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Autore: brendy    10/06/2014    3 recensioni
E siamo distanti, in parole e conversazioni che sembrano non appartenerci più.
Dove siamo andati?
Dove sei finita?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Volevo mettere lo spazio autrice come sempre alla fine della storia ma non posso proprio farlo in questa, perchè è esageratamente lunga (13K) e moltissimi di voi mi odieranno quindi ci tengo ad avvisarvi ancora prima che possiate leggerla.
E' una storia un pochino diversa, anche se sà molto di clichè (perdonatemi, ma mi si era creata in testa una sera e non ho voluta renderla più incasinata o altro di come me la sono immaginata). Ci tengo moltissimo; forse perchè ci ho messo mesi interi a scriverla ed è stata il mio pallino fisso per un sacco di tempo --una specie di parto, diciamo.
Non so se potrà piacervi e questo un po' mi spaventa perchè come ho detto, è lunga e magari diventerà pesante (anche perchè per colpa della scuola non l'ho scritta tutta di getto, ma ho avuto lunghe pause e delle volte non aprivo word per giorni e giorni) man mano che si legge e non vorrei mai accadesse una cosa del genere.
  • ringrazio la cara ali, perchè ha sfasato tantissimo per questa os e perchè beh, semplicemente, è un amore di ragazza e la adoro!
    ringrazio anche la dem, che come sempre mi ha dato degli ottimi consigli e mi ha supportato
Niente, adesso devo proprio andare che sono maledettamente in ritardo (as always) e spero che quello che leggerete, sempre se ne avrete voglia, vi piacerà e spero di leggere qualche vostro commento, perchè mi farebbe davvero davvero molto piacere.
un bacio e buon inizio vacanze a tutti, buona fortuna per le pagelle e tabelloni e chi sta affrontando gli esami di maturità!
alla prossima

 
 


Se adesso te ne vai
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Tokyo ha sempre avuto qualcosa di affascinante.
L’ho pensato la prima volta che ci sono stato per due semplici giorni, l’ho confermato quando ci sono tornato per una settimana di vacanza nel mese di Maggio. Sarà per le strade silenziose nonostante siano costantemente affollate, per le scritte particolari dei locali che ancora non riesco a capire; per gli alberi di ciliegio in fiore, i negozi dalle vetrine illuminate con decorazioni che di solito, ci sono solo nel periodo natalizio. Per i negozi di musica dove trovi ancora dischi in vinile e le fumetterie, dove a quattordici anni ci avrei passato gran parte del mio tempo. Tokyo è affascinante perché sembra di essere totalmente in un altro universo e il fuso orario, non centra assolutamente niente.
Sto camminando con passo tranquillo, una sigaretta tra le dita e nella mente, la solita frase che dico a Liam quando si preoccupa troppo: “Prima o poi smetto, solo non ora”.
È passata da poco la mezzanotte, c’è una leggera aria che non da fastidio ma allo stesso tempo, riesce a farmi rabbrividire nonostante stia indossando il lungo cappotto nero, costato un po’ troppi soldi.
Stupide marche, stupide etichette e stupide anche le persone!, ma non lo dico ad alta voce, perché sarebbe da incoerenti insultare ciò per cui lavoro. Anche se, ad essere sincero, quando ho iniziato con la moda l’avevo presa più come un gioco che come un vero lavoro; pagano bene e solo perché io posi davanti ad una macchina fotografica e indossi vestiti che poi mostrerò camminando su una passerella. Non male, no? Ma a sedici anni non pensi a tutto quello che sta dietro questo settore, a sedici anni si è ingenui, ancora con le ferite sanguinanti dell’adolescenza ed ora ci son troppo dentro per abbandonare tutto.
La sigaretta, ormai consumata fino al filtro, mi brucia leggermente il labbro inferiore —me ne accorgo solo quando sento il calore darmi fastidio. Sto camminando senza una vera meta; forse perché stare chiuso in una camera d’albergo non fa per me o forse, semplicemente, perché ho la testa così piena di pensieri che stando all’aperto, magari, si disperderanno nell’aria.
Davanti ai miei occhi scorrono veloci le due pareti coperte di graffiti, il bar da dove proviene una musica assordante e alquanto commerciale, due uomini di mezz’età ubriachi che barcollano attraversando la strada e il piccolo parco in cui passo ogni tanto la mattina quando corro. Rallento di poco appena mi trovo a pochi passi dalla piazza con al centro una piccola aiuola piena di fiori; non è tanto grande, ai lati ci sono due panchine e qualche lampione che illumina il giusto. Sulla prima panchina, c’è un gruppetto di ragazzi che a vista d’occhio, dovrebbero avere la mia età o comunque, che non vanno sopra i venticinque anni. Stanno ridacchiando per qualcosa che è stata detta del ragazzo coi capelli biondi e lo stile un po’ da hipster, che tra le mani stringe una bottiglia di birra da cui ne trae qualche sorso ogni tanto.
Sedute sulle panchine ci sono due ragazze —lo si capisce dalle gambe magre e fasciate da degli skinny jeans apparentemente scuri. La prima gioca distrattamente con una ciocca di capelli incredibilmente lisci, mentre l’altra, batte sul pavimento, con una strana sequenza, i piedi calzati da delle converse bianche basse.
L’hipster sta scrivendo qualcosa sul telefono, fin quando la ragazza smette di giocare con i capelli e si guarda attorno, posando il suo sguardo nella mia direzione e con un movimento leggero delle labbra, fa notare agli altri due la mia presenza lì, immobile ad osservarli. Non do tempo a loro di dirmi qualcosa né a me stesso per darmi del coglione e sistemandomi maggiormente il cappuccio della felpa sulla testa, continuo a camminare.
Dopotutto mancano cinque minuti all’una e Tokyo, con un pacchetto di sigarette ancora mezzo pieno, di notte è ancora più affascinante.
 
 
 
 «Te l’ho detto Harry, non puoi sparire così nel bel mezzo della notte e non dire niente a nessuno!, nemmeno a me tra l’altro, io che—» Liam sbuffa, agitando nervosamente le mani nell’aria per poi tornare a puntare lo sguardo severo su di me «e non dirmi che devo stare tranquillo, perché non fai altro che innervosirmi di più e porca troia!, non ti sto dicendo che non puoi andartene ma che almeno un biglietto è gradito. Se sparisci qui, chi ti trova? E poi, dove te ne vai?»
Rimango in silenzio, un po’ perché Liam ha ragione, un po’ perché non ho voglia di contraddirlo e ribattere. Sono stanco, di cosa ancora non lo so.
Forse sono stanco del mio lavoro, del mio viso sulle copertine dei giornali, dell’ultima storia finita ancora prima di iniziare e di non essere più tanto libero come pensassi.
«Scusa»
«Tutto qui?»
«Non saprei che altro dirti»
Liam annuisce, afferra una maglietta nera con diverse scritte in bianco su entrambi i lati e me la lancia, curvando le labbra in un sorriso che sa di nonèsuccessoniente e vatuttobene.
«Io non so cosa passa in quella testa che ti ritrovi, lo sai, ma se hai bisogno—»
«Grazie»
«Adesso muoviti» dice frettoloso «tra quindici minuti è il tuo turno»
Lascia la stanza dandomi una pacca sulle spalle, mentre la truccatrice Lou, entra dalla porta con il solito sorriso di chi ha già tutto quello che vuole dalla vita e gli occhi chiari, particolarmente felici.
Non faccio domande, non inizio nemmeno una conversazione quando solitamente mi diverte parlare con lei prima di una sfilata. Lou non accenna a chiedermi cosa ci sia di sbagliato in questo pomeriggio e io gliene sono grato, perché come già mi è già capitato, non saprei spiegarlo.
La sfilata dura meno del previsto; alcuni fotografi si son fermati per qualche foto in più, ho risposto alle solite domande e grazie a Liam, sono riuscito a chiudermi nel camerino.
«Stasera pensavo di andare a bere qualcosa con lo staff, ti aggreghi a noi?»
Forse?
Perché no?
Magari mi farebbe bene un po’ di compagnia.

«Scusami Payne, ma preferisco fare due passi»
«Come vuoi amico, nel caso cambiassi idea dammi un colpo di telefono»
Gioco distrattamente con gli anelli che ho tra le dita anche quando sento il rumore della porta appena chiusa; aspetto che Forrest Gump finisca e mi accendo l’ultima sigaretta del vecchio pacchetto, nello stesso momento in cui la voce di Frank Ocean si abbassa di qualche grado.
Sbuffo il fumo, cercando di capire quale sia il mio programma per la serata. Nella mente ho ancora l’immagine del gruppetto di ragazzi della piazza; il modo che avevano di scherzare, i problemi adolescenziali nascosti dietro a dei sorrisi, il coprifuoco che sicuramente, non rispettano e le canne magari nascoste, gli skateboard, le bottiglie di birra mezze vuote e i discorsi insensati, che io non ho nemmeno idea di come siano. Ci penso e un po’ li invidio, perché a me certi pregi non sono concessi.
Vedo il telefono illuminarsi, qualche menzione su twitter che prontamente ignoro e afferrando la giacca in pelle esco lanciando un’occhiata veloce ai corridoi vuoti, facendomi ricordare quanto io sia solo.
 
