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Autore: hiccup    03/06/2014    1 recensioni
"La pioggia scendeva dolcemente sulla città addormentata picchiettando con mansueta irruenza le imposte in legno; le faceva scricchiolare appena e tormentava così quel silenzio notturno, interrompendolo e increspandolo, ancora e ancora.
Arya inspirò a fondo, trattenne il fiato all’altezza dei polmoni ed espirò lentamente, molto lentamente, cercando d’ignorare quel continuo tramestio esterno.
Era notte fonda e pioveva già da qualche ora senza che quella tempesta minacciasse di cessare almeno un po’. Arya non amava la pioggia, ma non la odiava nemmeno: le piaceva dormire, però, e le serviva riposarsi."
[DaenerysxArya]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arya Stark, Daenerys Targaryen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Autore: hiccup
Titolo: Perché le stelle piangono.
Personaggi: Daenerys Targaryen; Arya Stark
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Fluff
Rating: Giallo.
Avvertimenti: forse sono un pochino OOC; What if
Note: Premettendo che questa cosina è la prima storia che scrivo su GoT – e probabilmente sarà l’ultima, ma non si può mai dire; non so bene cosa pensare; so solo che penso di avere distorto un po’ Arya e Daenerys, ma il mio sole-e-stelle dice che vanno bene anche così (?) e quindi mi metto l’anima in pace, la pubblico e vado a nascondermi. Ma non prima di consigliarvi di passare a leggere la sua long-fic – se ho scritto su Arya e Daenerys è solamente grazie a lei e a questa storia stupenda: Ice and Fire, non ve ne pentirete, promise <3

Penso di aver detto tutto, spero vi piaccia almeno un po', ecco ^^

Buona lettura!
 
 
 
Perché le stelle piangono.
 
 
“Between two lungs it was released
The breath that passed from you to me
It flew between us as we slept
That slipped from your mouth into mine.”
 
 
 
La pioggia scendeva dolcemente sulla città addormentata picchiettando con mansueta irruenza le imposte in legno; le faceva scricchiolare appena e tormentava così quel silenzio notturno, interrompendolo e increspandolo, ancora e ancora.
 

Arya inspirò a fondo, trattenne il fiato all’altezza dei polmoni ed espirò lentamente, molto lentamente, cercando d’ignorare quel continuo tramestio esterno.
Era notte fonda e pioveva già da qualche ora senza che quella tempesta minacciasse di cessare almeno un po’. Arya non amava la pioggia, ma non la odiava nemmeno: le piaceva dormire, però, e le serviva riposarsi. Gli ultimi giorni erano stati pesanti, accaldati – ironia della sorte, ora, di tanto in tanto, un piccolo brivido freddo le soffiava sulla pelle, facendola fremere – e c’erano stati più turni di guarda del solito da fare.
Non che si lamentasse del suo incarico, assolutamente, ne era soddisfatta e orgogliosa oltre ogni dire. Tuttavia le sarebbe davvero piaciuto dormire un po’, giusto qualche ora, prima che l’alba si levasse portando con sé una nuova giornata identica alle precedenti, ma, evidentemente, non sarebbe riuscita a chiudere occhio.
 

Sembra che il cielo non abbia intenzione di smettere di piangere, pensò inspirando di nuovo per che cosa mai potrebbe piangere, poi? si domandò, ma senza soffermarsi più del necessario su quella muta domanda: c’erano cose che si era limitata a non capire e a non chiedere a se stessa e agli altri.
E a dirla tutta anche se avesse cercato di darsi una risposta sul perché le stelle lacrimino, sicuramente non l’avrebbe trovata e avrebbe perso tutta la nottata a rimuginarci sopra.
 

Arya era intelligente, non aveva particolari abilità o aspirazioni, ma era attenta, quello sì, tremendamente attenta a tutto ciò che la circondava; osservava e tentava di fare del suo meglio in tutto quello che le era chiesto di fare; aveva la curiosa mania di guardare e prestare un’attenzione minuziosa ai particolari – un buon lavoro svolto male è un lavoro fatto a metà, aveva detto una volta un mercante; non ricordava il nome – aveva dimenticato così tante cose in quegli anni trascorsi a viaggiare, a vagare, a serbare rancore, che oramai si ricordava a malapena il volto di sua sorella Sansa.
Ad ogni modo trovava rilassante concedere al suo sguardo di vagare sui volti delle persone, negli angoli più nascosti della città, d’insinuarsi tra le pieghe d’espressione della gente semplice che brulicava lungo le strade, dei soldati, delle guardie, degli Immacolati, delle ancelle; guardare e smembrare la realtà nei suoi più piccoli costituenti l’aiutava a racimolare le fila dei giorni, le estremità spaiate di quel lungo nastro – uno di quei nastri di stoffa pregiata e morbida al tatto – che a lei piaceva chiamare Vita.
 

