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Autore: Yuki Delleran    10/08/2008    2 recensioni
Qualcuno si ricorda di "Love & Pride" e del mio delirio del cap.14? Questo è quello che ne è uscito. Cosa sarebbe successo se Al fosse andato a East City a ritirare gli anelli per Ed e Winry?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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For Love - Il coraggio di rischiare Disclaimer: tutti i personaggi di Fullmetal Alchemist appartengono a © Hiromu Arakawa.


Ciao a tutti, sono tornata! Qualcuno si ricorda di Love & Pride e del mio delirio del cap. 14? Bhè, questa storiella mi frullava in testa da allora, ma ha visto la luce esattamente la mia ultima sera di mare dopo un proficuo scambio di idee con Vampy. Non lo so, forse è un po' delirante ma avevo detto che l'avrei fatto e l'ho fatto. ^_^ Sarà stata la salsedine che mi ha dato alla testa...
Ovviamente è da considerarsi ambientata dopo Love & Pride e se l'avete letta capirete sicuramente meglio! Buona lettura!



- For Love -


- Il coraggio di rischiare -
di
Yuki Delleran



Alphonse alzò lo sguardo al cielo e sospirò per l’ennesima volta. Non poteva andare avanti così. Avrebbe dovuto essere al massimo della felicità ora che suo fratello era tornato e tutti i guai risolti, invece non era così. Cosa significava quella sua fuga a Rezembool? Perché si trattava di una fuga in piena regola. In ufficio aveva chiesto dei giorni di ferie con la scusa che doveva aiutare suo fratello e Winry ad organizzare il matrimonio, ma la realtà era un’altra. Solo due giorni prima aveva avuto una dolorosa discussione con Sheska. La frequentava da poco meno di un anno, le voleva bene e non voleva farla soffrire, ma non poteva nemmeno fingere che andasse tutto bene. Dopo un faticoso giro di parole era giunto all’inevitabile conclusione.
«Nei miei pensieri c’è costantemente un’altra persona. Non riesco a capire la natura dei sentimenti che provo, ma non me la sento più di stare con te senza fare chiarezza. Naturalmente non ti chiedo di aspettarmi…»
Sheska aveva annuito tristemente e aveva avuto la delicatezza di non chiedergli chi fosse quest’“altra persona”, cosa di cui Al le era stato infinitamente grato. Fortunatamente non aveva nemmeno pianto, altrimenti Al non avrebbe mai avuto il coraggio di andarsene: si sentiva già sufficientemente un verme a lasciarla così. Quando era giunto a Rezembool si era reso conto che dopotutto almeno un po’ d’aiuto poteva esserlo, se non altro a tenere tranquillo Ed che più si avvicinava la data fatidica, più sembrava soggetto a crisi di panico che sfociavano in vere e proprie scenate isteriche che il generale Mustang avrebbe definito “alla Fullmetal”. In quei momenti Al non sapeva se infuriarsi col fratello o ringraziarlo perché lo distraeva dal suo problema. Se solo fosse riuscito a capire! Dopo quello che era successo, o meglio, che non era successo, non era più riuscito a togliersi dalla testa quella sera. Le rovine, il cielo stellato sopra di loro, il fuocherello danzante, l’espressione di quegli occhi… dei suoi occhi…
Un improvviso e accecante bagliore azzurro lo fece balzare indietro dalla finestra a cui si era distrattamente appoggiato.
«Ed! Cos’è quell’obbrobrio?! »
La voce acuta e irritata di Winry giunse distintamente dal cortile.
«Ti avevo chiesto un piccolo gazebo bianco di buon gusto! »
«Questo è di buon gusto! » protestò Edward.
Preoccupato, Alphonse si azzardò a sbirciare oltre il davanzale e non appena vide cosa c’era sotto, i suoi timori vennero confermati. Quella strana costruzione era sì bianca, ma le colonne erano ritorte e ovunque spuntavano le decorazioni pacchiane e un po’ macabre che contraddistinguevano il pessimo gusto di suo fratello. Definirlo gazebo era molto ma molto ottimistico.
«Fai sparire questo orrore dal mio giardino! » strillò Winry.
«Sei proprio incontentabile, meccanica isterica! » ribatté Ed.
