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Autore: Harisontour    10/06/2014    1 recensioni
"Questa storia non ha un lieto fine.
Non è una storia d'amore, ma di disamore.
Continua per fine estate ed un poco di autunno, poi viene lasciata cadere come le foglie degli alberi a ottobre".

Storia tormentata e fraintendibile.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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NdA: Da parte di chi mi conosce, questa storia non va fraintesa. Non è una versione letteraria del mio vissuto, se anche non posso negare che tratta di vicende legate a me e ad altri che ho ben presenti nella realtà. Posso però affermare che gli eventi della storia non sono rielaborazione ma invenzione, almeno per i loro tre quarti. Ciò che per chi può interpretarla alla luce dei fatti da cui è presa l'ispirazione è davvero importante è che non si tratta di un ammonimento o di un consiglio. E' solo una forma interiore di catarsi o, al massimo, una constatazione. Per tutti gli altri, che invece non sanno chi io sia, e che leggeranno, voglio dire ancora un paio di cose: per vari motivi questo è il primo scritto che concludo da mesi, e ho avuto serie difficoltà nel comporlo. Tant'è che il finale, lo vedrete, è una toppa, dovuta ad un blocco improvviso del flusso di parole che usciva, di getto, dalla mia penna (per la seconda metà, la prima parte e la forma, piuttosto bislacca e forse non immediatissima nella comprensione sono state meditate più al lungo). Mi chiedo ora se uno scritto del genere possa essere apprezzato, essendo solo all'apparenza introspettivo e romantico. Visto ciò, e vista la mia lunghissima assenza da efp, sono letteralmente TERRORIZZATA dal pubblicarlo e più che mai gradisco il vostro eventuale supporto. Allo stesso modo apprezzo commenti di demolizione, ciò che invece davvero non vorrei è vedere questa storia, che davvero mi è costata fatica, sparire nella rete, letta da nessuno. Grazie in ogni caso.




La cosa più bella di questa estate è stata mancarti


Quando Alice premette il tasto di invio rifiutandosi di guardare lo schermo, per qualche istante sperò che il messaggio non fosse partito.
Forse aveva finito il credito e non se lo ricordava.
Forse momentaneamente il 3G non prendeva.
Forse semplicemente doveva pensare prima di affidare i suoi pensieri a due immateriali righe senza inchiostro.
"La cosa più bella di questa estate, lo ammetto, è stata mancarti". Come si faceva a inviare una cosa del genere?


Dall'altra parte della città, il comodino di Mauro fu scosso da una vibrazione, che lo svegliò. Premette il tasto di sblocco, quasi dispiaciuto nel vedere che non poteva vendicarsi con il mittente.
Primo, perché il mittente era una donna, e picchiarne o insultarne una troppo pesantemente era contrario alle sue maniere da gentiluomo.
Secondo, perché mezzanotte e mezzo è l'orario canonico dell'inizio dello smessaggiamento notturno, se non sei uno sfigato.
Terzo, perché quella persona l'aveva svegliata troppe volte in piena notte, per chiederle consiglio o semplicemente parlare, come si fa soltanto con una sorella maggiore.
Decise comunque di non rispondere, troppo stanco per iniziare una conversazione di senso compiuto, come erano sempre quelle con lei; decisione che si rivelò particolarmente azzeccata dopo che ebbe letto il contenuto del messaggio. Mauro spense subito lo schermo, di fronte a quelle parole a cui non sapeva, eppure doveva, reagire. Piombò di nuovo nel buio pesto che aveva creato con tanta cura nella sua stanza, deciso a non pensarci fino all'indomani.



