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Autore: SilverSoul    11/06/2014    3 recensioni
Salve popolo di EFP, questa "cosa" mi è venuta in mente ieri sera alle 3 e mezza, quindi perdonate se dovesse essere un piccolo orrore :)
Ieri mi chiedevo, pensando alla nostra cara SoMa, "e se Soul e Maka si scambiassero un po' di quelle caratteristiche che sono sempre attribuite ai loro personaggi in tutte le ff?"
(Ad esempio il sorriso sghembo di Soul, il suo carattere o i codini e il carattere di Maka)
Non so se ho reso l'idea :)
Se volete farmi sapere cosa ne pensate, grazie! Gli insulti sono davvero graditi, come anche le critiche costruttive ;)
Questa è la mia prima ff, e penso che sarà anche l'ultima, ma nella vita non si sa mai.
Spero a presto! :D
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Black Star, Death the Kid, Maka Albarn, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci stavo provando, davvero.
Sta davvero cercando con tutto me stesso di concentrarmi su quelle benedette pagine di biologia, piene di molecole e formule e parole impronunciabili, ma niente sembrava fissarsi nella memoria.
Certo, sarà stato il caldo soffocante di fine maggio a intorpidirmi il cervello, ma di sicuro il motivetto musicale irritante e ripetitivo del videogioco che la mia compagna teneva a tutto volume di là in soggiorno non aiutava. Come se non fosse bastato poi, la stupida canzoncina era interrotta continuamente dalle risate sguaiate che Maka, Kid e Blackstar si stavano facendo: il tutto accompagnato dal tintinnare delle bottiglie di birra vuote che cozzavano rotolando sul pavimento che io, IO, tenevo lucido e pulito.
“Irritante” pensai, per poi sbuffare; rinunciai, chiudendo il libro malamente. Mi sdraiai sul letto, incrociando le braccia sugli occhi, meditando.
Non era giusto, non era affatto giusto: io pulivo, cucinavo, svegliavo quella pigrona di Maka ogni singola mattina, facevo tutto io, quello che chiedevo era un po’ di pace ogni tanto per poter studiare.
Perché io non dovevo studiare e migliorare per colpa di quei cialtroni senza futuro?
Chi erano loro per osare disturbare il sacro studio di Soul Eater Evans, falce della morte e primo della classe alla Crescent Moon?
Sentì un boato in sottofondo, rumori di vetri rotti.
Fu un attimo, e non ci vidi più.
“Il tavolino di cristallo, il MIO tavolino di cristallo … Giuro che se c’è un solo graffio … Il tavolino NO!”
Preso dalla rabbia, marciai fuori dalla camera come un ciclone, urlando a pieni polmoni: « MAAAKAAAA! Tu e i TUOI amici, razza di superdeficienti, avete finito con tutto questo chiasso? Avete finito di distruggermi e insozzarmi casa? Tanto cosa te ne frega no, sono IO quello che qui pulisce e mette in ordine! Sto cercando di studiare per l’ultima verifica di Stein, sto cercando di fare qualcosa nella vita IO, non bere birra e guardare tv insieme a degli idoti! ».
Furibondo, ansimavo, il petto che si alzava e abbassava velocemente, le guance rosse e i pugni stretti, fissandoli truce con i miei occhi verdi: a loro volta loro mi fissavano, Maka con la bocca aperta e le mani talmente molli che stavano per far cadere il controller, Kid sbiancato e con il tic all’occhio tipico delle sue crisi, mentre Blackstar mi guardava come se fosse… ammirato? Lo stupido mi alzò i pollici e fece l’occhiolino, complimentandosi per l’entrata scenografica. Ho già detto che è il più stupido dei tre?
Ad un certo punto la biondina e lo Shinigami batterono le palpebre, come risvegliandosi, e tutti e tre i cretini iniziarono a fissarmi più attentamente, per poi scoppiare a ridere di gusto, rotolandosi sul pavimento e battendo i pugni, le lacrime agli occhi.
“Ma che cavol…” Non capendo, mi grattai la testa. E capì. Il più grande errore. Della. Mia. Vita.
 “Oddio no, sono..” « Finito! Cazzocazzocazzocazzocazzo… » sibilai divenendo, se possibile, ancora più rosso.
Ero uscito dalla camera avendo ancora i “codini per lo studio”: era una cosa stupida, però mi aiutavano a ragionare.
Erano stupidi e imbarazzanti, per quello avevo fatto in modo che nessuno mi vedesse mai cosi, MAI, fino a quel momento. Tutta colpa di quella stupida  di Maka e le sue “serate videogiochi” del giovedì.
Quasi sull’orlo delle lacrime, mi girai per tornare in camera, quando la biondina mi prese per un polso.
