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Autore: Hermione Weasley    09/06/2014    5 recensioni
Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.
Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.
[Clint x Natasha] [Slow Building] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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2

 

I'm waking up, I feel it in my bones
Enough to make my systems blow
Welcome to the new age, to the new age

(Imagine Dragons - Radioactive)

 

E' una minaccia. Reintrodurla nella società è assolutamente fuori discussione.”

Che cosa suggerisce allora? Dovremmo rinchiuderla in una cella e buttare via la chiave?”

Non capisco cosa aspettiate a farlo. E' un'assassina.”

Ha tredici anni.”

E con questo? Vi siete improvvisamente rammolliti? Non credevo foste un centro di riabilitazione!”

Si risparmi il sarcasmo, agente Polmar.”

Oh, scusami Sitwell, credevo stessimo giocando a chi la dice più grossa.”

Il direttore Fury osservava pigramente prima l'uno, poi l'altro interlocutore, più preoccupato dal mal di testa incipiente che da quell'inutile scambio di opinioni. Lo sapeva che indire una riunione sul caso della Vedova Nera (nel suo ufficio, per di più!) non sarebbe servito a niente... a meno che lo scopo non fosse quello di annoiarlo e seccarlo a morte. In quel caso erano particolarmente (nonché pericolosamente) vicini al conseguimento del loro fine.

Agenti,” pronunciò solamente. Le confabulazioni cessarono di colpo... o quasi.

Direttore Fury, lei sicuramente si renderà conto del pericolo in cui metteremmo i nostri citt -”

Agente Polmar, stia zitto,” decretò con tono definitivo. Sono circondato da un branco di idioti, burocrati e politici, realizzò con disgusto, che poi sono la stessa cosa.

Si rimise in piedi, congiungendo le mani dietro la schiena e concedendosi qualche passo all'interno del suo ufficio ancora da arredare. Non disse niente per un lunghissimo attimo: finse di riflettere mentre gli altri due si trattenevano a malapena dal riaprire la bocca.

Effettueremo ulteriori valutazioni, fisiche, psicologiche...”

Ma direttore!” Sbottò Polmar, “la ragazza mi ha staccato un orecchio... a morsi!” Gesticolò furiosamente, esibendo la fasciatura che gli ricopriva metà della testa insieme all'orecchio sinistro.

Agente Polmar, le erano state impartite precise direttive riguardo la signorina Romanova.”

Signor -,” si bloccò, come incapace di sopportare l'assurdità del titolo, “signorina Romanova? Stiamo parlando di una mercenaria che ha ucciso quasi cento persone nel giro di undici mesi!”

Una tredicenne sedata e legata ad un letto è riuscita ad avere la meglio su di lei, agente Polmar,” gli ricordò Fury con freddezza inquietante. Se doveva essere del tutto sincero con se stesso, l'aggressione della Vedova Nera ai danni di quell'imbecille era il principale motivo per cui aveva deciso di darle una chance.

L'uomo si fece paonazzo, il pomo d'Adamo che gli si abbassava e alzava freneticamente a fior di gola.

Sta commettendo un grave errore, direttore.”

Nessuno l'ha invitata ad avvicinare la prigioniera, né ad ingaggiarla in alcun tipo di contatto, dialogico o meno. Quello che doveva fare era monitorarla da una distanza di sicurezza. Lei ha evidentemente deciso che attenersi alle direttive sarebbe stato inutile, con le conseguenze che lei ha tanto insistentemente sottolineato. Non credo di dovermi prendere la responsabilità della sua incompetenza.”

Dir -”

Basta. Uscite di qui tutti e due.”

L'agente Sitwell era in piedi prima ancora che Fury potesse completare la frase, mentre l'altro parve esitare ancora qualche secondo prima di decidere che era meglio smettere di parlare che continuare a scavarsi la fossa. Il direttore si limitò a guardarli mentre sparivano oltre la porta, permettendogli di scorgere Phil Coulson fermo nel corridoio antistante l'ufficio.

Coulson,” lo invitò ad entrare con un cenno della mano, “ricordi quei test di cui avevamo parlato?”

Coulson annuì.

Dai l'ordine di procedere.”