«E tu sei totalmente privo di gusto, alchimista dei miei stivali! Quando ho accettato di sposarti dovevo essere fuori di me! »
«Questo dovrei dirlo io! »
«Ma se non mi hai nemmeno fatto una proposta decente! »
«Forse perché in quel momento ero stupito anche solo di essere vivo?! »
Al decise che ne aveva abbastanza. Doveva andare a calmare le acque prima che il discorso finisse su argomenti spinosi. Da quando Ed era tornato, nessuno aveva più fatto parola del terribile periodo trascorso quando erano stati certi della sua morte e successivamente delle vicende legate all’Homunculus Pride. Ed non ricordava nulla di quella spaventosa esperienza e nessuno voleva inavvertitamente risvegliare memorie tormentose ora che viveva spensieratamente. Eppure le radici dello stato confusionale di Al affondavano proprio in quel periodo. Doveva venirne a capo in un modo o nell’altro o sarebbe impazzito. Il modo migliore sarebbe stato parlare con quella persona, ma richiedeva molto più coraggio di quello che aveva e anche se l’avesse travato era sicuro che ne avrebbe ricavato solo una cocente delusione, per non parlare dell’umiliazione. No, meglio tenere la cosa per sé anche se significava struggersi in quel modo, prima o poi gli sarebbe passata.
Purtroppo il destino aveva deciso diversamente e gli si presentò il mattino seguente nelle vesti di Winry.
«Al… Al, ti prego…» esordì la ragazza con voce supplichevole e lui seppe all’istante che non sarebbe riuscito a dirle di no.
«Se posso aiutarti in qualcosa…»
«Ci sarebbero da ritirare le fedi. Le ho fatte fare appositamente da un gioielliere di East City e mi ha avvertito che sono pronte. Volevo mandare Ed per levarmelo di torno per un po’, ma non mi sembra nelle condizioni di viaggiare. »
Gettò un’occhiata oltre la veranda e seguendo il suo sguardo Al vide il fratello che si rotolava sul prato in una specie di lotta con il loro cane Den. Scuotendo la testa riportò gli occhi su Winry con espressione comprensiva.
«Abbi pazienza, è solo molto nervoso. »
«Lo capisco ma non è impazzendo che migliorerà le cose. Comunque sia non oso mandarlo più lontano del paese. Se dovesse andare e tornare dalla città sarebbe capace di perderli quegli anelli e io adesso non posso proprio allontanarmi. »
Al sospirò.
«D’accordo, ci penserò io. Se parto domattina dovrei riuscire ad essere di ritorno con l’ultimo treno della sera. Al massimo rientrerò dopodomani. Un momento! Hai detto East City?! »
La ragazza lo vide sgranare gli occhi, come se si fosse reso conto solo in quel momento della sua destinazione.
«Bhè, certo. Gli orafi di città sono molto più raffinati di quelli del paese. »
«Non è questo. È che io…»
Come poteva spiegare a Winry il motivo per cui avrebbe preferito non andare proprio a East e allo stesso modo come poteva rifiutare il favore all’amica? Si diede dello stupido: la città era grande, non era detto che solo perché quella persona vi abitava avrebbe dovuto per forza incontrarla. Se si fosse tenuto alla larga da luoghi “pericolosi” come il Quartier Generale e l’Accademia sarebbe andato tutto bene.
Era ancora di questa convinzione quando uscì dalla bottega del gioielliere il giorno dopo nel primo pomeriggio. Non aveva potuto fare a meno di passare le lunghe ore di viaggio a rimuginare sulla situazione in cui si trovava e nemmeno questa volta era giunto a una conclusione. Il senso di vuoto che sentiva dentro non accennava ad andarsene ma la sola idea di parlare di quei sentimenti alla persona verso cui erano indirizzati, lo mandava nel panico più totale. Si sentiva davvero un pessimo soggetto: suo fratello si sarebbe sposato di lì a una settimana coronando finalmente il sogno di creare una famiglia e lui passava il tempo a tormentarsi per un motivo che, se l’avesse saputo, l’avrebbe sicuramente fatto infuriare. Strinse tra le mani la scatolina di velluto blu contenente i due preziosi cerchietti d’oro e si sentì pieno d’orgoglio e di affetto per il fratello. Finalmente era felice ed era così meravigliosamente “giusto” che nessuno aveva il diritto di turbare questa felicità, neanche lui. Quando alzò gli occhi alla ricerca di un bar dove trovare qualcosa per rifocillarsi prima del viaggio di ritorno, notò un capannello di giovani all’angolo della strada. Sembravano studenti e discutevano animatamente. A tenere banco era un ragazzo biondo dall’aria sveglia. Era passato tanto tempo, sei anni, calcolò rapidamente Al, ma lo riconobbe subito: era Fletcher Tringum. Il primo impulso fu quello di voltarsi e allontanarsi di corsa e a stento riuscì a trattenersi. Non aveva mai incontrato Fletcher da quando aveva riacquistato il suo aspetto umano, quindi il ragazzo non poteva riconoscerlo. D’altro canto se se ne fosse andato avrebbe sprecato un’occasione che non si sarebbe ripetuta. Tramite Fletcher avrebbe avuto la possibilità di parlare con…
Quando tornò a voltarsi verso l’angolo vide che il gruppetto si era sciolto e il ragazzo avanzava verso di lui. Alphonse si sentì tremare le gambe. No, non poteva. Doveva andarsene. Doveva portare le fedi a Ed e Winry.
