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Autore: J85    11/06/2014    1 recensioni
Protagonista di questa mia prima storia urban fantasy è Sara Silvestri, personaggio secondario (ma non troppo) di un mio vecchio racconto intitolato "Casa mia".
La ragazza, alla ricerca di un edificio da adibire a negozio di parrucchiera, s'imbatte, su suggerimento di una sua amica, in un cupo e tetro fabbricato, situato in una zona isolata fuori città.
Nonostante sia estremamente titubante, alla fine la giovane si decide ad entrare, certa che al suo interno sia totalmente disabitato.
Con suo grande stupore, ed orrore, scoprirà che la situazione è ben differente da quella sperata.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 10

“Epilogo”

 

 

 

Aria fresca. Dopo così tanto tempo tornava a respirarla. Aperti leggermente gli occhi, Sara vide l’azzurro del cielo. Temendo di essere vittima di un nuovo incubo, tirò su rapidamente il busto, provocandosi delle leggere vertigini al capo.

“Oddio la mia testa” si lamentava la giovane, tenendosi il viso tra le dita.

Muovendo appena la gamba destra, andò ad urtare contro qualcosa di leggero. Subita rivolta l’attenzione su essa, un sorriso spuntò sulla bocca della ragazza.

“Natalino!” lo chiamò, afferrandolo saldamente tra le sue mani “Ce l’abbiamo fatta, amore mio!” concluse il tutto con un sonoro bacio sul suo musetto peloso.

Felice più che mai, si mise a controllare l’enorme spiazzo in cui aveva finalmente fatto ritorno. Subito notò la sua Mini, parcheggiata esattamente dove l’aveva lasciata un tempo indefinito fa, e dove era collocata anche nel modellino vivente della città.

Con ancora un po’ di fatica, si rimise in piedi, portandosi dietro con sé il suo adorato peluche.

“Sono davvero fuori!” esclamò ancora incredula, finché il suo sguardo si rabbuiò.

Infatti, alla sua sinistra, svettava la minacciosa sagoma del fabbricato. Silvestri sembrò vederlo per la prima volta. Buio, sporco e, apparentemente, così inospitale.

Inconsciamente, una lacrima scese dall’occhio destro di lei “Che strano. Ora che ne sono uscita, inizio a sentire la mancanza di tutta quella gente”.

“Stai tranquilla bionda, è naturale che sia così”.

All’udire una nuova voce, la ragazza spalancò gli occhi, nel girarsi di colpo.

Vicino a lei vi era un essere umano. Il suo corpo, come anche i suoi vestiti, erano in un alto stato di decomposizione.

Tutto l’ossigeno nuovo che aveva inalato nei polmoni fu espulso in uno dei più potenti gridi che lei avesse mai fatto in vita sua. Come una lepre in fuga, Sara scattò verso la sua automobile, facendo librare in aria dietro di sé il suo pupazzo, tenuto ancora ben stretto con una mano. Arrivata alla sua meta, si mise nervosamente a tirare la maniglia, inutilmente. Proseguendo freneticamente a dare veloci occhiate verso il cadavere ambulante, si mise a tastare da fuori le tasche dei suoi jeans, alla disperata ricerca delle chiavi dell’auto.

“Forse cerchi queste?”.

Pietrificata da quelle ultime parole, la bionda indirizzò nuovamente il suo viso in direzione del morto vivente. Tra le sue dite cadaveriche era presente proprio il mazzo con la chiave ricercata.

“C-Come fai ad avercele te?” gli chiese infuriata la ragazza.

“Perché te le ho prese prima”.

“C-Chi sei tu?”.

“Ha davvero importanza il mio nome?”.

“Allora ridammele! Sbrigati!”.

“Ok, aspetta che te le porto” appena terminato di parlare, il non morto iniziò una marcia claudicante.

“No no no no no, rimani fermo lì dove sei!”gli ordinò l’essere vivente che, se proprio c’era una cosa che non sopportava, erano gli zombi.

La creatura gli obbedì “Ma allora come faccio a darti le chiavi, se devo stare fermo qui?”.

La giovane era sempre più titubante “A-Aspetta che v-vengo io da te”.

Detto ciò, però, lei non si mosse minimamente.

“Quanto devo aspettare ancora?” domandò l’altro, apparentemente seccato.

“Un attimo! Cazzo!” gli urlò contro l’umana.

Ma, ancora per parecchi minuti, entrambi rimasero completamente immobili. Nell’attesa, era già passata una decina di minuti.

“Allora? Ti decidi o no?” la spronò finalmente il mostro.

Sara questa volta non replicò. Con tanta forza di volontà, eseguì un primo passo incerto.

“Meno male” sospirò la creatura.

