmente manda mille ed una imprecazioni a chiunque lo stia disturbando, si solleva, si rigira su sè stesso, torce la schiena ed afferra il cellulare dal comodino. La sua risposta suona molto più come un grugnito che come una risposta.
“Eh.”, fa assertivo, con voce impastata.
“Harry?”, domanda una voce maschile. Non è aspra o particolarmente virile, anzi, è quasi vellutata.
Harry schiocca la lingua e lascia che la testa ricada sul cuscino. “Ciao, Ed. Che ore sono?”
“Le sette di sera”, replica l'altro con tono rassegnato. Gesù, pensa Harry tirandosi su una terza volta in questa giornata. Ho davvero dormito per dodici ore. Ora non dormirai più per un mese, complimenti Harry Styles, vuoi un applauso?
“Oh. Beh, dimmi”, replica infine il ragazzo passandosi una mano tra i capelli ricci. Non li ha mai visti come qualcosa di affascinante, ma pare che alle ragazze piacciano e i ragazzi li desiderino. Dio solo sa perché, cosa ci può mai essere di intrigante e pratico in un cespuglio che nemmeno si può pettinare?
“In verità niente, volevo solo assicurarmi che stessi bene”
“Ah. Beh, sono qui. Che hai fatto oggi?”, replica Harry, imbarazzato che Ed si sia preoccupato per lui.
“Sono andato a giocare a tennis con Mike. Pare che le corde della mia racchetta si siano un po' smollate”, è la risposta rassegnata. Ormai Harry conosce Edward da una vita: sa che se inizia dal raccontare un accadimento ampio e arriva a descriverne un'inezia significa che il ragazzo si sente solo e ha voglia di parlare.
“Devi andare da Liam, è lui l'uomo delle corde.”, replica Harry con tono pratico. Gli passa davanti agli occhi la fugace visione dei segni rossi da abrasione sulla vita e sui polsi di Liam stesso, e aggiunge: “In tutti i sensi”
Ed ridacchia attraverso la cornetta, ed solo per amore fraterno verso l'amico che Harry aggiunge: “Rosenberg si è un po' rammollito o tira sempre bolidi lungolinea?”
“Mike è sempre Mike. Il giorno in cui non tirerà bolidi felloni non sarà più lui. Nemmeno ad ottant'anni”, riflette ad alta voce il ragazzo, con tono stentatamente giulivo: ha capito che Harry lo sta interrogando solo perché gli vuole bene e non per vero interesse, ma non gli importa, perché davvero ha bisogno di parlare. Così racconta ad Harry della partita, di Mike e delle sue tredici sigarette, della ragazza bionda che li osservava dagli spalti. Stanno insieme da un anno e avranno litigato sei volte ogni due mesi; però non ha alcuna intenzione di lasciarla perdere, confida Ed ad Harry.
Harry sorride durante tutto il racconto, annuendo con la voce quando sa di essere adatto. Trova quasi deprimente come Ed gli stia raccontando la propria vita impegnata per sentirsi meno solo, facendo così sentire il riccio ancora più solo - perché lui non ha mica tutti gli impegni che ha Ed. Lui monta stupide altalene di mattina, monta stupida panna al pomeriggio su stupide torte di compleanno e la sera monta su uno stupido letto in uno stupido appartamento vuoto.
Harry è una catena di montaggio.
Forse, pensa, la solitudine è paradossalmente come l'energia. Non può essere creata o debellata, ma solo dispersa, trasferita da corpo solo a corpo solo. E non c'è mai limite alla trasfusione.
Il riccio saluta Ed e butta il cellulare per terra, sul tappeto, dove sa che non si romperà. Torna a guardare il soffitto, nella penombra primaverile che caratterizza le sette e mezza di sera e si dice ad alta voce che non può andare avanti così.


Zayn Malik non è un tipo che piange. Grazie a Dio. Ma Louis Tomlinson lascia casa Malik comunque con un vuoto dentro.
Malik è un ragazzo, avrà la sua età. La sua ragazza è stata appena trovata strangolata, e tutto quello che è riuscito a dire è stato: “Mancavano due mesi al matrimonio”.
Non ha detto si accomodi, grazie, sapete chi è stato?, dovete trovare l'assassino!, vuole un caffè?, arrivederci. Non ha urlato, non ha pianto, non ha reagito. Ha guardato il pavimento per un minuto intero, e infine ha detto: “Mancavano due mesi al matrimonio”.
L'agente Tomlinson ha aspettato per svariati minuti che aggiungesse altro - tormentandosi ogni singolo centimetro della manica del proprio maglione, desiderando ardentemente di essere al caldo di casa propria - ma non lo ha fatto. Louis si è perciò voltato lentamente e, esprimendo le sue più sincere condoglianze, ha provato a congedarsi. Era già sulla soglia quando Malik lo ha chiamato: “Agente Tomlinson?”
Louis si è voltato, chiedendogli un sì? incerto. E dopo una pausa, si è sentito chiedere: “Come si fa a vivere dopo aver perso la persona che ti aveva fatto iniziare a vivere?”. Louis ha ripensato alla persona che lo ha fatto iniziare a vivere e che ora gli prepara la cena tutte le sere, come se fossero una coppia sposata, nonostante il peso del senso di colpa che Louis ha per ciò che non è riuscito a fare per lui. Come farebbe a vivere senza Matty?
