Quando meno te lo aspetti
CAPITOLO 1
Andrea correva a rotta di
collo su e giù per i corridoi dell’ospedale, nella fredda notte di
Capodanno, chiedendosi perché in quella particolare nottata ogni anno
decine di persone decidessero di affollare l’ospedale
pieni di abrasioni, ferite e scottature provocate da stupidi e scadenti
petardi. Ogni anno la stessa storia, lo stesso delirio che durava circa da poco
prima della fatidica mezzanotte alle tre del mattino.
Così, il giovane
dottore si ritrovava stanco e trafelato a medicare, fare suture e disinfettare
insieme agli altri quattro disgraziati o poco più che pur di prendersi
il giorno libero a Natale ora si sorbivano quella maledizione divina.
La sala d’attesa era
un inferno: gente che si lamentava, chi litigava, chi vomitava lenticchie e
Champagne (in dosi esagerate, mescolato a vodka o altri superalcolici da
‘brindisi’!), chi cantava in preda alla sbornia mentre quei
disgraziati di infermieri cercavano di medicarli. Insomma, un incubo.
Tuttavia, verso le quattro
del mattino, così come tutto era cominciato, era improvvisamente tornata
la calma, e il personale poteva finalmente concedersi una pausa, una volta
sistematisi nella sala d’aspetto con in mano dei
bicchierini di plastica di caffè fumante.
Andrea abbandonò la
testa indietro, rilassando i muscoli e chiudendo gli occhi per un istante.
“E anche
quest’anno il famigerato capodanno è passato, eh?”
Andrea sollevò la
testa, sorridendo al ragazzo biondo acanto a lui.
“Già…”
sussurrò “un incubo, davvero… Ma io mi chiedo come faccia
certa gente a ridursi così…”
Alessandro rise,
sorseggiando il suo caffè. “Non lo so… so solo che non vedo
l’ora di farmi una doccia.”
“Dillo a me…
sono sudato marcio. E stacco alle sette!” gemette
l’uomo dai capelli rossi, gettando nella spazzatura il bicchierino ormai
vuoto.
“Vuoi darti una
sciacquata? Ho dei Fresh&Clean se vuoi!”
“Non lo so.. funzionano?”
“Puzzo di
vomito?”
“..
No!”
“Allora
funzionano.”
Andrea rise, scompigliando i
capelli del giovane infermiere accanto a sé.
Ale sapeva sempre cosa dire
per far uscire il sole nei giorni più tetri. Era l’infermiere
più giovane dell’ospedale, aveva solo ventitré anni e
già lavorava a pieno ritmo. Era abbastanza alto e molto magro, coi capelli
biondissimi e gli occhi grandi di un verde quasi trasparente. Famoso per avere
sempre la battuta pronta e un sorriso per tutti.
Lavorava lì da pochi
mesi, e spesso Andrea si chiedeva come facesse a sopravvivere lì dentro
prima del suo arrivo.
“Ehm..
dottore?” chiamò timidamente Laura, un’infermiera, facendo
capolino nello stanzone.
Andrea alzò gli occhi
al cielo, rassegnato. “Mh?”
“C’è di
là un paziente… avremmo bisogno..”
“Ho capito,
arrivo.” Lanciò un’occhiata disperata ad Ale, il quale
sorrise dandogli una pacca sulla spalla.
“Coraggio, mio
eroe!”
“Ma piantala,
cretino!” rise il medico, prima di dirigersi verso
Andrea entrò nella
piccola stanza ambulatoriale tenendo in mano la cartella clinica del paziente
che gli aveva appena affidato Laura. Marco Aderighi, incidente di moto, nessun
danno celebrale, presunta frattura all’avambraccio sinistro.
“Buongiorno…”
disse, sforzandosi di sorridere.
Seduto sul lettino, il
paziente ricambiò il saluto, sfoggiando un sorriso sincero. Marco
Aderighi era un giovane uomo, sui trenta, alto e moro, con due grandi occhi
nocciola.
Niente male.
Andrea stai lavorando, per favore!!
“Sono il dottor
O’Donnell,” disse, una volta uscito dal
suo stato di trance, avvicinandosi alla lampada delle lastre e attaccandovi
quelle di Marco.
“Ecco…”
sospirò Andrea “..mi dispiace, qui ci
vuole una bella ingessatura.”
“Rotto?”
“In due punti.”
“Magnifico!”
esclamò Marco con sarcastico entusiasmo, facendo sorridere il dottore.
“Mi
dispiace…” disse Andrea, sedendosi davanti a lui con
l’occorrente per il gesso. “Ma come ha fatto?”
Marco si passò la
mano libera sul viso, ridendo sommessamente. “Bè… in
moto…”
Il giovane medico
sollevò un sopraciglio e sorrise. “Sì..
questo lo sapevo… E devo dire che è stato fortunato,
insomma… gli incidenti in moto di solito hanno conseguenze ben più
gravi di una frattura al braccio!”
A quell’affermazione
Marco scoppiò a ridere, di una risata sincera e liberatoria, sotto gli
occhi confusi di Andrea.
“Bè
sì…” disse, calmando la risata “… se cadere
dalla moto da fermo al semaforo si può definire
‘incidente’!”
A quell’affermazione
Andrea, che aveva appena finito di ingessargli il braccio, non poté fare
a meno di seguire la risata del suo paziente.
“Come, scusi?” chiese,
piegando la testa di lato.
“Già… ho
banalmente perso l’equilibrio, e sono caduto con tutto il mio dolce peso,
e con quello della moto, sul braccio.”
Andrea, che nel frattempo si
era spostato al tavolo a scarabocchiare su una ricetta, scosse la testa
continuando a sorridere. Quel Marco era riuscito a sciacquargli via la
stanchezza di dosso…
“Ecco..” disse, tornando accanto al moro
“…questo è un antidolorifico, che trova in farmacia…
nel caso il braccio le facesse troppo male…”
“Grazie.”
“Dovere.”
Andrea aprì la porta
e gli tese la mano. Marco la strinse per poi andare a guardare la ricetta con
aria pensierosa.
“Qualcosa non
va?” domandò Andrea, notando lo sguardo dell’altro.
“Bè
sì…credo che qui manchi qualcosa…”
Andrea si sporse a
controllare il foglio di carta, corrugando la fronte.
“…Cosa?”
“Il tuo numero.”
Il giovane O’Donnell
lo guardò pensieroso, ma involontariamente quell’espressione
indignata di tinse di malizia. Marco gli piaceva, gli
era piaciuto da quando era entrato in quella saletta. E, per una volta nella
vita, la fortuna girava dalla sua parte. Che poteva fare?
Sorrise, prese una matita, e
scrisse il suo numero sulla ricetta.