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Autore: Mia Renard    05/06/2014    2 recensioni
Miles era fatto così, non voleva essere infastidito.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Miles Matheson, Sebastian Monroe
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Miles è un bambino di otto anni.  E’ solitario e riflessivo di carattere, non va molto d’accordo con i coetanei. Gli sono sempre sembrati così diversi da lui.  Ma la cosa non lo interessa. Lui sta bene per conto suo e non gli piace essere infastidito.
Un pomeriggio se ne stava nel suo giardino, seduto a gambe incrociate, immersi nei suoi pensieri. Attorcigliava distrattamente dei fili d’erba attorno alle dita.
Improvvisamente vide arrivare dall’alto un pallone blu, di quelli di plastica leggera, che gli atterrò proprio davanti. Dietro la siepe che divideva il prato tra il proprio e quello dei vicini,  sentì esclamare:
-Oh, no!-
Non si mosse. Se qualcuno aveva tirato la palla fuori rotta ed era finita lì non era affar suo. Forse però sarebbe stata buona educazione ritirarla dall’altra parte per restituirla al proprietario. Si stava chiedendo ancora cosa fare quando vide un bambino comparire al di là della staccionata davanti a casa sua.
Avrà avuto si e no cinque anni, riccioli biondi arruffati sulla testa e gli occhi di un azzurro così intenso come non ne aveva mai visti.
Provò una leggera fitta di invidia: lui avrebbe voluto nascere coi capelli biondi e gli occhi chiari, come He Man nel suo cartone animato preferito o Goku Super Sayan di Dragonball, ma la natura purtroppo aveva avuto in serbo per lui tutto l’opposto. Capelli ed occhi scuri.
-Ciao- esordì il bambino sconosciuto. –Potresti passarmi il pallone? L’ho lanciato troppo in alto ed è finito qui.-
Miles, senza dire una parola, glielo tirò in malo modo dicendogli:
-Stai attento la prossima volta. L’ho quasi preso in testa.-
-Oh, scusami. Mi dispiace davvero tanto. Non l’ho fatto apposta.- Attese un momento. Si aspettava che l’altro dicesse Non importa, tranquillo ma invece non disse nulla e tenne lo sguardo piantato per terra. Decise allora di continuare:
-Io mi chiamo Sebastian Monroe. Abito qui accanto. Siamo arrivati stamattina presto.-
Niente, non ottenne risposta. L’altro non alzò neanche lo sguardo. Forse non aveva voglia di parlare o magari era un po’ sordo. Ma non si diede per vinto. Alzando un po’ la voce chiese : -Tu come ti chiami?-
Miles rimase spiazzato da quella domanda. Da un lato era infastidito dall’insistenza di quel bambino ma, doveva ammetterlo, anche un po’ lusingato dall’interesse che mostrava nel fare la sua conoscenza. Avrebbe potuto solo riavere il pallone ed andarsene.  In realtà pero, non sapeva se rispondergli o mandarlo a quel paese ordinando gli di lasciarlo in pace. Ci mise qualche attimo per decidere, ponderando le due opzioni.
Con sua sorpresa l’altro ripeté, con tono più alto:
-Come…ti…chiami?-
-Non urlare, ti ho sentito!-
-Ma non rispondevi. Ho supposto che fossi sordo e non avessi fatto in tempo a leggermi le labbra. Le persone sorde sanno leggere sulle labbra degli altri, lo sapevi?-
-Certo che lo so.  E comunque mi chiamo Miles Matheson.-
-Sono felice di conoscerti, Miles- sorrise l’altro cordiale. Non ebbe risposta. Dal momento che il nuovo amico parlava poco, decise di insistere : -Ti va di giocare a pallone con me? Non è molto divertente giocare da soli.-
-Non lo vedi che sono impegnato?-
Bass osservò con attenzione Miles, seduto in giardino da solo, fissava il prato immobile.
Con innocenza, e seriamente incuriosito, chiese : -A fare cosa?-
Miles lo fulminò con lo sguardo.
-Sto pensando- precisò.
-Ah. Magari più tardi, quando hai finito di pensare- propose per niente scoraggiato.
