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Autore: fireslight    06/06/2014    4 recensioni
Attimi di morte, ultimi respiri di donne che hanno lasciato il segno, donne morte prima del loro tempo.
Dedico pochi pensieri a Joanna Lannister, lady di Castel Granito,
a Lyanna Stark, lady di Grande Inverno,
a Catelyn Tully, lady di Delta delle Acque,
a Rhaella Targaryen, regina dei Sette Regni,
ad Elia Martell, lady di Lancia del Sole,
ad Ashara Dayne, lady di Stelle al Tramonto.
Dedico poche parole ad alcune donne che hanno combattuto guerre più dure di quelle dei loro uomini.
Troppe poche parole per creature forti, in grado di cambiare il mondo.

{PreGameofThrones}
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Catelyn Tully, Elia Martell, Joanna Lannister, Lyanna Stark, Rhaella Targaryen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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           Memories lost in the labyrinth of time.
 

 
 
 
 
 
Joanna Lannister.
Il dolore era talmente lacerante che per qualche minuto non lo sentì nemmeno.
I suoi occhi piangevano lacrime che nessuno avrebbe mai consolato.
Joanna ebbe solo la fugace visione di un bambino avvolto in un lenzuolo bianco, una creaturina
che era suo figlio, qualcosa nato dal suo amore e da quello di Tywin. In quel momento, le porte della stanza si
spalancarono, il leone di Castel Granito fece la sua entrata. Joanna non seppe mai dove trovò la forza di sorridergli,
guardarlo negli occhi un’ultima volta, prima di abbandonarsi tra le braccia forti di suo marito.
Avrebbe voluto dirgli che andava tutto bene, che sarebbero stati insieme fino alla fine, che Tyrion sarebbe stato la loro
gioia, ma non vi riuscì. Alzò una mano verso il volto serio ed impassibile di suo marito, cogliendo un’unica lacrima solitaria, ribelle,
scivolata via dai suoi occhi verdi.
Per una volta, toccò a lei consolare Tywin. Quella, fu l’unica e l’ultima volta in cui Joanna Lannister si sentì morire.
 

 
 
 
Lyanna Stark.
Vide i petali della ghirlanda di rose blu appassire, senza che potesse fare nulla per evitarlo.
Aveva sempre amato le rose, sin da quando ne avesse memoria.
Lyanna sentì il freddo che le stringeva le membra, come il vento del Nord che da bambina la faceva tremare
da capo a piedi. Non sarebbe bastato il caldo fiato delle montagne dorniane a guarirla, non serviva un septon per
comprenderlo. Eppure, dentro di sé, conservò la speranza. Era fredda, Lyanna, come una statua di ghiaccio in
procinto di distruggersi, troppe crepe al suo interno perché possa sperare di resistere ancora. Era immobile, la
fanciulla del Nord, le dita sottili aggrappate alle lenzuola pregne del suo sangue, incapace di ignorare il profumo
tentatore di rose blu. Era di ghiaccio, Lyanna, consapevole del fatto che un fiocco di neve non potesse sopravvivere
ai deserti del Sud, troppo legati al gelo delle proprie terre.
Era stanca, Lyanna, persino quando Eddard la trovò in cima alla Torre della Gioia, quando morire fu più semplice di sopravvivere.
 
 
 
 
Catelyn Tully.
Era sempre stata abituata al tepore delle terre dei fiumi; se solo avesse potuto, avrebbe fatto ritorno a casa.
Casa era quella che l’aveva vista nascere, crescere, casa era il luogo in cui spirare.
Catelyn non sentì mai le urla dei compagni d’arme di suo figlio, né le risate dei Frey, troppo impegnati a uccidere
per prestare attenzione a lei, china ad aspettare l’occasione giusta.
Non avrebbe immaginato che a scorrere non sarebbe stato il vino di Arbor, o quello ancor più dolce di Dorne.
Non avrebbe mai potuto immaginare, che a scorrere sarebbe stato il sangue del Nord, il sangue di chi aveva vinto, non di chi aveva perso. Eppure, quando si alzò, minacciando di morte la moglie di Frey, qualcosa si inclinò nel suo petto, alla vista del suo primo figlio.
Ritta ed orgogliosa stette, la schiena crivellata di orrende frecce, gli occhi vuoti di chi non spera più in nulla, le mani fredde di chi
non prega più da tempo.
Per una Tully, il bacio del freddo acciaio sulla gola fu un peso troppo effimero da sopportare.
 