 
 
Il Monet, è un piccolo bar vicino ad un negozio vintage in cui mi son promesso di entrare per prendere un regalo a Gemma perché: “Non puoi assolutamente non prendermi qualcosa, mi offenderei” ha detto, per poi stringermi in un abbraccio poco prima che la hostess chiamasse il mio volo.
Sto bevendo un caffè di quelli che contengono più acqua che altro, un vago ricordo di quelli americani. Mi guardo attorno, tenendo gli occhiali da sole un po’ troppo scuri a coprirmi gli occhi e una sigaretta tra le labbra, da cui prendo piccoli tiri.
«No, sto tornando adesso a casa» una voce che non è seta, né cristallo, né argentina, né tantomeno dolce, attira la mia attenzione «tra poco arrivo».
Punto lo sguardo sulla ragazza che sta parlando al telefono; devo averla già vista da qualche parte, certe gambe che si adattano perfettamente a degli skinny jeans così stretti, non le si vedono ovunque, per non parlare di converse bianche rovinate lateralmente. Cammina distrattamente, i pantaloni rialzati a mostrare i tatuaggi su entrambe le caviglie o forse, perché le piacciono così. Ha dei capelli chiari, su un biondo che prima doveva essere un castano scuro ma che le dona, dati gli occhi di uno strano colore —da dove sono seduto non riesco a vederli bene, sembrano verdi scuri, quasi marroni ma non ne sarei così sicuro. I giubbotto in jeans le sta largo sulle braccia ed essendo aperto, si può vedere la maglietta bianca con varie scritte in giapponese che ha addosso.
Si scosta una ciocca di capelli dietro all’orecchio, per poi porre il telefono in tasca e dirigersi verso l’entrata del bar. Ripenso a dove potessi averla già vista e sicuramente ci sono da escludere le sfilate, i servizi fotografici o qualche intervista. Non ha lineamenti orientali né accenti particolari. Però sono sicuro di averla già notata da qualche parte, qui o là —per le vie di notte, perché me lo ricordo, era notte o forse c’erano le prime luci del mattino quando l’ho incontrata di sfuggita per la prima volta.
«Scusa ancora per il ritardo Louis» la porta è aperta, sulla soglia si può vedere un ragazzo dagli occhi azzurri e sorridenti, a differenza dai lineamenti del viso ben marcati e da ragazzo stanco o forse, particolarmente stressato dal lavoro «comunque per stasera, ci sarai anche tu?»
«Sai che non sono bravo a rifiutare gli inviti»
Ridacchia, prima di posargli una bacio su una guancia e sussurrargli qualcosa all’orecchio che lo fa sorridere.
Sono le 15.30 di un martedì di Gennaio ed io non dovrei assolutamente essere qui. Mi affretto a cercare qualche moneta che lascio sul tavolino, afferro il telefono e mi alzo con fretta, sperando di non aver perso l’ultimo tram che mi riporti in albergo.
 
 
 
La via che più preferisco di Tokyo è una di cui non mi ricordo mai il nome, a differenza del tragitto che si deve fare per arrivarci. Su entrambi i lati ci sono tipiche case giapponesi degli anni 70 e in fondo c’è un piccolo ristorante di ramen che è aperto a qualsiasi ora della notte.
Ci sono venuto la prima volta con Liam qualche annetto fa, perché: “Non sta né in cielo né in terra che tu non abbia mai assaggiato il ramen Harry, in che mondo vivi?” e con quella banalissima scusa, mi aveva trascinato a tutti i costi qui. Il proprietario è un signore di circa sessant’anni e insieme a lui ci lavora suo nipote Zayn, un ragazzo indubbiamente bello e altrettanto simpatico.
«Harry» dice, buttando il fumo fuori dalla bocca con un sorriso gentile «è da un po’ che non ti si vede in giro»
«Lavoro»
«E quanto resti?»
«Più del previsto, sono in vacanza diciamo»
Annuisce, circondandomi le spalle e scostando la tenda fatta di palline in legno scuro e vernice rossa, facendomi entrare in una piccola sala; non più di dieci tavoli per due persone, un lungo bancone bianco e nocciola e una porticina che porta alla cucina, da dove si sente in sottofondo il rumore di pentole e coltelli.
«Sei da solo?»
«Liam non è voluto venire»
«Perfetto, allora siediti qui che tra poco ti porta tutto Winona»
Annuisco, togliendomi il giaccone e sistemandomi meglio la bandana tra i capelli. Invio un veloce messaggio a mia mamma, che oggi non sono riuscito a sentire per via del servizio fotografico e tolgo la suoneria, non avendo voglia di essere cercato da qualcuno.
Non saprei spiegare il perché, ma una volta finito il lavoro, mi piace passare del tempo da solo o con i miei pensieri e preferibilmente, un pacchetto di sigarette da finire.
«Da bere cosa ti porto?»
Alzo gli occhi, subito dopo aver dato uno sguardo alla tazza di ramen fumante davanti a me. È la ragazza della piazza notturna e del Monet.
«Come scusa?»
«Da bere, cosa vuole?»
«Acqua»
Ha i capelli raccolti in una treccia laterale, sulle ciglia una leggera traccia di mascara che serve solo a fargliele risaltare di poco, data la non troppo lunghezza. Ha una maglietta grigia di un gruppo non famoso, dei jeans a sigaretta scuri e le solite converse bianche.
La guardo camminare con passo tranquillo dietro il bancone, cercare nel frigo una bottiglia di vetro colorata e sistemarsi una ciocca dietro l’orecchio, facendomi notare i diversi piercing che ha su quello sinistro. Con aria distratta appoggia un bicchiere e sempre educatamente, mi dice di chiamarla nel caso io abbia bisogno di altro.
La verità è che non ho fame —non so nemmeno perché sono qui.
Di cosa ho bisogno?
Cosa mi manca?

Mi alzo, afferrando il pacchetto di sigarette e esco per fumarne una.
Non fa freddo, c’è la pioggia che non da particolarmente fastidio e non c’à luna, né ci sono le stelle. È una serata neutra, di quelle che non hanno niente di speciale oppure ce l’hanno, ma ancora non si è capito cosa sia.
Zayn mi raggiunge pochi minuti dopo, chiedendomi come stesse andando la mia vita in quegli ultimi mesi che non ci siamo sentiti.
Non siamo amici stretti, non ci chiamiamo tutti i giorni. Liam si è fatto dare il suo numero prima che uscissimo da qui la prima volta, hanno parlato per qualche sera e senza troppe suppliche, Zayn aveva accettato di farci da guida per la città. È stato così gentile da venire all’aeroporto per salutarci.
«Non mi aspettavo aggiungeste del personale»
«Winona è una mia amica, aveva bisogno di soldi e così.. eccola qui»
«Strana»
«Non hai ancora visto niente»
E lo dice con un tono dolce nella voce, che non ha niente di cattivo né sa di frecciatina. Parliamo ancora, questa volta dentro al ristorante davanti a due bottiglie di birra e poi, ad un bicchiere di liquore.
«Sarà meglio che vada, domani devo alzarmi presto»
Zayn si limita ad annuire, mi da una pacca sulla spalla e mi stringe poco dopo in un abbraccio.
«Se per caso hai voglia di farti un giro, chiama»
«A presto »
Fa più freddo di quando ero uscito qualche oretta fa. C’è un leggero vento che mi fa stringere nelle spalle e i palazzi alti, mi impediscono di vedere il cielo scuro che di sicuro, ha poche stelle. Winona sta fumando una sigaretta, con la musica alta nelle cuffie e lo sguardo assente, di una che forse, non è proprio felice di essere ancora in questo mondo. Non riesco a sentire bene la canzone che sta ascoltando, ma dev’essere sicuramente una tranquilla, con un bel ritmo e che ti calma.
Mi imprimo nella mente la scritta che ha sulla mano destra, gli anelli su quella sinistra e il rumore che fanno i braccialetti che si intravedono dal giaccone pesante. I movimenti che fa per accavallare le gambe mi incantano tanto quanto i minuti d’attesa che ha nell’abbassare le palpebre. Poi, quando la sigaretta tocca il pavimento, scuoto la testa girandomi e iniziando ad incamminarmi verso il centro.
Dopotutto sono ancora le quattro del mattino e io sonno, non ne ho.
 


Non so ancora come mai sono finito alle otto e mezzo di sera, a visitare l’acquario. Forse perché Liam ci teneva, o magari, perché è praticamente impossibile rifiutare un invito di Zayn a telefono, quando con tono di uno che non accetta repliche, ti avverte che è già sotto il tuo hotel ad aspettarti.
Sta di fatto, che mi ritrovo a girovagare tra vasche enormi e piene di luci che passano dal chiaro allo scuro, con pesci piuttosto comuni e alcuni strani e particolari.
Intorno a me c’è una famiglia di cui i bambini, hanno il viso contro la parete della vasca con le foche; due ragazzine di circa dieci anni che stanno osservando le stelle marine e a pochi passi di distanza, una guida che sta spiegando in quello che dovrebbe essere tedesco, a un gruppetto formato da una decina di persone rigorosamente di pelle chiara e occhi azzurri come il tipo del Monet, un certo Louis.
Mi guardo attorno, cercando di capire dove possano essere finiti Zayn e Liam, che fino a qualche minuto fa erano dietro di me a parlottare del più e del meno; ragazze, quanto il mondo del lavoro sia stancante, delle feste e anche di quanto casa possa mancare. Sbuffo, accarezzando con il pollice il cinturino in pelle consumato, dell’orologio che ho al polso destro, perché sul sinistro mi dava fastidio.
Cammino per qualche metro, fermandomi in una stanza meno illuminata dove ci sono solamente due vasche; orche e squali. Una panchina di marmo nero al centro e seduta a gambe incrociate, c’è Winona, che ho riconosciuto grazie alla musica troppo alta e alle gambe, questa volta non più accavallate come qualche sera precedente.
«E’ libero questo posto?»
Winona stacca gli occhi da un libro da milioni di caratteri ordinati, mi guarda per alcuni secondi per poi annuire e spostare la borsa e posarla per terra.
C’è silenzio, uno di quelli che ti permette di pensare a tutte le cose negative e a quelle positive anche se son poche.
«Hai visto per caso Zayn?»
«Come scusi?»
«Sono venuto qui con Zayn e mi stavo domandando, dato che vi conoscete, se tu l’avevi visto in giro»
«No, mi spiace» dice, con il tono di una che di dar aria alla bocca non ne ha molta voglia o forse, semplicemente, vuole essere lasciata in pace «ma qui fuori c’è un tabacchino, potrebbe essere li»
«Magari dopo faccio un salto a controllare»
«Come vuole lei, Harry Styles»
«Mi conosci?»
Lei alza gli occhi al cielo, un leggero movimento delle labbra che si tende all’insù.
«Un po’ difficile non notare i cartelloni con le sue foto che tappezzano la città. Insomma, nemmeno io che vivo completamente sulle nuvole, non posso non notarli, non crede?»
«Immagino di no»
Annuisce, portandosi un braccio dietro la schiena stiracchiandosi con movimenti impercettibili per via del maglione grigio estremamente largo e della sciarpa di lana, che le copre un po’ dei capelli biondi che sono raccolti in una coda.
«Tu come mai sei qui?»
«E’ un posto che mi tranquillizza»
«In compagnia di squali e orche assassine?»
Winona non mi guarda, anzi, punta lo sguardo sul fondale marino ricreato nelle vasche e agli animali che si muovono lentamente al loro interno; eseguendo quasi sempre, gli stessi movimenti.
«Li trovo interessanti e poi, non bisogna vedere solo il loro lato cattivo»
Non riesco a seguirla, perché quello che sta dicendo sembra valere altro per lei e cos’è quell’altro?
Mi accorgo che quell’altro non ho il diritto di saperlo, così non cerco di approfondire —dopotutto, chi la conosce? E lei, perché dovrebbe parlarne con uno che ha visto solo su qualche giornale?
«Perché insomma, alla fine il nostro mondo funziona un po’ come il loro ma è tutta questione di abitudine e di sopravvivenza» continua, picchiettando la matita che teneva dietro l’orecchio, sulle ginocchia «solo che le persone tendono a mettere etichette su ogni cosa, decidendo quale sia il giusto e quale lo sbagliato; lo fanno perché seguono la massa e»
Si ferma, lasciando la frase in sospeso.
E cosa?
Non continua, non la conclude e non so perché, ma nella mia mente ho già capito che quella è una delle cose che Zayn ritiene strana di Winona.
«La stanno chiamando»
«Come?»
«Il suo telefono sta squillando»
E’ Liam, un breve messaggio con un po’ troppi smile e segni di punteggiatura inutili.
«Devo andare»
Lei si limita a farmi un cenno con il capo, per poi mettersi l’altro auricolare nelle orecchie e tornare al suo libro.
 