-Non mi piace giocare a pallone!- ruggì l’altro
-Non ti piace? Non è possibile. Piace a tutti. Ma se preferisci un altro gioco…-
Miles non lo lasciò finire. Si alzò ed entrò in casa sbattendo la porta alle sua spalle.
Salendo al piano di sopra, rimuginava tra sé e sé: -Che persona insistente. Ha riavuto la sua palla, gli ho detto il mio nome. Cosa vuole ancora? Doveva levarsi dai piedi.-
L’aveva fatto innervosire. –Possibile che non si possa stare tranquilli nemmeno nel proprio giardino?-
Appena entrato in camera sua si sentì subito meglio. Quello era il suo piccolo mondo, riservato e tranquillo. Il suo territorio privato. Con cautela si avvicinò alla finestra. Bass era tornato verso casa sua, calciando distrattamente il pallone. Sembrava infatti che non si stesse divertendo molto. Arrivato nel prato che aveva davanti alla sua abitazione, cominciò a lanciarlo contro il muro e riprenderlo, lanciarlo e riprenderlo, ancora, ancora. Nel cuore di Miles si insinuò un po’ di tenerezza. Pensò che dopotutto avrebbe potuto fargli un po’ di compagnia, lui aveva solo tentato di essere gentile. E poi perché aveva mentito? Lui adorava giocare a pallone. Il fatto è che era stato insistente e lui voleva essere lasciato in pace. Non voleva ammetterlo con sé stesso ma quel bambino aveva stuzzicato il suo interesse. Non sapeva perché ma era così.
Non aveva molti amici, anzi, non ne aveva neanche uno. Non era mai stato bravo a socializzare ma la cosa non gli era mai importata più di tanto. Ognuno era fatto a modo proprio. Lui aveva un carattere difficile ed era fatto così. Punto. Non poteva costringersi a cambiare. Ma Bass aveva provato a fare amicizia con lui. Non sarebbe stato male avere un amico.
Dopo cena tornò in camera sua. Andò alla finestra e notò, per la prima volta, che era esattamente di fronte a quella della camera di Bass. Erano villette a schiera e probabilmente entrambi si erano aggiudicati la mansarda.  Stava montando dei binari per un modellino. Sentendosi osservato alzò lo sguardo. Appena vide l’altro, che non poté fare a meno di notare di nuovo che stupendi occhi avesse,  un sorriso gli illuminò il viso e agitò la mano in segno di saluto. Miles rimase impietrito: si era comportato male, gli aveva urlato contro e adesso lui gli stava sorridendo! Fece un piccolo cenno per ricambiare e chiuse le tende. Pentendosene subito dopo. Ma perché si comportava così?
La mattina dopo uscì in giardino. Per un po’ accarezzò l’idea di avviarsi verso casa dell’amico e di passare distrattamente lì davanti. Tanto per vedere se era uscito anche lui. Ma poi abolì l’idea. Non faceva parte del suo modo di essere. Era il più grande, doveva mostrarsi superiore, doveva essere l’altro a cercarlo.  Infatti un attimo dopo  si sentì chiamare:
-…Miles…-
Lui sorrise.
-Ciao, Bass- riuscì finalmente ed essere gentile.
-Ti ho visto dal piano di sopra. Stai pensando?-
- Ora no- rispose divertito. Sapeva che non voleva prenderlo in giro ma semplicemente non disturbarlo come il giorno prima.
-Ti va un pezzetto della mia merenda?-
-Perché vuoi divederla con me?-
-Perché siamo amici- rispose l’altro come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Miles rimase di sasso. Amici? Ma se il giorno prima gli aveva risposto male? E la sera gli aveva praticamente chiuso le tende in faccia.
-Prendi- disse il più giovane.
Un attimo dopo Miles vide volare sopra la sua testa un incarto nero. Una volta atterrato lo raccolse. Conteneva un pezzo di barretta di Mars morsicata.
-Ma che schifo è?- domandò a voce volutamente alta.