Alice era intrappolata nelle coperte, l'ultimo dei cellulari di nuova generazione con la tastiera fisica in mano.
Il messaggio era stato visualizzato e Mauro, a quell'ora, era la persona più veloce a rispondere che lei conoscesse.
"Scusami" scrisse, le dita che volavano sui tasti che conosceva ormai a memoria "Ho solo bisogno di sapere che mi vuoi ancora bene. Adesso".
Per quanto loro due fossero abituati a parlare di qualsiasi cosa per mezzo di brevi frasi talora sibilline, questo secondo messaggio era decisamente più accettabile, pensò. D'altro canto non si cercavano da mesi. Mesi. Pensare a quanto aveva aspettato, pensare a quale sofferenza l'aveva portata l'esitazione, le fece correre un brivido lungo la colonna vertebrale, che attribuì alla pioggia che picchettava i vetri delle finestre, gelida quanto può esserlo la pioggia di novembre.


Mauro si era trovato a fissare di nuovo lo schermo acceso, intontito ma ormai sveglio, come in attesa di qualcosa che lo aiutasse a sbrogliare presto i fili della matassa che si andava formando nella sua testa. Quel qualcosa arrivò alcuni minuti dopo, sotto forma di breve doppia vibrazione che lo prese comunque di soprassalto, mentre già i fili della sua mente lo stavano trascinando in profondità, verso i ricordi, in verità dolcissimi, di quell'estate.
L'amore di Elisa non era durato una primavera, e così, alla fine di aprile, Mauro si era trovato di nuovo solo, solo di una solitudine che prescindeva dalla coppia: quando si è respinti, aveva imparato, non si accetta di buon grado l'aiuto degli altri. Anche tutto il resto del mondo viene respinto, a meno che non sia straordinariamente insistente, e in questo caso può salvarti dalla malinconia. All'apparenza, il trauma gli aveva procurato soltanto un paio di voti inferiori alla sua media, altissima, dovuti alla ripresa della sua prima intensa attività di videogiocatore. Un'attività che non stupiva nessuno, nemmeno quelli che ne erano a conoscenza, dal momento che quasi nessuno sapeva che l'avesse mai lasciata per dedicarsi alla programmazione. Mauro era un mago dei computer, ma non ne era ossessionato. Pur essendo passato dai videogiochi alle hack roms, fino alle prime applicazioni per cellulari e al miglioramento di qualche programma, dedicando moltissime ore ai tre schermi del suo PC che ingombravano quasi tutta la scrivania, aveva sempre mantenuto un certo equilibrio, che gli avrebbe permesso, tutti ne erano certi e lo incoraggiavano in tal senso, di intraprendere una brillante carriera di ingegnere informatico, quella che sembrava la sua unica strada, sebbene al liceo scientifico eccellesse in tutte le materie. Dopo che Elisa lo lasciò, comunque, abbandonò i progetti più ambiziosi e tornò al suo vecchio hobby. In un primo momento gli parve una fase di crisi normale, una mancanza di inventiva e d'intraprendenza che aveva già sperimentato. Subito però perse la moderazione. Se ne rese conto quando la scuola finì, in tempo perché la sua pagella fosse ancora una volta impeccabile. Aveva calcolato, quando stava con lei e sapeva che sarebbe potuta finire a quel modo, di poter vivere quasi di rendita per più di due mesi, ed affrontò gran parte delle prove senza difficoltà particolari, felice di non avere esami da sostenere, spingendosi solo una volta a copiare da un'altra persona, che peraltro dovette correggere. Le prime settimane di vacanza passarono senza che lui avesse il tempo di uscire di casa, ma era sempre stato un solitario e la cosa, ancora una volta, non creava particolari sospetti.
A fine giugno cominciò a soffrire di emicranie allucinanti, che gli impedivano non solo di passare più di mezz'ora davanti agli schermi, ma anche di leggere o di passare una giornata intera all'aperto. Era nauseato. La luce gli provocava le fitte più lancinanti, e si risolveva a non fare nulla standosene nell'ombra, sentendosi uno spettro. Fu dopo due settimane di questo stato di malessere che incontrò qualcuno, durante una delle passeggiate diventate un rituale delle sue notti insonni, dovute alla scarsa attività diurna. Dall'altro lato della strada, scorse una vecchia amica, una delle poche che avesse mai considerato tali, pur senza legarci particolarmente. Stava uscendo da un bar da cui provenivano musica allegra e voci eccitate. Rimase fermo a guardarla ridere, senza muovere un muscolo, senza chiamarla.
L'aveva dimenticata, pensò.
Aveva dimenticato il suono della sua voce, i suoi gesti, gli occhi.
Aveva dimenticato i momenti passati insieme agli amici di lei, che lo trascinava sempre da qualche parte.
Aveva scordato persino la sua esistenza, o era lei che aveva smesso di esistere per un poco?
E da quanto?
-Mauro!-.
Lo sguardo di lei, verde intenso anche nella notte, lo colpì dal marciapiede opposto, e attraversò di corsa senza curarsi delle strisce pedonali. Doveva essere allegra e un po' ubriaca, senza pensieri, o rimpianti, felice. Quando le maniche della sua camicia di cotone leggero gli sfiorarono il collo in un abbraccio, Mauro in qualche modo ebbe paura.
-Alice! Come stai?-
-E' un sacco di tempo che non ci vediamo, ho tante cose da raccontarti, tu stai bene?-
Mauro evitò di rispondere, ma ricordò che lei aveva appena dato gli esami. -Com'è andata la maturità?-
-Benone, ho avuto oggi i risultati, sono passata. Stavo festeggiando. E mi iscrivo al conservatorio!- rispose lei scegliendo di non metterlo dubito alle strette.