Ed era qualcosa che doveva essere fatto, se lo ripeteva in continuazione; soprattutto considerando i tempi recenti e le ultime evoluzioni.
 Di tanto in tanto la sera, dopo cena e prima di andare a dormire con lei, rimaneva in piedi davanti al grande specchio nella sua stanza e si rimirava con attenzione; non c’era vanesia o altro nei suoi occhi solo curiosità perché, davvero, stentava a riconoscersi nel suo stesso riflesso. La bambina sporca, dai capelli spettinati e gli abiti rattrappiti per la vita di quasi fuggiasca era sparita, sembrava essersi completamente dissolta nell’aria e nel vento; e al suo posto c’era invece l’immagine di una giovane donna dal volto pulito, dai tratti decisi, i capelli scuri tagliati corti ed ordinati, il corpo snello ed agile fasciato da abiti di foggia maschile, ma soffici e di stoffe pregiate ed Ago, la sua vecchia spada, assicurata alla cinta.
Osservava il proprio riflesso con occhi indagatori e forse anche un po’ sospettosi. Che cosa ne era stato della vecchia Arya? Le sarebbe proprio piaciuto saperlo.
 

Sebbene il suo aspetto fosse mutato, alla fin fine rimaneva sempre lei, Arya Stark, erede di una famiglia che non vedeva da tempo, che magari l’aveva addirittura dimenticata e data per morta e sepolta – si domandava spesso se sua sorella avesse pianto per quella sua sorella minore, così diversa da lei, pensandola perduta e ora cibo per i vermi, ma non era sicura di sapere nemmeno questa risposta.
 

 
Arya Stark.
 

Usava ancora il suo cognome, ma, di fatto, non era poi così importante ora come ora. Era cambiata davvero. E non era sicura se dovesse nutrire timore o piacere dinanzi a questo cambiamento; aveva lasciato la vendetta, il rancore e il sangue alle proprie spalle; gli incubi la perseguitavano ancora, ma non era più nulla di così impossibile da gestire. Poteva affermare – con qualche tentennamento, certo – che era più serena e-
 

Il flusso dei pensieri della ragazza s’interruppe bruscamente quando avvertì una calda pressione contro la spalla destra; si voltò di lato trovandosi immersa col viso in una cascata di capelli argentei e profumati di fiori freschi. Si scostò appena, tanto quanto bastava per scorgere il volto addormentato della giovane regina distesa accanto a lei: respirava lentamente, il petto che si sollevava e si abbassava ritmicamente, la pelle chiara accarezzata dalla penombra notturna e le braccia che le cingevano la vita con una stretta delicata, ma ferma.
 

Arya sorrise nel buio sfiorando leggiadramente la fronte della sua regina con labbra dischiuse.
Se sono più serena è solo merito suo, si disse Arya tornando a guardare il soffitto ad occhi socchiusi. Ancora non si capacitava di essere distesa nello stesso letto con Daenerys Targaryen, anzi, se glielo avessero predetto qualche anno prima non ci avrebbe mai creduto. E invece era lì, stretta tra le sue braccia e felice come non lo era mai stata prima nella sua vita.
 

Solo a pensarci avvertiva lo stomaco contorcersi piacevolmente e un tenue calore arrossarle le guance.
Non era stato semplice all’inizio. Era tutto nuovo e per Arya era stata una sorpresa dal retrogusto un po’ amaro: non aveva amato neppure un uomo, figurarsi quindi ritrovarsi ad amare una donna. E non una donna normale, ma Daenerys Targaryen, la Madre dei draghi. 
E lei, Arya, che aveva trascorso gran parte della sua esistenza rifuggendo ogni legame sentimentale o affettivo, che aveva avuto per la testa solamente la vendetta, che si era convinta di non aver bisogno di quel calore che la gente comune chiama Amore, di fronte a quello stesso sentimento prepotente e violento, davanti a quella necessità estrema di sentirsi amata e di amare, si era ritrovata nuda, spaesata e completamente destabilizzata.
Aveva prontamente cercato di reprimere ogni cosa, ma col pensiero tornava costantemente a lei, al suo sguardo perforante, al suo incedere fiero e in un certo senso infantile, alle sue parole e alla sua pelle profumata. Certo, non aveva favorito nemmeno Daenerys stessa il suo vano tentavo di fuggire dalle sue emozioni: la regina pareva divertirsi a metterla in quell’impaccio imbarazzante ogni volta che le si presentava l’occasione, le parlava con voce troppo bassa costringendola così ad avvicinarsi e a specchiarsi in quei grandi occhi viola, le chiedeva di scortarla in città e sembrava stuzzicarla sfiorandole ora la spalla, ora il braccio.
E Arya alla fine si era vista costretta – ma non troppo - a cedere davanti a quelle vibrazioni calde, bollenti; non le era costato poi così tanta fatica, rifletteva adesso, giusto qualche grande respiro e le sue difese avevano iniziato a sgretolarsi senza che lei ci facesse troppo caso o se ne preoccupasse eccessivamente.
 

