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Autore: Ita rb    08/06/2014    1 recensioni
Non che Shintaro Midorima avesse granché bisogno di perdere tempo a quel modo, sia chiaro sin dal principio, ma la verità è che Takao aveva insistito parecchio e per ben tre ore consecutive, portando i suoi nervi a un punto di non ritorno. Aveva solo due possibilità di fronte a lui: ucciderlo o assecondarlo – e siccome la prima non era propriamente contemplabile, alla fine si era deciso ad optare per la seconda.
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Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shintarou Midorima, Takao Kazunari
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Storia nata spontaneamente, senza alcuno scopo di lucro e con personaggi di cui mi approprio indegnamente per qualche pagina.

Spero vi piaccia, è la prima midotaka che scrivo, senza pretese, nata per caso con un prompt personale che mi è sorto mentre ero sull’autobus questo pomeriggio.

 
 

Non che Shintaro Midorima avesse granché bisogno di perdere tempo a quel modo, sia chiaro sin dal principio, ma la verità è che Takao aveva insistito parecchio e per ben tre ore consecutive, portando i suoi nervi a un punto di non ritorno. Aveva solo due possibilità di fronte a lui: ucciderlo o assecondarlo – e siccome la prima non era propriamente contemplabile, alla fine si era deciso ad optare per la seconda.
Lo scorpione l’avrebbe tampinato fin quando non sarebbe stato in grado di cantar vittoria, se lo sentiva nelle viscere sin da quando aveva sentito l’oroscopo quella mattina – senza contare che Oha-Asa non sbagliava mai.
Faceva davvero caldo quando Takao era passato a prenderlo con la scusa di allenarsi all’aperto e da allora era a malapena riuscito a bere una bibita, perché sembrava che l’atro fosse sovraeccitato per l’arrivo dell’estate e non aveva mancato neppure un secondo di giocare a basket: riposarsi al riparo dal sole non era un’idea fattibile a suo dire e di certo Midorima non voleva fare una pessima figura alle velate provocazioni del compagno di squadra – bastavano e avanzavano quelle che l’avevano puntellato pressoché di continuo nel tragitto sul carretto.
Il risultato era stato pressoché quello di una doccia, con l’unica differenza abissale che non si trattava di candida acqua refrigerante, meno che mai quella più calda – se non bollente – delle sorgenti termali dedite alla circolazione sanguigna. L’affanno aveva preso il sopravvento man mano che il sole continuava a salire verso il centro del cielo e nemmeno una nuvola si arrecava il diritto di coprire quello scempio di sudore, tanto che alla fine era risultato quasi opprimente per lo stesso Kazunari che molto semplicemente, voltandosi verso Shintaro, se ne uscì con una frase irritante – per lo meno a detta del tiratore:
«Fa troppo caldo, perché non torniamo indietro?»
Reprimendo l’istinto di lanciargli qualcosa, Midorima si rese conto che la pazienza, superato il suo limite originario di ben più chilometri del previsto, sembrava essersi totalmente sconnessa dal suo cervello che, di rimando, diede unicamente l’impulso di annuire alle parole dell’altro con un ringhio a mezza bocca che aveva tutte le sembianze di un Te l’avevo detto!
Inutile dire che l’idea di continuare verso casa propria fosse fuori discussione: dopo essersi tanto dato pena di riaccompagnare Midorima laddove era stato prelevato in principio per un capriccio, di sicuro non avrebbe rischiato di prendersi un insolazione.
Lo fissava con sguardo assorto e convinto, tanto che quando Shintaro gli diede le spalle per entrare nel cancello si trovò a percepirne l’aurea in modo del tutto sinistro.
«Cosa c’è adesso?» Domandò di getto, esasperato e stanco come ben poche volte in vita sua, ambendo un bel bicchiere d’acqua fredda che avrebbe tirato fuori direttamente dal frigorifero fintanto che organizzava l’occorrente per farsi un bagno.
«Non m’inviti ad entrare, Shin-chan?» Fece lui di rimando, posando i gomiti contro il manubrio e inclinando appena la testa da un lato con fare sconsolato.
«No.»
Quella fu la secca risposta di Midorima che, dopo aver chiuso il cancello con un movimento secco del braccio, si ritrovò a far fronte alle lamentele del moro:
«Cosa?» Sbottò con un tono sconvolto, aggrappandosi ai bordi del manubrio per poi scattare in avanti e fissarlo di sbalordito. «Ti ho portato fin qui e non mi offri neppure un bicchiere d’acqua?»
«Sei tu che hai deciso di uscire», replicò scocciato, fissandolo da oltre le lenti un po’ appannate degli occhiali – avrebbe dovuto pulire anche quelle e non con un angolo della canotta che aveva indosso come al campo da basket, ma con del sapone vero e proprio.
«Ma tu hai accettato!» Fece ancora l’altro, smontando dal sellino per avvicinarsi al cancello a braccia conserte, capriccioso come ben poche volte – o forse come al solito? Midorima non riusciva a capirlo in realtà, tanto era stanco da non comprendere se fosse il solito Takao o se il sole gli avesse liquefatto il cervello.
«Si chiama esasperazione», sospirò stancamente, sistemandosi gli occhiali sul naso e guardando altrove, mentre il cancello continuava a separarli impietosamente.
«Fammi entrare, dai…» tentò ancora Takao, aggrappandosi alla ringhiera in ferro che aveva dinanzi, tentando quasi di fingere di strattonarla via per attirare l’attenzione del compagno che, dal canto suo, schioccò la lingua seccato.
«Sei lagnoso», disse serio, malgrado la tranquillità iniziale con la quale aveva deciso d’imporsi stava lentamente svanendo a causa di quel tipo.
«Shin-chan!» Lo chiamò, fissandolo in volto e sporgendosi in avanti col busto fino a superare il basso cancello della recisione e suscitare la sua attenzione. «Non mi muovo di qui se non mi fai entrare», spiegò severamente, mentre le goccioline di sudore che gl’imperlavano la fronte scendevano lungo gli zigomi in un motto di ribellione interna.
«Friggiti pure», sospirò allora Midorima, cercando di allontanarsi di un passo da lì; allorché l’altro squillò ancora una volta con tono supplichevole:
«Cosa ti costa farmi entrare per cinque minuti?»
 
