In realtà non sapevo in quale categoria pubblicarla. Inizialmente avevo
scelto “Introspettivo”, ma dato che tratta di “animali” ed è abbastanza simile
alle favole di Esopo (a parte la morale), ho deciso di inserirla qui. Bene, buona lettura.
_______________________________________________________________
Siamo tutti pesci.
Siamo tutti pesci, di tutte le specie: grandi, minuscoli, squamati, colorati,
argentei, filiformi, enormi… Ma abbiamo tutti branchie e pinne che ci
distinguono dagli altri esseri viventi. Conteniamo tutti ineffabile malvagità e
incantevole soavità. Volgarità e grazia. Aggressività e affetto. Odiamo, abbiamo
il dono di uccidere e creare, amiamo e dal nostro amore nascono gelosia e vita,
vendetta e magia. Sembra complicato, ma un osservatore può ben notare cosa
significhi vivere in questo mare troppo pesante, il cui sale prima o poi brucerà
sulle pungenti ferite di ogni pesce. Sangue stillerà dal loro fragile corpo,
macchierà le loro squame e quelle altrui sottoforma di incontrastabile dolore
che nessun mare, nessun tipo di acqua potrà mai lavar via e assuefare.
Negli abissi marini la vita è semplice: questi stravaganti animali necessitano
di luce per vivere, la luce del Sole che incatena l’acqua sotto di sé
penetrandola violentemente, fuggendo ogni leggiadria, strappando con occhi folli
il suo virginale manto velato. Per questo l’Astro primato, troppo brutale e
crudo, non può far altro che male ai pesci che (s)fortunatamente e
(mal/ben)auguratamente provano una gioia così distruttiva, devastante, radente
al suolo, peccaminosa, negata, proibita da lievitare e levitare fin sopra la
perforata superficie marina. Chi si erge sul mare, chi lo sovrasta, chi sente il
vento sulle branchie inevitabilmente morirà, soffocato, ustionato da un
facinoroso Sole, galleggerà sulla sottile superficie acquosa come un cadavere
appassito e gonfio di morte. Chi è troppo felice perisce per mano sua, per sua
audacia.
Gli abissi del mare sono profondi e il tagliente quanto imprescindibile bagliore
solare non vuole impegnarsi ad osare così tanto da illuminare con i suoi eterei
sessi il suolo confuso, immenso, freddo in cui l’acqua è gelida, perigliosa e
atavicamente buia. Rabbrividisce. Al Sole non interessano il lato più oscuro del
suo giovane sposo, il mare, il suo frustrante anelito di morte, la sua
disperazione, il suo dolore piangente. Il mare è fatto di lacrime.
Come un burbero e bestiale marito, vede e vuole vedere solo le onde più
superficiali e rassicuranti del fragile ragazzino che stringe e stritola e
strattona e strappa e strema e stracca e straccia e strozza. Condanna la
profondità e la depressione che vi abita.
In questo mesto avvallamento si accovacciano i sentimenti più veri del mai più
vergine che influenzano anche i pesci che vi abitano, quelli che bevono l’acqua
della perdita, del decesso, dell’oppressione, della schiavitù, quelli che non
rifiutano l’estrema prigione, quelli intrappolati dal mare, gli unici che lo
comprendono. Sofferenza e sevizie, torture e follia sono i nomi delle alghe che
li costringono in quell’angusto fondale in cui la luce è vietata, i pesci
violenti e mai violanti, o forse il contrario, o forse entrambi.
Infine esistono gli esseri che vivono al centro, all’ombra della luce filtrante
attraverso la massa salata che li divide dall’esaltante morte. Essi godono di un
Sole distillato attraverso i corpi esanimi e le code sanguinanti dei loro cari e
aspirano a quella paradisiaca gaiezza, ma si credono sempre sull’orlo di un
baratro perso e nero più di ogni sangue, denso di vite e per questo spaventoso,
tremendo. Ipocrita mondo di mezzo, senza scelta e senza salvezza. Pietà, solo di
pietà avete bisogno, voi che siete la letizia del Sole e la sacrificale fatica
del mare. Che la felicità vi porti ad un’unica morte, terrificante.
Ed ecco, tutti diversi, con sentimenti mai affini, con pensieri elettrici.
Ridicoli, nuotano nel mondo con sgraziata cupidigia. Tutti divorano e vengono
divorati. Tutti uguali, tutti parassiti del dolore.
Siamo tutti pesci.
Siamo tutti orribili pesci.