“Non lo so, Zayn” - usare il nome di chi bisogna consolare suona rassicurante, gli hanno detto - “Penso che l'iniziare a vivere comprenda anche il proseguire, nonostante le botte.”
Zayn Malik ha alzato gli occhi verso l'agente, per la prima volta da quando Louis ha suonato al suo campanello; ha tirato su col naso e ha detto annuendo: “Sembra facile.”
“No. Non lo è.”
“Ma si può fare.”
“Si può fare. Sì.”


Sono circa 24 ore che Louis Tomlinson non chiude occhio, ed è per questo che nemmeno riesce a camminare dritto. Sta tornando a casa a piedi, dopo aver trascorso l'intera serata in ufficio con Niall a cercare di far quadrare i conti nel caso Edwards. Ma niente, niente, niente sembra tornare. Hanno interrogato Zayn Malik, i genitori, la sua ex compagna di stanza al college - una certa Gemma Styles. Hanno interrogato chiunque, ma ancora non riescono a capire.
“Perché ti hanno strangolata? Benedetta figliola, che hai fatto di male nella vita?”, bofonchia Louis più a sè stesso che alla Edwards tra gli angeli in cielo, osservando la strada deserta che lo precede.
In lontananza riesce a vedere il Tower Bridge, e pensa tristemente che se ne avesse le energie sarebbe la serata perfetta per cercare una panchina ed osservare il Tamigi. Storce improvvisamente la bocca, colpito da un pensiero amaro. Louis Tomlinson ama il Tamigi, ma allo stesso tempo lo odia. Non c'è niente, a suo parere, che sia più contraddittorio di quel fiume: così capace di riflettere bellezza, così capace di sottrarla. Non solo a Perrie Edwards. Ma anche, per esempio, a Louis Healy - il fratello di Matty.
Il rapimento del minore degli Healy è stato circa il terzo caso assegnato a Louis nel corso della sua carriera. Se lo ricorda con precisione grottesca. Una faida tra tossicodipendenti - tra cui anche Matty - sfociata in un sequestro di persona e relativo omicidio.
Se, la notte, chiude gli occhi, Louis riesce ancora a sentire le urla di Matty, a vedere il suo viso emaciato e solcato da occhiaie che lo implora di salvare suo fratello. E lui ci ha provato, ci ha provato, non ci ha dormito la notte, solo perché gli occhi di Matty lo avevano implorato e lui non era ancora riuscito a limitare il coinvolgimento emotivo. Ci aveva davvero provato con tutto sè stesso - ma Louis Matty era stato gettato nel Tamigi dal rapitore, sotto gli occhi dello stesso Louis Tomlinson.
Se Louis si tappa le orecchie sente ancora Niall Horan che gli comunica l'esito dell'autopsia per telefono. Annegamento. Sente ancora la sensazione del mondo che gli si sfalda addosso.
Ha dovuto dirlo lui, a Matty. Tocca sempre a lui il lavoro sporco. Matty a quei tempi stava in cella, per i suoi problemi con la droga; ma quando era arrivato il momento di dirgli del fratello, Louis aveva mandato via tutti i poliziotti di guardia - perché sentiva che se Matty avesse voluto tirargli un cazzotto avrebbe dovuto poterlo fare, in pieno diritto.
“Hanno - hanno trovato il corpo di tuo fratello, Matthew. Non ce l'ho fatta a sparare, lo teneva in braccio, e poi lo ha buttato nel fiume, e io ho provato a riportarlo in superficie, ma aveva già i polmoni pieni d'acqua, e non ci sono riuscito a salvarlo, Cristo, mi dispiace tanto.”
Picchiami, aveva pensato. Ti prego, fallo. Magari, assieme al sangue scorre via anche il senso di colpa. Colpiscimi.
E invece Matty lo aveva osservato per qualche minuto, stralunato, forse sano e lucido di mente per la prima volta da quando Louis l'aveva conosciuto; poi lo aveva abbracciato per infiniti, lunghissimi minuti - e si era messo a piangere sulla sua spalla. Louis si era sentito da schifo, ma in qualche modo aveva capito che Matty sarebbe rimasto nella sua vita e che avrebbe dovuto ricomporre insieme i pezzi della sua, dopo la riabilitazione. Mesi dopo, Louis avrebbe scoperto di avere avuto ragione per metà: non solo aveva ricomposto i pezzi della vita di Matthew Healy, ma Matthew Healy aveva ricomposto parzialmente la sua.
Louis attraversa la strada, estrae le chiavi ed apre il portone. Mentre sale le scale a due a due lancia un'occhiata al cellulare, che segna le tre di notte. Apre la porta di casa cercando di fare meno rumore possibile, consapevole che il suo coinquilino sta già dormendo - lo trova sdraiato scompostamente sul divano, che russa con la bocca aperta. Louis sorride e va in cucina, dove trova una bottiglietta d'acqua, una mela, un quadratino di cioccolato e un panino. Il sorriso si fa più largo, ma allo stesso tempo vacilla. Matty potrà anche comportarsi come la donna di casa, ma lo fa perché si sente in debito con Louis; e Louis gli ha già spiegato mille volte che non è così, che ancora ha i crampi allo stomaco dal rimorso di non aver fatto quello che gli era stato chiesto, ma Matty lo liquida sempre con un “Hai fatto del tuo meglio, mi hai tirato fuori dal giro e mi hai dato un lavoro”, per poi girare i tacchi ed andarsene. Lo dice con tono secco, nemmeno fosse un dogma indiscutibile, un assioma geometrico: Matty deve la vita a Louis, fine. Come il punto non ha dimensione e misura, la colpa e la gratitudine che ognuno prova nei confronti dell'altro sono immensurabili.