 

*

8 anni dopo

 

“Ti dico che l'ho vista sulla pista d'atterraggio.”

“Te lo devi essere inventato.”

“No! Cazzo, Kevin, puoi almeno sforzarti di non fare lo stronzo?”

“Non sto facendo lo stronzo. Solo che non sono interessato alle femme fatale che lo SHIELD sceglie di assoldare.”

“Femme fatale?”

“Certo. Siamo un'organizzazione seria non un dannato concorso di bellezza!”

“Bè, dicono sia operativa dall'inizio dell'anno, che abbia una percentuale di successo del cento per cento!”

“Non è poi così sconcertante quando pensi che ha portato a termine tre missioni in croce. Avrà sedotto tre stoccafissi diversi, sai che novità.”

“Questo non puoi saperlo.”

“E tu? Puoi?”

La ragazza, impegnata in una sessione di stretching, gli scoccò un'occhiata infernale prima di prendere le sue cose e allontanarsi in direzione di un attrezzo sistemato al capo opposto della palestra.

Clint non poté fare a meno di constatare che Kevin l'idiota aveva vinto. O perso, dipendeva dai punti di vista. Fatto stava che ne aveva abbastanza di chiacchiere e gossip (per non parlare di certi soggetti veramente discutibili che si ostinavano ad aggirarsi per le sale allenamenti dello SHIELD).

Alzò il volume del suo lettore MP3 al massimo, aumentò la velocità del tapis roulant sul quale stava correndo e tornò ad isolarsi dal resto del mondo...

 

*

 

Il sole le ferì gli occhi, costringendola ad alzare un braccio per schermarsi il viso. L'aria era fredda, ma non quanto quella a cui era abituata in Russia. Fu principalmente da quel particolare che comprese, senza il minimo dubbio, di non essere tornata a casa. Se una casa l'aveva mai avuta, certo. (La Vedova Nera ce l'ha, pensò, sono io a non averla.)

Restò immobile ad osservare i movimenti degli impiegati di quell'enorme edificio: aveva ormai capito di trovarsi su proprietà SHIELD. Uomini e donne le passavano di fianco senza degnarla di uno sguardo, quasi fossero stati istruiti ad ignorarla.

Doveva ammettere che il modo in cui era riuscita a liberarsi (delle manette e della guardia che la teneva sott'occhio), a trovare una via d'uscita senza incontrare particolari ostacoli e finalmente a raggiungere l'aria aperta, le era sembrato un tantino sospetto.

Troppo semplice, si ripeté. Le avevano insegnato a diffidare da tutto ciò che appariva troppo banale. E quella fuga, bè, quella fuga era stata estremamente banale.

Ciò che le interessava, comunque, era di essere libera.

Finalmente libera di poter fare le proprie scelte: tornare nel mondo, trovare un modo di ritornare in Russia, magari. Oppure fuggire, fuggire sul serio stavolta, lontana dallo SHIELD e dalla Red Room, lontana da tutto ciò che aveva condizionato la sua vita fino al momento in cui aveva deciso di saltare nel vuoto.

Sarebbe persino potuta diventare una... una persona normale.

Passò in rassegna gli individui che le sfrecciavano davanti, ciascuno preso dai propri pensieri o da conversazioni insignificanti. Qualcuno ascoltava la musica, altri erano occupati a studiare il proprio telefono.

Mentre cercava di capire cosa significasse essere una persona normale, magari individuando qualcuno che valesse la pena di imitare, si accorse che non ne aveva la più pallida idea.

Certo, poteva smettere di fare quello che faceva. Quella era la parte facile. Ma poi? Sarebbe tornata a scuola? Sarebbe andata a vivere da sola? Era sicura di non avere l'età giusta per farlo (anagraficamente, almeno), né quella necessaria a potersi trovare un lavoro. Una famiglia da cui tornare non ce l'aveva: sapeva che i suoi genitori erano morti in un incidente d'auto, ma non si fidava di quel ricordo come di nessun altro. Non da quando aveva capito in che cosa consistevano i trattamenti cui veniva sottoposta a scadenze regolari: ufficialmente dei check-up medici, ufficiosamente le entravano nella testa, facendo del suo corpo e della sua mente tutto ciò che ritenevano di volta in volta necessario. D'altro canto, non poteva neppure mettersi alla ricerca di persone che, per quanto ne sapeva e a dispetto di quanto aveva desiderato il contrario, potevano tranquillamente non esistere.

