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Autore: The Lady of His Heart 23    04/06/2014    3 recensioni
Se fino a qualche settimana fa mi vantavo di conoscere alla perfezione ogni tratto del suo viso, per quante volte sono rimasto ad osservarla, solo adesso capisco che mi sbagliavo.
-Cato-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cato, Clove
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era notte fonda, ma per qualche strana ragione non riuscivo a dormire, o meglio non volevo. In testa avevo un solo pensiero.
Lei.
Clove.
Il mio angelo del male.
La mia dolce spietata serial killer.
Non avrei mai pensato prima d’ora di poter provare delle sensazioni simili. Lei è così piccola, fragile e allo stesso tempo un’avversaria da non sottovalutare. Ma che mi prende, lei è il nemico. Sarà mia alleata certo, ma l’ucciderò alla fine, quindi perché sprecare tempo. Perché sprecare tutto questo tempo a pensare a lei, ai suoi occhi, ai suoi sguardi, al suono della sua voce e al movimento delle sue labbra. Tanto più cerco di non pensare a lei e tanto più la penso. Non so come fare a togliermela dalla testa, ma forse non posso.
Mi arrampico lungo la parete in roccia. Scavalco il muretto cercando di fare il meno rumore possibile, poi apro la finestra e entro nella mia stanza. Nessuno doveva sapere che ero uscito di nascosto. Perché si sarebbero fatti delle cattive idee su di me e io non voglio che pensino che sono un debole.
Posso farcela, so di poter vincere. Nessuna distrazione. Una volta nella stanza mi rendo conto che è …. Diversa. Ci sono delle cose che non ricordavo di possedere. Come un piccolo vasetto di una pianta grassa spinosa sulla scrivania, o il gioco delle freccette attaccato alla porta. Questa camera poi è troppo ordinata e pulita. Sapeva di lavanda e sandalo con un pizzico di vaniglia e talco. Chiudo gli occhi e respiro l’aria nella stanza. Un attimo e li riapro subito di scatto.
C’è solo una ragazza con un profumo così mistico in tutta l’accademia. Mi volto di scatto ad osservare il letto. Si, ero certamente in un’altra stanza.
Non feci nemmeno in tempo a girarmi che venni sbattuto con un calcio contro il muro. D’istinto mi voltai e vedi questa piccola ragazza dallo sguardo crudele e accattivante gettarsi contro di me. Cercai di schivarla, ma la spinsi via senza volerlo.
Mi affrettai ad afferrarla per i polsi per evitare che cada a terra, ma lei mi tira e trascina con se sul pavimento. Rotolai di lato per cercare di attutire con il mio corpo la caduta e lei mi stese sedendosi sul mio ventre. Pesava poco più di un cucciolo di cane mal nutrito, ma era molto forte.
Mi bloccò un braccio stringendomi il polso con il suo piede e mi puntò uno dei suoi piccoli ma affilati coltelli alla gola. La fissai senza fiato. I capelli le scendono morbidi e ondulati sulla spalla cadendo sul mio collo. Mi fanno il solletico e vorrei scostarli, ma non riesco a muovermi. Non l’avevo mai vista con i capelli sciolti prima,in genere in palestra porta sempre una coda alta, e non pensavo che fossero così lungi. Se fino a qualche settimana fa mi vantavo di conoscere alla perfezione ogni tratto del suo viso, per quante volte sono rimasto ad osservarla, solo adesso capisco che mi sbagliavo.
I suoi occhi sono di un verde molto intenso e ai bordi sfociano in un azzurro scuro, quasi viola. Proprio sul naso ha un paio di lentiggini, piccoli macchioline che rendono quello sguardo ancora più affascinante. Ha i due denti davanti leggermente distanti tra loro e il labbro inferiore più carnoso di quello superiore. Nella stanza è calato il silenzio più assoluto, sento solo il battito dei nostri cuori uniti al nostro respiro affannato. Sento la lama fresca del suo coltello sfiorarmi la vena sul collo, vedo i suoi occhi assottigliarsi in due piccole fessure.
“Cato?”disse dopo aver capito chi fossi con voce squillante.
“Be, tecnicamente, è quello il mio nome”dissi con un velo di ironia nella mia voce. Lei affondò la lama.
“Che cavolo ci fai nella mia stanza?”mi chiese con un ruggito.
“Ero andato ad allenarmi” mentii “Ho fatto tardi e quando sono tornato il portone era chiuso, così ho scavalcato il muro e sono entrato dalla finestra, ma ho sbagliato stanza” questa volta dissi il vero. Lei rimase a scrutarmi per qualche altro minuto e poi tolse la lama del coltello di scatto e si rimise in piedi.
Quando non sentii più il suo peso su di me, mi rimisi in piedi anche io. Non mi guardava nemmeno adesso, aveva lo sguardo altrove e le braccia incrociate.