Sono le nove di mattina, Harry Styles si trova ammanettato ad una sedia e ciò lo secca immensamente. Lui monta altalene in giro per Londra da anni e non gli è mai stato detto niente, perché diamine si ritrova bloccato nella centrale di Scotland Yard come un delinquente qualsiasi? Ogni volta che scorge un poliziotto nell vicinanze prova a chiedere spiegazioni, a fare domande, ma nessuno gli parla. È come se fosse invisibile, e lo rimane per una, tre, cinque ore. Finchè non  arriva un'agente, circa della sua età, che lo libera dalle manette e lo scorta in quella che Harry immagina essere la sala interrogatori. Harry sbircia il cartellino dell'agente e vi vede scritto solo il cognome: Nesbitt. La conosce, l'ha vista in giro con Ed. Cerca di salutarla, ma lei non lo guarda negli occhi per tutto il tragitto; appena dentro, lo fa accomodare sulla sedia e lo ammanetta di nuovo. Poi, se ne va.
Nella stanza Harry non è solo. Un poliziotto è già lì, seduto dalla parte opposta, ancora da prima che il riccio entrasse. Harry si azzarda a dargli un'occhiata, ma si rende subito conto che avrebbe fatto meglio a tenere gli occhi bassi. Se incontrasse un tizio del genere in discoteca (ammettendo utopicamente che Harry sia un tipo di discoteca) gli offrirebbe di certo da bere. È poco più grande di lui, ma è chiaramente un ispettore - Harry si domanda come abbia fatto a raggiungere una tale posizione di livello in così poco tempo. Ha i capelli castani, arruffati come se non avesse avuto modo di pettinarseli prima di venire al lavoro; non è riuscito a vedere il colore delle iridi, ma sicuramente il suo aguzzino ha le occhiaie. È vestito in borghese - almeno così dicono nei telefilm, pensa il riccio in un moto di divertimento: indossa un maglione nero di due taglie più grandi e un paio di jeans chiari; la sua concentrazione è rivolta verso una Moleskine che sembra avere più anni di lui.
“Okay, mi ascolti. Io non ho fatto niente di male. Non ho mai violato nessuna legge. Mi sono imbattuto molte volte in uomini della polizia mentre facevo il mio lavoro, e non mi hanno mai accusato --”, inizia Harry cercando di suonare arrabbiato, ma il poliziotto alza gli occhi e lo interrompe con la sola forza dello sguardo.
Tutto tace.
La stanza è vuota di parole.
Così triste, pensa Harry fissando le iridi azzurre del suo interlocutore. Così impotente eppure determinato.
“Tu sei l'uomo delle altalene”, constata poi semplicemente il poliziotto con voce acuta e graffiata. Harry, suo malgrado, annuisce nervosamente. Non sa dire se il nervosismo sia dato dalla piacenza dell'uomo che si trova davanti o dalla situazione in cui si è cacciato, fatto sta che gli tremano le mani.
“Okay, Harry, la situazione è questa.”, inizia il poliziotto con voce sciolta, a suo agio.
È solo una maschera, pensa Harry. Non è per niente a suo agio. Siede sul bordo della sedia. È nervoso quanto me.
Il poliziotto interrompe a metà il proprio incipit per precisare, seccato: “Io siedo sempre sul bordo della sedia. Ora ascoltami. A noi, delle tue stramberie, non è mai fregato niente. Mi segui?”
Harry lo segue. Annuisce, e ha paura, pensa solo sì, sì, ti seguo. Perché costui gli legge evidentemente nel pensiero.
“Però adesso hai un problema. Una delle tue corde delle altalene è stata utilizzata per strangolare una ragazza.”
Harry si sente sul punto di svenire o vomitare - non ha ancora deciso. Il poliziotto estrae dal nulla una busta trasparente in cui è contenuto un cappio logoro, a cui è fissata un'etichetta con un'H sbiadita sopra - H che Harry conosce fin troppo bene. Ogni volta che le corde per le altalene iniziano a scarseggiare, Harry va dal suo rivenditore di fiducia, che conserva sempre delle scorte per lui nel ripostiglio - marchiandole appunto con un'H sopra un'etichetta bianca.
Harry prova a deglutire, ma ha finito la saliva. Il poliziotto non va avanti, ma lui sa perfettamente di essere nella merda senza aver mai fatto nulla di cui lo stanno implicitamente accusando.
“Il tuo problema maggiore, però, è che la ragazza morta si chiama Perrie Edwards, che se non sbaglio era la fidanzata di uno dei tuoi più cari amici. Sbaglio?”
Harry si sente il cervello imbottito con la naftalina. È tutto uno scherzo, non può essere morta la ragazza di Zayn. Non è morta, non può. L'ha vista una settimana fa mentre si tingeva i capelli nel suo bagno. Le aveva offerto dei biscotti. Avevano guardato insieme con Zayn un film dell'orrore. Non può. Scuote la testa in un segno di rifiuto, ma il poliziotto la prende come una conferma di ciò che gli ha appena chiesto. Gli chiede qualcos'altro, ma Harry non lo sente. Le sue orecchie sono tappate, e non riesce a respirare.
