NdA: Da parte di chi mi conosce, questa storia non va fraintesa. Non è una versione letteraria del mio vissuto, se anche non posso negare che tratta di vicende legate a me e ad altri che ho ben presenti nella realtà. Posso però affermare che gli eventi della storia non sono rielaborazione ma invenzione, almeno per i loro tre quarti. Ciò che per chi può interpretarla alla luce dei fatti da cui è presa l'ispirazione è davvero importante è che non si tratta di un ammonimento o di un consiglio. E' solo una forma interiore di catarsi o, al massimo, una constatazione. Per tutti gli altri, che invece non sanno chi io sia, e che leggeranno, voglio dire ancora un paio di cose: per vari motivi questo è il primo scritto che concludo da mesi, e ho avuto serie difficoltà nel comporlo. Tant'è che il finale, lo vedrete, è una toppa, dovuta ad un blocco improvviso del flusso di parole che usciva, di getto, dalla mia penna (per la seconda metà, la prima parte e la forma, piuttosto bislacca e forse non immediatissima nella comprensione sono state meditate più al lungo). Mi chiedo ora se uno scritto del genere possa essere apprezzato, essendo solo all'apparenza introspettivo e romantico. Visto ciò, e vista la mia lunghissima assenza da efp, sono letteralmente TERRORIZZATA dal pubblicarlo e più che mai gradisco il vostro eventuale supporto. Allo stesso modo apprezzo commenti di demolizione, ciò che invece davvero non vorrei è vedere questa storia, che davvero mi è costata fatica, sparire nella rete, letta da nessuno. Grazie in ogni caso.
La
cosa più bella di questa estate è stata mancarti
Quando
Alice premette il tasto di invio rifiutandosi di guardare lo schermo,
per qualche istante sperò che il messaggio non fosse partito.
Forse
aveva finito il credito e non se lo ricordava.
Forse
momentaneamente il 3G non prendeva.
Forse semplicemente doveva
pensare prima di affidare i suoi pensieri a due
immateriali
righe senza inchiostro.
"La cosa più bella di questa
estate, lo ammetto, è stata mancarti". Come si
faceva a
inviare una cosa del genere?
Dall'altra
parte della città, il comodino di Mauro fu scosso da una
vibrazione,
che lo svegliò. Premette il tasto di sblocco, quasi
dispiaciuto nel
vedere che non poteva vendicarsi con il mittente.
Primo, perché
il mittente era una donna, e picchiarne o insultarne una troppo
pesantemente era contrario alle sue maniere da gentiluomo.
Secondo,
perché mezzanotte e mezzo è l'orario canonico
dell'inizio dello
smessaggiamento notturno, se non sei uno sfigato.
Terzo, perché
quella persona l'aveva svegliata troppe volte in piena notte, per
chiederle consiglio o semplicemente parlare, come si fa soltanto con
una sorella maggiore.
Decise comunque di non rispondere, troppo
stanco per iniziare una conversazione di senso compiuto, come erano
sempre quelle con lei; decisione che si rivelò
particolarmente
azzeccata dopo che ebbe letto il contenuto del messaggio. Mauro
spense subito lo schermo, di fronte a quelle parole a cui non sapeva,
eppure doveva, reagire. Piombò di nuovo nel buio pesto che
aveva
creato con tanta cura nella sua stanza, deciso a non pensarci fino
all'indomani.
Alice
era intrappolata nelle coperte, l'ultimo dei cellulari di nuova
generazione con la tastiera fisica in mano.
Il messaggio era stato
visualizzato e Mauro, a quell'ora, era la persona più veloce
a
rispondere che lei conoscesse.
"Scusami" scrisse,
le dita che volavano sui tasti che conosceva ormai a memoria "Ho
solo bisogno di sapere che mi vuoi ancora bene. Adesso".