 
 
 
Rhaella Targaryen.
Era il sangue del drago, i draghi non temevano la morte.
Ricordò di non essersi potuta recare al tempio, a pregare la Madre perché le desse la misericordia, ed il Guerriero per donarle
abbastanza forza in modo da poter resistere. Ricordò di essere soltanto un esile giunco in balia di una forte tempesta che non
avrebbe potuto evitare. Rhaella sarebbe voluta tornare indietro nel tempo, fare in modo che la bambina non potesse essere concepita;
ma era troppo tardi. Niente e nessuno poteva opporsi alla volontà del re, quel re che avrebbe dovuto proteggerla, non violarla a quel modo, come fosse solo l’ennesimo giocattolo da dover poi buttare via.
Sapeva di non poter resistere ad un’altra gravidanza, ma lo doveva a lui, al suo primo figlio, al principe che avrebbe regnato meglio del padre. Voleva che per l’ultima volta Rhaegar potesse essere orgoglioso di sua madre. Fuori, quella stessa tempesta dalla quale cercava di sollevarsi infuriava minacciosa, impedendole di trovare pace. Sentì il vagito di una neonata, fu serena come non lo era mai stata davvero. Rhaella Targaryen non seppe trovare ragione per non sorridere.
                                                                                 
 
 
 
Elia Martell.
Aveva visto cadere troppe persone, non si capacitò del fatto che anche una bambina innocente sarebbe potuta cadere.
Contò ventiquattro colpi, osservò bene la danza dell’acciaio che calava, portandole via la sua principessa, la sua bambina dai
capelli neri, indifesa come il gattino nero che amava così tanto.
Cadde a terra, spinta dalla forza immane della Montagna, forse anche dal rimorso, dalla consapevolezza di non aver dato al principe
ciò che ardentemente desiderava. Non aveva mai sopportato di essere debole, come invece era il suo esile corpo. Desiderò possedere
l’audacia e la potenza distruttiva di Oberyn, il fratello che aveva amato come nessun’altro nella sua vita. Desiderò di essere stata di più, Elia, di non essere la fanciulla debole che tutti, dal primo all’ultimo, consideravano nella Fortezza Rossa. Sentiva male ovunque, insieme alla sgradevole e dolorosa sensazione che all’interno del suo corpo, qualcosa di fosse spaccato di netto; non potè non accorgersi del sangue sulle gambe, sulla cosce, mentre perdeva sensibilità. Negli ultimi istanti, vide la Montagna sollevare suo figlio. 
Il cuore di Dorne si sgretolò, cadde rompendosi in mille pezzi. Elia Martell osservò il suo piccolo fino alla fine, non potè non guardare.
 
 
 
 
Ashara Dayne.
Quando le riconsegnarono Alba, la sua espressione sembrava essere stata scolpita nel marmo.
Solo quando fu al sicuro nelle sue stanza, si concesse di rimirare la spada del fratello che tanto aveva amato.
Ashara osservò come Alba gettasse ombre sanguigne alla luce del tramonto, sebbene la sua lama fosse stata ripulita
del tutto, fino a mostrarsi brillante per un cavaliere che non l’avrebbe mai più sollevata. L’elsa era in morbido cuoio, perfetta
per mani morbide e letali al tempo stesso. I suoi occhi viola si chiusero lentamente, come volendo assimilare quella
dolorosa ed immane perdita; rimise con delicatezza la lama nel fodero, sfiorandosi inavvertitamente il ventre. Sentì le onde
infrangersi imperiose sugli scogli poco al di sotto della torre, mentre pensava alla sua bambina che non avrebbe mai visto la luce del sole. Quasi un anno era passato dal torneo di Harrenhal, eppure Ashara non aveva dimenticato i momenti trascorsi con Stark.
Stark che le aveva riconsegnato la spada di suo fratello, dopo averlo ucciso.
Aprì le imposte del piccolo balcone della torre, sporgendosi troppo. Adesso, Ashara Dayne aveva appreso il vero significato del soffrire.






 
Note dell'autrice.
One-shot scritta di getto in un momento di tristezza, su queste splendide donne che abbiamo conosciuto solo leggendo i libri, un po' meno seguendo la serie. E niente, direi che ho provato ad immedesimarmi nelle diverse situazioni, sino a scrivere questa cosetta qui. Spero possa piacere, mi piacerebbe ricevere qualche pensiero, ecco tutto.
Alla prossima, tornerò.
 
 
 
 
  
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