L'agente di fronte a lui sbotta un “Magnifico, ha un attacco di panico”, per poi alzarsi di corsa e aggirare il tavolo. Sposta la sedia di Harry per farsi spazio e accovacciarvisi davanti, mentre quest'ultimo ansima come se stesse per affogare.
“Harry. Respira. Non ti stiamo condannando a morte. Dobbiamo solo farti delle - oh, Cristo, Harry!”, lo chiama ancora. Il riccio ha iniziato a stringere gli occhi, da cui stanno uscendo delle lacrime copiose. Lo chiama per altre tre volte, ma il riccio non lo sente. Perciò il poliziotto prende coraggio, si alza in piedi e gli tappa la bocca. Non è del tutto sicuro che sia permesso dal regolamento - in teoria potrebbero accusarlo di tentato omicidio, o altro - ma ha davvero paura che l'indiziato gli muoia di crepacuore tra le mani. Vede Harry spalancare gli occhi; tiene premuto ancora qualche secondo, poi lo lascia andare con cautela.
Harry lo guarda con occhi spauriti, e in quel momento il poliziotto pensa che - quanto è vero che si chiama Louis Tomlinson - questo non è il ragazzo che stanno cercando. Dopo un mezzo respiro tirato su con cautela, Harry si accorge di respirare di nuovo.
Tutta questa situazione ricorda a Louis la puntata di Teen Wolf in cui si dice che trattenere il respiro fa superare un attacco di panico. Pare che sia vero, pensa un po', si dice compiaciuto. E Matty che mi diceva che quel telefilm è uno spreco di tempo.
“Mi è passato.”, dice il riccio deglutendo a fatica. “Scusi. G-grazie.”
Louis gli fa un cenno e torna a sedersi.
“Eravate tutti un gruppo di amici, giusto?”
“Sì. Eravamo in otto, ma col tempo siamo rimasti in sette per dissidi interni. Io, Ed Sheeran, Mike Rosenberg, Liam Payne, Zayn Malik e Perrie Edwards”, snocciola Harry con precisione. “Mia sorella ogni tanto si univa a noi, perché era amica con Perrie, ma poi si è trasferita e loro non si sono più sentite”
“C'erano rivalità tra voi sette?”, domanda Louis controllando il numero sulla Moleskine.
“No, per niente. A volte Ed e Mike litigano, una volta Liam e Zayn hanno litigato per problemi sentimentali - ma è stato prima che arrivasse Perrie”, aggiunge Harry in fretta non appena vede Louis drizzare le orecchie. “Zayn e Liam stavano insieme, una volta, al liceo. Poi il padre di Zayn lo ha scoperto e ha costretto il figlio a smettere di frequentare Liam. Dopo sei mesi Zayn ha incontrato Perrie, e da lì poi è partita la storia del fidanzamento.”
“Liam era geloso di Perrie?”
“Per niente. Ha sempre sostenuto che se qualcuno doveva prendersi cura di Z - Zayn, scusi - quella persona avrebbe dovuto essere proprio Perrie”. Dopo una pausa, aggiunge: “Conosco Liam. È sempre stato sincero con tutti noi. Se avesse avuto Perrie in antipatia ce lo avrebbe detto”.
Louis fa una smorfia, ha la faccia triste.  Vanno avanti con le domande di procedura, ma il poliziotto ha perso l'energia che aveva all'inizio.
Harry non ha idea del motivo, ma gli piace credere che sia perché l'altro ha capito che questo interrogatorio è un buco nell'acqua.


La sera dopo essere stato rilasciato, Harry monta un'altalena sull'albero di fronte alla centrale di Scotland Yard. La strada è deserta e tira un vento freddo, accanto a lui c'è solo un ragazzo che sta spazzando il marciapiede - vestito di nero e con un taglio di capelli assai poco elegante.
Harry issa le corde con forza, con cattiveria. Non gli importa se domani gli farà male la schiena, deve sfogare la rabbia che cova contro chi ha provato ad incastrarlo. Conosce tre persone in croce: Zayn, che doveva sposare Perrie; Perrie; Ed; Mike; il suo rifornitore di corde Liam. Una volta c'era anche Nick, ma ora non più. Tutti dello stesso gruppo di amici. Se uno esce a prendere una birra, escono anche gli altri cinque.
Quattro - si corregge Harry con amarezza mentre si arrampica sull'albero e fa un nodo.
“Tu sei l'uomo delle altalene.”, dice di punto in bianco il ragazzo che sta spazzando.
Harry alza lo sguardo. Tutti sanno chi è lui, tranne lui stesso - che evidentemente non è mai al corrente di nulla: “Ci conosciamo?”, domanda incerto, mentre saggia la resistenza di un ramo.
“Noi? Oh, no. So chi sei perché Louis ha parlato di te per tutta la serata di ieri.”
Harry aggrotta le sopracciglia, e predispone la corda per un cappio. Louis?
“Il poliziotto che ti ha interrogato”, aggiunge il ragazzo a mo' di spiegazione.
Harry annuisce e stringe il cappio; ora comprende. “Ha parlato di me?”. L'altro si limita ad annuire, perciò aggiunge sorridendo: “Spero che non mi abbia dipinto come un delinquente”. Sa già che non lo ha fatto, ma vuole sincerarsene.