La domanda che seguì le fece mancare il fiato.
-Sei felice?-.

Alice scrisse un terzo messaggio, aveva quasi le lacrime agli occhi. Se c'era una persona che davvero conosceva, quella era Mauro.
Stavano pensando le stesse cose.
"Non ti sembra assurdo, questo? Stiamo ri
cordando gli stessi momenti, eppure nella tua testa sono completamente diversi, vero? Quello che per me era un sogno che alimentava un sogno, per te è un ricordo limpido come tutti gli altri. Voglio solo sapere se è almeno piacevole".


La terza vibrazione del telefonino riscosse definitivamente Mauro, che si decise a rispondere.
"Alice, io ti sono grato, e certo che ti voglio bene, ma sono triste per te. Non posso credere che tu stia ancora pensando a quel pomeriggio".


"Non posso credere che tu non lo creda".


"Pensi che io non abbia capito?".


"No".
Alice fu tentata dall'aggiungere qualcosa che chiarisse ciò che voleva dire, ma non lo fece. Sapeva che i loro cervelli lavoravano in perfetta sintonia e che lui capiva ogni suo pensiero appena accennato. Per questo non capiva come mai lui non la avesse mai più cercata tornando indietro sulla sua decisione. Ripercorse rapidamente tutte le tappe, felice di non avere screenshot di vecchi messaggi da farsi scorrere davanti agli occhi.
Il diciannove luglio aveva invitato il suo vecchio amico al parco. Lo aveva trovato già lì, con una felpa nera indosso nonostante facesse molto caldo, l'aria esausta della sera prima.
-Hai un periodo nerd?- gli aveva chiesto -Non sei mai stato un nerd, nemmeno quando alle medie trafficavi coi videogiochi-.

-Più o meno- aveva tagliato corto lui, preoccupato di non far trasparire le sue emozioni, che invece a lei non potevano sfuggire -Per la verità adesso non riesco nemmeno più a guardarli, gli schermi- concesse.
-Non c'entra, intendo, sembra che sia un po' che te ne stai chiuso in casa. Sei pallido. Stai bene?-.
Mauro aveva serrato le palpebre dietro agli occhiali da lieve miopia che dimenticava di togliere anche quando si coricava, si era stiracchiato sulla panchina assolata e le aveva spiegato semplicemente di come da qualche tempo soffrisse di mal di testa che gli impedivano, disse lui, persino di pensare, e di come questi persistessero nonostante la completa astinenza dall'informatica.
Entrambi sapevano di sapere che quella non era che una manifestazione del vero problema, e Alice in pochi giorni era venuta a capo di quasi tutto. Iniziarono a frequentarsi, fino a quando lei partì.