 
 
Mi sono appuntato nella testa di dare ragione a Zayn appena lo rivedo. Winona è strana ma non in quel modo brutto per cui la gente (perché non capisce) ti isola o ti giudica, è strana perché è fatta a modo suo e questa caratteristica, l’ha fatta diventare una delle sue più grandi qualità.
L’ho notato abbastanza in fretta. La prima volta due giorni dopo l’acquario; era seduta sulla solita panchina del parco e fumava lentamente una sigaretta —forse erano Camel Blue, non ci ho fatto particolarmente caso. Stava parlando con Niall Horan, l’hipster dagli occhi chiari e i capelli tinti, mentre aspettavano che gli altri arrivassero. Winona deve essersi accorta della mia presenza perché mi ha fatto un cenno veloce con il capo e poi, come se fossi un passante, è tornata ad ignorarmi. Non mi sono avvicinato né ho provato a scambiare altre parole con lei, così mi sono accomodato nella parte opposta del parco con le cuffie nelle orecchie e il drum a pesare nella tasca del lungo cappotto. L’ho incontrata nuovamente la sera dopo, in uno di quei bar da quattro soldi dove fanno lo sconto sui chupiti; aveva dei pantaloni a vita alta e un top a fiori, ma a coprire le spalle e a nascondere la schiena, c’era una lunga giacca verde scura. Se ne stava seduta al bancone a giocare con gli anelli che aveva tra le dita, lanciando qualche occhiata al telefono per poi sbuffare, accendere una sigaretta e guardarsi attorno. Mi sono avvicinato ordinando un cocktail per entrambi e ho aspettato un po’. Mi ha ringraziato e poi mi ha sorriso, giusto per qualche secondo —il tempo di bearmi di labbra fini e occhi sorridenti, poi però, è arrivato Louis Tomlinson con un’espressione preoccupata sul viso ed è sparita, lasciando il bicchiere ancora mezzo pieno sul bancone e un solo sguardo di scuse, anche se poi, scusa per cosa?
C’è stata anche quella volta al negozio di vinili, dove siamo andati oltre al “Ciao” “Mi spiace per l’altra sera” “Ti offro un caffè, ti va?” e al “Ci si vede in giro, credo”.  Al parco, dove Niall era impegnato a perfezionare un trick, Louis a filmarlo e Zayn si limitava a guardarlo e ripetergli dove aveva sbagliato. Abbiamo parlato del più e del meno, mantenendo sempre una certa distanza e lei, una certa diffidenza, ma non troppa. Ho capito che le piace fumare, non sa andare in giro senza borsa o zaino, il telefono ce l’ha sempre a portata di mano così come l’ipod o gli accendini, anche se a quanto ha detto ridendo, li perde in continuazione. Mi ha fatto intendere che conosce i tre ragazzi da tempo, che a Tokyo ci vive da un po’ di anni —perché si è trasferita con Izumi, che ho visto diverse volte stringere le mani di Zayn e bacargli le labbra.
Winona si è fatta vedere alla mia sfilata tre giorni fa; era nella settima fila con accanto Niall e Louis che commentavano più le modelle che i vestiti, poi un ragazzo dai capelli scuri, un piercing al naso e i tatuaggi che gli uscivano dal colletto della camicia bianca le ha sussurrato qualcosa all’orecchio e lei è andata via, non prima di lanciarmi un altro sguardo che non ho ben capito cosa volesse dire. A fine serata l’ho cercata, ho chiesto informazioni anche ai suoi amici che si erano fermati a sorseggiare un bicchiere di Champagne ma non mi hanno detto molto: “Aveva delle cose da fare” “Come mai ti interessa saperlo?” “Non risponde al telefono, mi spiace Harry. Dovevi dirle qualcosa di urgente?”.
Li ho ringraziati poi sono tornato in hotel, dove mi sono abbandonato ad un lungo bagno per non pensare.
Alla fine, che mi importa?
Chi la conosce?
Perché poi, vorrei vedere qualcuno quando non so nemmeno cosa voglio?

Ma i pensieri che ho formulato, non erano poi così coerenti con la realtà; perché quando l’ho vista accovacciata sulla panchina, con gli occhi di una che oltre ad essersi fumata una canna aveva anche pianto a dirotto, le labbra gonfie con ancora i segni dei denti e le mani a stringere le ginocchia, non ho potuto fare a meno di sedermi accanto a lei e rimanere in silenzio. Non ha detto niente e ho potuto contare i sospiri che si facevano sempre più regolari e le volte in cui il vento le ha mosso i capelli. Le ho offerto una sigaretta, che poi ci siamo smezzati perché il fumo le bruciava la gola e mi ha sorriso, lasciato una stretta sulla spalla e mi ha ringraziato, forse perché non ho chiesto, perché sono sembrato uno di quegli sconosciuti che se ne frega.
L’ho notata il giorno dopo, quando seduto in un tavolino all’aperto del Monet mi ha chiesto, dandomi ancora del lei, se il posto accanto a me fosse libero. Le parole che sono uscite dalle sue labbra sono state 20; una scusa per l’averla vista in quello stato e un pasto gratis nel ristorante di Zayn. Non ho potuto rifiutare e anche se avessi dovuto, sicuramente non l’avrei fatto.
Davanti ad una tazza di ramen, ho scoperto che Winona ha smesso di studiare all’età di sedici anni, ha diversi braccialetti sui polsi tutti per ricordi importanti, le piace leggere ma non parlare più del necessario, le piace ascoltare musica ma non cantarla perché dice che la sua voce non è un granché. Lavora in quel ristorante da non ricorda quanto a differenza dei sei anni di amicizia con Niall, i quattro con Louis e i tre con Zayn. Le piacciono gli animali ma non ne vuole avere nemmeno uno perché: “non so badare a me stessa, figuriamoci lasciare che qualcun altro dipenda da me” nascondendo qualcosa di triste dietro una risata setosa.
Ha buoni gusti musicali, si perde più di quanto sia possibile e ha un piccolo appartamento che condivide con Izumi; non le piace il trucco e si morde spesso le labbra, senza farsi male.
Quando vedrò Zayn, magari mi farò spiegare il perché del suo modo strano di parlare, di osservare le persone che le stanno accanto ma allo stesso tempo, anche il  modo che ha di ignorarle. Gli chiederò le cose indispensabili per il resto, voglio capirla da solo —anche se ci vuole tempo e io, non ne ho molto; dato che sul biglietto che ho in un cassetto della stanza dell’albergo, ha già segnato la data in cui me ne tornerò a casa.
 
 
 
«Te l’ho detto amico, questo drink è una favola!»
Liam ride, con la voce alta vicino alle orecchie mentre il dj cambia canzone, mettendone una ancora più rumorosa che fa scatenare la gente in pista.
Non sono uno che ama le discoteche ma ci vado volentieri delle volte, giusto per vedere un po’ di visi nuove e perché ogni tanto, è bello staccare dal solito mondo fatto di sfilate, modelle e modelli, stilisti e interviste. Zayn ha un braccio attorno alle spalle di Niall e tentano di avere un minimo di conversazione, basata su argomenti poco importanti ed io, mi annoio, perché tra corpi accaldati, menti offuscate dall’alcol e dal fumo passivo c’è poco da fare. Izumi entra dalla porta con un sorriso stampato in viso e si siede sul divanetto, attirando così l’attenzione di Zayn che velocemente, la bacia con dolcezza. Non so nulla della loro storia ma sono carini e non sembrano una di quelle coppie che hanno problemi, anzi, tutto il contrario.
Non chiedo di Winona, perché il mio sguardo cattura la sua figura secondi dopo.
«Ha l’aria di uno che non vorrebbe essere qui»
«Si nota così tanto?» lei annuisce, stringendo la borsa che pesa di poco sulla spalla sinistra «e di te che mi dici?»
«Un posto vale l’altro in sere come queste»
«E che sere sarebbero?»
«Glielo spiego fuori di qui, dove si può fumare, che ne pensa?»
Non avvisiamo gli altri e ci incamminiamo fuori dal Lahnik, che di due persone in meno non se ne fa niente. La musica si sente ancora abbastanza nitidamente, Winona sta aspirando con tutta la calma del mondo mentre io riesco solo a pensare che forse, ne è valsa la pena farmi trascinare fin qui.
«Dicevi delle serate così?»
«Che sono serate in cui non si ha niente da fare, che stare a casa è opprimente e stare in giro non è nulla di eclatante» la voce sporca a causa del fumo «sono quelle serata dove le assenze pesano e le mancanze si sentono»
Mancanza dei ricordi?
Assenza di chi? Di cosa?