“Louis? Non è proprio il tipo, no.”, fa il ragazzo ridendo. Harry salta giù dall'albero e osserva l'altalena che oscilla leggera.
“Io comunque sono Matthew, piacere”, dice il ragazzo alle sue spalle tendendogli la mano; il riccio si volta e la stringe, presentandosi e chiedendogli cosa faccia nella vita. Mentre parla, Matthew osserva sempre il volto di Harry come se cercasse conferma di qualcosa. Quando sembra averla trovata, aggiunge: “Che peccato, però”.
Harry aggrotta le sopracciglia, e Matthew sorride prima di mettersi la scopa in spalla come se fosse un arco o una chitarra: “Se ti avesse incontrato al bar due anni fa, Louis sarebbe tornato a casa raccontandomi di te e fantasticando su come avrebbe voluto incontrarti di nuovo.”
Harry sorride deluso e sfodera due fossette sulle guance: “Immagino che non sia più uno scenario valido”, commenta con nonchalance.
“Non saprei. Forse vorrebbe ancora rivederti, ma di certo non fantasticherebbe più su di te”. Poi Matthew si volta e si avvia verso la propria macchina. Dice solo una frase, prima di entrarvi: “Louis ha smesso di sognare molto tempo fa, ormai dorme ogni notte sul letto del Tamigi”.


Louis Tomlinson siede nel proprio ufficio in posizione scomposta. Ha i piedi sul tavolo e un pacco di fogli in mano. Di fronte a lui stanno l'agente che ha portato Harry nella sala interrogatori ed il medico legale. Stanno in silenzio, si sente solo un frusciare di fogli. Infine, Louis si alza e si dirige verso una lavagnetta magnetica. Scrive Edwards in alto al centro, poi sotto vi applica una foto di Zayn ed un magnete per fissarla. Dice: “Ricapitolando. Zayn Malik ha un'alibi verificato per quando si suppone sia stata uccisa la ragazza.”
“Tra le due e le tre del mattino di venerdì.”, specifica il medico legale, e il poliziotto lo appunta sotto il nome Edwards.
“Esatto”, prosegue poi, tracciando una X accanto a Zayn. “Abbiamo analizzato le abrasioni sul collo della Edwards e siamo arrivati alla conclusione che è stata strangolata con una delle corde solitamente utilizzate da Harry Styles per montare le sue altalene. Giusto, Nina?”
“Giusto”, conferma la ragazza mentre Louis aggiunge una foto di Harry e vi disegna accanto un'altalena stilizzata, con un punto interrogativo. Poi aggiunge: “Styles per quell'ora non ha alibi, ma non ha nemmeno alcun movente. In più tu” - Nina scocca un'occhiata dubbiosa al suo capo “pensi che sia troppo dolce per essere colpevole”.
Louis si volta con una smorfia: “Non ho detto dolce. Ho detto che ho visto i suoi occhi e non mi sembra capace di uccidere”
“Vallo a dire al giudice”, replica il medico legale con un sorriso sornione.
“Oh, taci. È ovvio che non lo metterò nel referto”, replica stizzito Louis. Poi prosegue come se non fosse mai stato interrotto: “Infine abbiamo l'ex compagna di stanza della Edwards, Gemma Styles, e il rivenditore di corde di Harry Styles, Liam Payne. Anche lui amico della vittima”
È il turno di Niall Horan storcere la bocca: “Sembra il circolo degli Illuminati. Ognuno ha un doppio legame con l'altro. Zayn Malik è il fidanzato della vittima e il migliore amico di Harry Styles. Liam Payne è amico della vittima e fornitore di corde per Harry Styles. Gemma Styles è amica della vittima e sorella di Harry Styles”
L'agente Nina Nesbitt solleva le sopracciglia: “Harry Styles però fa da fulcro a tutto”. Poi guarda Louis ed aggiunge: “Spiecente, amico. Mi sa che il tuo Harry ha un problema serio”.
Louis lancia un'occhiata alla lavagna, aggiunge le foto degli ultimi nominati e traccia diversi fili che li collegano tra di loro, ma Harry Styles risulta sempre il centro di scambio.
“Perché avrebbe dovuto uccidere Perrie Edwards, però?”, chiede Niall alzandosi e aggiungendo un enorme WHY accanto al nome del riccio con il pennarello rosso.
Nina Nesbitt fa spallucce: “Ci sono un sacco di cose che potremmo non sapere. Per esempio, uno dei due potrebbe aver provato a sedurre l'altro, e la resistenza potrebbe essere finita male. Oppure Harry potrebbe aver voluto recuperare da Perrie qualcosa che lei gli aveva tolto. Non lo sappiamo, no?”. Fa una pausa e poi aggiunge: “Bene inteso, io non ci tengo a vederlo dentro. Lo vedo spesso in giro con il mio compagno, mi è sempre stato simpatico. Ma le prove portano tutte a lui”.
Louis scuote la testa. Nina ha ragione, ma sente che c'è un problema di base. Un pezzo mancante. Qualcosa che gli è stato messo palesemente davanti al naso, ma che non ha catturato in tempo...
Si volta di scatto e afferra al volo la propria giacca per il bavero.