«Ehi! Ma tu non sei Edward Elric? »
Al si voltò di scatto per trovarsi di fronte un Fletcher sorridente. Quando lo vide bene in faccia, la sua espressione si fece imbarazzata.
«Ehm… scusa, temo di aver sbagliato persona. Assomigli a qualcuno che conoscevo. »
Al si disse che quello era un segno del destino. Fletcher avrebbe potuto benissimo andare avanti senza fermarsi, invece l’aveva fatto. Inconsapevolmente gli aveva dato una possibilità, significava che doveva almeno provarci.
«Infatti sono suo fratello. Sono Alphonse. È un piacere rivederti, Fletcher. » disse tentando di sorridere in modo amichevole.
Il ragazzo si illuminò.
«Sei Al? Incredibile! Fantastico! Mio fratello mi aveva detto che eri riuscito a riottenere il tuo corpo. Congratulazioni! » esclamò.
«Bhè, grazie, ma non è stato certo per merito mio. Tu piuttosto, cosa fai adesso? Stai ancora studiando? »
Quelle poche parole bastarono perché Fletcher si lanciasse in una lunga digressione sui suoi studi: si stava specializzando in alchimia botanica, da sempre il suo forte, ma studiava anche l’effetto dei veleni sul suolo e sulla vegetazione. Da quando aveva assistito alla devastazione provocata dall’acqua rossa, aveva deciso di trovare un modo per eliminare l’impatto di quelle sostanze sull’ambiente.
«Inoltre mi piacerebbe tentare l’esame per diventare Alchimista di Stato, come Ed, ma mio fratello non vuole. Dice che basta lui a far parte dell’esercito. » Al non poteva dargli torto. Erano esattamente le stesse cose che Ed diceva a lui.
«Senti, cosa ne dici di mangiare qualcosa da qualche parte? » continuò Fletcher. «Tra poco dovrebbe arrivare anche Russell, lo stavo giusto aspettando. Sarà felice di rivederti. »
Alphonse si irrigidì e sentì tutti i suoi buoni propositi andare a farsi benedire.
«Ah… no, se avete un appuntamento non vorrei disturbare! E poi devo tornare…»
«Ah, ecco mio fratello! » lo interruppe Fletcher. «Russell! Qui! Qui! »
Al si sentì sprofondare. Dopo aver passato tutto il viaggio ad autoconvincersi che non lo avrebbe incontrato, ora non era per niente preparato a trovarsi faccia a faccia con lui.
Quando Russell li raggiunse, aveva un’espressione leggermente sorpresa e Al dovette fare uno sforzo per salutarlo nel modo più naturale possibile. L’uniforme blu dell’esercito gli stava ancora meglio di quanto ricordasse e i capelli biondi pettinati all’indietro gli davano un’aria di distratta eleganza che lo rendeva molto affascinante.