“Conosci la porta”disse Clove fredda e distaccata. Volevo replicare, ma a che scopo. Mi diressi a passi silenziosi verso la porta. Dietro di me c’era un altro rumore. Era il rumore dei suoi passi, piccoli e agili passi che mi seguivano. Mi voltai di scatto e l’afferrai per il collo spingendola contro il muro. L’impatto le fece cadere a terra il coltello che teneva in mano.
Era disarmata e indifesa, così fragile, così piccola. Non l’avevo mai vista così. Aveva gli occhi sbarrati e il volto scioccato, come se avesse paura che potessi farle del male, come se ne avesse la certezza. Allentai la presa e continuai ad osservarla. Forse aveva ragione e faceva bene a temermi.
Con il suo piccolo e fragile collo tra le mani mi sentivo più cattivo del solito. Ma perché mi sento così cattivo e per giunta con la ragazza a cui tengo di più? Forse era proprio questo il punto. Mi sentivo cattivo perché volevo essere buono, ma non potevo. Odiarla è l’unica cosa che mi riesce bene, dato che amarla mi è proibito. Ma davvero volevo dar conto a tutte quelle voci, rinunciare a tutto questo, rinunciare a lei, solo perché così mi è stato imposto. Conoscevo la risposta. No.
Feci scorrere la mano con sempre più decisione lungo il collo e l’afferrai da dietro la testa. Con un fremito chiusi gli occhi e avvicinai il mio volto al suo. Lei sospirò e cercò di allontanarsi, ma non poteva perché era in trappola, nella mia trappola.
Chi se ne importa, chi se ne importa delle regole, dei divieti, dovrei essere solo libero di fare quello che voglio, quando voglio. Perché se la ragazza del dodici è brava come dice di essere morirò in quell’arena, quindi perché aspettare. Avvicinai le mie labbra alle sue e la baciai. La sua bocca era calda e piena al tatto. Sapeva di salsedine, ma non ne fui del tutto sicuro. Ogni volta che lei cercava di sfuggire la tenevo ferma a me senza lasciarla andare.
Con un sussurro le aprii la bocca facendo una leggera pressione sul suo labbro e feci scorrere la mia lingua nella sua bocca fino ad arrivare a contatto con la sua.
La tenni stretta finchè anche lei non si arrese a me. A noi. La sentii ansimare e scuotere la testa debolmente. Abbassai il volto e senza staccare le labbra dalla sua pelle scesi giù fino al suo collo alla ricerca di quel punto. Capii di averlo trovato quando la sentii gemere più forte. Avvertii le sue mani tra i miei capelli. L’afferrai per il bacino e la sollevai portandola a letto.
Sentii le sue mani ovunque sul mio corpo e i vestiti divennero inutili pezzi di stoffa che intralciavano la nostra notte. Mi sfilai di colpo i vestiti e feci la stessa cosa con i suoi per poi ricominciare a baciarla. La luna era ormai scomparsa oltre le tenebrose nuvole. Evidentemente la fortuna era dalla nostra parte questa notte.
Sentivo i nostri corpi allacciati e stretti che si desideravano bramosi sempre di più.
Quando fui sazio sia di lei che di noi, mi alzai rimettendomi la camicia e i pantaloni. Nel profondo non volevo lasciarla, ma dovevo sparire prima che il sole sarebbe sorto, altrimenti mi avrebbero trovato e gli strateghi l’avrebbero fatta pagare ad entrambi.
Prima di andare mi chinai su di lei per rubarle un ultimo bacio che ricambiò.
“Resta”sussurrò a contatto con il mio volto.
“Non tentarmi”dissi io.
“Sul serio, resta”disse lei implorando. Mi sentivo debole.
“Devo andare”dissi con un sussurro.
“Lo so, ma vorrei tanto che tu restassi”disse lei.
“Si anche io”dissi.
“Ti amo”disse lei.
“Anche io”dissi avvicinandomi e baciandola su tutto il viso e lei rise.
Uscii richiudendo la porta alle mie spalle. Mentre mi incamminai verso la mia di stanza, mi riallacciavo gli ultimi bottoni in alto della camicia quando una voce mi fermò.
“Buona sera Cato”disse un uomo alle mie spalle. Era Brutus, il mio allenatore.
“Brutus”dissi voltandomi “Che ci fai qui?”domandai.
“Potrei farti la stessa domanda”disse lui, in effetti non aveva tutti i torti.
“Ero …”cercai di trovare subito una risposta evasiva.
“So dov’eri e onestamente non te ne faccio una colpa. Alla tua età ho fatto di peggio” disse alzando le spalle. “Ho solo una cosa da dirti”disse.
“Spara” gli intimai.
“Tra tutte le bellezze dell’accademia, ti piaccio proprio le ragazze folli?”disse.
“Devo risponderti?”dissi e mi voltai riprendendo a camminare.
   
 
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