“Dove vai?”, gli chiede Nina. La ragazza ha gli occhi che brillano, gli occhi di chi sta vedendo il proprio modello all'azione: sa già cos'è successo, riconosce il momento in cui il tuo cervello scatta e cattura le cose dalla giusta prospettiva.
Ma Louis non le risponde, ed esce chiudendo rumorosamente la porta.


Quando Harry sente il citofono suonare, pensa che sia sua sorella venuta a piangere tutte le sue lacrime. Si aspetta già fiumi e fiumi di cleenex, ricordi e rimpianti. È incredibile come la morte di una persona cara ci costringa a rivalutare le azioni compiute in sua presenza, spingendoci a domandarci: se solo...
Mentre solleva la cornetta del citofono, si prepara ad una voce morbida, acquosa e femminile che gli chieda per favore di farla salire; invece se ne ritrova una acuta, asciutta, graffiata. E inequivocabilmente maschile.
“Agente Tomlinson?”, chiede Harry spalancando la bocca dallo stupore. “Venga su, le apro subito”.
Louis sale le scale a due a due, e arriva davanti alla porta dell'appartamento di Harry. Quest'ultimo gli apre con garbo e lo fa accomodare in cucina; nelle viscere gli ribollono speranza e terrore in egual misura.
“Hai una bella casa”, considera Louis, più stupito di quanto non dovrebbe.
Harry sorride: “Si sta chiedendo come uno sfigato che monta altalene come mestiere da quattro anni possa avere una bella casa?”. Non c'è astio nel suo tono, gli sembra una domanda legittima. Eppure, se si aspetta che Louis nicchi, ritratti, si nasconda, cade in errore: l'agente gli punta gli occhi addosso e gli risponde chiaro e tondo con un sì. Poi aggiunge: “Sei anche un bel ragazzo, hai degli amici, perché lo fai?”
Preso in contropiede, Harry risponde d'istinto: “La solitudine non ha mai forme convenzionali, agente Tomlinson”. Pausa. “E se si è forti abbastanza, le si può attribuire un obiettivo”.
“La tua mira a far tornare le persone bambine?”
Il riccio si morde il labbro. Una parte del suo cervello si chiede se tutto questo faccia parte di un interrogatorio, se Tomlinson sia venuto fin a casa sua per parlare di altalene della solitudine, ma non gli importa. Perché è solo. E anche Louis Tomlinson lo è.
“Non vorrebbe mai tornare bambino per dimenticare i dolori? Non hai mai immaginato di nuotare sul fondo di un fiume, o di un mare, per cercare le sirene e trovare invece un senso di pace?”
Louis Tomlinson lo guarda; qualcosa dentro di lui cade a pezzi, si assenta: “Non ho bisogno di usare l'immaginazione”, dice.
Preso per l'ennesima volta in contropiede, Harry tace; questo dà a Louis il tempo per rientrare in carreggiata. Si riscuote e chiede: “Chi era l'ottavo membro della vostra compagnia di amici?”
“Come, scusi?”
“Hai detto che eravate in otto, ma per dissidi interni siete rimasti in sette. Chi era l'ottavo?”
Harry si siede e si morde un labbro: “Nick Grimshaw”.
“Che tipo di dissidi lo hanno spinto a tagliare i rapporti con voi?”, domanda ancora Louis. Non è più assente, nota il riccio. È concentrato, sembra un concorrente scartato a cui è stato concesso il ripescaggio.
“La sua rottura con me”, replica tutto d'un fiato. Il suo interlocutore arriccia le sopracciglia folte, Harry si affretta a spiegare: “Io e Nick stavamo insieme. Una sera, tre anni fa, ad una cena in cui c'erano tutti, abbiamo litigato a causa del suo ennesimo tradimento, sono volate parole pesanti, i ragazzi hanno preso le mie difese e lui ha deciso di tagliare i ponti con tutti quanti”. Harry guarda Louis con occhi velati di memoria. “Ha preso su e se n'è andato, e da allora non l'ho più visto”.
“Avevi visto il tradimento in prima persona?”, domanda Louis manghiucchiandosi un'unghia.
È il turno di Harry di accigliarsi: “No, mi era stato riferito da Perrie”. Louis alza lo sguardo dalle proprie unghie e incrocia quello di Harry; il primo ha già capito, il secondo continua a non capire.
Louis allarga la bocca in un sorriso, ed Harry pensa che sia bellissimo - anche se è l'uomo che potrebbe metterlo alla gogna. Mentre il poliziotto si alza in piedi e lo ringrazia per il suo tempo, Harry lo osserva e riflette che, pur avendolo guardato negli occhi, non ha capito davvero niente di quello che gli è passato per la testa: quell'uomo ha le iridi ed i pensieri più torbidi delle acque del Tamigi.


Dopo quella conversazione, Harry rimane in casa per tre giorni. Si sente bloccato, immobile, ghiacciato. Non riesce a dormire, non riesce a lavorare. Sta a letto e pensa. Pensa a cosa farà se Louis Tomlinson non scopre il vero colpevole e lo condannano. Pensa a cosa farà in carcere, in mezzo ai farabutti ed ai drogati, se lo condannano. Pensa a cosa farà se lo scagionano. Pensa a come invitare Louis Tomlinson a bere una soda, se lo scagionano. Pensa a come sedurlo, perché in fondo è dannatamente sexy. Potrebbe sempre tentare l'approccio diretto - si sente già eccitato all'idea di scivolare lentamente sopra Louis e muoversi con cautela e sentirlo gemere. Ma, per Dio, è un poliziotto ed Harry è un indiziato.