- E’al cioccolato. Non mi dire che non ti piace!-
-Dovevi dividerlo con un coltello. Non morsicarlo!-
-Scusa, a casa non li posso usare i coltelli. Me lo hanno proibito.-
-Va bene lo stesso. Adesso però devo rientrare. Questa te la puoi finire- disse ritirando il pezzo di barretta dall’altra parte e, senza attendere, corse a rifugiarsi in camera sua.
Si sedette sul letto e rifletté: era scappato. Si scappa dagli amici? Certo che no. E Bass sosteneva che loro due fossero amici. Di cosa doveva avere paura? Era assurdo, si faceva mettere in difficoltà da un bambino più piccolo. Forse avrebbe dovuto solo evitarlo, lasciar perdere tutto. Sbirciò di nuovo dalla finestra. Lui se ne stava lì, tutto solo, seduto in veranda, a sbocconcellare la merendina.
Provò di nuovo quel moto di tenerezza.
Gli fu chiaro quanto teneva a lui alcuni giorni dopo. Avevano preso l’abitudine di augurarsi la buonanotte prima di andare a letto. Non c’era stato nessun accordo. Avevano cominciato per caso. Miles scostava la tenda e alzava la mano in segno di saluto ed era felice di notare l’entusiasmo col quale Bass lo ricambiava ricompensandolo ogni volta con un sorriso raggiante. Ognuno dalla propria finestra.
Una sera, era particolarmente tardi, il primo fece per affacciarsi per salutare l’amico ma lui non c’era. O meglio, doveva essere nella sua camera perché riusciva a scorgere una fioca luce accesa, forse di una  abat- jour , ma non era davanti alla finestra, dove stava sempre ad aspettarlo, seduto alla scrivania sulla quale di solito lo vedeva giocare col modellino di un treno. Ipotizzò che fosse particolarmente stanco e avesse deciso, per una volta, di non aspettarlo e di andare a dormire. In realtà rimase un po’ deluso ma, in fondo, poteva capitare. Stava per chiudere le tende quando lo vide attraversare la stanza, solo per un attimo, a testa china, senza degnarlo di uno sguardo. Non poteva giurarci me gli era sembrato che stesse piangendo. Rimase profondamente turbato, cosa poteva essergli successo di così spiacevole da renderlo così triste? Attese un po’ma lui non passò più davanti alla finestra. Miles non riusciva a tranquillizzarsi. Un po’ per curiosità e un po’per preoccupazione, prese una decisione. Uscì di casa di soppiatto passando dalla porta sul retro.  Con agilità si infilò tra le siepi e si arrampicò sulla rete, scavalcandola e atterrando nel giardino di Bass. Raccolse alcuni sassolini di ghiaia e li lanciò contro il vetro per attirare la sua attenzione. Dopo alcuni attimi Bass si affacciò incuriosito.
-Ehi…sono qui- lo chiamò a bassa voce il primo.
-Miles!- esclamò Bass -Ma cosa ci fai nel mio giardino a quest’ora?-
-Perché piangi?- chiese lui ignorando la domanda dell’altro.
Bass rimase impietrito. -Non sto piangendo- affermò deciso.
-Si, invece. Ti ho visto della mia camera.-
Lo sentì sospirare.
-A volte mi capita di sentirmi un po’ triste. I miei genitori sono spesso fuori casa ed io rimango sempre solo. Anche adesso non ci sono. Non gli importa niente di me, basta che non combini guai. Nessuno vuole stare con me e io non conosco ancora nessuno qui- confessò lui.
-Ma conosci me, scemo.-
-Ma tu sei sempre occupato a pensare oppure chiuso in casa. Non vuoi mai giocare con me.-
-Ora però sono libero. Se vuoi posso venire su e farti un po’ di compagnia. Così non ti sentirai solo. Sto io con te.-
Il viso di Bass si illuminò di colpo: -Lo faresti davvero?-
-Certo- gli assicurò Miles. –Siamo amici, no? Dai, vieni giù ad aprirmi.
Qualche attimo dopo Miles entrava nella stanza di Bass.
