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Autore: allison742    09/06/2014    8 recensioni
Penso che tutti i nostri sogni, ad un certo punto, possano avverarsi. L'amore vuol dire stare bene, senza scendere a compromessi con noi stessi e senza accontentarsi mai. Credo che il vero amore esista, ma non va cercato. Se siete fortunati vi troverà lui.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Voglio che mi prometti una cosa.
Se ami qualcuno, diglielo.
Anche se hai paura che non sia la cosa giusta.
Anche se hai paura che possa portare qualche problema.
Anche se hai paura che rovini completamente la tua vita.
Dillo.
Dillo ad alta voce.
E poi riparti da li. 

(Mark Solan)




Lezioni di vita
 



La camicetta aderisce perfettamente al mio corpo, mettendo in risalto le mattine passate a Central Park.
Prendo un respiro profondo, concentrandomi sulle parole davanti a me. Il mio sguardo scivola velocemente sull’orologio bianco al polso: è quasi ora.
Tossisco per smorzare la tensione, mentre ripongo i fogli nella cartelletta. Tolto il dente tolto il dolore, dicono. Anche chi me l’ha fatto fare…
Mi alzo dalla sedia e raccolgo la giacca dallo schienale. Il tessuto striscia e provoca un piacevole fruscio, spezzato dal rumore della porta. Un ragazza bionda fa capolino sull’uscio.
- E’ pronta, Detective Beckett?
La guardo negli occhi così dolci e ignari di quello che dovrò affrontare. Sospiro per l’ennesima volta:
- Come non mai! – rispondo con sarcasmo.
Scuoto la testa e la seguo nel corridoio. Mi fa strada verso una stanza gremita di gente.
Spalanca la porta e si ferma, facendomi spazio. Rallento il passo anche io: sono ancora in tempo a scappare.
Lo sguardo della ragazza diventa severo, come a trasmettermi che ci saranno guai seri se non dovessi varcare quella porta.
Riluttante, lo faccio. Esordisco e tutti si zittiscono all’istante. Provo a deglutire, cercando di non trasmettere l’agitazione.
Avanzo a testa alta e salgo sul piedistallo. Guardo la folla.
Ho sempre odiato i liceali. Parlano troppo, sono strafottenti e a tratti troppo curiosi. Pensano solo all’amore della loro vita; che poi, puntualmente, quella vita dura non più di un mese. Ma, soprattutto, fanno domande inopportune.
Ed ora quel mix di tatuaggi, mascara e scarpe sporche si trova tutto davanti a me. Riescono a riempire un intero auditorium, e mi guardano chi con sufficienza, chi con disinteresse chi con curiosità, neanche fossi un nuovo prototipo sfornato dalla NASA. E poi c’è chi proprio non mi guarda, impegnato a chattare o a dormire. Mentalmente li ringrazio: potenziali domante in meno.
Schiarisco la voce, salutandoli. Nessuno reagisce.
Mi volto verso il preside, che si alza e mi viene incontro. Prende il microfono e annuncia:
- La Detective Beckett è qui con noi oggi per concludere la settimana del lavoro. Vi spiegherà brevemente in cosa consiste la sua mansione, qual è l’importanza sociale di quello che fa e com’è la strada da percorrere per chi volesse seguire le sua orme. Ricordate che è riuscita a ritagliare un po’ di tempo solo per noi, quindi vediamo di essere rispettosi. Inoltre sarete liberi di fare ogni tipo di domanda: è qui apposta per soddisfare tutte le vostre curiosità. Grazie.
Ecco, magari tutte no! Penso disperata al pensiero di ciò che potrebbe chiedere un adolescente.
- Grazie. Come ha detto il preside Gilbert, sono qui proprio per parlarvi del mio lavoro. Direi di cominciare con la routine. Quando la mattina arrivo al distretto, trovo sulla mia scrivania i casi di cui bisogna occuparsi in giornata, quindi niente di particolarmente complesso; di solito sono furti. Condivido le informazioni con il resto della mia squadra, composta da altri due Detective. In questo modo riusciamo a preparare una lavagna, sulla quale si distribuiscono in ordine cronologic…
Una mano si alza. Comincio a sudare.
Guardo il preside, che annuisce come a dirmi di accettare. Bene!
Riporto l’attenzione sulla ragazzina sorridente con il braccio in sospeso. Vorrei far trascorre altro tempo in modo che le venga una paresi, ma sarebbe scortese. Quindi sorrido.
- Dimmi pure.
- Perché nella sua squadra non ha nominato il signor Castle?
Ho bisogno di sbattere le palpebre più volte prima di rispondere.
- Perché il signor Castle non è più con noi. – qui nessuno legge i giornali? Penso, mentre cerco un modo per riportare il discorso sul lavoro di rutine. – Comunque, come vi stavo dicendo, creiamo una mappa cronologica per ordinare gli eventi. Questo è utile per capire come…
Un’altra mano si fa strada verso il soffitto. Maledizione!
- Il carico di lavoro è aumentato da quando non c’è più il signor Castle?