Fu il pensiero dei suoi superiori a ricordarle che non aveva nessun posto dove andare, nessun luogo sicuro in cui nascondersi, e soprattutto nessuno a cui rivolgersi. C'era una possibilità (sebbene piccolissima) che la credessero morta, uccisa dall'arciere che lo SHIELD le aveva messo alle costole. Non conosceva il loro modus operandi, non sapeva se dopo un'uccisione erano soliti far sparire i cadaveri... poteva trovare il modo di tornare indietro, certo, ma l'avrebbero punita comunque. I suoi capi non sentivano ragioni, l'aveva imparato a sue spese.

Poteva fuggire per conto proprio, diventare una ricercata sia per lo SHIELD che per la Red Room, scappare da entrambi e cercare un modo per sopravvivere contando solo sulle sue stesse forze.

Oppure...

Rimase immobile in contemplazione di tutta quella gente, osservò il mondo che si apriva oltre l'enorme spiazzo antistante l'edificio e capì che c'era una sola cosa da fare se voleva prendere la decisione più sensata. Il panico, intontito dai sedativi che le avevano somministrato, sembrava pulsare da qualche parte all'altezza dello stomaco, sopito e in attesa di esplodere.

L'idea di dover prendere delle decisioni autonome che non avessero a che vedere con come uccidere una persona, quando e con cosa, la terrorizzava.

Lasciò che la consapevolezza si facesse strada dentro di lei, sempre più evidente e lampante, dopodiché varcò nuovamente l'ingresso principale dell'edificio, stavolta nella direzione opposta.

Un uomo, un sorriso gentile sul volto, sembrava aspettarla poco distante.

Da questa parte, signorina Romanova,” la invitò con un gesto della mano.

Le fu chiaro come l'avevano lasciata andare solo per farle capire che non aveva nessuna alternativa.

Se non quella.

 

*

 

Uscì dalla sala allenamenti che era ormai tarda serata. Dai pannelli di vetro dell'helicarrier, il cielo nerissimo si confondeva col buio dei corridoi del quartier generale volante dello SHIELD.

Ancora ventiquattr'ore di permanenza e gli avrebbero affidato la missione successiva: qualcosa di urgente, a quanto pareva, o non l'avrebbero costretto a ripartire dopo neppure due giorni dal suo atterraggio alla base. Era vero che l'operazione in Madagascar non era stata poi così complicata da richiedere un particolare tempo di ripresa, ma gli sarebbe comunque piaciuto godersi un po' il suo appartamento di Brooklyn nuovo di pacca (per lui, almeno), prima di tornare a lavoro.

Si scrollò di dosso il disappunto, passandosi l'asciugamano sul collo sudato mentre si dirigeva a passo spedito verso la cabina che gli era stata assegnata al suo arrivo.

Il rumore di passi in avvicinamento e il bip insistente del suo telefono cellulare lo raggiunsero contemporaneamente. Dev'essere Phil. Sperò ardentemente che, qualora la missione fosse stata anticipata, gli avrebbero comunque concesso il tempo di farsi una meritata doccia.

I passi sempre più vicini. (Tre persone, tese l'orecchio senza neppure averlo preventivato, una deformazione professionale, una con passo irregolare.)

Stava studiando il messaggio che gli era arrivato (non era di Phil, ma di Lillian, la ragazza che aveva conosciuto al negozio di articoli sportivi una decina di giorni prima), quando il gruppetto di tre agenti in avanzamento lungo il corridoio, due uomini e una donna, gli passò di fianco nella direzione opposta alla sua.

Mentre andava nel panico per quell'invito a bere un caffè che non si aspettava (non si ricordava neppure di averle lasciato il suo numero!), Clint si voltò istintivamente indietro.

Colse solo uno stralcio del trio che si allontanava rapidamente. Fu la donna ad attirare la sua attenzione, o almeno le parti di lei che riuscì a scorgere: una massa di capelli rossi, dei punti sulla guancia, la divisa dello SHIELD che le fasciava il fisico alla perfezione e nient'altro.