«Riesce a capirmi? Insomma, si tratta di quelle sere in cui niente ti appassiona, vuoi qualcosa ma allo stesso tempo non fai assolutamente niente per prendertela, le parole non bastano e i discorsi vanno via perché non sono importanti»
Parla con calma, mentre le macchine sfrecciano accanto a noi perché ci siamo ritrovati nel centro della città; circondati da luci e rumori, persone, insegne luminose e semafori che cambiano colore ogni cinque minuti.
«Mi scusi, sto farneticando e lei sicuramente avrà di meglio da fare che stare ascoltare quello che dico, che non ha nemmeno senso»
«No, continua pure, per favore»
«Non c’è un continuo sinceramente, sono sere che ti portano via ma non ti fanno allontanare e finiscono quando chiudi gli occhi ma non si ha mai sonno, quindi non finiscono»
«E tu cosa vuoi?»
«Come?»
«Vuoi farla finire?»
«Non proprio, io— »
«Perché io non ho sonno e tu sei una buona compagnia»
Winona mi guarda per qualche secondo e poi, chiude un attimo le palpebre.
«Le va un caffè?»
«Solo se mi dai del tu»
«Come preferisci Harry»
Finiamo la sigaretta davanti ad una porta a vetri chiara, dalla quale si sente la melodia di un pianoforte e sulla bacheca in legno si possono leggere i costi e le bevande che vengono servite.
Entriamo sentendo qualche sguardo addosso, poi dopo esserci seduti tutto svanisce e c’è Winona che lascia fuori dal menù solo gli occhi, intenti a leggere riga per riga tutti gli ingredienti mentre io la osservo di nascosto, nello stesso momento in cui il cameriere si avvicina al nostro tavolo interrompendo quella strana atmosfera.
 
 
 
Sono volati altri giorni da quella sera e sembra essere successo tutto così in fretta che ancora stento a crederci.
Gennaio se ne è andato, di Febbraio resta davvero poco e i primi di Marzo son troppo vicini. Le sfilate sono diminuite, i servizi aumentati e ogni tanto, mi fermo a rispondere alle domande insistenti dei paparazzi. Sinceramente? È stancante questo mondo e io sono su quel limite, pronto a cadere se la corda dovesse tendersi ancora per molto.
Winona l’ho rivista di sera in discoteca; gli occhi lucidi per l’effetto dell’alcol e le labbra rosse che sapevano di Vodka e sigarette consumate fino al filtro. Abbiamo ballato canzoni con ritmi diversi, fino a sentire i piedi far male, la pelle farsi più calda, leggermente sudata in alcuni punti della schiena e le mani hanno circondato fianchi e collo. C’è stato un bacio, di quelli fatti di labbra, lingue, morsi, denti. Che lasciano il segno e promesse pronte a fuggire via una volta superate le quattro del mattino. Abbiamo parlato sussurrandoci le risposte nelle orecchie, per coprire la musica assordante; ci siamo mischiati un po’ come faceva il barista con i suoi drink, l’ho sentita ridere di gusto ed era proprio una di quelle sere in cui non ti manca niente, perché hai tutto davanti agli occhi, nei respiri ed incastrato nelle costole. Ho guardato le poche lentiggini che ci sono sulle sue guance, accarezzato i polsi magri a cui mi sono aggrappato e ho registrato nella mia mente la forza della sua presa sulla mia maglietta.
Abbiamo camminato per i marciapiedi bagnati dalla pioggia del pomeriggio, ci siamo seduti sull’asfalto rovinato un po’ come i nostri pensieri e con le ossa infreddolite, abbiamo riso delle stelle irraggiungibili che non rendevano quel cielo così bello quanto gli occhi scuri e impenetrabili di Winona, che con una sigaretta tra le labbra, iniziava a scoprire più carte del dovuto, lasciandomi indietro.
Ho impresso dietro le palpebre la sua immagine, il ricordo di quel nostro incontro così intimo che allo stesso tempo ho odiato —perché non mi sono mai piaciuti i baci dati in discoteca; sono quelli di cui il giorno dopo si avranno ricordi sfocati e l’amaro sulle labbra, di cui pian piano ci si dimenticherà.
 
 
 
«Non so proprio come fai»
«A far cosa?»
«A vivere in quel mondo» dice, tenendo lo sguardo fermo sulle persone che ci passano accanto ignorandoci «pieno di regole da seguire, diete ferree, voli e servizi fotografici di cui non riesci nemmeno a tenere il conto. Non penso ce la farei, se fossi al posto tuo, intendo»
«E’ solo una questione di adattarsi, di farci l’abitudine, poi le cose iniziano a non pesarti più, quasi non le noti»
Winona si stringe le mani secche per via del freddo, per poi guardarmi con gli occhi stanchi e spenti.
«Non pensi che sia triste?»
«A volte»
«Insomma, quando qualcosa diventa abitudine perde tutto il suo valore e poi le abitudini in certi casi diventano quasi delle dipendenze, poi quando non ci sono più si sentono le assenze e da quelle non ci si salva»
«C’è a chi va bene così»
«E a te?»
«Io non so bene cosa mi vada bene e cosa no o per lo meno, non in questo periodo»
Mi guarda come a dirmi: ho capito ma tu comunque spiegati meglio. Mi guarda e io vorrei dirle così tante cose, anche le più banali: partire con il ‘mi piace il giallo’ e finire con lo spiegare che esprimere i miei sentimenti non è facile, che non so cosa succederà quando me ne andrò né quanto il nostro vederci tutti i giorni ci faccia bene. Vorrei dirle che non voglio che lei diventi un’abitudine, tantomeno una dipendenza e che se penso alla sua assenza quando tutto questo finirà, mi tremano i polsi.
«Non bisogna sempre avere le parole per tutto»
«Tu sembri averle»
«Tutta apparenza, fidati. Mi piacciono i discorsi particolari, quelli dove ci si parla senza aver paura che la gente ti consideri pazza o fuori dal normale per le cose che stai dicendo. Ciò non vuol dire che io sappia sempre cosa dire»
«Spiegare le cose a qualcuno che non fa il mio stesso lavoro è parecchio difficile» spiego, gesticolando con le mani per la leggera tensione «ma è complicato parlarne anche con miei colleghi»
«Che cosa non capisci maggiormente in questo momento?»
«Quello che voglio nel mio futuro. È vero, ho ventitre anni, una vita che mi piace e persone che mi vogliono bene ma questa fama non durerà per sempre e io ci sono così dentro che delle volte, il solo pensare al domani, mi fa mancare l’aria»
«Sei una bella persona Harry, solo— non farti rovinare, okay?»
 
 
 
Le camere d’albergo sono belle solo in apparenza.
In quasi otto anni di lavoro ne ho viste così tante da averne perse il conto; non mi ricordo la carta da parati, il colore delle tende o il tessuto delle lenzuola ma le sensazioni che provo sono sempre le stesse —solitudine, malinconia, tristezza. Non cambiano mai, sono sempre li a ricordarmi che non importa in quanti giornali si veda la mia faccia, se la gente mi riconosce per strada o a quante sfilate abbia partecipato; fondamentalmente sono solo e ogni giorno viaggio con questa consapevolezza ad opprimermi.
La stanza 15 dell’ Aiushi Hotel non è molto diversa dalle altre. Un bagno con piastrelle scure, lenzuola chiare e copriletto marrone quasi tendente al nero; c’è una finestra che ti permette di vedere il centro di Tokyo e tutte le sue luci, un tavolo , un armadio inutile dato che le valigie sono ancora sotto il letto e un divanetto in pelle dove c’è appoggiato il mio giaccone. L’unica cosa a distinguere questa camera dalle tante altre, è la presenza di Winona, che seduta sul balcone fuma in silenzio lasciandosi guardare dal panorama notturno della città e da me, anche se non ho ancora capito quale dei due sguardi le faccia più piacere.
 
 
 
Liam lo vedo poco ultimamente. Sarà per gli impegni che ha con dei vecchi contatti nel campo della moda, per le continue uscite in discoteca la sera con Zayn e Louis o forse, per la pizza gratis nel ristorante del padre di Niall, sta di fatto che è diventato un’ombra e anche se adesso è accanto a me per ascoltarmi, mi sembra difficile fargli capire che non voglio dei consigli da persona matura, voglio solo qualche parola di conforto che mi assicuri che non sto facendo la stronzata più grande della mia vita.
«Ti piace davvero?»
«Sfortunatamente»
«Cazzo» sussurra, passandosi una mano tra i capelli e poi sulla poca barba che si nota sulla mascella «com’è successo tutto questo? Nel senso —cristo Harry!, quasi tre settimane fa non la conoscevi nemmeno e adesso ti ritrovi qui con mille complessi nella testa e milioni di sentimenti pronti a fotterti alla grande»
«Pensi che non lo sappia?»
«No, certo che no, ma avresti dovuto stare più attento»
«Certe cose accadono Li, ti ci ritrovi dentro senza nemmeno accorgertene»
«Lo so ma finirà male»
Sbuffo il fumo fuori dalle labbra, puntando un velocissimo sguardo alla porta del Monet che si è appena chiusa facendo suonare per diversi secondi la campanella appesa all’angolo.
«Non saprei dirti se è iniziato tutto dalla prima sera che sono arrivato qui. Quando l’ho intravista nel parco, magari nemmeno perché andiamo, non mi sarei ricordato il suo viso nemmeno a pagare oro. Magari al ristorante di Zayn, o la prima volta che son venuto qui e lei stava parlando con Louis oppure proprio all’acquario. Se mi ha incuriosito il suo continuo parlare in modo formale, i suoi discorsi —perché Li, te lo giuro, quella ragazza è capace di coinvolgerti anche solo parlando del perché la cioccolata va bevuta senza la panna e se proprio la si vuole mettere, allora sopra bisogna aggiungere la cannella e non il cacao»
«Se rimangono solo conversazioni non è così male»
«Certo, ma se le parole poi vengono sostituite con i baci mi sa che qualcosa non va»
«No, direi che non va proprio» dice, sospirando ancora e prendendosi il giusto tempo per pensare ad una risposta appropriata «vi vedete spesso?»
«Abbastanza da conoscere le cose più banali a quelle che in pochi notano»
«Finirà male»
«Lo so»
«E tu non hai intenzione di prendere le distanze vero?»
«Mi conosci»
«Per mia sfortuna»
 
 
 
«Vorrei che tu venissi con me ad una festa»
«Circondata da modelle e gente che solitamente si vede in giro per strada perché è sempre dietro i riflettori?»
Blocco il movimento della mia mano tra i suoi capelli, mentre lei schiude le labbra aumentando la mia voglia di baciarla.
«Più o meno»
«Non centrerei niente con quella gente Harry»
«Ma io ci tengo che tu ci sia»
Winona sposta leggermente la testa, permettendo ai nostri sguardi di incontrarsi.
«Potrei aspettarti fuori dall’hotel o chiamarti alla fine della festa»
«Per favore» dico, tracciando il contorno del suo viso «sarà una cosa davvero veloce, giusto il tempo di salutare alcuni vecchi amici e poi ce ne andiamo subito»
«Perché devo venire?»
«Voglio che, anche se per poco, tu faccia parte del mio mondo a pieno, non solo per metà»
La guardo trattenere il respiro per qualche secondo, mentre si fa leva sulle braccia per sporgersi il più possibile verso di me. Le sue mani fredde si fermano sul mio collo, per poi passare ad accarezzare lentamente l’attaccatura dei miei capelli.
Non aspetta che io faccia la prima mossa, non mi da nemmeno il tempo di realizzare che sta per baciarmi perché le sue labbra sono contro le mie, bramose di un contatto in più. Si cercano come molte altre volte, nascondendo promesse e pensieri. Perché entrambi sappiamo che stiamo sbagliando, che il tempo che passiamo a conoscerci, a consumarci e a marchiarci la pelle non farà altro che provocarci dolore —ma che importa?, non può essere sbagliato se il corpo esile di Winona è premuto contro il mio e se i suoi occhi lucidi mi sorridono.
«A che ora quindi?»
«Dieci o giù di li» le bacio il collo, il suo respiro aumenta «grazie, per aver accettato»
«Ora baciami»
E le nostre bocche sono nuovamente unite a trattenere discorsi che teniamo all’oscuro, così come le mani che hanno iniziato a togliere i vestiti di troppo.
 