Entrarono tutti e tre in un sobrio caffè e si sedettero accanto alla vetrata. Dopo aver ordinato, Fletcher continuò a chiacchierare dei suoi studi ma dopo poco Al smise di ascoltarlo. Sentiva su di sé lo sguardo fisso di Russell, lo stesso sguardo di quella sera. A ripensarci sentiva ancora una fitta al cuore. Erano stati i giorni più dolorosi e sconvolgenti della sua vita e averlo al suo fianco gli era stato molto più che di conforto. Quel giorno di quasi un anno prima erano stati a indagare su quanto era rimasto della città di Zenotaim. Russell aveva riferito che era stata distrutta da un’immensa trasmutazione alchemica e sospettava che fosse stata creata una nuova pietra filosofale. Alphonse, alla disperata ricerca di prove che dimostrassero che suo fratello era ancora vivo, aveva riconosciuto nel cerchio alchemico inciso sul perimetro della città lo schema a sette vertici ideato da Edward e si era precipitato sul posto. Era stata un’esperienza devastante. Vagare per quel territorio spoglio, in cui non rimaneva altro che sabbia e qualche maceria, sapendo che era stata opera di suo fratello, l’aveva distrutto. Ancora peggio era stato non trovare nessuna prova che Ed fosse sopravvissuto alla trasmutazione. Era crollato. Aveva pianto come un bambino, in ginocchio tra i sassi, stringendo convulsamente i pugni su quell’inutile sabbia. Russell gli era rimasto accanto in silenzio fino a quando non era scesa la sera, poi lo aveva sollevato quasi di peso portandolo ai limiti della città. Era troppo tardi per tornare indietro alla stazione del paese vicino, quindi aveva acceso un fuocherello, scaldato il cibo di scorta e steso un paio di coperte. Al era talmente stordito che non si era stupito nemmeno che l’altro avesse previsto di accamparsi lì. Russell lo aveva praticamente obbligato a mandare giù qualcosa poi si erano sdraiati entrambi, gli occhi fissi sulle stelle. Con le braccia allargate, le loro dita si sfioravano. Russell si era alzato per un attimo e lo aveva fissato, uno sguardo carico di comprensione, ma quando era sembrato che stesse per dire qualcosa era tornato a distendersi. Al aveva sentito tutta la disperazione del momento piombargli addosso come un macigno: suo fratello era morto e molto probabilmente la colpa era solo sua. Come avrebbe potuto convivere con quella consapevolezza? Come avrebbe potuto sopravvivere senza Ed? Istintivamente aveva cercato la mano di Russell e l’aveva stretta. Sentiva il bisogno di un’ancora di salvezza per non sprofondare nelle tenebre dell’angoscia. Il ragazzo si era alzato a sedere e, avvicinandosi, gli aveva circondato le spalle con un braccio.
«Come stai? » aveva mormorato.
Una domanda retorica, per spezzare un silenzio che si stava facendo troppo opprimente.
«Mio fratello è… è colpa…» aveva iniziato Al con voce spezzata ma Russell l’aveva interrotto.
«Non è colpa tua. Te l’ho già detto. Qualunque cosa abbia fatto, è stata una sua scelta. E poi non abbiamo ancora nessuna certezza. »
Aveva accarezzato i capelli di Al facendolo appoggiare alla sua spalla, aspettando che si calmasse e il ragazzo si era trovato a stringersi a lui come se si fosse trattato di Ed. Eppure… c’era qualcosa di diverso. Forse era la mancanza del freddo dell’Auto-mail, ma il calore di Russell era così confortevole. Senza sapere come, si erano trovati a fissarsi e Al si era specchiato per un attimo in quegli occhi azzurri, poi Russell aveva abbassato lo sguardo.
«È maglio se dormi un po’, Al. » aveva detto « È tardi e sei stravolto. »
Alphonse non aveva detto una parola, ma aveva faticato ad addormentarsi e non era più riuscito a togliersi dalla testa quel calore e quello sguardo.
Il rumore di una sedia smossa lo riportò alla realtà. Fletcher si stava alzando facendo dei cenni a dei ragazzi che lo chiamavano da oltre la vetrata.
«Torno subito. » disse uscendo di corsa.
Al rimase solo con Russell che lo osservava dall’altra parte del tavolino e si rese conto che era un’occasione per affrontare il discorso che gli stava cuore. Doveva farsi coraggio.
«Congratulazioni. Chi è la fortunata? »
La voce di Russell lo colse alla sprovvista e solo allora si accorse di aver appoggiato sul tavolino la scatolina con gli anelli. In quel modo era ovvio che l’amico fraintendesse. Doveva chiarire subito l’equivoco.
Invece, contrariamente alle sue intenzioni, sentì la propria voce dire: «Secondo te chi è? »
Non era da lui essere così provocatorio. Ma cosa diavolo stava facendo?