Anche lei, per un misero istante, si era girata a guardarlo prima di svanire, inghiottita dalla curva del corridoio... o almeno gli era sembrato di intuirne il movimento.

Si fermò, sicuro di essersi perso qualcosa. Si sentì stupido: l'aveva vista a malapena in faccia.

No, forse non aveva niente a che vedere con la donna o il trio di cui faceva parte.

Restò immobile in fissa del niente, inspiegabilmente sovrappensiero.

Un'idea gli balenò per la testa, districandolo momentaneamente da quel groviglio di pensieri.

Ho dimenticato il lettore MP3 in palestra!

Ritornò rapidamente sui suoi passi.

Una patina di sudore gli inumidì la fronte al pensiero che qualcuno potesse scoprirne i contenuti più compromettenti (la colonna sonora completa di Titanic, in primis).

 

*

 

L'auto, un grosso SUV nero, accostò a lato della strada. Oltre il finestrino oscurato, Natasha – così era scritto sui suoi nuovi documenti – si ritrovò ad osservare un gigantesco complesso di vetro e cemento circondato da verde... verde a perdita d'occhio. I prati erano gremiti di gruppetti di quelli che riconobbe come studenti. Alcuni più grandi, altri più giovani, la maggior parte con uno zaino sulle spalle o una borsa a tracolla. Lo stomaco le si strinse al pensiero di dover vivere tra tutte quelle persone, di essere costretta a condividere uno spazio tanto affollato: non era affatto sicura di potercela fare.

Posso esservi d'aiuto sul campo,” ripeté per la milionesima volta, tornando a guardare avanti a sé, verso il posto di guida, occupato dal direttore Fury.

Nonostante tutto (anche se non l'avrebbe confessato neppure sotto tortura), quell'uomo le piaceva. Le infondeva, inspiegabilmente, più fiducia di qualunque altro agente avesse incontrato nei suoi giorni di permanenza allo SHIELD: né troppo scontroso, né troppo amichevole. Era semplice e diretto, né si preoccupava di non ferire i sentimenti dei suoi interlocutori.

Essenziale. Ecco come l'avrebbe definito.

L'uomo si voltò verso di lei, l'aria indispettita vivissima nel suo unico occhio scoperto.

Credevo che avessimo già stabilito perché non è una buona idea.”

Lei l'ha stabilito,” ribatté, senza metterci troppa convinzione. “Fosse stato per me...”

Non manderò una tredicenne sul campo. Non è così che facciamo le cose qui.”

Natasha alzò gli occhi al soffitto dell'abitacolo. Fury la incenerì con lo sguardo: le aveva già ampiamente comunicato quanto detestasse quel particolare comportamento.

Sono capace.”

L'uomo sospirò, sforzandosi di addolcire (con scarsissimi risultati) il tono di voce.

Lo so che sei capace,” sentenziò, cercando – piuttosto scopertamente, per altro – di farle capire che era sincero (era persino passato dal “lei” al “tu”... un trucchetto da principianti), “non è quello il problema.”

Allora qual è?”

Devi capire cosa vuoi fare della tua vita. E adesso sei troppo confusa per poterlo fare.”

Com'è che frequentare un'accademia dovrebbe farmi capire cosa voglio fare della mia vita?”

Funziona così per tutti.”

Per le persone normali?”

Per tutti,” confermò. “Qui sarai al sicuro.” Recuperò una serie di fascicoli dal sedile del passeggero, porgendoglieli. “Qui ci sono gli orari dei corsi e degli allenamenti.”

Natasha dette un'occhiata alla tabella: sembravano esserci più cose da fare e posti in cui essere di quanto tempo avesse a disposizione.

Fury le scoccò un'occhiata esplicativa. “Ti avevo detto di non scegliere troppe attività tutte insieme.”

Non ho nient'altro da fare,” minimizzò con una scrollata di spalle. Aveva avuto talmente tanta difficoltà a scegliere tra lingue, informatica, geografia e storia e algebra e chissà che altra materia teorica e i vari allenamenti fisici, che alla fine aveva semplicemente scelto di fare tutto. Come faceva a capire di voler fare qualcosa se prima non la provava?