 
 
La sala è piena di gente. C’è chi sorseggia Champagne nei bicchieri di cristallo, chi stretto nel proprio vestito costoso chiacchiera di lavoro, della famiglia distante e della crisi che c’è nel mondo.
Winona, che per l’occasione ha abbandonato la comodità dei jeans e delle scarpe basse, stringe maggiormente la presa della mia mano —una silenziosa richiesta di stare qui il meno possibile. Le bacio la tempia, cercando di non farle pesare alcuni sguardi che ha addosso mentre il sorriso di Nick Grimshaw ci da il benvenuto a casa sua.
«E tu devi essere la più che bella Winona» afferma, abbracciandola un po’ troppo stretta da farla gelare sul posto «perdonami ma Harry mi ha parlato così tanto di te che mi sembra di conoscerti già così tanto»
«Nick»
«Che c’è? Non ho detto niente di male e sicuramente, andremo d’accordo io e la signorina»
«Sicuramente»
«O mi sbaglio?» dice divertito, inclinando leggermente la testa di lato per poi sorriderle.
Winona annuisce, inclina il bicchiere verso di lui per poi portarselo alle labbra. Vorrebbe evadere; lo capisco dalle spalle tese, le mani che tremano leggermente e dagli occhi parecchio truccati ma non abbastanza da nascondermi ciò che le passa nella testa.
«Non avrei mai pensato che ti saresti trovato una ragazza stabile, sai?» Nick continua, mantenendo sempre il tono neutro che ha con tutti «insomma, non sei uno da legami»
«Ogni tanto è giusto cambiare le proprie idee»
«Assolutamente»
«E stavo aspettando qualcuno con cui star bene —non sono il ragazzo da avventura di una notte»
Con la coda dell’ occhio posso vedere Winona cercare di calmare il respiro, così come le sue mani impegnate a stringere la bora nera al posto delle mie.
«Gli anni passano»
«Sotto sotto si rimane sempre gli stessi»
«Non nel mio caso»
«Ma che sciocco! Ti sto facendo parlare troppo quando non è la tua voce che voglio sentire» attirando l’attenzione di Winona «non la pensi come me, cara?»
«E’ la serata di Harry, io sono qui solo per fargli un piacere»
«Oh questo lo so benissimo ma toglimi una curiosità, come fa a non darti fastidio la sua vita movimentata? Siete l’una l’opposto dell’altro»
«Non mi pesa il suo lavoro; a lui piace e a me va bene così»
«Anche la distanza? I viaggi o magari i servizi un po’ spinti?»
«Noi non —»
«Non mi sono ancora mosso da qui Nick»
«Giusto giusto, non sono affari miei comunque» so già che con quelle parole non ha nessuna intenzione di scusarsi anzi, è un invito a prestare attenzione, un avvertimento che tra poco andrà oltre. Una specie di test che non toccherebbe a lui fare «sono fin troppo curioso e delle volte non mi accorgo di quante stronzate io dica»
«Figurati, non c’è nessun problema»
«Anche gentile te la sei trovata amico! Da tenere stretta»
«La mia intenzione è quella di non lasciarla andare, già»
«Donna fortunata insomma, a differenza di molte altre prima»
Porto la mia mano a stringere il fianco di Winona, mentre Nick non la smette di tirare frecciatine che stanno portando a falla argomenti che nessuno dei due aveva ancora trovato la forza di aprire. Frecciatine che mi fanno sentire un completo idiota per averla portata qui e solo quando la voce di Winona mi arriva alle orecchie, la rabbia mi annebbia il cervello. La guardo dirigersi verso il bagno mentre l’uomo accanto a me prede un altro bicchiere dal vassoio di un cameriere distratto.
«Si può sapere che cazzo era quello?»
«Non capisco a cosa tu ti riferisca»
«Certo che lo sai Nick, altrimenti non avresti fatto tutta quella commedia»
«E’ per il tuo bene»
«Sono in grado di fare scelte da solo»
Ride, appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Non capisci Harry? Ti stai cacciando in qualcosa che non conosci, io ci sono già passato e voglio evitarti lo schifo che viene dopo, la merda che ci sarà quando quello che c’è tra voi due finirà»
«Non spetta a te farlo»
«Lo so» afferma, senza il minimo segno di scuse nella voce – e se non fosse per il fatto che è un mio amico e che ci sono troppe persone pronte a spettegolare di ogni nostro gesto, gli avrei già tirato un pugno «ma è meglio così per te. Non è il suo posto questo e non si può sempre condividere tutto con qualcuno Harry, non quando c’è l’abisso a dimostravi quanto siete diversi»
«Tu non capisci»
«Ti sbagli» ascolto la pausa che fa, così come osservo i suoi occhi soffermarsi su un qualcosa di indefinito alle mie spalle prima di riprendere il discorso «un giorno mi ringrazierai»
Mi passo una mano sul viso stanco e senza nemmeno salutare, mi allontano il più possibile da Nick incamminandomi verso il guardaroba.
Winona non risponde alle mie chiamate, in bagno non c’è e tra gli ospiti, non vedo i suoi lineamenti semplici. L’aria fredda di mezzanotte mi fa rabbrividire e in quel momento poca importa dei paparazzi appostati ai lati del palazzo in cerca di qualche scoop, di Nick, dei mille volti che fino a pochi secondi fa criticavano ogni mio gesto, l’unica cosa che mi importa è raggiungere Winona, che se ne sta seduta sul marciapiede con il mento appoggiato sulle mani che tengono una sigaretta e l’accendino quasi consumato.
«Volevo andarmene a casa» mi faccio leggermente più vicino mentre lei continua a non guardarmi «ma mi son resa conto che non ho la più pallida idea di dove siamo quindi ho preferito restare qui ed aspettarti»
«Vuoi che ti porti a casa?»
«E’ questo il problema Harry. Io non— so quello che voglio, davvero. Ho sempre saputo come doveva andare il mio futuro, quando essere davvero indipendente e quando magari, trovare qualcuno con cui passare bei momenti» fa un tiro profondo chiudendo le palpebre, deve aver sicuramente pianto «e mi va bene se quella persona sei tu, davvero, però io non centro niente con quelle persone e forse ha ragione Nick, dovresti stare con qualcuno che ti capisce, che non ha problemi con la gelosia ogni tanto e che le assenze non la terrorizzano»
«Nick è un coglione e io non voglio qualcun’altra»
«Sembriamo alquanto patetici»
«Forse lo siamo»
Mi sorride, abbassando poi lo sguardo sulla sigaretta quasi finita.
«Ero così fuori luogo in mezzo a loro mentre tu, tu sei così dannatamente giusto in questo smoking mentre ridi e scherzi con persone che nemmeno ti conoscono a pieno mentre io mi trovo a mio agio nella quotidianità di sempre; nel ristorante di ramen con i soliti clienti, nel parco a fare grigliate con Louis o alle prove di skate di Niall. Questa sono io, che passa del tempo da sola ma che allo stesso tempo ha bisogno di qualcuno anche se non lo ammette, che condivido un appartamento con Izumi e tiro battutine riguardo la sua relazione con Zayn e poi sto bene anche con te, per quanto questo mi risulti improbabile e difficile»
«Dovresti fregartene di quello che pensa la gente»
«Non ci riesco, non è da me»
E cos’è da te?
Perché ho imparato a conoscerti e mi piace quello che mostri e quello che nascondi, mi piace ancora di più la tua aria distratta mentre cammini con le cuffie ad alto volume e la sigaretta tra le labbra. Mi piace come parli, i tuoi ragionamenti contorti, la tua risata dopo un orgasmo e le tue mani sul mio corpo.
La continua voglia di nasconderti, il tuo passato di cui so davvero poco; quanti altri ti hanno stretta? A chi hai detto ti amo? Per me cosa provi?
Perché ad essere spaventati siamo in due, ma ce la caveremo.
«A me vai bene così»
«Si ma potresti stancarti un giorno e io non ho più testa per lasciarmi andare ancora in un rapporto che finirà male»
«Non deve per forza essere così»
«Tra cinque giorni te ne andrai Harry, che ci piaccia o no le cose stanno così»
«Possiamo farla funzionare ma solo se lo vuoi tu»
Sento le sue dita fredde accarezzarmi le guance e le labbra rosse leggermente schiuse, son così vicine alle mie da rendermi difficile dire qualcosa di sensato.
Guardo tutte le emozioni che le attraversano gli occhi, l’incertezza nel fare il primo passo e quella sensazione di stringerla aumenta, nello stesso istante in cui catturo le sue labbra in un bacio lento, che ha solo voglia di rassicurare —come a dire; da qui non me ne vado, nemmeno se sei tu a cacciarmi via.
 
 
 
Da due giorni nelle nostre teste è iniziato una specie di countdown. Un orologio che picchietta le ore che ci restano, i minuti e si, certo, anche i giorni, ma rimangono comunque troppo pochi.
Winona è distesa accanto a me; il profilo della schiena nuda che viene evidenziato dalla luce del lampione fuori dalla finestra. È una di quelle sere, come direbbe lei, dove i ricordi si imprimono nella memoria, così come gli odori, i gesti, gli sguardi. Lei, in queste sere, semplicemente si fa sentire di più, abituandomi alla sua presenza senza lasciarmi modo di pensare a come mi peserà la sua assenza quando salirò sull’aereo diretto a Los Angeles.
«So che non stai dormendo» la vedo alzare gli occhi al soffitto per poi respirare più forte. «cosa c’è che non va?»
«E’ che non è mai la sera giusta»
Appoggio la testa sulla mano, continuando a guardarla mentre tra di noi si crea quel silenzio che non ha nulla di butto né di bello. È semplicemente un silenzio che lascia il giusto spazio ai pensieri di cui non si sa che cosa farne.
«Per cosa?»
«Per lasciarti andare Harry»
Resto immobile mentre lei si copre con la mia felpa che dalla foga di qualche ora fa, era finita per terra insieme ad altri indumenti. Mi accendo una sigaretta osservando fuori dalla finestra quanto Tokyo sappia essere affascinante e allo stesso modo triste, malinconica così come Winona, che si fa sempre più distante mentre Aprile è vicino.
 
