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Autore: Gaia Bessie    08/06/2014    7 recensioni
Delle persone come lei, non ti puoi innamorare. Eppure, quando ti trovi le sue mani – minuscole e con le unghia mangiucchiate fino alla carne viva, come quelle di un bambino – addosso, diventa difficile non lasciarsi coinvolgere. Perché lei ha quell'aria conturbante di vittima di una tragedia, e gli occhi talmente vuoti che puoi vederci il tuo stesso riflesso. Non parla mai, lavora senza quasi respirare, in apnea. A volte potresti anche aver paura che lei ti muoia addosso, mentre tu continui a tenerle una mano sulla gamba, mentre i capelli cadono a terra. Mentre si stacca, il tacco della scarpa, troppo usata, troppo piccola.
Ogni sera, o quasi, lei s'innamora di un uomo diverso. E capita anche che sia ricambiata, se l'uomo in questione è il solito giovanotto di belle speranze che si crede il nuovo principe azzurro in chiave post-moderna. Lui le promette sempre che tornerà, carezzandole il capo – una volta rosso, una volta verde, una volta viola – e pagandola un po' più del dovuto. Le regala un sorriso, anche, prima di lasciarla. Non torna mai nessuno.
[Dolcetta/Armin, Dolcetta/Alexy, Dolcetta/Castiel, Dolcetta/Dake, Dolcetta/Nathaniel, Dolcetta/Kentin, Dolcetta/Lysandre]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexy, Armin, Castiel, Dolcetta, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Memorie della puttana triste'
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Quando mi sono trovata questa storia fra le mani ho urlato. Perché, come avrebbe voluto scrivere l'autrice nelle sue note (solo che è ancora in coma, dopo il viaggio d'istruzione), questa storia è stata chiesta da me, la sua beta. Perché amo lanciarle sfide improbabili e, quando le ho proposto un fandom che lei inizialmente non conosceva e con una caterba di pairing da far entrare in una sola one-shot. Infinitamente crudele da parte mia, ne sono consapevole. Ma la cara Bessie ce l'ha fatta, nonostante le imprecazioni da camionista. E questo è il risultato. La trovo straziante ed è stato orribile doverla betare. Ma ha vinto lei. Quindi 1 a 1, palla al centro. Spero che la troverete bella quanto me. Ah, l'autrice si scusa per il probabile OOC. Io invece l'accuso per aver vinto questa sfida. Buona lettura,
Giuls Malfoy (tramite account di Elizabeth Mary Greengrass. Quanto mi sento figa a usare il suo account!).



 

Memorie della mia puttana triste1

 

Ogni sera, in un angolo della strada, una prostituta aspetta in silenzio. Batte in bilico sui tacchi, sulle scarpe troppo piccole che spesso toglie. E si ritrova a vagare per la strada con i piedi nudi che vengono graffiati dall'asfalto, ancora rovente dopo una giornata di sole. Magari ha i vestiti strappati, ma pochi ci fanno caso.

Ha i capelli di un colore indefinito: una sera sembrano biondi, poi castani, poi rossi e magari anche blu, verdi e rosa. A volte cadono a ciocche, distrutti dalle tinture casalinghe, ma non se ne accorge nessuno. Fa il suo lavoro, battendo nell'angolo della strada, a volte senza scarpe e sulla punta dei piedi screpolati e graffiati.

Delle persone come lei, non ti puoi innamorare. Eppure, quando ti trovi le sue mani – minuscole e con le unghia mangiucchiate fino alla carne viva, come quelle di un bambino – addosso, diventa difficile non lasciarsi coinvolgere. Perché lei ha quell'aria conturbante di vittima di una tragedia, e gli occhi talmente vuoti che puoi vederci il tuo stesso riflesso. Non parla mai, lavora senza quasi respirare, in apnea. A volte potresti anche aver paura che lei ti muoia addosso, mentre tu continui a tenerle una mano sulla gamba, mentre i capelli cadono a terra. Mentre si stacca, il tacco della scarpa, troppo usata, troppo piccola.

Ogni sera, o quasi, lei s'innamora di un uomo diverso. E capita anche che sia ricambiata, se l'uomo in questione è il solito giovanotto di belle speranze che si crede il nuovo principe azzurro in chiave post-moderna. Lui le promette sempre che tornerà, carezzandole il capo – una volta rosso, una volta verde, una volta viola – e pagandola un po' più del dovuto. Le regala un sorriso, anche, prima di lasciarla. Non torna mai nessuno.

