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Autore: ___Page    10/06/2014    4 recensioni
Proprio come lei anche lui si poteva riassumere in un’unica parola.
Sicurezza.
Sicurezza in sé stesso e nelle sue capacità.
Ti bastava guardarlo per capire che lui avrebbe sempre saputo cosa fare, avrebbe sempre saputo come gestire qualsiasi situazione.
Una sicurezza di una strafottenza incalcolabile.
Che lo rendeva assolutamente irresistibile.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Trafalgar Law
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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UN INCONTRO FORTUITO

                                                                                                                                         

A Soke.

 

 

Mai e poi mai si sarebbe aspettata di trovarlo lì.
Aveva scelto a caso quel posto, la prima locanda che le si era parata davanti una volta toccata di nuovo la terra coi piedi. Aveva bisogno di una birra e poco importava che si trattasse di una bella taverna o di una bettola. Bastava che servissero alcool.
Non era in forma per niente. Inizialmente non aveva saputo a cosa attribuire tutto quel malumore. Forse al fatto che si stava avvicinando al suo periodo, forse la malinconia, forse il troppo studio.
Fatto sta che, quando Haredas, accortosi della sua laconicità e intuendo il suo bisogno di svago, le aveva offerto una capsula per scendere a terra, aveva accettato senza esitazione.
Aveva messo i suoi abiti più belli, i capelli, che crescevano a vista d’occhio, li aveva lasciati sciolti sulle spalle, e aveva indossato dei tacchi vertiginosi. Ma, nonostante tutto, non riusciva a sentirsi bella e desiderabile. Sapeva bene dove fosse il problema. Ciò che l’aveva sempre  fatta sentire così non erano i suoi capelli di fuoco o i suoi enormi occhi nocciola e nemmeno il suo fisico mozzafiato. Sapeva di essere bella ma sapeva che ciò che attirava l’attenzione su di lei si poteva riassumere in un’unica parola.
Libertà!
Lei emanava libertà e proprio per questo era così irresistibile.
Sembrava una contraddizione, un paradosso, essendo stata assoggettata ad Arlong per così tanti anni. Eppure anche quella era stata una prigionia scelta in piena coscienza. Era sempre stata padrona del suo destino. Era perciò difficile accettare quella sensazione di impotenza che da un po’ di giorni la attanagliava. Mai avrebbe pensato di potersi sentire così in trappola su un’isola nel cielo. Mai avrebbe pensato di potersi sentire soffocare in un luogo che sembrava fatto di aria pura. Eppure era così.
Le mancava il mare, le mancavano i suoi Nakama, le mancava la vita da pirata.
E quella sera era uscita sperando di poterne riprovare almeno un assaggio. Ma s’era presto resa conto che non aveva idea di come fare senza Rufy e gli altri, così era andata sul sicuro decidendo di annegare lo sconforto nell’alcol e magari, se ci riusciva, di sbronzarsi un po’.
Non aveva bevuto nemmeno metà del primo boccale quando quello sguardo penetrante l’aveva obbligata a voltarsi verso il suo proprietario che la fissava insistentemente da una decina di minuti. Era già pronta a sbraitargli addosso, intimandogli di lasciarla in pace, la labbra già schiuse e i polmoni carichi di aria, quando aveva incrociato le sue iridi grigie ed era rimasta così, il petto gonfio e la bocca aperta.
Lo riconobbe immediatamente.
Lo aveva visto solo una volta, a Sabaody, ma un viso così non si dimentica. Oh no!
Non era solo questione di perfetta simmetria. Non dipendeva solamente dal ghigno arrogante, che le stava rivolgendo e che lo rendeva dannatamente sexy, e dagli occhi profondi e ipnotici. Non era semplicemente l’aria da bel tenebroso.
No.
Proprio come lei anche lui si poteva riassumere in un’unica parola.
Sicurezza.
Sicurezza in sé stesso e nelle sue capacità.
Ti bastava guardarlo per capire che lui avrebbe sempre saputo cosa fare, avrebbe sempre saputo come gestire qualsiasi situazione.
Una sicurezza di una strafottenza incalcolabile.
Che lo rendeva assolutamente irresistibile. 
Chiuse la bocca ricambiando il ghigno con uno dei suoi sorrisi più maliziosi, mentre si sistemava meglio sullo sgabello, accavallando sinuosamente le gambe. Ma lui non accennava a muoversi, si limitava ad ammirarla. Con un dito tatuato iniziò a disegnare distrattamente dei cerchi sulla superficie del bancone. Percepiva chiaramente il polpastrello caldo sulla sua pelle, come se stesse accarezzando lei e non il legno di fronte a sé. Si chiese se il suo Frutto del Diavolo gli permettesse anche di toccare le persone a distanza.
Si mangiavano con gli occhi.
Si parlavano col corpo.
Vagò con lo sguardo sul suo volto.