 
 
«Sono sicura che ti divertirai molto. Sai; spiaggie infinite, negozi a destra e sinistra, sole, mare, surf, servizi fotografici per non parlare di te e Liam in giro nei pub di notte—»
«Ti porterei con me»
«Devo lavorare»
«Zayn ti darebbe le ferie più che volentieri»
«Lo so ma i soldi mi servono Harry, ne abbiamo già parlato» dice spostando la sua testa dal mio petto «e adesso ci conviene alzarci o faremo tardi per la cena e Niall ci ammazza davvero questa volta»
«Potremmo anche starcene qui, da soli»
«In un altro momento accetterei volentieri questa fantastica proposta ma è il tuo quasi ultimo giorno qui e anche gli altri vorrebbero vederti»
«Puoi sempre rapirmi»
«Lo faccio fin troppo spesso ultimamente»
Ridacchio, prima di coprirmi la faccia con il cuscino infastidito dai raggi del sole mentre in lontananza sento il getto della doccia e l’invito silenzioso di Winona a seguirla.

 
 
«Ci vediamo quando torno?»
«Sarò qui ad aspettarti»
«Allora vado. Stanno chiamando il mio volo»
«Si, certo, buon viaggio Harry»
 
 
 
Strana è la cognizione che si ha del tempo. Quando non avevo nessuno da cui tornare, le settimane anche se tante, passavano in fretta a causa del lavoro adesso invece, è tutto più pesante.
Los Angeles è passata troppo lenta e le due settimane a Tokyo da Winona sono volate. E stiamo ancora durando, ma per quanto?
Perché Londra passa, Maggio è andato, Giugno l’abbiamo passato in Italia a visitare Milano, Venezia, Roma e poi le spiaggie della Sicilia. C’è stato Luglio e Agosto in cui le nostre conversazioni erano piene di pause di ore, servizi fotografici che interrompevano le chiamate e sfilate che ci impedivano di parlare ma ci permettevano di litigare.
E nelle valigie che continuo a fare e a disfare, ci sono i  mi manchi, seguiti dai torna presto, sono stanca e dove sei?
Ci sono le cartoline che non ho avuto ancora il tempo di spedirle perché regali non ne vuole, pagine di diario che avrei voluto lasciarle sulla scrivania della sua piccola camera, mentre ancora dormiva perché i saluti negli aeroporti sono molto più dolorosi di quelli lasciati tra le lenzuola e nei baci.
Così come strano è il tempo che ci vuole per capire che le cose sono più facili da distruggere che da sistemare.
 
 
 
Arriva, troppo in fretta, Settembre e Winona si stringe nella camicia rossa che ho lasciato di proposito in uno dei suoi cassetti.
La guardo mentre mi parla del più e del meno, leccandosi il labbro superiore privo di rossetto. Mi stringe la mano e ridacchio quando aumenta il passo per cercare di lasciarmi indietro.
«Mi son perso molte cose?»
«Non proprio» dice, mantenendo sempre un sorriso timido sulle labbra «Louis è il solito, forse meno casinista dato che si sta sentendo con una ragazza molto casa e chiesa diciamo»
«Non ce lo vedo proprio»
«Non sei l’unico» ride ed io probabilmente la sto fissando come un coglione, ma va bene così, no? «Niall è migliorato molto con lo skate ma continua a farsi aiutare durante le prove, ha bisogno di essere spronato e poi, la sua birra serale non manca mai. Izumi e Zayn sono sempre molto affiatati e credo vogliano comprare casa insieme»
«Davvero?»
Annuisce, restando facendo passare interi minuti in silenzio.
«Che c’è che non va?»
«Niente, tu sei qui e passeremo del tempo insieme, cosa dovrebbe non andare?»
«Winona»
«Te l’ho detto, sto bene»
«Smettila di dire cazzate»
«Harry»
«Cosa?»
«Perché dobbiamo rovinarci il nostro tempo per dei miei pensieri stupidi?»
Ci sediamo su una panchina abbastanza isolata; appoggia la testa sulla mia spalla e sospira, guardandosi le unghie per niente curate.
«I tuoi pensieri non sono affatto stupidi e non ci rovineremo per niente il tempo che abbiamo però mi importa davvero di te e quindi mi interessa anche quello che ti preoccupa»
«Sembro così egoista a fare questi ragionamenti Harry e io non sono così —è difficile» si passa una mano tra i capelli, per poi cercare nella borsa il pacchetto di sigarette rovinato su tutti i lati «è che vedo tutti andare avanti con la loro vita mentre io mi sento così indietro e poi Izumi che si trasferirà e sinceramente non voglio capisci? Poi mi sentirei così sola in quelle mura e sentirei di più la tua assenza quando non ci sei per tanto tempo»
Le accarezzo piano i capelli, facendo scorrere tra le dita alcune ciocche che non sono più bionde ma stanno tornando al castano naturale. Lei batte nervosamente il piede sull’asfalto del marciapiede, prendendo respiri e aspirando il fumo.
«Perché so che non è facile per te così come non lo è per me, ma so anche che il tuo lavoro ti piace e io non ti voglio privare di niente, davvero ma a volte tutto questo mi pesa?» so a cosa si riferisce, so quanto i giornali hanno ingrandito la nostra relazione e le foto in copertina l’hanno fatta sentire inadeguata ma ha superato anche le sue insicurezze, per me «solo che la casa con Izumi attorno è tutta un’altra cosa; mi impedisce di diventare triste, si subisce Criminal Minds il martedì sera quando so che i telefilm del genere non la fanno impazzire e quando non riesco a prendere sonno, mi regala sempre un abbraccio e non so se mi spiego, ma è sempre così protettiva con me, lo è sempre stata e se va via, io sarò li da sola e—»
«Non è vero che sarai da sola»
«E’ che i cambiamenti ogni tanto sanno farmi mancare l’aria»
«Mi spiace»
«Per cosa di preciso?»
«Perché ti sto trascinando in questa relazione che non ha né capo né coda»
«Le cose si fanno sempre in due»
«E con ciò?»
«Ti sto dicendo che non c’è nulla per cui tu debba scusarti e che mi va bene così va bene? Ti amo e amo anche la nostra relazione, così come è»
Ti amo.
Va bene così.
Ti amo.

E le credo, perché è la prima volta che me lo dice e non poteva trovare momento migliore. Non nella sua camera da letto, dopo un messaggio dolce o un bacio prima che l’aereo parta. L’ha fatto con una naturalezza che un po’ fa paura e che mi impedisce di sentirmi in imbarazzo mentre la gente ci passa accanto.
Le prendo il viso tra le mani e la bacio, perché di parole non ne ho più e ogni cosa sembrerebbe stupida al momento.
«Questo per che cos’era?» sorride.
«Anche io»
La stringo un po’ più forte, mentre l’odore familiare della sua pelle mi ricorda quanto dentro io sia in questa situazione. E mi fa tremare perché quando si è così coinvolti, difficilmente si trova una via per uscirne (intatti).
 
 
 
Con la mano traccio i lineamenti del reggiseno grigio di Winona, mentre lei ride per una battuta pessima che ho detto qualche secondo fa.
«Mi piace stare con te»
Lei alza un sopracciglio, appoggiando la mano sul mio petto e mantenendo lo sguardo con il mio.
«Quando sono con te tutto il resto del mondo non mi pesa e so che sembro lo sdolcinato per eccellenza ma sai farmi sentire me stesso, senza targhe come modello, volto di riviste famose— solo Harry»
Sento le sue labbra posarsi sulla mia guancia, sorrido.
Scendono sulla mandibola, ne tracciano il contorno; sul collo, rabbrividisco.
Le sue mani si posano sulla farfalla tatuata, mentre lei continua il suo percorso dalle spalle alle rondini, lasciando diversi baci e morsi.
Passo le dita sul gancio del reggiseno per slacciarglielo, mentre lei si preme maggiormente contro di me, nascondendo il volto contro il mio petto. Le bacio le labbra, mentre con uno scatto veloce la sovrasto.
Ed è strano come legarsi a qualcuno possa essere così forte, come ogni minima emozione riesca ad essere condivisa da entrambe le persone nello stesso momento. La sento tremare leggermente, mentre un gemito mi sfugge dalle labbra.
Sono a corto di fiato e lo sfregare delle nostre pelli bollenti sembra marchiarmi con forza ma allo stesso tempo con dolcezza, come le sue mani, adesso intrecciate alle mie poco più sopra della sua testa. E mentre le strette si fanno più solide, i punti arrossati della pelle diventano più visibili, le schiene e le fronti leggermente sudate, non c’è niente di più giusto.
Ci sdraiamo sul letto ancora con il fiatone e il respiro irregolare, mentre la televisione continua a mandare in onda uno stupido telefilm americano e pomeriggi del genere, quando a farmi compagnia c’è solamente lei e di tutto il resto mi dimentico, non sono facili da dimenticare —perché è così facile lasciarsi andare.
Facile lasciarmi andare in lei, per lei, che sembra tranquilla quando in realtà è solo fragile.
Perché Winona è in grado di trattarmi da amico nelle giuste situazioni, sa essere la spalla su cui sfogarsi quando le cose non vanno e l’amante perfetta, quella a cui si è sicuri di poter donare il cuore perché non rimarrà sull’asfalto pronto ad essere investito da qualche macchina.
 