L’espressione di Russell si era fatta inaspettatamente seria.
«Sheska immagino. Bhè, è stato un piacere rivederti. Ti auguro ogni felicità. »
Quando lo vide alzarsi, Al si sentì prendere dal panico. Quanto era stupido! Istintivamente afferrò la sua mano.
«No, aspetta! »
Russell tornò a sedersi con aria sospettosa e anche leggermente ferita. Prima che potesse esprimere le sue perplessità, Al prese fiato e disse tutto quello che riusciva prima che il coraggio evaporasse di nuovo.
«Non andare via! Gli anelli sono per Ed e Winry! Io e Sheska ci siamo lasciati! Non potevo stare con lei perché io…»
Si afflosciò sulla sedia. Si sentiva terribilmente stupito e aveva una paura folle. Quando si rese conto che la sua mano stringeva ancora quella di Russell, la ritirò di scatto sentendo le guance in fiamme. Non riusciva nemmeno ad alzare lo sguardo.
«Al, vogliamo venire al dunque? »
La voce di Russell ora era gentile.
«Cos’è che ti angoscia tanto? »
«Non sono… angosciato…»
«Già. » fece Russell sbuffando leggermente. «Non sei angosciato. Santo cielo, sei letteralmente terrorizzato da me. Vogliamo parlarne? »
Alphonse lanciò una rapida occhiata attorno poi alzò su di lui uno sguardo supplichevole. Non era sicuro di riuscire a parlare francamente a Russell, ma era assolutamente certo di non poterlo fare in quel locale pieno di gente. Si sentiva già sufficientemente in imbarazzo per le parole di poco prima.
«Ho capito. Usciamo. » mormorò Russell sfiorando appena la sua mano con la propria.
Si ritrovarono così a camminare in silenzio per le vie di East City. Alphonse ricordava bene la città ma si lasciò comunque guidare da Russell che lo condusse in un parco non lontano dal Quartier Generale.
«Abito qui vicino e vengo spesso da queste parti a rilassarmi quando ho un po’ di tempo libero. » spiegò.
«È bello. » mormorò Al guardandosi attorno.
Era una zona verde molto ampia e circondata da alberi frondosi e attraversata da numerosi vialetti acciottolati. Ormai era tardo pomeriggio e poche persone si attardavano ancora sulle panchine. Poco lontano gorgogliava un ruscelletto attraversato da un piccolo ponte di legno arcuato. I due ragazzi vi si attardarono e Al si appoggiò al parapetto, lo sguardo fisso sull’acqua.
«A cosa pensi? » chiese Russell dopo un silenzio che sembrò interminabile.
Al deglutì: adesso o mai più.
«A te. E a quella sera. »
Russell rimase in silenzio e Al continuò a fissare l’acqua che scorreva.
«Non sono più riuscito a togliermela dalla testa. Quella sera mi sono sentito… non lo so… sei stato come un balsamo sulle ferite. Mi sono sentito come se avessi ritrovato Ed e…»
«Io non sono Ed! » lo interruppe bruscamente Russell.
«Lo so! »
«Un anno fa soffrivi per la perdita di tuo fratello e adesso sei venuta a cercarmi proprio quando sta per sposarsi e in un certo senso lo stai perdendo di nuovo. »
La voce di Russell si era fatta tesa.
«Io non sono Ed! Non posso essere il suo sostituto! »
«Lo so! »
«Non voglio esserlo! »
«Lo so! »
Al strinse i pugni sulla balaustra di legno. L’ultima esclamazione era stata quasi un singhiozzo. Perché era così complicato? Sapeva bene che Russell non era Ed, anche se nei suoi confronti era gentile e protettivo come suo fratello.
«Non sono venuto qui… a cercare un sostituto di mio fratello… Forse è meglio che me ne vada. »
Fece per allontanarsi dal parapetto ma si trovò imprigionato tra il corpo di Russell, che si era spostato alle sue spalle, e la ringhiera di legno. Il ragazzo allungò le braccia fino ad appoggiarsi alla balaustra, bloccandogli così ogni via di fuga.
«Non scappare. » disse abbassandosi sulla sua spalla. «Scusami. Ho detto una stupidaggine. So bene che per te Ed è insostituibile. »
«Adesso mio fratello non c’entra! Stiamo parando di noi! »
Al si voltò a guardarlo negli occhi, ma appena realizzò quello che aveva detto, abbassò lo sguardo arrossendo.