Era così che era andata, lo ricordava perfino in quel momento, mentre cercava di calmare il nervoso nella vasca da bagno: l’unica cosa che davvero mancava all’appello di quell’intrusione improvvisa era il perché Takao si trovasse nel suo stesso bagno, seduto sullo sgabello vicino a insaponarsi la testa come se nulla fosse.
Aveva approfittato dell’aria accaldata che aveva Shintaro per proporgli di andarsi a rinfrescare, ma dopo i primi secondi di solitudine di fronte a una televisione spenta e con l’acqua in mano aveva cominciato a credere che la spossatezza non si sarebbe più levata dal suo corpo se non con una doccia – e l’idea di aspettare fin quando non sarebbe arrivato a casa sua era fattibile, certo, se non contiamo la millesimale invidia che avrebbe provato nel vedere Midorima all’apice della sua tranquillità dopo un bagno ristoratore.
Così, alla fine, si era deciso a seguirlo fin lì, facendo incursione nella stanzetta anelata dopo aver controllato che il compagno avesse abbandonato gli occhiali sui panni lasciati nell’antistanza.
L’unico errore di calcolo del moro era stato quello di pensare che anche le orecchie di Shintaro non lo avrebbero percepito: portava gli occhiali e sarebbe stato in grado di scambiare una saponetta per una spugna, ma di certo non avrebbe mancato di sentire lo stridore della porta scorrevole.
Si era letteralmente appropriato in modo indegno della seduta del padrone di casa, ma dopo tutto doveva essersi abituato al suo modo di fare e non a caso se ne stava lì, a sospirare di tanto in tanto con fare seccato mentre posava il mento sulle braccia che si trovavano sul bordo della vasca.
«Potevi anche chiedermelo, no?» Disse d’un tratto.
«Cosa?» Replicò il moro, voltandosi appena verso di lui e lasciando che un po’ di schiuma gli scivolasse lungo il braccio.
«Se potevi entrare anche tu», spiegò l’altro, sospirando e portandosi una mano in testa per sorreggersi il capo con le dita tra i capelli ancora umidi di sudore.
«E di cosa ti vergogni, Shin-chan? Giochiamo assieme e ci cambiamo nello stesso spogliatoio, senza contare che quest’estate andremo alle terme con tutti gli altri…» iniziò a dire, parlando pressoché come una macchinetta – tipico di Takao che, dopo tutto, in compagnia dell’altro riusciva davvero a mostrarsi logorroico.
«Non è questo il punto», esordì il padrone di casa, intercettando la direzione in cui era seduto il moro per puro caso. Si sforzava di vederlo quando in realtà aveva la vista prettamente appannata, ma continuare a parlare senza sembrare rigoroso come al solito era inaccettabile.
«No?» Chiese questo, girandosi verso la vasca e posando i gomiti sulle ginocchia per guardare da vicino il volto dell’altro. Chissà perché, ma davvero non riusciva a credere del tutto alle sue parole: era un classico che Shin-chan si vergognasse e lui ci aveva fatto il callo, ormai.
«Non comportarti come se questa fosse casa tua!» Borbottò allora, inasprendo di poco il tono, mentre l’altro si lasciava andare a una leggera risatina nell’osservare come Midorima sembrava intento nella ricerca di uno shampoo.
«Va bene, va bene…» cantilenò, rendendosi conto di averlo letteralmente rubato dal bordo della vasca – si trovava accanto alla sua gamba sinistra, dove l’aveva posato poco prima d’iniziare a insaponarsi i capelli. «Ti serve una mano?» Chiese divertito, lasciandolo fare e afferrando però il flaconcino in questione.
«No, faccio da solo», replicò schietto, sentendo il bagnoschiuma scivolare direttamente nella vasca per battere sul fondo con un tonfo sordo.
«No, faccio da solo…» gli fece eco il moro con una piccola smorfia, prima di stappare lo shampoo e afferrare lo spruzzino della vasca per inondare Shintaro con un getto improvviso che gli fece strabuzzare gli occhi dopo qualche secondo.
«Cosa fai?» Domandò di scatto, posando entrambe le mani sul bordo della vasca; eppure Takao non si lasciò colpire dal tono minaccioso che questo aveva usato nei suoi riguardi e fischiettando un po’ con aria assorta gli posò una mano sulla testa per rimetterlo a sedere nella vasca.
«Ti lavo i capelli», esordì, prendendo a massaggiargli la cute lentamente.
Il volto di Midorima s’imporporò senza preavviso a quel punto, sentendo il roteare simbiotico dei polpastrelli altrui. Deglutì appena, chiudendo poi gli occhi per lasciarlo fare e incrociò le braccia senza aprire bocca; allora Takao si disse che, dopo tutto, ci aveva visto giusto sull’imbarazzo altrui e con un sorriso leggero si piegò in avanti per posargli un bacio a fior di labbra, cogliendolo alla sprovvista ancora una volta per poi sentirlo borbottare qualcosa tra i denti.
«Scemo…»
«Come?» Domandò innocentemente, fingendosi estraneo a quell’uscita improvvisa che solo dopo qualche secondo riuscì a comprendere con un breve ritardo.
«Fallo ancora una volta e ti affogo seduta stante.»

 
   
 
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