-Adesso puoi asciugarti questi lacrimoni- gli disse con un sorriso passandogli le mani sulle guance ancora bagnate. Notò che l’umidità, negli occhi dell’amico, li rendeva ancora più belli. Lucenti e di un azzurro più incantevole di quello del cielo.
-Ok- assentì lui tirando su col naso.
Miles si guardò attorno. La camera era più grande della sua, tappezzata con poster di ogni tipo. C’erano paesaggi boschivi, personaggi dei cartoni animati, cartine geografiche. Vari animali di peluche erano sparsi un po’ ovunque e sulle mensole erano sistemati diversi modellini: carri armati, aerei, moto, macchine da corsa.
-Questi gli hai montati tutti tu?-chiese Miles seriamente interessato
-Si- rispose l’altro con orgoglio. -E’ un gioco che si può fare da soli ed è divertente.-
Sei molto bravo- si complimentò.
-Oh, non è difficile. Basta fare un po’ di attenzione. Un giorno ne possiamo fate uno insieme. Ho altri modellini, ancora da costruire-
-Mi piacerebbe.-
Poi gli cadde lo sguardo sul libro aperto sul letto di Bass. Era un volume illustrato sulla preistoria.
-Stavi leggendo prima?- volle informarsi.
L’altro arrossì leggermente. –A dire il vero non sono ancora molto bravo a leggere. Ma guardo le figure. Mi sembra incredibile che la Terra fosse popolata da animali simili, una volta. A te piacciono i dinosauri?-
-Certo. A chi non piacciono? E poi so un sacco di cose riguardo a loro- affermò.
-Davvero? Mi racconteresti qualcosa?-
Si sedettero sul letto, fianco a fianco, con la schiena appoggiata contro il muro. Il più piccolo con il libro in grembo. Sfogliava le pagine guardando le immagini affascinato.
-Mi piace questo- disse improvvisamente mettendo il volume in faccia a Miles. Continuò: -Come si chiama? Cosa sai di lui?-
-Bass, è tutto scritto a fianco del disegno. Qui.- Indicò la scritta nera in grassetto. -Questo è il suo nome. Prova a leggerlo- lo incoraggiò
-Ci ho già provato- confessò l’altro sconsolato. –Ma per me è ancora troppo difficile. Io so leggere parole corte.-
-Ma la tecnica è la stessa- insistette il più grande. -Ti aiuto io.-
Bass aggrottò le sopracciglia bionde.
 -Ok- accettò la sfida.
Puntò gli occhi blu sul libro seguendo le lettere col dito : -Ti…ti…r…a…n-
-Tiran…no- suggerì l’amico
-Tiranno s…a-
-…U…- suggerì di nuovo
-Sau…ro… Tirannosauro!- esclamò trionfante
-Hai visto? Ce l’hai fatta da solo. Io ti ho aiutato pochissimo-
Bass sorrideva di gioia pura. Buttò le braccia al collo di Miles e lo abbracciò in segno di gratitudine. –No, no. E’ merito tuo- sorrise. –Tirannosauro- esclamò riaprendo il tomo.
Ma l’altro intervenne: -Bass, di questo passo, pero, per la descrizione ci metteremo tutta la notte- scherzò. –Devi fare molta pratica. Ma, per il momento, se vuoi, comincio a leggertelo io il libro. Ad alta voce- si offrì.
-Lo faresti davvero?- chiese Bass commosso. -Nessuno ha mai letto per me.-
Il cuore di Miles si riempì di nuovo di tenerezza. -D’ora in poi lo farò io. Ma devi comunque applicarti per imparare poi a leggere bene.-
-Certamente- promise l’altro.
Si sdraiarono a pancia in giù, tenendo il volume aperto sul cuscino. Miles dalla parte del comodino, per avere la luce della abat-jour, e Bass attaccato a lui, spalla a spalla, per guardare le illustrazioni.
-Allora- cominciò il primo. -La preistoria ( dal latino prae “prima innanzi” e historia “storia”) è il periodo…-
 
Questo fu l’inizio della loro amicizia.
Ancora non immaginavano che sarebbero diventati l’uno la ragione di vita dell’altro.
 
 
 
 
 
 
  
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