Per
quanto loro due fossero abituati a parlare di qualsiasi cosa per
mezzo di brevi frasi talora sibilline, questo secondo messaggio era
decisamente più accettabile, pensò. D'altro canto
non si cercavano
da mesi. Mesi. Pensare a quanto aveva aspettato,
pensare a
quale sofferenza l'aveva portata l'esitazione, le fece correre un
brivido lungo la colonna vertebrale, che attribuì alla
pioggia che
picchettava i vetri delle finestre, gelida quanto può
esserlo la
pioggia di novembre.
Mauro
si era trovato a fissare di nuovo lo schermo acceso, intontito ma
ormai sveglio, come in attesa di qualcosa che lo aiutasse a
sbrogliare presto i fili della matassa che si andava formando nella
sua testa. Quel qualcosa arrivò alcuni minuti dopo, sotto
forma di
breve doppia vibrazione che lo prese comunque di soprassalto, mentre
già i fili della sua mente lo stavano trascinando in
profondità,
verso i ricordi, in verità dolcissimi, di quell'estate.
L'amore
di Elisa non era durato una primavera, e così, alla fine di
aprile,
Mauro si era trovato di nuovo solo, solo di una solitudine che
prescindeva dalla coppia: quando si è respinti, aveva
imparato, non
si accetta di buon grado l'aiuto degli altri. Anche tutto il resto
del mondo viene respinto, a meno che non sia straordinariamente
insistente, e in questo caso può salvarti dalla malinconia.
All'apparenza, il trauma gli aveva procurato soltanto un paio di voti
inferiori alla sua media, altissima, dovuti alla ripresa della sua
prima intensa attività di videogiocatore.
Un'attività che non
stupiva nessuno, nemmeno quelli che ne erano a conoscenza, dal
momento che quasi nessuno sapeva che l'avesse mai lasciata per
dedicarsi alla programmazione. Mauro era un mago dei computer, ma non
ne era ossessionato. Pur essendo passato dai videogiochi alle hack
roms, fino alle prime applicazioni per cellulari e al miglioramento
di qualche programma, dedicando moltissime ore ai tre schermi del suo
PC che ingombravano quasi tutta la scrivania, aveva sempre mantenuto
un certo equilibrio, che gli avrebbe permesso, tutti ne erano certi e
lo incoraggiavano in tal senso, di intraprendere una brillante
carriera di ingegnere informatico, quella che sembrava la sua unica
strada, sebbene al liceo scientifico eccellesse in tutte le materie.
Dopo che Elisa lo lasciò, comunque, abbandonò i
progetti più
ambiziosi e tornò al suo vecchio hobby. In un primo momento
gli
parve una fase di crisi normale, una mancanza di inventiva e
d'intraprendenza che aveva già sperimentato. Subito
però perse la
moderazione. Se ne rese conto quando la scuola finì, in
tempo perché
la sua pagella fosse ancora una volta impeccabile. Aveva calcolato,
quando stava con lei e sapeva che sarebbe potuta finire a quel modo,
di poter vivere quasi di rendita per più di due mesi, ed
affrontò
gran parte delle prove senza difficoltà particolari, felice
di non
avere esami da sostenere, spingendosi solo una volta a copiare da
un'altra persona, che peraltro dovette correggere. Le prime settimane
di vacanza passarono senza che lui avesse il tempo di uscire di casa,
ma era sempre stato un solitario e la cosa, ancora una volta, non
creava particolari sospetti.
A fine giugno cominciò a soffrire
di emicranie allucinanti, che gli impedivano non solo di passare
più
di mezz'ora davanti agli schermi, ma anche di leggere o di passare
una giornata intera all'aperto. Era nauseato. La luce gli provocava
le fitte più lancinanti, e si risolveva a non fare nulla
standosene
nell'ombra, sentendosi uno spettro. Fu dopo due settimane di questo
stato di malessere che incontrò qualcuno, durante una delle
passeggiate diventate un rituale delle sue notti insonni, dovute alla
scarsa attività diurna. Dall'altro lato della strada, scorse
una
vecchia amica, una delle poche che avesse mai considerato tali, pur
senza legarci particolarmente. Stava uscendo da un bar da cui
provenivano musica allegra e voci eccitate. Rimase fermo a guardarla
ridere, senza muovere un muscolo, senza chiamarla.