Stupito e mezzo infuriato, mi voltai: lei mi stava fissando con quel sorriso sghembo, il ghigno strafottente che adoravo, mettendo in mostra la dentatura da squalo.
Si avvicinò suadente, leccandosi le labbra lentamente, sempre tenendo quei fanali rossi incollati nei miei e mi sussurrò all’orecchio con voce roca « Ma come siamo carini oggi, bacchettone » con tanto di occhiolino. Il suo respiro sul mio collo mi provocò un brivido di piacere, tanto che mi ritrovai a mordicchiarmi il labbro inferiore fissandola perso.
Una vocina lontana. Una vocina lontana, forse la mia coscienza, che mi avvertiva che era ora di uscire da quella camera se non volevo “friggere tutti e due i tuoi bravi neuroni che ti ritrovi” vista la temperatura astronomica della mia faccia.
Tirai fuori un libro e « SOOOOUL-CHOOOOP! »,  lo schiantai sulla testa di quell’idiota, provocandogli una bella fontanella di sangue.
Il mio sguardo di fuoco si posò quindi sugli altri: pur di evitarmi, Kid prese a fare giraffe perfettamente simmetriche con le etichette delle birre mentre Blackstar be’, da perfetto idiota,  stava cercando di continuare una partita 3 vs 3 a Mariokart Wii guidando tre macchine contemporaneamente al grido di « Sono il Dio dei videogiochi! Se mi servono mani in più, mi spunteranno ma tu non riuscirai a superarmiiii! ».
Perché avevo ancora in casa quegli idioti?
Iniziai a ringhiare, digrignando i denti e i due, atterriti, pensarono bene di battere in ritirata correndo giù dalle scale.
“Perfetto!” Mi guardai intorno sorridendo, gustandomi il silenzio “Finalmente la PACE!”.
Lasciai la mia partner alle cure del pavimento e, rientrando in camera, scelsi un bel libro dallo scaffale e presi a leggere, rilassandomi e immergendomi in quel mondo fantastico.
Dopo qualche ora…
Sentì una musica provenire dal salone, dolce, romantica ma decisa, determinata.
“Sarà Maka che compone, cosa più unica che rara”. Non suonava mai per me, neanche se la pregavo in ginocchio. Alzai gli occhi al cielo e cercai di ritornare alla storia che stavo leggendo. Inutile. Quella musica mi attraeva, distraendomi, cosi era tutto inutile: mi alzai e cercando di non fare rumore, aprì la porta di camera mia e mi intrufolai in salotto.
Vedevo la mia partner, la mia Maka, che ciondolava la testa su e giù, gli occhi chiusi e il volto in estasi, muovendo quelle mani agili e veloci sulla tastiera.
“Un sogno” pensai. Quanto avrei voluto essere fatto di tasti d’avorio, bianchi e neri, per sentire quelle mani, cosi affusolate e delicate, che mi accarezzavano con devozione.
Arrossì e scappai in camera.
“Che vado a pensare? Cosa ho in testa?”
Trascorsi il resto del pomeriggio sdraiato a fissare il soffitto.
La solita luna di Death City, ghignante e sanguinosa, era già alta nel cielo quando la maniglia della mia porta si abbassò e dalla fessura sbucò una testolina bionda, che mi sorrise sghemba e si avvicinò, sdraiandosi accanto a me sul letto.
« Allora, mi sono fatta perdonare? » Mi girai appena verso di lei per riuscire a guardarla in faccia con i miei occhi sgranati.
Stavo per risponderle in  malo modo, quando le sue labbra si posarono delicatamente sulle mie, facendomi morire le parole in gola.
Menta, sapeva di menta.
Le sue mani, dolci e delicate sul mio petto, mi stuzzicavano attraverso la stoffa della maglia disegnando ghirigori.
Ogni cerchio, un brivido di piacere.
Ritornai in me giusto per tentare di dire che non mi ricordavo più per cosa le avevo urlato dietro, ma che di sicuro avevo ragione io, quando Maka mi bloccò nuovamente, dando il via ad un bacio lento e profondo.
Dischiusi gli occhi, non mi ero neanche accorto di averli serrati. Come non mi ero accorto che io e Maka ci eravamo avvinghiati uno all’altra, talmente stretti e accaldati, quasi avessimo dovuto scambiarci le ossa.
Pezzi di stoffa erano già iniziati a volare per la stanza.
Vidi Maka ghignare sotto di me, passandomi una mano sul petto e l’altra tra i capelli, sciogliendomi quei ridicoli codini, attirando poi il mio viso verso il suo .
« Allora, bacchettone senza-cervello, ORA, mi sono fatta perdonare? ».
  
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