“Eh, genius, you think you can just park there?! What does this look like to you? Yer freaken driveway?! Move it!!!”
Salvo si svegliò con un colpo. Non era nella calma del mare mediterraneo. Era nel albergo tre isolati da Times Square, New York, New York, USA.
“Veramente”, pensò, “questo liquido è caffè? Non è giusto tirarsela dell’acqua marrone.”
Senza un buon caffè, il giorno sarebbe lunghissimo. Montalbano se ne andò dal Starbucks e spiò un auto della polizia davanti all’albergo. L’autista scrutò la folla e quando vide Montalbano, fece un cenno del capo. Era il suo passaggio.
Dopo le gite con Galluzzo come autista, questo viaggio era tranquillo e molto rilassante.
La stazione non era niente come l’una a Vigàta. L’edificio, un monumento fatto di mattoni negli anni trenta, era in uno stato di flusso con il traffico di persone in continuo andirivieni, alcune in uniformi, alcune in manette, e alcune in lacrime. L’atrio grigio era dominato da un metal detector e due poliziotti. Dopo la stazione di sicurezza, era un breve gita nell’ascensore per arrivare al terzo piano: omicidio.
Tutto il piano era coperto dai banchi pieni di fogli e su ogni banco un computer abbastanza nuovo ma già obsoleto. Nel angolo destro c’era un gruppo di quattro persone, tre uomini e una donna. La donna era snella ed alta ma atletica con i capelli castagni e una giacca di pelle marrone. Il gruppo studiava una lavagna bianca con una foto e alcune linee di testo. La foto era di Piero u Zingaro, un capitano famigerato nella famiglia mafiosa, Aquini. Piero era il nuovo residente del obitorio del dodicesimo distretto di polizia. Lui era la ragione che Montalbano era a New York.
Il gruppo di quattro girava quando Montalbano si avvicinò. La donna allungò la mano e stringeva la mano di Montalbano, cominciò l’introduzione.
“Piacere, io sono Detective Kate Beckett e questo è Richard Castle, l’autore di libri gialli. Benvenuto a New York ed al NYPD.”