I miei occhi si bagnano impercettibilmente, mentre cerco di mantenere il sorriso. Cosa che non mi risulta così difficile, pensando a quanto Castle fosse utile nell’archiviazione. Aveva quel potere di sparire  miracolosamente quanto un caso veniva chiuso. Puff, come un fulmine!
- Diciamo che riusciamo a gestire le cose abbastanza bene. Come facevamo prima che arrivasse, d’altronde. – cerco di non metterlo in cattiva luce.
Il ragazzo curioso annuisce, soddisfatto.
Apro bocca per continuare la spiegazione, quando una terza mano smaltata spunta dalla folla.
Faccio un cenno di assenso. Sapevo che sarebbe finita così, sono loro a condurre. Cerco di vedere il lato positivo, pensando al fatto che non ho più bisogno di articolare un discorso organico senza utilizzare terminologia specifica. Ma chi voglio prendere in giro? Odio le domande, soprattutto se virano sul personale. E Castle è decisamente un argomento personale.
- Come ha reagito dopo l’incidente?
- EMMA! – tuona il preside, resosi conto dell’inopportunità della domanda.
- Non si preoccupi, posso rispondere. – dico, non so neanche io perché. Infatti mi maledico subito dopo.
- Non bene, come potrai immaginare. – inizio, pensando alla macchina tra le fiamme. Le lacrime salgono agli occhi, ma le trattengo. – Per farti un esempio più concreto, sai quanto ti spezzano il cuore talmente tante volte che poi, se qualcuno ti regala un fiore, all’inizio non capisci neanche che cos’è? – tante teste annuiscono, almeno riesco ad usare il loro linguaggio – Ecco, per me è stato un po’ il contrario: le cose stavano andando così bene nella mia vita, e poi, del tutto inaspettatamente, c’è stato l’incidente. Non ero più abituata. Ci vuole tempo. – Sorrido sinceramente, questa volta.
- Cosa ricorda, cosa ha imparato da questa vicenda? – esordisce il poeta dell’anno.
- Sai, ricordo con precisione tutti quelli che sono venuti per abbracciarmi, per regalarmi una parola di conforto o solo per starmi vicino. Perché non appena vai in crisi c'è sempre qualcuno che verrà a dirti che non è il caso di abbattersi, che un giorno le tue pene farai fatica perfino a ricordarle. E tu sai che è vero, ma sai anche che quella è l'ultima cosa che in quel momento vuoi sentirti dire. Perché in quel preciso istante non vorresti far altro che sprofondare nel dolore. Ma poi, a distanza di mesi, ti accorgi che senza quelle persone non ce l’avresti fatta a riprendere la vita da dove l’avevi lasciata.
I ricordi che hanno preso forma davanti ai miei occhi si dissolvono, mettendo il luce un centinaio di ragazzi che mi guardano con ammirazione. Tutti hanno spostato la loro attenzione da ciò che stavano facendo a me.
Forse questo sarà più educativo di qualunque spiegazione lavorativa; quindi lascio continuare le domande.
- Dunque, secondo quello che ha detto lei, il tempo guarisce tutto. Giusto?
- Il tempo e le persone, direi.
- D’accordo, ma che succede se il tempo è la malattia stessa? Se si sta fermi ad aspettare un gesto, una parola, uno sguardo?
- C’è solo una soluzione a questo: agite. Non statevene fermi ad aspettare che qualcun altro faccia esattamente quello che voi sperate. Perché, vi svelo un segreto: non accadrà mai. Abbiate il coraggio di dire la verità, sempre. Che sia un Ti amo, un Vaffanculo o un Addio. Ma ditelo. – sento lo sguardo del preside farsi severo verso di me. Non mi preoccupo: devo usare il loro linguaggio per riuscire a comunicare, e le parolacce fanno parte di questo.
- Grazie, davvero. – risponde timida la ragazza, abbassando lo sguardo.
- Non ti risponde, vero?
I sui occhi tornano subito su di me, spalancati.
- Come scusi?
- Non ti risponde. Lo capisco dal modo un cui controlli il cellulare. Lo sblocchi ogni tre secondi per poi bloccarlo di nuovo. E non sorridi. Se ti avesse risposto, avresti sorriso.
La guardo dolcemente, è sempre più stupita.
- Ma… come ha fatto? – chiede sgranando gli occhi.
- Non dimenticare che sono una Detective! – rispondo, facendoli ridere. – E una donna. Mi accorgo di queste cose, ci sono passata. Riesco a vedere la delusione dei tuoi occhi, e posso solo dirti che certe persone ti deluderanno sempre. Sta a te scegliere per chi vale la pena correre questo rischio.
E, finalmente, anche lei mi sorride con gratitudine.
Un ragazzo si alza all’improvviso, interrompendo:
- Scusi se le faccio una domanda così personale, ma credo che tutti in questa stanza conoscano i trascorsi del suo passato e la relazione con il signor Castle. A questo punto mi viene da chiedere: dopo la morte di sua madre, il timore di perdere la persona a cui si tiene di più non avrebbe dovuto indurla a rinunciare all’amore?