Passato ancora qualche minuto, Silvestri mise il piede sinistro, che era rimasto indietro, davanti a quell’altro. Ogni secondo che passava, come se fosse stata in discesa, i piedi iniziarono a muoversi con maggior rapidità, sempre più sicuri.

Cercando di fissare la sua nuova conoscenza il meno possibile, Sara si fermò infine ad una decina di metri da esso.

“Ed ora che facciamo?” chiese lui, di nuovo impaziente.

“Dunque…” l’umana cercava di guadagnare qualche secondo ancora, poi arrivò l’idea “Facciamo così! Getta le chiavi davanti a te”.

Il morto vivente, sorpreso, piegò il capo da un lato, facendo scricchiolare rumorosamente il collo rinsecchito.

“Sei sicura?”.

“Assolutamente sì”.

“Beh, come vuoi” lui si decise ad obbedirle.

Inaspettatamente, nell’atto del lancio, a staccarsi dallo zombi fu l’intero arto, che volò poco più avanti del suo proprietario.

Sara, inizialmente rimasta a bocca aperta, cercò poi di strozzare una risata divertita da tutta quell’assurda e macabra scena.

“Oh merda!” imprecò la creatura, mentre si apprestava a riprendere quanto perso.

“No no aspetta fermo!” lo bloccò l’umana.

“Cosa c’è ora?”.

“L-Lascia. Faccio io” lo informò, temendo ancora di essere vittima di una risata.

Per fortuna della giovane, urtando il terreno, la presa delle dita sul mazzo era venuta meno, portando l’oggetto a ricadere più avanti del braccio staccato. A passi brevi ma rapidi, nel giro di un attimo, la ragazza raggiunse il suo obiettivo.

Con altrettanta velocità, fletté le gambe e raccolse con un affondo della mano, come una beccata di gallina, le chiavi al suolo. Tornata subito in posizione eretta, squadrò minacciosa il cadavere ambulante.

Quest’ultimo, a quanto pare divertito, le mostrò un sorriso marcio e sdentato, provocandole un senso di rigetto immediato.

“Contenta ora?”.

“D-Direi di sì” gli rispose a muso duro “Immagino che tu faccia parte di tutto il pacchetto…”.

“Diciamo che sono una specie di guardiano del posto…”.

“Tu saresti il guardiano? E allora perché non mi hai fermato quando mi hai visto arrivare?”.

“Beh diciamo che ti vedevo particolarmente motivata. Quindi ero certo che saresti stata in grado di uscirne”.

“Ah davvero! Ma lo sai cosa ho dovuto affrontare entrando lì dentro?!”.

“Certo che lo so, cosa credi?”.

Sara rimase sorpresa da quella nuova risposta.

“Li ho visti arrivare tutti, uno dopo l’altro. Orchi, fate, streghe, folletti e gnomi. Ed altre cose varie ed eventuali”.

“Allora eri qui fin dall’inizio?”.

“Non saprei. Penso sia stata la magia di questo posto che mi abbia portato qui, riportandomi in vita”.

“Ma allora da quanto esiste questo posto?”.

“Chi può dirlo. Non usiamo calendari qui”.

“Io sapevo che prima era una sartoria, o almeno così mi ha detto Leroy…”.

“Può darsi! Ma ora è soltanto un rifugio per creature infelici”.

“E te ne saresti il guardiano?”.

Lo zombi fece spallette, facendo rumoreggiare ancora le sue vecchie ossa.

La bionda, ormai a suo agio, fissava l’essere in maniera davvero seria.

“Credo che ora me ne andrò”.

“Come preferisci” le rispose brevemente il cadavere.

Passato ancora qualche attimo, Sara abbassò lo sguardo e fece dietrofront. Con passo sicuro, raggiunse la portiera della macchina. Appena infilate le chiavi nella serratura, tornò a guardarsi dietro le spalle. Il non morto era ancora lì, che la scrutava tristemente. Dopo passò il suo sguardo verso il fabbricato, per l’ultima volta.

Appena seduta la posto guida, si sentì richiamare.

“Non dimenticarti di noi, Sara” la salutò il morto.

La ragazza rispose con un lieve sorriso, mentre nel contempo metteva in moto l’auto. Una breve manovra in retromarcia e, messa la prima, ripartì verso l’umanità.

Con un rapido movimento degli occhi, fissò per qualche secondo lo specchietto retrovisore. Il suo lunotto posteriore sembrava la cornice di un quadro con, al suo interno, quell’assurdo ambiente che si era rivelato essere il fabbricato.

Immessasi nella strada principale, solo un lungo dirizzone la divideva dalla sua adorata abitazione.

D’un tratto si accorse che, più proseguiva con il suo veicolo, più davanti a lei si presentava un minaccioso banco di nebbia. Nel giro di pochi secondi, tutto attorno a lei era diventato etereo.

Era davvero tutto finito?

 

 

 

FINE

 

  
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