Al terzo giorno, è proprio Louis Tomlinson a suonare alla sua porta, di nuovo.
Quando Harry lo vede attraverso lo spioncino dell'uscio di casa, l'agente di Scotland Yard non ha un bell'aspetto: è pieno di occhiaie, si manghiucchia le unghie e ha i capelli spettinati - ma di uno spettinato che rivela incuria, poco affascinante. Eppure, nelle sue iridi color Tamigi mulina qualcosa, Harry lo vede fin da subito. Quando gli apre, Louis smette di mangiarsi le unghie, si toglie il cappello e se lo rimette, alza lo sguardo e cerca di fare un sorriso di circostanza - ma Harry vede che è fin troppo genuino: “Non sono in servizio. Volevo solo dirti che, beh, Nick Grimshaw è in stato di arresto per l'omicidio di Perrie Edwards”.
Il riccio sente la testa girare: “Nick?”, riesce solo a chiedere. Fermo ancora sulla soglia dell'ingresso di casa, Louis racconta ad Harry una storia che sembra uscita da un romanzo rosa, più che da un poliziesco. Sente parlare di amore diventato odio, di astio e desiderio di vendetta: Nick aveva recentemente incontrato di nuovo Perrie, avevano litigato, lui le aveva rinfacciato di avere spifferato ad Haary il suo tradimento e lei aveva reagito; Nick ha ucciso Perrie per farle pagare la sua lingua lunga, causa della sua rottura con Harry, ma ha fatto in modo al tempo stesso di far ricadere la colpa sulla prima persona che gli è venuta in mente, Harry stesso, usando una delle corde che erano state usate per montare un'altalena nel suo giardino.
Una delle tante contraddizioni di Nick, pensa il riccio, incredulo. Poi guarda Louis, lo vede stravolto, ma in qualche modo appagato. “Quindi è finita”, gli chiede.
Louis si appoggia allo stipite, si toglie di nuovo il cappello della divisa e dice: “È finita”.
“Posso continuare a montare altelene”, bisbiglia Harry. Sa di essere in stato quasi catatonico, sa che all'agente non gliene importa in fico secco delle sue altalene e probabilmente nemmeno di lui e della sua innocenza.
“Puoi tornare a montare altalene”, conferma Louis.
“E non sono più un indiziato”, continua Harry osservando il vuoto, come se dirlo lo rendesse più reale.
“Direi di no”, ride l'agente Tomlinson.
Harry si risveglia e guarda il poliziotto davanti a sè: “Grazie”, dice. “No, sul serio, grazie. Vorrei dire qualcosa più di grazie, fare qualcosa, ma non so cosa, perciò -”. La frase sfuma.
Louis ci pensa. Non vuole dire che è il suo lavoro, non vuole essere scontato. Mette una mano sulla spalla di Harry e dice: “Monta un'altalena per me”.
Un sorriso spunta sulle labbra del ragazzo, e l'agente Tomlinson scopre che Harry ha le fossette. Poi fa per voltarsi, ed in una frazione di secondo Harry pensa che Louis sembri genuinamente apprezzare quella cosa delle altalene, perciò in un impeto sciocco urla: “Vieni con me”. Pausa. Louis si volta.
“Venga”, si corregge Harry.
“Le insegno a montarne una”, aggiunge poi.
“Adesso?”, chiede l'agente.
“Ha qualcosa da fare?”
“Ho tre anni in più di te, per favore, smetti con quel lei”
“Hai qualcosa da fare?”, ripete Harry impassibile.
“No, niente”. Pausa. Poi: “Ma è il crepuscolo, perché adesso?”
“Perché dopo?”, replica il ragazzo, mentre Louis si morde il labbro e sorride con gli occhi.


Mentre montano un'altalena su un albero del lungofiume (albero che Louis ha scelto espressamente), Louis chiede ad Harry se crede che i morti perdonino. Harry ci riflette, mentre fa scorrere la corda oltre ad un ramo.
“Penso che abbiano un'eternità di niente da scontare”, dice pensieroso. “Quindi penso che sì, perdonino”.
Louis gli chiede cosa intenda per eternità di niente. Harry gli risponde che i morti non hanno più una vita. Stanno in un posto e basta - o non stanno, dipende dalle credenze personali. In ogni caso, la loro vita precedente è finita. Basta. Niente più colpi di scena. Niente più hot dog piccanti spacciati per speziati. Niente più sbornie, niente più stakanovismo, niente più di niente. Perciò perché covare rancore verso i vivi? Avrebbero tutta l'eternità per lasciarsi logorare.
“Quindi tu pensi che loro perdonino i vivi per ciò che non hanno fatto? O non sono riusciti a fare?”
Harry risponde che pensa di sì. Louis medita un attimo, poi gli chiede se può vendergli due corde e un'asse di legno.
“Dimmi dove vuoi costruire l'altalena, te la monto io”.
“In fondo al fiume”.
“Intendi sott'acqua? Sul letto del fiume?”
“Sì”.
Harry non dice niente a riguardo. Ha fiducia che verrà un giorno in cui gli sarà concesso di sapere. Per ora, lascia che Louis Tomlinson monti da solo la sua altalena e lascia che la getti nel fiume.