Mi prendo alcuni secondi per ragionare sulla sottigliezza della domanda, più che logica per un ragazzo della sua età.
Mi faccio forza, e cerco di dare una risposta comprensibile:
- Perché guardi a destra e a sinistra prima di attraversare la strada?
Lui mi osserva stupido, non capendo il collegamento. Poi, notando che non aggiungo altro, risponde:
- Per paura di essere investito.
- Esattamente. Eppure continui ad attraversare la strada, giusto?
Lui ragiona per un secondo, poi sorride. Mi ringrazia e torna a sedersi, annuendo soddisfatto.
- Detective Beckett? Come ha conosciuto Castle? Nel senso, conosciuto davvero. – capisco la domanda dall’intensità dello sguardo di quella ragazzina, perfettamente consapevole del fatto che l’ho incontrato per la prima volta a causa di un omicidio. Ma scommetto che non è questo quello che vuole sapere.
- Ci siamo incontrati perché doveva succedere. E anche se non fosse stato quel giorno, prima o poi ci saremmo incontrati da qualche altra parte. Ho capito di conoscerlo davvero quando pronunciare il suo nome era diventato incredibilmente facile. Al tempo non sapevo bene cosa fosse cambiato; forse dipendeva dal fatto che non avevo intenzione di passare altro tempo senza di lui.
- La capisco, Detective. – mi risponde. – Posso un’altra domanda?
Annuisco.
- Dopo l’incidente il concetto di “addio” ha assunto un significato diverso?
Scavo nella mia mente, ricordandomi che è stato esattamente un addio quello a cui ho pensato vedendo il fuoco danzare davanti a me.
- Sì, devo ammettere di aver riconsiderato quel concetto, ma in una forma che non ti aspetteresti mai. Ho avuto come un lampo, e tutto mi è stato chiaro: la forma peggiore di addio è quella non detta, quando l’altro ha già deciso, mentre tu sei lì che aspetti. Invece quando l’addio non dipende da nessuno, per quanto possa essere improvviso, non causerà mai così tanto dolore.
- Visto che siamo in tema, cosa ne pensa del vero amore?
Ecco la classica domanda di cui avevo paura. Perché i ragazzini devono sempre deviare su certe richieste? Ma ormai non posso non rispondere.
- Penso che tutti i nostri sogni, ad un certo punto, possano avverarsi. L'amore vuol dire stare bene, senza scendere a compromessi con noi stessi e senza accontentarsi mai. Credo che il vero amore esista, ma non va cercato. Se siete fortunati vi troverà lui.
Inaspettatamente un applauso avvolge la sala, e mi concedo un sorriso. In fin dei conti questo incontro non è andato così male.
Il preside si alza e afferra il microfono.
- Credo che sia ora di salutare la nostra Detective, a cui spetta un enorme Grazie. Abbiamo imparato più da lei oggi che da tutti i lavoratori in carriera di questa settimana.
- Oh, non esageri! - esclamo arrossendo.
- Non esagero affatto. Lei ci ha parlato di qualcosa che supera di gran lunga qualsiasi lezione: la vita. E per questo si merita un applauso.
Che non tarda ad arrivare, tra parentesi. Sorrido sincera, cercando di guardare negli occhi ognuno dei ragazzi, augurandomi il meglio per loro.
- Ed ora, se posso permettermi, avrei anche io una domanda: se dovesse dare un consiglio a questi ragazzi in base alla sua esperienza di vita, quale sarebbe?
Non ho bisogno di pensarci troppo. In fondo, sono le parole che mi ripeto ogni mattina.
- Quando pensate di non farcela, di mollare tutto perché credete che per voi sia troppo, ricordate il motivo per cui avete cominciato; a quel punto tutto diventerà più facile. Ed infine vorrei che voi faceste questo: quando arrivate a casa prendete un cartellone, appendetelo in camera e scrivete a caratteri enormi “Comunque vada, io so che ci ho messo tutto il cuore!”.
 
Esco all’aria aperta, riprendendo fiato. Dopotutto, non è stato così male. Ora la Gates sarà contenta e potrò tornare al mio solito lavoro.
Estraggo il telefono dalla borsa e vedo le tre chiamate senza risposta.
Compongo il numero e porto la mano all’orecchio. Risponde al secondo squillo:
- Kate! Com’è andata?
- Meglio del previsto. Tu? Ti trattano bene?
- Potrebbero fare diversamente?
Rido, spostando una ciocca di capelli.
- Sai, hanno chiesto dell’incidente. Pensavo di essere in difficoltà, invece me la sono cavata abbastanza bene.
- Sapevo che avresti saputo gestire anche quello.
- All’inizio pensavo di scoppiare a piangere, ma poi ho resistito e ce l’ho fatta.
- Come sempre Kate, non dimenticarlo.
Sospiro, ha ragione: come sempre.
- E poi – aggiunge – non dimenticare il fatto che tutto è andato per il meglio. Altrimenti io ora non sarei in tour. Giusto?
- Mi manchi. – rispondo solo.
- Tornerò presto. Ora ti devo lasciare. Ti amo.
- Ti amo, Rick.
 





 
   
 
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