Non riuscì a trattenere un brivido quando, soffermandosi sulle sue labbra, se le immaginò inumidirle la pelle della schiena, soffermandosi su ogni vertebra, con calcolata lentezza, spostandosi poi sul fianco, girando intorno alla sua vita, abbassandosi sul pube e poi sempre più giù, mandandola in estasi e facendola eccitare indecentemente. Si mosse a disagio sulla sedia quando avvertì un’ondata di umori lubrificarla tra le gambe.
Lui se ne accorse perché allargò il ghigno, non celando un’espressione di trionfo.
Maledetto!
Cosa voleva davvero?! Voleva solo giocare?! Vederla perdere la testa, cedere al suo sguardo e nient’altro?! Voleva umiliarla?!
Ma poco importava perché ormai l’aveva incatenata e non riusciva a levargli gli occhi di dosso. 
Lo vide portarsi ancora una volta il boccale alle labbra, bevendo una generosa sorsata senza perdere il contatto visivo tra loro, nemmeno per un attimo. Si ripulì con la lingua, accarezzandosi appena la bocca, facendola rabbrividire.
Si rese conto che stava stringendo il bordo del bancone con le dita, in un vano tentativo di calmare i fremiti che l’attraversano, incontrollati.
Lo voleva.
Con tutta se stessa.
Per tutta la notte.
Quale che fossero le sue intenzioni, quello sguardo, duro e tagliente come il metallo e al tempo stesso caldo e avvolgente come il fuoco, la faceva sentire bene. La faceva sentire bella. La faceva sentire donna.
Deglutì a vuoto mentre, ormai arresasi al potere che esercitava su di lei e abbandonata la sua aria di superiorità, scendeva lungo la mascella ben delineata, sul collo morbido e caldo, spostandosi poi verso le clavicole e giù sul petto tatuato e asciutto, parzialmente visibile attraverso la camicia lasciata appena un po’ aperta.
Trattenne il fiato, immaginando la sensazione che il succhiare e leccare quella pelle così liscia e invitante doveva lasciare sulle labbra e sulla lingua.
Scese ancora, indugiando sulla patta dei pantaloni, notando solo in quel momento un inequivocabile rigonfiamento al cavallo.
Una piacevole sensazione di trionfo misto a eccitazione la pervase.
Non si era sbagliata allora. Era un gioco a due.
Si volevano.
Si desideravano.
Con la stessa voglia e la stessa intensità.
Riportò lo sguardo sul suo viso e si rese conto in quel momento che avevano già iniziato.
Stavano già facendo sesso.
Eccitante, libidinoso, passionale, sfrenato, estenuante sesso a distanza. Destinato a sfociare in una notte di fuoco che difficilmente avrebbero dimenticato.
Notte senza pensieri e senza rimpianti.
Notte di sensazioni provate sulla pelle nuda e sudata.
Notte di gemiti e lussuriose carezze. 
Notte fatta per essere vissuta, fino in fondo, fino all’alba, fino a fare male.
Notte di libertà.
Lui era tutto ciò di cui aveva bisogno quella notte.
Con le sue dita affusolate e comunque virili, che avrebbero saputo toccarla e accarezzarla ovunque con una sicurezza che mandava in orbita solo a pensarci. Avrebbe saputo come comportarsi anche in quella situazione. Avrebbe saputo come prendersi cura di lei.
Erano pirati. Erano liberi. Era un rigenerante alito di quella vita che tanto le mancava.
E non ne avrebbe avuto soltanto un assaggio perché lui, glielo si leggeva in faccia, si sarebbe lasciato vivere fino in fondo. Oh se lo avrebbe fatto!
Si alzò dallo sgabello avviandosi verso le scale che portavano al piano superiore e agli alloggi, dove si trovava la stanza che aveva già affittato per la notte, pensando che l’avrebbe trascorsa da sola.
Non la seguì subito, prima si concesse di finire la sua birra con tranquillità e senza fretta. Avrebbero avuto molte ore. Non c’era bisogno di agitarsi.
Prima che scomparisse al piano superiore si scambiarono un ultimo sguardo.  E i suoi occhi le promisero che non avrebbe avuto nemmeno il tempo di riprendere fiato tra un amplesso e l’altro, quella notte. Che si sarebbe svegliata per niente riposata ma appagata e soddisfatta, il mattino dopo. E che avrebbe faticato a ritrovare la giusta concentrazione, tornando col pensiero ai loro corpi nudi, avvinghiati, sudati e caldi e all’indicibile piacere che le avrebbe regalato, per molti giorni a venire.
Dovette attendere solo alcuni minuti, la navigatrice di Cappello di Paglia, per scoprire che il Chirurgo della Morte era un uomo di parola.
 

 

 

Angolo dell’Autrice:
Ok, ok so cosa state pensando!
Ma no, non mi sono convertita. Io sono e resto una ZoNamista convinta!
Soke07 è un’autrice che io apprezzo molto e, soprattutto, una fan del LawNami che ha comunque partecipato alla Zonami Week. Ci ho tenuto a ricambiare il favore.
Detto questo devo essere onesta… A me Trafalgar piace e pure tanto! Perciò così è e spero vi sia piaciuta comunque! XD
Baci.
Piper.
  
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