Se chiudeva gli occhi e si concentrava riusciva ancora a sentire il tocco delicato delle mani di Daenerys sul suo viso, sulla sua pelle; i loro vestiti che cadevano sul pavimento con un fruscio sommesso e il suo stesso respiro affannato bloccato in gola. Riusciva ancora a vedere davanti a sè la pelle perfetta e chiara della regina, le sue labbra rosee e tumide; riusciva ancora a bearsi nel ricordo di quelle labbra stupende tremendamente morbide e calde contro le sue tremendamente asciutte e fredde.
Daenerys si era rivelata paziente e gentile e Arya aveva fatto del suo meglio per non deluderla; le prime volte ogni loro incontro portava un po’ di tensione e d’incertezza nell’aria, ma col tempo tutto era diventato più naturale, più bello. Arya aveva finito per abbandonarsi a quella forza e a quell’emozione nuova che le toglieva il respiro e la trascinava verso l’altra donna.
 

Daenerys aveva confessato di amarla una notte di luna piena e lei non aveva potuto fare altro che ricambiare e baciarla con foga, senza darle il tempo di sorridere o dire altro o di rimbeccarla amorevolmente dell’impeto con cui aveva risposto.
In seguito avevamo fatto l’amore e il bagno insieme, accarezzandosi e godendosi l’una la vicinanza rassicurante dell’altra; Missandei aveva riempito la tinozza con acqua piacevolmente calda e profumata di garofani, viole e gigli bianchi – quando Daenerys aveva domandato perché avesse voluto proprio quelle essenze tra tutte le altre, Arya si era limitata a rispondere che nei Sette Regni quei fiori erano sinonimo di amore femminile, di fedeltà e di purezza. La regina aveva chinato il capo per nascondere un irriverente rossore sulle gote e aveva giocato timidamente con le bolle di sapone.
 
 

“Non dormi?” sussurrò una voce assonnata al suo fianco e, per la sorpresa, Arya sussultò appena colta alla sprovvista; Daenerys la guardava con occhi velati di sogni e di curiosità, “sta ancora piovendo?” s’informò guardando oltre il grande letto.
 

“Sono le lacrime delle stelle,” disse Arya di getto, senza pensare. Si rannicchiò accanto a Daenerys che l’accolse tra le sue braccia accarezzandole i capelli con le punte dei polpastrelli.
 

“Le lacrime delle stelle? Perché dovrebbero mai piangere?” domandò la regina perplessa, “sono forse tristi lassù nel cielo immenso?”
 

Mhm non saprei,” biascicò Arya inalando il suo profumo, “dicevo solo per dire; non riesco a dormire con questo continuo picchiettare e quindi pensavo solamente,” spiegò tranquilla.
 

“A che cosa pensavi?” Daenerys le accarezzò una guancia e le sorrise impertinente, sfiorandole la fronte con le labbra soffici e piene, “e non dire a nulla, perché non si pensa mai a nulla.”
 

Arya soffocò una risatina davanti a quelle parole infantili e la guardo negli occhi.
 

“Pensavo a noi. Pensavo a come ho iniziato ad amarti e a quanto questo mi ha cambiata in meglio. Probabilmente è tutto merito tuo e sono felice che sia così. Mi sento bene, mi sento amata. E ti amo ogni giorno di più, ammesso che questo sia possibile,” disse, puntellandosi sul gomito e baciando Daenerys sulle labbra; un bacio dolce e profondo, nulla d’irruento o altro; un bacio come molti altri, un bacio alle soglie di un sogno nuovo, di un sogno tangibile, di un sogno di un futuro sicuro e stupendo. Daenerys la strinse a se, cingendole la vita, e sorridendo nel bacio.
 

Quando si allontanarono, giusto il tempo per riprendere fiato, Daenerys prese una mano di Arya e delicatamente posò un casto baciò su ogni nocca, guardandola di sottecchi con sguardo giocoso.
 

“Ti amo anch’io, ma domani sarà una giornata pesante, Arya, non credi sia meglio dormire un po’?”domandò poi, sistemando i grandi cuscini di piume sotto la testa di entrambe e accoccolandosi al fianco dell’altra, intrecciando le loro gambe nude, “Sai, forse ho capito perché le stelle stanno piangendo,” mormorò dopo un istante di silenzio.
 

“Perché?” domandò Arya rilassando i muscoli, respirava con calma giocherellando con i lunghi capelli argentei.
 

“Le stelle piangono perché si sentono sole lassù. E guardando quaggiù, sulla terra, e vedendoci abbracciate, provano una tristezza sconfinata perché sanno di non essere e di non poter mai essere fortunate tanto quanto noi.”
 

“Una volta dicesti che ti sarebbe piaciuto essere una stella, ricordi?” sussurrò Arya con un filo di voce avvertendo il tepore del sonno farsi largo in lei, “era una notte buia e punteggiata da miliardi di costellazioni.”
 

“Sì, ma ora che so perché gemono in notti come queste, preferisco rimanere qui, abbracciata a te e insieme a te,” soffiò Daenerys contro le sue labbra, sfiorandole con delicatezza. Arya la guardò sorridendo e si strinse maggiormente a lei.
 

Ed entrambe si addormentarono, cullate dai loro stessi respiri, abbandonate e strette l’una all’altra; e i singhiozzi delle stelle ovattati e occultati dai loro incantevoli sogni.
 



 
***



 
  
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