E quando l'agente mormora che a Louis piacerà, Harry non pensa neppure per un attimo che il poliziotto sia pazzo. Pensa solo che gli spazi vuoti nel passato di ognuno possano aver dei nomi, talvolta questi nomi possano essere fatalmente uguali ai nostri.


“Ci possiamo rivedere?”, chiede Harry a Louis davanti a un panino di Burger King. Sono le undici di sera, le commesse li guardano male.
Louis ha in mente mille battute sagaci sull'onda del “basta che non ti fai ritrovare coinvolto in un omicidio”, ma riesce solo ad annuire.
C'è un silenzio che ristagna. Poi: “Ti sembro strano?”, chiede ancora Harry.
“Mi sembri diverso”.
“E questo è un male?”
“Credi che se fosse un male avrei montato con te altalene per mezza Londra?”
Harry ride. Louis ride a sua volta, poi si alza e dice che deve andare. Nel passare accanto ad Harry esita; poi lo guarda negli occhi, sfiora la sua mano destra, la afferra, la lascia e cammina fuori dal locale.
Harry si guarda la mano, che stringe un foglietto appallottolato - prima non c'era. Lo dipana e vede che Louis ha già pagato il conto. E sul retro vi ha disegnato un'altalena circondata da piccoli pesci e piccole bolle.


 
EPILOGO

Se Scotland Yard pattugliasse con cura i ponti di Londra, vedrebbe due figure appoggiate alla balaustra di contenimento del Millenium Bridge che si sporgono pericolosamente di sotto.
Louis se ne preoccuperebbe, se non fosse che lui in effetti è la polizia. Accanto a lui c'è Matty, che grazie all'aiuto delle prime luci dell'alba prova a scorgere qualcosa tra i sassi e l'acqua che scorre sottostante.
“Non l'hai fatto davvero”.
“L'ho fatto davvero”.
“Perché l'hai fatto davvero?”, chiede Matty. Non c'è accusa, solo curiosità. Louis ripensa ad Harry.
“Perché no?”
Matty ride e lo guarda per qualche secondo, o forse minuto: “È per mio fratello, vero? Hai pensato che avrebbe gradito”.
Louis vorrebbe nicchiare, dire che non crede nell'aldilà, che non pensa che Louis Healy lo stia osservando da lassù, ma semplicemente tace. La gente costruisce altarini e porta fiori ai morti, lui ha deciso che a Louis Healy vuole regalare delle altalene. Matthew capisce tutto questo, anche se Louis non capisce come faccia. Matty lo sa e basta. Dopo qualche minuto chiede a Louis: “Come riesci a farti coinvolgere emotivamente e rimanere comunque lucido, nel tuo lavoro? Io sarei già impazzito”.
Louis sorride: “No, non è vero”. Poi aggiunge: “Sai, penso che in realtà io sembri più coinvolto di quello che sono. È successo stavolta perché tra una settimana è -”
“Lo so”, lo interrompe Matty con un groppo in gola. “Lo so che anniversario è tra una settimana. Vai avanti”.
“Già. Ma in ogni caso è la nozione più importante di tutte, la prima che mi è stata detta quando ho messo piede a Scotland Yard. Greg mi ha detto: se inizi a sentirti in colpa per chi non riesci a salvare, non torni più indietro. Mi ricordo di avergli chiesto come si faccia a non provare empatia per gli altri, e lui mi ha risposto: non sei tu, ragazzo. Sono loro che stanno passando attraverso l'inferno. Non tu.
“Suona molto egoista”, commenta Matty.
Louis annuisce: “Lo è. Devi esserlo, se vuoi fare questo lavoro”.
“Disse il poliziotto che ha appena festeggiato la liberazione da ogni accusa di un potenziale colpevole”.
Louis smette di sorridere e storce la bocca: “Mi ha chiesto di vederci ancora”.
Matty, per contro, sorride: “E tu lo vedrai”.
Louis sospira, volta le spalle al Tamigi e si appoggia alla balaustra. Chiude gli occhi e sente già le proprie labbra baciare quelle di Harry, sospingerlo sopra un letto, togliergli i pantaloni a sigaretta e baciarlo e fare l'amore fino all'esaurimento. E l'idea gli piace, gli piace davvero.
“Finirà male. Ci siamo incontrati durante un'indagine per omicidio, io sono sempre in servizio e avrò poco tempo, lui avrà la sua vita e non funzionerà”.
“Sai che mi hai detto esattamente la stessa cosa, anni fa?”
“Infatti non è finita bene”.
“Beh, siamo ancora qua. Io sono il tuo guru e tu il mio salvagente. Non è andata male, in fondo”.
“Ce ne pentiremo”, dice Louis senza ascoltarlo. “E affogheremo”. Matty sospira.
Quando ve ne pentirete?”
“Presto”. Louis alza lo sguardo sul viso dell'amico. Inala l'aria fredda della notte, con pienezza e convinzione.
“E nel frattempo?”, chiede l'altro.
“Nel frattempo, teniamo fuori l'acqua dai polmoni”.









 
“Se verrai con me sarà tutto perfetto
Appenderemo altelene sul letto del fiume
Nulla al mondo ci sembrerà più adatto
Che nuotare negli abissi, leggeri come piume”.
  
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