L'aveva
dimenticata, pensò.
Aveva dimenticato il suono della sua voce, i
suoi gesti, gli occhi.
Aveva dimenticato i momenti passati insieme
agli amici di lei, che lo trascinava sempre da qualche parte.
Aveva
scordato persino la sua esistenza, o era lei che aveva smesso di
esistere per un poco?
E da quanto?
-Mauro!-.
Lo sguardo di
lei, verde intenso anche nella notte, lo colpì dal
marciapiede
opposto, e attraversò di corsa senza curarsi delle strisce
pedonali.
Doveva essere allegra e un po' ubriaca, senza pensieri, o rimpianti,
felice. Quando le maniche della sua camicia di cotone leggero gli
sfiorarono il collo in un abbraccio, Mauro in qualche modo ebbe
paura.
-Alice! Come stai?-
-E' un sacco di tempo che non ci
vediamo, ho tante cose da raccontarti, tu stai bene?-
Mauro evitò
di rispondere, ma ricordò che lei aveva appena dato gli
esami.
-Com'è andata la maturità?-
-Benone, ho avuto oggi i risultati,
sono passata. Stavo festeggiando. E mi iscrivo al conservatorio!-
rispose lei scegliendo di non metterlo dubito alle strette.
La
domanda che seguì le fece mancare il fiato.
-Sei felice?-.
Alice
scrisse un terzo messaggio, aveva quasi le lacrime agli occhi. Se
c'era una persona che davvero conosceva, quella era Mauro.
Stavano
pensando le stesse cose.
"Non ti sembra assurdo, questo?
Stiamo ricordando gli stessi
momenti, eppure nella tua
testa sono completamente diversi, vero? Quello che per me era un
sogno che alimentava un sogno, per te è
un ricordo
limpido come tutti gli altri.
Voglio solo sapere se è
almeno piacevole".
La
terza vibrazione del telefonino riscosse definitivamente Mauro, che
si decise a rispondere.
"Alice, io ti sono grato, e certo
che ti voglio bene, ma sono triste per te. Non posso credere che tu
stia ancora pensando a quel pomeriggio".
"Non
posso credere che tu non lo creda".
"Pensi
che io non abbia capito?".
"No".
Alice
fu tentata dall'aggiungere qualcosa che chiarisse ciò che
voleva
dire, ma non lo fece. Sapeva che i loro cervelli lavoravano in
perfetta sintonia e che lui capiva ogni suo pensiero appena
accennato. Per questo non capiva come mai lui non la avesse mai
più
cercata tornando indietro sulla sua decisione. Ripercorse rapidamente
tutte le tappe, felice di non avere screenshot di vecchi messaggi da
farsi scorrere davanti agli occhi.
Il diciannove luglio aveva
invitato il suo vecchio amico al parco. Lo aveva trovato già
lì,
con una felpa nera indosso nonostante facesse molto caldo, l'aria
esausta della sera prima.
-Hai un periodo nerd?- gli aveva
chiesto -Non sei mai stato un nerd, nemmeno quando alle medie
trafficavi coi videogiochi-.
-Più
o meno- aveva tagliato corto lui, preoccupato di non far trasparire
le sue emozioni, che invece a lei non potevano sfuggire -Per la
verità adesso non riesco nemmeno più a guardarli,
gli schermi-
concesse.
-Non c'entra, intendo, sembra che sia un po' che te ne
stai chiuso in casa. Sei pallido. Stai bene?-.
Mauro aveva serrato
le palpebre dietro agli occhiali da lieve miopia che dimenticava di
togliere anche quando si coricava, si era stiracchiato sulla panchina
assolata e le aveva spiegato semplicemente di come da qualche tempo
soffrisse di mal di testa che gli impedivano, disse lui, persino di
pensare, e di come questi persistessero nonostante la completa
astinenza dall'informatica.
Entrambi sapevano di sapere che quella
non era che una manifestazione del vero problema, e Alice in pochi
giorni era venuta a capo di quasi tutto. Iniziarono a frequentarsi,
fino a quando lei partì.