 

 

*

 

Ce ne sono stati tanti, così tanti che non potrebbero essere contati nemmeno volendo. Qualche volta, lei prova a ricordarne i nomi, ma sono pochi ad essersi realmente impressi nella sua mente. Nathaniel aveva inaugurato la serie: si era presentato la prima sera, quando lei tremava così forte da rischiare di crollare sulla strada. Se non fosse stato lui, il primo, probabilmente il timore avrebbe avuto la meglio sulla necessità: nessuno può aver visto una prostituta che trema, a piedi nudi e con le unghia laccate di rosa barbie. Forse, lui si era fermato per questo, forse perché aveva gli stessi scrupoli che aveva lei. Dietro gli occhi dorati, dietro i capelli biondissimi, tremava anche lui.

Nella cravatta blu scuro e nella piega della camicia ben stirata, s'intravedeva un ragazzo di buona famiglia, stereotipo incarnato che tentava di liberarsi da quell'aureola di perfezione un po' artefatta che gli cingeva il cranio. Come una corona di spine che l'avrebbe ferito, in ogni momento, senza che lui lo sapesse.

Se l'era portata a casa, quella sera, sul sedile di un'auto scura. Fra le lenzuola che sapevano di lavanda, lei aveva tremato secondo una scossa che le veniva dal centro esatto del suo stesso essere. Nathaniel non se n'era accorto, forse perché anche lui era tormentato dallo stesso tremore. Era finito in fretta. Per tutto il tragitto inverso, la notte che già scemava in un'alba scolorita, lui aveva parlato. Si era tirato fuori parole ben calibrate, promesse che lei non aveva nemmeno sentito. Le aveva detto, sottovoce, che sarebbe tornato la sera seguente. Che l'avrebbe tolta dalla strada per darle una casa, una persona che l'amasse. Lei l'aveva guardato solo per un momento.

In silenzio, mentre tornava nel suo angolo. I capelli di un castano chiarissimo, gli occhi dal colore indescrivibile. Le scarpe in mano e le unghia rosa scheggiato. Con tutta probabilità, aveva già capito che non sarebbe tornato: che il giorno dopo sarebbe filato dritto dalla ragazza del suo stesso ufficio per chiederle di uscire. E magari lei avrebbe messo dei sandali e lui si sarebbe sorpreso a chiedersi perché non avesse steso dello smalto rosa scheggiato sulle unghia tagliate malamente. Ma non sarebbe più tornato, ovviamente, perché anche se avesse potuto toglierla realmente da lì, lei avrebbe sempre teso al ciglio della strada con un'aspirazione naturale. Come una brutta abitudine, come le unghia mangiucchiate e il labbro lacerato dai suoi stessi denti. Nessuno ha mai visto una prostituta così. Che di straforo, avrebbe rivisto il suo cliente: a passeggiare con una donna mora, gli occhi del colore del mare a mezzogiorno, il ventre arrotondato nei vestiti troppo larghi2. Una scarpa chiusa, senza tacco.

E chi l'ha mai vista, una prostituta così, una puttana che piange.

 

 

*

 

E Dake, con gli occhi sottili come lame nella sua carne in quel giorno freddo. Con il fiato che si condensava, di notte, e diventava vapore. Potevi provare ad acchiapparlo, senza riuscirci. Se poi eri particolarmente coraggioso, potevi avventurarti in quella selva di candidi bioccoli e tuffarci le mani, finché le dita non diventavano blu.

L'avevano consumata così, la sera, con una coperta in mezzo alla neve. Lei, sotto ogni folata di vento, cercava di nascondersi nel corpo di lui, insensibile. Tremava ogni osso del suo corpo, ogni poro della sua pelle, i capelli tinti di un viola un po' smorto, pieni di neve. Gli occhi spalancati nel buio perché, ne aveva il timore più cieco e assoluto, se li avesse chiusi, sarebbe morta in mezzo alla neve. Dake con le sue mani bollenti e il sorriso come una cicatrice sul volto, il viso da surfista sepolto nella sua spalla.

Dopo, aveva riso e chiacchierato tutto il tempo, come se fosse normale. Come se lei fosse stata solo l'ennesima ragazza invitata a uscire, e non una prostituta che aveva lavorato con giovani e vecchi, con uomini che odoravano d'alcool e sigarette. Lei aveva riso insieme a lui, mentre tornava nel suo angolo. Dei tanti che c'erano stati, dei tanti che ci sarebbero stati, Dake le era piaciuto abbastanza. L'aveva visto altre volte, senza promesse, senza impegni. Il sorriso che le stampava sul volto, con poche parole. Poi non l'aveva visto più. Passando per il cimitero, con i piedi nudi pieni di terra e vermi, ne ha visto la foto su una lapide. Il sorriso bianchissimo sembrava voler spaccare il vetro e la cornice. Il sorriso che lui le aveva impresso, prima di andar via, senza promesse e senza pretese, senza impegni.