Recuperò le sue cose, la cartellina che le aveva consegnato Fury e uno zaino che non conteneva altro che una bottiglia d'acqua mezza vuota.

Questo è il biglietto della signora Lang: sarà lei a consegnarti le chiavi della tua stanza in dormitorio.”

Lo so, me l'ha già detto.”

Volevo essere sicuro che non te ne dimenticassi,” specificò, redarguendola di nuovo con lo sguardo. Aspettò che Natasha si fosse presa il biglietto da visita per porgerle, stavolta, un pezzetto di carta sgualcita sul quale era scarabocchiato un numero di telefono.

Tornò a guardare avanti, sottraendosi al suo sguardo prima di riprendere a parlare.

Questo è il mio numero. Chiamami se ne hai bisogno.”

L'averlo conosciuto per così poco tempo non le impedì comunque di percepire la straordinarietà del momento. Per quale motivo aveva interrotto il contatto visivo, altrimenti? Perché colto da improvviso interesse per gli aceri del giardino? Natasha lo dubitava fortemente.

Va bene,” replicò soltanto, sfilandogli il foglietto dalle dita per infilarlo nello zaino insieme alla bottiglietta d'acqua e alla sua voglia di ribellarsi.

Fu solo allora, quando era sicura di non aver nessun altro modo in cui posticipare l'inevitabile, che si decise a scendere dall'auto. Non ebbe il tempo di raggiungere il marciapiede e voltarsi un'ultima volta, che Fury e il suo SUV erano già spariti.

Trattenne il respiro e strinse a sé i fascicoli che contenevano le informazioni sui corsi, gli orari, a chi rivolgersi quando come e perché. Ci si aggrappò come avrebbe fatto con un salvagente in mare aperto. Non ricordava di essere stata tanto a disagio in vita sua.

Contò alla rovescia da dieci a zero prima di muovere i primi passi sul campus dell'accademia dello SHIELD.

Casa.

Per ora.

Forse.

 

*

 

Raggiunse la zona refettorio che erano le sei e mezzo del mattino. Non era riuscito a chiudere occhio per tutta la notte, né a farsi venire la voglia (o la disperazione) di aspettare il sonno e il mattino insieme. Se il primo aveva continuato ad eluderlo, l'alba non si era fatta attendere, liberandolo da quello stupido obbligo autoimposto. Si sarebbe riposato più tardi, dopo aver fatto una sostanziosa colazione e soprattutto dopo aver ingollato una quantità industriale di caffè (no, il controsenso non gli sfuggiva, ma nemmeno gli interessava).

Si affrettò ad afferrare un vassoio dalla pila sistemata vicino al bancone, a recuperare delle posate di plastica confezionate e a seguire l'esigua fila di agenti già svegli e pronti a cominciare la giornata. Si riempì il piatto di fette di pane tostato, marmellata di more (neppure gli piaceva, la marmellata di more, ma che importanza aveva?), burro, un paio di cornetti appena sfornati, uova, bacon e, infine, caffè nella tazza più grande che avevano a disposizione (non abbastanza grande per i suoi gusti, comunque).

Riportò il suo bottino ad un tavolo vuoto, messo leggermente in disparte rispetto agli altri e con una straordinaria vista sul... bè, sul cielo. Non c'era nient'altro che cielo da vedere a chilometri e chilometri di distanza. Non che gli dispiacesse: dopotutto non si supponeva fosse quello il suo habitat naturale?

Anche il falco ha bisogno di un nido, si rammentò, inquietandosi profondamente.

Non ricordava esattamente quando fosse stata la prima volta in cui aveva cominciato a riferirsi a se stesso come “il falco”, ma capitava spesso che l'assurdità della formulazione lo colpisse. Sono suonato, questo lo sanno tutti. Me compreso.

Occupò i successivi tre minuti a spalmare burro e marmellata, intervallando ciascuna mossa con un sorso di caffè.