 
 
Ottobre finisce ancora prima che io me ne accorga e Novembre passa veloce così come è arrivato.
Le sfilate aumentano e dal lavoro, è difficile prendere pause che mi permettano di arrivare fino a Tokyo e stare per qualche giorno.
Winona la sera è più stanca del solito, dato che oltre il lavoro al ristorante di Zayn, aiuta anche Izumi a finire di impacchettare gli ultimi scatoloni contenenti le sue cose prima del trasloco e il pomeriggio, da una mano a Niall a preparare la sua tesina. Abbiamo diminuito i messaggi, le chiamate e delle volte, lo strano pensiero di quello che siamo, sempre se siamo ancora qualcosa, mi rimane in testa per  così tanto tempo che quasi mi convinco che sia davvero così; uno stupido sogno che si mischia alla realtà.
Poi però c’è la sua voce, le foto, i ricordi, le conversazioni e mi dico che ce la possiamo fare, che basta solo tener duro ancora per un po’, che tutto andrà bene —ma lo dico per convincere me stesso e lei o perché ci credo davvero?
 
 
 
«Ti vorrei qui»
«Lo so e prometto che—»
«Harry non dire o promettermi cose che al momento non puoi mantenere» la sento sospirare, mentre io tra le mura della stanza bianca di questo stupido hotel di Chicago, mi sento la nausea.
Perché che ci importa di quello che gli altri pensano di noi?
Niente, assolutamente niente.
Però che succede quando le nostre parole non bastano più?
«Capisco che tu sei impegnato con il lavoro, che questi mesi sono stressanti davvero, ce la metto tutta per non fartela pesare però ci sono quelle sere, te le ricordi?» annuisco, cercando di mantenere il respiro regolare «ecco, questa è una di quelle sere e la cosa peggiore è che mi manchi, che ti ho ma non sei qui»
«Per quello che vale, ti amo»
«Ce la faremo, basta sopportare ancora un po’ vero?»
Si
(ancora)
un po’.
«Appena posso prenoto il primo aereo»
La immagino sorridere dall’altro lato del mondo, con gli occhi stanchi guarda fuori dalla finestra mentre la sigaretta le si consuma tra le dita.
 
 
 
Se c’è una cosa che ho capito di Winona, è che sa adattarsi alle situazioni meglio di quanto faccia io.
L’ho scoperto quando atterrato all’aeroporto, tre giorni fa, me la sono trovata davanti agli occhi; con un sorriso timido e una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mi ha guardato in silenzio fin quando le mie mani non le hanno stretto i fianchi, le mie labbra hanno cercato le sue e la sensazione di casa, dolcezza, amore ci ha fatti rabbrividire.
Non le ho chiesto il perché fosse li, nonostante sappia alla perfezione che non le piacciono gli addii e gli arrivi le fanno mancare un po’ il respiro —in particolare quando si tratta di me, che sa già dovrò riandarmene. Non le ho chiesto niente, se non come stesse, le novità e le ho ribadito che mi era mancata; mancata in quel modo che è difficile da spiegare, perché non si può realmente spiegare a qualcuno il vuoto che si prova in ogni parte del corpo per la paura di perdere tutto. Ed io non voglio che il nostro rapporto svanisca tra camere di alberghi sconosciuti in cui sono costretto a stare e nel suo appartamento, entrambi troppo lontani.
«Pensieroso stasera?»
Izumi prende posto accanto a me, lanciando un’ultima occhiata a Zayn che sta uscendo a fumare per raggiungere Niall e Winona.
«Giusto un po’, sai è abbastanza difficile non pensare»
«Credo di immaginare a cosa tu ti riferisci»
«Davvero? Perché io al momento ho la guerra nel mio cervello e non so come venirne fuori»
Izumi sorride e sistema con aria distratta i capelli, tenendo con quella sinistra il bicchiere con dentro il suo drink.
«Sai, tu e Winona state vivendo il fantastico cliché, quello che fa venire un po’ la nausea tanto è surreale anche se alla fine i modelli hanno molta più privacy rispetto a cantanti e attori, ci sta insomma, no?» annuisco, cercando di capire quale sia il punto del suo discorso «e fidati, la conosco come i palmi delle mie mani quella ragazza e posso dirti che è fondamentalmente semplice anche se all’apparenza può sembrarti complicata —ma credo tu te ne sia accorto. Mi stai simpatico e voglio dirti queste cose perché non voglio vedere te star male ma soprattutto, non voglio trovare Winona con un’altra ferita da cicatrizzare da sola»
«Niente discorsi da ‘se la fai soffrire ti spezzo le gambe’ vero?»
«Affatto, quelli te li avranno già fatti Louis e gli altri»
Ridiamo, perché è successo davvero ed è stata una di quelle scene piuttosto divertenti.
«Mi piacete insieme, funzionate —e non è una cosa che si trova spesso in tutte le coppie; perché va bene stare insieme perché ci si ama, va bene stare insieme perché è bello, ma funzionare in una situazione come la vostra è difficile eppure voi ce la fate e la vedo che è felice, perché sai come prenderla e farla sentire sicura» dice, con un tono di voce amichevole «ma Winona non è forte come credi, si sgretola in fretta e io non voglio vederla triste, perché mi si spezzerebbe il cuore»
«Io non—»
«Lo so Harry, lo capisco davvero; tu vedi me e Zayn come una coppia felice ma per diventare così ci siamo dovuti tirare su le corazze per proteggerci dagli altri e anche da noi stessi, riesci a capire quello che voglio dirti?»
«Suppongo di si»
«Perdonami, sto facendo enormi giri di parole per dirti alla fine una cosa semplice e magari anche sciocca, ma voglio davvero che voi due ce la facciate, perché vi trovo adatti l’uno per l’altra —lei non è una che si stanca, affatto, però il suo danno è pensare, soprattutto quando tu sei in viaggio. Winona pensa così tanto che si rovina da sola e potrebbe mandare tutto a puttane perché si convince che sia meglio per te, mi segui? Quindi ti chiedo solo una piccola cosa: non fare in modo che questo accada perché non la vedevo così da anni e son poche le persone con cui lei non si sente inadeguata»
La guardo per qualche istante; indeciso se prometterle che non succederà niente di male o ringraziarla.
«E un’altra cosa; tienitela stretta» sorride «perché persone così accadono —non si ha la fortuna di incontrarle sempre e se si perdono, poi si rimpiangono. Non ti sto dicendo che la capirai sempre o che ti parlerà ogni volta apertamente di quello che le passa per la testa o quello che le fai provare, perché fidati, con difficoltà riesce a parlarmi di te senza balbettare o guardarsi i piedi ma.. uhm.. ci tiene davvero a te Harry e questa cosa la terrorizza per questo ti sto dicendo di non so, rafforzare i fili?, costruire insieme una bolla di vetro dove star bene?, solo non perderla come uno di quei bagagli caricato su un aereo sbagliato e che non troverai più»
«Non accadrà» la stringo in un abbraccio «e Izumi, grazie»
«Dovere»
E prima ancora di poter dire altro, Zayn la sta baciando e il mio sguardo si posa su Winona, che con il naso rosso per via del freddo notturno e le mani gelide strette alle mie, è in grado di far tacere la confusione che regnava nella mia testa fino a pochi secondi prima.
 
 
 
«Zayn mi dà un po’ di gironi di pausa, potrei raggiungerti a Londra sempre se non vuoi passare del tempo con la tua famiglia»
«Mi sembra perfetto e sono sicuro che anche i miei non vedono l’ora di conoscerti; soprattutto mia madre e Gemma»
«Sicuro?»
«Corri a prenotare il volo, ci sentiamo dopo amore»
 
 
 
«Cosa c’è che non va?»
«Nulla, perché?»
«Solo perché non sono li con te non significa che non sappia riconoscere quando menti»
«Ho sbagliato a chiamarti, scusa»
«Winona, aspetta—»
«A domani»
tuu-tutu-tuu-tutu-tuu.
 
 
 
«Stavo pensando al nostro primo incontro sai? Non avrei mai pensato di riuscire ad arrivare fin dove siamo adesso»
«Nemmeno io, anche perché non sono una che ama le relazioni a distanza»
«Eppure sei qui»
«Già» dice, sospirando alla cornetta e rimarcando il fatto che si è appena accesa l’ennesima sigaretta «quando arrivi?»
«Tra due ore ho il volo»
«Allora chiamo Niall e Izumi che non ne sono sicura, ma suppongo ti stiano organizzando qualcosa»
«Niente festa a sorpresa per favore»
«In quel caso sei libero di evadere quando vuoi»
«E lei signorina, verrebbe con me?»
«E’ fortunato, non ho altri impegni per la serata»
Ridacchio, mentre cerco i filtri e le Smoking brown. La sveglia segna le 3AM e il suo respiro regolare  mi fa capire che si è appena addormentata.
 
 
 
Quando la distanza ci divide, tutto pesa di più. Winona mi parla delle sue giornate, mi racconta dei suoi amici, di lei, mi chiede come sto e se sono stanco. Evita di mettere in mezzo le frasi smielate, sai come è, a voce fanno un po’ paura e di persona non si può far altro che tremare.
Un po’ la capisco, perché non è facile sopportare determinate foto o la pesantezza di certi servizi e so a memoria il modo in cui cambia la sua voce quando: “stareste bene insieme”, “che cosa ci fai con me Harry?” e i “ti amo anche io” per poi concludere con “non m’ importa,  basta che resti” “notte”.
La conosco, perché mi ha dato l’opportunità di scoprirla e so distinguere le sue mani dalle altre, quando non vorrebbe stare con gli altri e quando quelle sere, che lei nemmeno sopporta, si presentano.
Lo so perché me l’ha detto una sera, quando forse aveva accettato un drink di troppo e un tiro dalla canna di Louis: “non so se ti capita anche a te, ma ricordi quando parlavamo di certe sere? Ecco, in quelle sere il fatto che non ci sei lo sento di più” e poi si è scusata, perché sa che nemmeno io sono bravo a farmi scorrere le cose sulla schiena, anzi, sono riuscito ad incastrarmi le impronte delle sue mani tra le spalle e se chiudo gli occhi, so immaginarmi la consistenza dei suoi respiri sul mio collo e il profumo della sua pelle.
Poi però, come in questo caso, non importa più niente —non quando la voce della hostess ripete che il volo è terminato e ad aspettarmi c’è lei, appoggiata al vetro che si guarda attorno per cercarmi.
E cosa non potrebbe funzionare?
Cosa potrebbe andare storto?
Ho capito che per Winona posso stringere i denti e tenere duro, che se lei è debole io le darò le certezze che la renderanno forte.
Ma tutto ciò basterà? Perché i silenzi che prima non c’erano adesso si sentono e i suoi baci, delle volte, son peggio delle lacrime che spreca la notte quando io fingo di dormire e rimango immobile a sentirla.
 