E chi l'ha mai vista, una prostituta così, una puttana che ride.

 

 

*

 

Il chitarrista con la sigaretta era venuto dopo: Castiel l'aveva incontrato durante una di quelle sere in cui, un cliente, non lo vedevi nemmeno se eri disposta a pagare. Le si era parato davanti all'improvviso, senza una parola, uno sguardo ostile negli occhi e le radici nere che s'intravedevano sotto il rosso scuro dei capelli tinti. L'aveva presa per un polso, senza dire nulla. In verità, era quello che aveva parlato di meno, da sempre. Non avevano nemmeno fatto tanta strada: pochi minuti, in un bagno minuscolo di un locale lì vicino, in bilico sui suoi tacchi rotti. Lui le aveva fatto male, lei aveva stretto i denti. Senza una parola, in apnea, aveva sopportato. Una sigaretta ancora accesa fumava accanto alle sue scarpe. Quando aveva finito, Castiel si era accasciato contro il muro, nascondendo la testa fra le ginocchia. Lei l'aveva seguito, silenziosa.

E lui, per la prima volta in tutta la sera, aveva parlato. L'aveva investita di un torrente di parole sulla ragazza che l'aveva tradito, usato, lasciato. Le aveva sussurrato di Debrah che era fuggita, ponendo sé stessa al di sopra di ogni cosa. Lasciandolo, come uno sciocco. Un po' le somigli, le aveva detto lui. E lei non ne era nemmeno tanto sicura, mentre tormentava i capelli così biondi da sembrare bianchi, secchi come paglia sotto le dita. Gli aveva permesso di stringerla, quasi impedendole di respirare.

Lei, la prostituta con un cuore, che era solo cuore e nient'altro. Cuore e bocca e mani quando lavorava. Il respiro che non si sentiva, il sangue che non pulsava. Lei si era lasciata stringere e non aveva detto nulla quando lui l'aveva chiamata Debrah. Non che sapesse il suo nome. Lei stessa dubitava di conoscerlo realmente.

Castiel non l'aveva mai più rivisto, se non in pubblicità occasionali di giornali stracciati. Dischi, musica, un mondo estraneo. La sigaretta sempre fra le dita. Gliel'aveva spiegato, il perché: non fumava perché gli piaceva, fumava sperando di uccidersi un po' più velocemente3 – e, da quel giorno, aveva cominciato anche lei.

E chi l'ha mai vista, una prostituta così, una puttana con la sigaretta in bocca per morire prima.

 

 

*

 

Kentin era capitato lì quasi per caso: una sera, vagando per il buio, si era imbattuto in quella strana ragazza. E si era fermato, colpito. Qualcosa non quadrava, nel sorriso volgare sul volto pulito da liceale, sul rossetto sciolto dalla calura che rendeva la bocca una ferita aperta, nei capelli rosso fragola crespi attorno al viso. Non l'aveva toccata nemmeno con un dito: l'aveva portata in giro per tutta la sera, sul suo scooter. Prima a mangiare, poi a passeggiare sotto la luna. Come un appuntamento. Senza sfiorarla, guardandola come se fosse di vetro. Forse lo era, nella trasparenza della pelle: si vedevano i graffi, i lividi, i morsi stantii delle sere precedenti.

Prima di lasciarla nel suo angolo, le aveva promesso che sarebbe – dejà vù – tornato a prenderla. Forse lo sapeva già, forse si dimenticò di dirglielo, che non sarebbe mai tornato. Il giorno dopo sarebbe partito per non tornare, ma questo non lo avrebbe mai detto. E lei era rimasta ad aspettare, notte dopo notte.

Poi non aveva aspettato più. Era tornata a scrutare gli occhi della gente, che viveva con lei, che stava sopra di lei.

E chi l'ha mai vista, una prostituta così, una puttana innamorata del primo che è passato e non passerà più.