Quando ebbe finito (il caffè) si alzò per un rifornimento, una fetta di pane che gli penzolava ancora dalla bocca (no, non aveva proprio potuto aspettare). Gli venne la malaugurata idea di masticare e, se un boccone fu al sicuro tra le sue fauci, il restante cadde a terra con un impercettibile splat. I suoi riflessi non lo soccorsero: aveva le mani occupate (si era dimenticato lo zucchero!). Si immobilizzò di colpo, controllando che nessuno lo stesse osservando: passò in rassegna la stanza e no, capì che erano tutti troppo presi da altro per potergli dare retta. Tossicchiò con nonchalance, e calciò discretamente la fetta di pane sotto il tavolo più vicino prima di precipitarsi (sempre in scioltezza) alla sua postazione, dove il resto della sua colazione lo stava aspettando.

Azzannò uno dei croissant (innaffiato da una generosa sorsata di caffè) proprio mentre una persona gli si sedeva davanti. Decisamente non invitata.

Che cazzo, è pieno di posto!

Il pensiero gli morì nel cervello (insieme a tutto il resto, ebbe la netta impressione) quando rialzò lo sguardo sul neo-arrivato.

Neo-arrivata, anzi.

Una donna dall'età non quantificabile, i capelli ancora bagnati ad incorniciarle il viso, lo stava osservando con espressione indecifrabile (anche se avrebbe osato dire non ostile). La ricollegò, istintivamente e senza alcuno sforzo, alla donna di cui aveva sentito chiacchierare quei due in palestra. La stessa che aveva incrociato in corridoio senza essere riuscito ad averne una visuale decente (i punti sulla guancia erano ancora lì).

Il suo cervello andò nel panico nel tentativo di ricordare chi fosse e come e perché gli risultasse vagamente familiare.

E' la donna dei miei sogni? Azzardò, chiedendosi se non stesse, per l'appunto, ancora sognando. No, è ancora vestita, constatò. La canottiera marchiata SHIELD che indossava non mentiva (e le sue donne oniriche non indossavano proprio niente del genere).

Risprofondò nel terrore, chiedendosi se non fosse un'altra a cui aveva dato il suo numero di telefono per poi dimenticarsene (cazzo, c'era ancora la questione Lillian da sistemare). Gli bastò guardarla per bene per capire che: uno, non avrebbe mai avuto il coraggio di darle il suo numero di telefono (aveva l'aria di una che si mangia palle di sfigato saltate in padella ogni mattina) (e sperò di no per lei, perché avrebbe mangiato molto poco in quel caso); due, se anche fosse stato abbastanza folle per farlo, di sicuro non se ne sarebbe dimenticato tanto facilmente.

Fu solo quando i fumi dell'idiozia si furono leggermente diradati, che si accorse di quegli occhi. Verdi, assorti... pacati e furiosi in egual misura.

Un flash.

La pioggia.

Il vento.

La cattedrale.

E perché cazzo gli era improvvisamente tornata in mente una canzone di Mary Poppins?

La donna doveva essersi accorta della sua consapevolezza perché sembrò come sbloccarsi: allungò una mano e si servì di uno dei croissant che giacevano ancora intonsi sul suo vassoio, senza preoccuparsi di chiedere il permesso.

“Sei invecchiato.”

Si sentì come schiaffeggiato dalla visione (e – più tardi realizzò – pure dal commento), violentemente.

La Vedova Nera l'aveva raggiunto per colazione.

 
****************

Hello! Si comincia con i salti nel tempo :D
Non so voi ma la prima cosa che mi sono immaginata, prendendo per buona la versione in cui Clint decide di non uccidere Natasha quando lei ha solo 13 anni, è stata come avrebbe reagito lui nel rivederla da grande...  quindi mi sono divertita un po' con quest'ultima scena :P L'ho distanziata nel tempo proprio per fargli subire lo shock ù_ù (e anche perché non saprei che razza di rapporto si sarebbe potuto creare se Natasha fosse tutto sommato cresciuta e diventata grande vedendolo costantemente... ma questa è letteralmente un'altra storia XD)
Grazie alla mia beta-socia-alfa-amica-fangirl-gamma-c3po Eli, per i Renner sudati e tutte cose (scusa adesso te li sorbisci anche te i ringraziamenti per capitolo XD).
Grazie a chi si è fermato a leggere, leggere e commentare, dare una sbirciatina, ecc. ecc. Mi fa sempre un gran piacere <3
Al prossimo capitolo!
S.

 
  
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