-Sto un mese in Germania- disse -Da mia nonna c'è un'insegnante che mi prepara per gli esami di ammissione di canto lirico. Ho deciso che non voglio entrare con pianoforte-.
La decisione a lui era sembrata coraggiosa. Erano anni che Alice studiava quello strumento controvoglia, e quando gli aveva detto che sarebbe entrata in conservatorio aveva temuto che fossero stati i suoi a convincerla a farlo. Si mostrò entusiasta, anche se gli dispiaceva separarsi da lei proprio ora che si sentiva molto meglio e che poteva darle di più. Alice aveva fatto tutto ciò di cui lui aveva bisogno in quel momento senza fare nulla di speciale: era stata soltanto presente, esisteva.
Si convinse che erano fatti per stare insieme per sempre e pensò di dirglielo prima che partisse.
Ma non lo fece, ne aveva paura.


Quando Alice aveva ricevuto il primo messaggio di Mauro dalla partenza era ancora in aeroporto. Stava salendo le scalette dell'aereo, perciò lo lesse subito prima di partire. La sua contentezza era quella avida di chi pregusta una gioia più grande, sebbene il messaggio in sé non fosse nulla di speciale.
Era il pensiero che si aspettava che la rendeva felice.
Era il momento del decollo.
Lei e Mauro si erano sentiti ogni giorno per tutto quel mese. Rileggendo i messaggi mentre tornava a casa, ne aveva trovati troppi bellissimi ed uno stupendo. Quello in cui lui, nella maniera più impacciata e formale che avesse mai visto, le diceva che la aspettava.
Che gli mancava.
Non vedeva l'ora di rivederla.
E lei nel frattempo aveva cominciato ad innamorarsi di lui. Quando lo pensava quella parola, "innamorarsi", sobbalzava nel suo cervello, nella sua ragione così incredula, polverizzandosi per poi ricomporsi.


Quando Alice arrivò all'aeroporto c'era Mauro ad aspettarla.
Lui era felice e la abbracciò, lei si fece abbracciare.
Lui pensò che entrambi avevano aspettato per giorni quell'abbraccio, e che era così perfetto che sarebbe dovuto durare per sempre, quando invece durò pochi istanti.
Pensò che voleva dirglielo, ma non lo fece.
Non ne era sicuro.




Questa storia non ha un lieto fine.
Non è una storia d'amore, ma di disamore.
Continua per fine estate ed un poco di autunno, poi viene lasciata cadere come le foglie degli alberi a ottobre.
Scomparendo piano, ha lasciato dentro entrambi una malinconia sottile.
Le persone che si conoscono simili, si scoprono pian piano e intanto diventano diverse, e così i loro sentimenti.
Così mentre quelli dell'una crescevano e quelli dell'altro scemavano, la prima cercò di accennare qualcosa.

Parlare le fu difficile più di quanto non lo fosse per lui rispondere qualcosa che sapeva l'avrebbe fatta soffrire, ma che non poteva evitare di confessare.
Questa è la differenza: lui doveva farle del male, lei poteva farsene, e lo scelse.
Non posso narrare questa parte: riguarda esperienze intime, troppo profondamente insinuatesi nell'anima di lei, impossibili per noi da spiare.
Non so nemmeno se lei abbia provato a indagarla, so solo che non andò fino in fondo, e non seppe spiegare abbastanza ciò che provava, quando parlò.
Sarebbe stato inutile, ad ogni modo.
La notte in cui scrisse le prime righe di questo racconto, ci stava provando la seconda volta.
Pensava che si dovesse sempre tentare due volte una cosa importante.
Lo fece per principio, dunque, ma era già troppo tardi. Il tempo li aveva allontanati fra loro e dal momento in cui tutto avrebbe avuto un senso.




   
 
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