 

 

*

 

Lysandre l'aveva trattata come la regina che non era. L'aveva presa per mano, per quella mano minuscola che aveva baciato, e l'aveva portata nella sua auto, scura, quasi invisibile nella luce giallina dei lampioni. Era successo piano, in silenzio, in quell'aria piena di un profumo delicatissimo, da donna. Attaccata al retro del sedile, una foto. Ritratto di ragazza dai capelli chiarissimi e occhi dorati, un “Rosalya” scritto in un angolo e poi dimenticato. Lei non aveva chiesto ma, in silenzio, aveva provato a domandarglielo. Lui l'aveva guardata soltanto per un attimo, le palpebre appena socchiuse sugli occhi di diverso colore. È mia cognata, le aveva detto sottovoce. Adesso non c'è più. Per un attimo, lei aveva temuto che si mettesse a piangere, come un bambino. Ma lui si era limitato ad aprirle la portiera. I capelli dello stesso colore della ragazza in foto, ma più crespi e radi, rilucevano quasi. Lasciandola in strada, senza una parola. Senza un cenno o una promessa.

E chi l'ha mai vista, una prostituta così, una puttana che corre nella notte inseguendo una promessa che non esiste.

 

 

*

 

I gay sono sempre i più fastidiosi: spesso sentono l'esigenza di ricorrere alla violenza, dato che non sono tagliati per le donne. Sono i peggiori perché, spesso, la sera dopo fa fatica pure a muoversi sui suoi tacchi rotti. E probabilmente, aveva pensato la sera in cui era arrivato quel ragazzo dai capelli blu, non c'era assolutamente nulla di peggio di uno che ti sorrideva prima di affondarti le dita nella carne. Alexy si era presentato con un sorriso, come se si fosse trovato lì per caso.

Alexy e i suoi capelli blu, Alexy che non amava le donne, Alexy che amava anche lei. Alexy che, quando l'aveva trovata con i capelli rasati fino al cuoio capelluto, non aveva detto nulla. Alexy che le parlava del suo gemello Armin e a volte lo portava anche, ogni sera che aspettava con lei che arrivasse qualcuno, ogni sera che la guardava tornare scalza e infreddolita. Ogni. Singola. Sera.

Di tutti quelli che aveva conosciuto, di tutti quelli che aveva perso, Alexy era l'unico che continuava a tornare. Ogni sera, ogni notte. A volte con il suo gemello, a volte senza. Armin con i capelli nerissimi e gli occhi azzurri, che non distoglieva mai lo sguardo dal telefono. Che, una volta, l'aveva baciata ed era arrossito.

Che entrambi avrebbero voluto toglierla dalla strada, non era un mistero. Nel lievitare dei mesi, del suo ventre che si gonfiava, Alexy cominciava ad essere ansioso. Se la paura non l'aveva fottuta ancora, il suo corpo dava segnali poco ignorabili. La pelle traslucida, il ventre grottescamente gonfio.

Continuava a battere, ogni sera, il bilico sui tacchi rotti. Continuava a battere, in bilico sul marciapiede, con le scarpe in mano, con i piedi gonfi.

E chi l'ha mai vista – chi la vedrà mai – una prostituta così, una puttana fino alla fine.

 

 

*

 

Ogni sera, un ragazzo aspetta in silenzio. Sbatacchia fogli di carta sul tavolo, senza criterio, la penna persa fra le dita. Si trova a vagare per la casa, con troppi pensieri in testa, ancora ingarbugliati nel lievitare dei mesi. Magari tiene ancora fra le braccia il suo manoscritto, senza accorgersene.

Ha i capelli di un celeste vivido e bellissimo, gli occhi di sfumature quasi violacee. Alexy fa il suo lavoro, scarabocchiando parole quasi a casaccio sui fogli.

Alexy scrive, ogni sera, da quando ha smesso di aspettare: una sera che lei se n'è andata per non tornare, correndo via sui suoi tacchi rotti. Lasciandolo nell'angolo, insieme ad Armin, con un vuoto al centro esatto del petto. La sera dopo, lui aveva già cominciato a metter su carta quella storia che, in silenzio, lei aveva raccontato. E, forse, senza dire nulla, lei non se n'è mai andata. Le memorie della sua puttana triste, Alexy, non riesce a leggerle. Sarebbe come ricordare com'era lei, nei capelli neri cortissimi, nei lividi e nei morsi, nelle unghia mangiucchiate fino a cavar sangue dalle dita. E gli occhi bui, bui, bui.

Chissà cosa è successo alla sua puttana dagli occhi tristi, chissà se ancora batte sul marciapiede in bilico sui suoi tacchi rotti. Non è mai tornata.


 


1 Ispirato al libro di Gabriel Garcìa Màrquez, "Memoria delle mie puttane tristi"
2 Melody, ovviamente
3 Ispirato alla figura di Alaska nel libro di John Green, "Cercando Alaska"

   
 
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