-Sto
un mese in Germania- disse -Da mia nonna c'è un'insegnante
che mi
prepara per gli esami di ammissione di canto lirico. Ho deciso che
non voglio entrare con pianoforte-.
La decisione a lui era
sembrata coraggiosa. Erano anni che Alice studiava quello strumento
controvoglia, e quando gli aveva detto che sarebbe entrata in
conservatorio aveva temuto che fossero stati i suoi a convincerla a
farlo. Si mostrò entusiasta, anche se gli dispiaceva
separarsi da
lei proprio ora che si sentiva molto meglio e che poteva darle di
più. Alice aveva fatto tutto ciò di cui lui aveva
bisogno in quel
momento senza fare nulla di speciale: era stata soltanto presente,
esisteva.
Si convinse che erano fatti per stare insieme per
sempre e pensò di dirglielo prima che partisse.
Ma non lo fece,
ne aveva paura.
Quando
Alice aveva ricevuto il primo messaggio di Mauro dalla partenza era
ancora in aeroporto. Stava salendo le scalette dell'aereo,
perciò lo
lesse subito prima di partire. La sua contentezza era quella avida di
chi pregusta una gioia più grande, sebbene il messaggio in
sé non
fosse nulla di speciale.
Era il pensiero che si aspettava che la
rendeva felice.
Era il momento del decollo.
Lei e Mauro
si erano sentiti ogni giorno per tutto quel mese. Rileggendo i
messaggi mentre tornava a casa, ne aveva trovati troppi bellissimi ed
uno stupendo. Quello in cui lui, nella maniera più
impacciata e
formale che avesse mai visto, le diceva che la aspettava.
Che gli
mancava.
Non vedeva l'ora di rivederla.
E lei nel frattempo
aveva cominciato ad innamorarsi di lui. Quando lo pensava quella
parola, "innamorarsi", sobbalzava nel suo cervello, nella
sua ragione così incredula, polverizzandosi per poi
ricomporsi.
Quando
Alice arrivò all'aeroporto c'era Mauro ad aspettarla.
Lui era
felice e la abbracciò, lei si fece abbracciare.
Lui pensò che
entrambi avevano aspettato per giorni quell'abbraccio, e che era
così
perfetto che sarebbe dovuto durare per sempre, quando invece
durò
pochi istanti.
Pensò che voleva dirglielo, ma non lo fece.
Non
ne era sicuro.
Questa
storia non ha un lieto fine.
Non è una storia d'amore, ma di
disamore.
Continua per fine estate ed un poco di autunno, poi
viene lasciata cadere come le foglie degli alberi a
ottobre.
Scomparendo piano, ha lasciato dentro entrambi una
malinconia sottile.
Le persone che si conoscono simili, si
scoprono pian piano e intanto diventano diverse, e così i
loro
sentimenti.
Così mentre quelli dell'una crescevano e quelli
dell'altro scemavano, la prima cercò di accennare qualcosa.
Parlare
le fu difficile più di quanto non lo fosse per lui
rispondere
qualcosa che sapeva l'avrebbe fatta soffrire, ma che non poteva
evitare di confessare.
Questa è la differenza: lui doveva farle
del male, lei poteva farsene, e lo scelse.
Non posso narrare
questa parte: riguarda esperienze intime, troppo profondamente
insinuatesi nell'anima di lei, impossibili per noi da spiare.
Non
so nemmeno se lei abbia provato a indagarla, so solo che non
andò
fino in fondo, e non seppe spiegare abbastanza ciò che
provava,
quando parlò.
Sarebbe stato inutile, ad ogni modo.
La notte in
cui scrisse le prime righe di questo racconto, ci stava provando la
seconda volta.
Pensava che si dovesse sempre tentare due volte una
cosa importante.
Lo fece per principio, dunque, ma era già troppo
tardi. Il tempo li aveva allontanati fra loro e dal momento in cui
tutto avrebbe avuto un senso.