 
 
«Scusa, ho esagerato ieri sera»
«Nessun problema Harry»
«Okay»
«Già»
«Mi stanno chiamando –scusa-, devo proprio andare ma ti chiamo appena finisco la sfilata?»
«Certo, andrai alla grande, come sempre»
E siamo distanti, in parole e conversazioni che sembrano non appartenerci più.
Dove siamo andati?
Dove sei finita?
 
 
 
Stando con Winona ho capito quanto importante sia il tempo;  perché è passato già più di un anno e non tutto va per il meglio.
Sono alti e bassi continui, richieste un po’ silenziose e pensieri che un po’ fottono e un po’ aprono la mente. Ma che posso fare? Ce cosa può fare lei?
Ci stiamo provando, aggrappandoci con le unghie fino a far sanguinare le dita, con i denti ad incidere nella pelle e con le parole che servono a legare tanto quanto a spezzarci. Eppure va bene, funziona, perché io e lei andiamo così contro corrente che insieme ci facciamo compagnia e non è per paura di rimanere soli a questo punto, è perché si è così coinvolti da non riuscire a capire dove finisce uno e dove inizia l’altro.
Però le crepe ci sono e le circostanze che ci stanno attorno non fanno altro che ricordarmi quanto in fondo  siamo deboli. E non do la colpa a Winona quando la sento piangere al telefono, quando dice che è stanca o che non sa più niente, che non ce la fa. Così come non incolpo me che continuo a ferirmi pensando che siamo forti abbastanza e che niente ci manca al momento; e non incolpo nemmeno noi due che crediamo ancora che, una volta incontrato l’amore che ti spezza le ossa poi, non bisogna lasciarlo andare.
Però siamo a Maggio e Tokyo è spenta, così come lo sono i miei occhi dopo aver sbattuto la porta del suo piccolo appartamento con i brividi ancora a colpire la schiena e le mani —le stesse che fino a poco fa, stringevano quelle di Winona.
 
 
 
«E’ buffo sai, Harry?»
Cosa?
Un sospiro, tre passi, occhi che fissano altri punti, accendino che viene acceso.
«Non so nemmeno perché ho fatto passare così tanti mesi per dirtelo, forse prima sarebbe servito di più adesso, invece, sembrerà inutile»
Cosa?
Un pacchetto buttato per terra, l’ultima sigaretta tra le dita fredde, labbra screpolate che chiedono baci, attenzioni, cure.
«Quando te ne sei andato, Izumi mi ha detto di averti parlato e so che ti ha detto che io sono sai, che mi rovino da sola e che tu non— è l’insicurezza e la paura e ci sei tu, ci credi? Tu sai come mandarmi in panico e allo stesso tempo sai farmi rimanere con i piedi per terra e a ricordarmi che ti amo e che ce la stiamo davvero facendo, che siamo grandi»
Lo siamo? Si.
Battiti accelerati, cuori aperti e che non vivono solo nella propria testa.
Cosa?
«Ma è così stancante e siamo sommersi da tutto questo e io non posso farcela — è più forte di me»
No.
Non voglio sentire.
Voglio tornare indietro e poi baciarti e poi fare l’amore fin quando entrambi non dimenticheremo perfino i nostri nomi.
No, rimani, ti prego.
«Ti sto chiedendo del tempo? Non lo so, al momento non so nemmeno se quello che sto facendo abbia senso o sia giusto e fa fottutamente male ma farebbe male anche restare come siamo adesso e so che lo sai anche tu, te lo leggo negli occhi e— cristo!, perché deve essere tutto così complicato?» ha le lacrime ferme agli angoli degli occhi e posso sentire i cocci schiantarsi contro il suolo mentre io e lei stiamo qui, in piedi tra le macerie «non posso essere così egoista —lasciamoci andare Harry, è meglio così»
«No»
«Ti prego»
«No! Non puoi, cioè non possiamo —non è così che doveva andare e non è così che andrà e non ti permetterò di far finire tutto questo perché non ti lascio scappare»
La vedo stringersi le mani a pugno, fino a che le nocche non diventano bianche e le lacrime scendono, più rumorose del cielo in tempesta che ha accompagnato diverse nostre notti.
«Mi dispiace, io —non posso, non più»
Passi che si avvicinano, labbra che ancora si scontrano, con addii che dilaniano lentamente.
Uno, due, cinque, dieci secondi e il conto inizia.
Passi che indietreggiano, singhiozzi che bloccano il respiro e occhi che parlano e alla fine non si dicono niente.
Per favore, resta.
Tienimi.
(torna)
Non gettarmi via.
Se adesso te ne vai, io crollo.
 
 
 
Quindi che faccio? Chiamo?
No, anche perché non servirebbe a niente. Lei ignorerebbe la chiamata e io arrancherei parole senza arrivare ad una vera conclusione.
Spengo il telefono, perché tutto pesa, tutto manca e niente torna, soprattutto non Winona.
 
 
 
Liam dice che è tutta una questione di paura, di essere codardi, in modo particolare quando ci sono di mezzo i sentimenti. Forse ha ragione, forse no, sta di fatto che anche se noi fossimo stati i più forti tutto ciò sarebbe successo comunque.
Solo che fa fottutamente male accettare l’assenza di qualcuno che ti ha lasciato così tanto, di cui si hanno ancora i ricordi incastrati tra le costole e il calore della pelle è ancora tastabile sulle proprie mani.
Fa male e nessuno ti prepara a questo dolore, ti avvisano con frasi preparate: “non sarà tutto rose e fiori”, “avrete molti momenti no”, “stare insieme è difficile” e “amare non è semplice ma ne vale la pena”. Ti entrano in testa e magari guardi da esterno altre situazioni, altre coppie e ti prometti che non finirai mai come loro, che a te andrà meglio ma non è mai così, perché come son finiti molti prima di me, altrettanto ci finiranno ora però, è il mio turno e l’unico problema è che non so come uscirne, come farmela passare.
(passerà?)
Liam che ha sempre il sorriso sulle labbra e gli occhi un po’ lucidi, dice che è questione di tempo, che poi pian piano i sentimenti svaniscono e rimangono solo i ricordi —non sono quelli che fottono più di tutto?
Al momento non gli credo.
Winona avrà avuto paura e sarà anche stata codarda ma la colpa è di entrambi, sono le conseguenze difficili da mandar giù.
Ed è passato solo un mese alla fine.
Io intanto aspetto.
Il suo ritorno? Una chiamata o un messaggio?
Che tutto finisca, forse.
Intanto sono qui, sotto riflettori di macchine fotografiche e circondato da gente che di me, non si cura più di tanto.
 
 
 
 Non hai cambiato il messaggio in segreteria, si sente ancora la mia risata in sottofondo e la tua stupida canzone dei Phoenix che tanto ti piace. Il numero è sempre quello e scommetto che anche la marca di sigarette è rimasta uguale.
Però adesso capisco sai?, le tue motivazioni e il tuo distacco, però non sono ancora pronto a lasciarti andare perché era nei tuoi “non dureremo”, “quando torni?” che ci siamo costruiti castelli di carta, legati con sentimenti e riempito in qualche modo gli spazi vuoti. Dove ti mancava qualcosa c’ero io, dove non avevi niente c’ero io.
Forse le grida, i graffi, gli spigoli freddi di questo albergo non sono fatti per noi, anche se è tra le lenzuola che sanno di fiori e le tende chiuse poche volte che ci siamo creati, insieme. E adesso che anche i muri sanno la nostra storia, che cosa resta?
Io? Lei?
Restiamo noi?
 
 
 
Sono passati 18 mesi, non che io li abbia davvero contati, per carità!, e Winona ancora riesco a vederti tra le pagine dei libri che leggo quando ho del tempo libero, la tua voce è udibile per strada o alla radio, qualche volta mi capita di fissare le foglie che cadono e mi viene in mente il vero colore dei tuoi capelli; né marrone scuro, tantomeno chiaro.
Le vie di Tokyo me le ricordavo più deserte a quest’ora della notte o forse mattina o quello che è, ma forse mi sbaglio. Ho fatto una di quelle pazzie per cui Liam mi chiamerà sicuramente incazzato appena si sveglierà e gli diranno che ho lasciato la stanza nel tardo pomeriggio.
La pizzeria di Niall è diversa anche se l’insegna ha ancora qualche difetto a causa della corrente, Louis ha smesso di lavorare al Monet e Izumi ha finalmente deciso di accettare la proposta di matrimonio di Zayn. Con loro non ho perso i contatti ma sono sicuro che tu lo sappia già —anche se a me, importa di te, come stai?, hai trovato qualcun altro?
Alloggio nel solito hotel, quello dove ti ho incontrata alla nostra seconda uscita seduta sul bancone della reception; gambe accavallate, maglione bianco e le solite converse rovinate. La sigaretta è quasi consumata, la musica non parte e forse è meglio così, perché mi piace sentire il rumore dei miei passi sull’asfalto.
Non so bene perché sto facendo questa strada, o forse lo so, ma risulterei così banale e mi sono illuso già troppe volte, però vedo la piazza ancora prima di poter fermarmi e tornare indietro e poi che cos’ho da perdere?
Sono le 5AM, ma il mio orologio è avanti come sempre e posso sentire la risata di Louis arrivarmi dritta alle orecchie, così come il rumore della bottiglia di Niall posata sullo skate. Izumi sta guardando il telefono e Zayn sta parlando della sua giornata; tu sei li, in silenzio Winona, perché ti piace osservare e intanto muovi i piedi a ritmo di qualche canzone dei Vampire Weekend, di cui ti ho regalato il vinile per Natale e tu mi ricordo sei arrossita.
Vedi? Non è cambiato molto. Sembra essere all’inizio di tutto, ma non è così.
Dietro ci siamo lasciati troppi pezzi e non so se tu sia pronta a riprenderli con te, e me, mi riprendi?
«Harry?!»
Niall ha sempre la voce un po’ troppo alta e non sa mai stare zitto, quindi fa notare la mia presenza. E poi è tutto un susseguirsi di sguardi, saluti, abbracci, strette e sorrisi.
Tu ti sei alzata ma sei comunque distante.
No, non sei con qualcuno, mi stavi aspettando?
«Ciao»
«…» mi guardi.
Vorrei dirti che mi sei mancata, che non dovresti avere uno sguardo del genere, che fa male, che fai male quanto fai bene e che voglio baciarti e sentirti parlare e tenerti stretta.
Nascondi un sorriso che non sono in grado di interpretare e rimani comunque un mistero Winona. Ma va bene così —dopotutto del domani che ci importa se a dividerci adesso son solo pochi passi?

 


 
  
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