«Quindi ci sarebbe un “noi”? » fece Russell malizioso.
«N… no… cioè…»
In quel momento Al desiderò annegarsi nel ruscello. Stava andando tutto a rotoli.
Russell però lo sorprese ancora una volta.
«Sai, anch’io ho ripensato molto a quella sera. » disse tornando serio. «Volevo convincermi che ti vedevo un po’ come il mio fratellino , ma mi sono reso conto che mi stavo prendendo in giro. »
Al non credeva alle proprie orecchie.
«Allora perché quella sera non…? »
Russell sorrise leggermente.
«Tu eri sconvolto. Tutto quello di cui avevi bisogno era calore umano. Qualunque altra cosa sarebbe stato un abuso e non volevo approfittarmi di te. »
Alphonse era completamente incredulo, anche se una sensazione di gioia iniziava a farsi strada dentro di lui. Anche Russell aveva sentito quel calore, quell’attrazione. Il motivo per cui aveva finto di ignorarla, era stato solo il rispetto del suo dolore.
«Grazie…» mormorò.
Sentì le braccia del ragazzo lasciare il parapetto e avvolgersi attorno alle sue spalle. Sarebbe stato così facile alzare la testa e incontrare quegli occhi azzurri. Sarebbe stato così facile chiudere gli occhi e lasciarsi guidare dall’istinto…
«Fratellone! Alphonse! »
I due ragazzi si allontanarono di scatto voltandosi verso la figura che si avvicinava.
«Vi avevo detto che sarei tornato subito e voi siete spariti. » brontolò Fletcher. «Vi stavo cercando da un sacco di tempo. »
«Ehm… mi dispiace…» si scusò Al imbarazzato. Chissà se Fletcher si era accorto di qualcosa?
«E dai, Fletch, non farla lunga. Ho solo fatto fare ad Al un giretto turistico per la nostra pittoresca East! » si discolpò invece allegramente Russell.
«Come se non la conoscesse meglio di noi…»
Alla ricerca di una scusa qualunque per defilarsi togliendosi da quella situazione imbarazzante, Al lasciò un’occhiata all’orologio e si rese conto che si era fatto davvero tardi. Aveva ancora in tasca le fedi per Ed e Winry e se non si fosse sbrigato avrebbe perso l’ultimo treno. Se così fosse successo, avrebbe dovuto pernottare in città e all’idea di Russell che si offriva di ospitarlo, si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie. Scosse la testa furiosamente. No! Cosa stava pensando? Cosa stava facendo?
«Devo scappare o perderò il treno! » esclamò. «Scusatemi! »
E scappò per davvero.
Il giorno dopo era di nuovo a Resembool, appoggiato a quella finestra con lo sguardo perso nel vuoto, tentando di convincersi che lo stato di stordimento in cui si trovava era dovuto al fatto che aveva viaggiato tutta la notte. Dal cortile giungevano i soliti schiamazzi di Ed e Winry e a loro si era aggiunta anche zia Pinako, tanto per gradire. Al iniziò a pensare che forse sarebbe stato più tranquillo in ufficio, ma là lavorava gomito a gomito con Sheska e la situazione sarebbe stata ingestibile. Del resto prima o poi sarebbe dovuto rientrare. Avrebbe potuto chiedere il trasferimento dall’archivio a qualche sezione operativa, magari sotto l’autorità del generale Mustang. Dopotutto era anche lui un alchimista. Un’alternativa erano i servizi segreti investigativi dove aveva prestato servizio il tenente colonnello Hughes. Oppure poteva trasferirsi a East City… Quel pensiero lo fece ripiombare nello sconforto, tanto che non si accorse che i battibecchi sotto di lui erano cessati. Fu la voce di Winry che lo chiamava a scuoterlo.
«Al! Puoi scendere un minuto? »
La raggiunse sui gradini esterni della casa e la ragazza lo invitò a sedersi accanto a lei.
«Cosa c’è? » chiese non particolarmente interessato.
«Vorrei parlare un po’ con te se non ti dispiace. » rispose Winry. «Ho mandato Ed in paese con la nonna quindi non devi preoccuparti che ci interrompa. »
«Non ho niente da nascondere al mio fratellone! » esclamò Al sulla difensiva, sentendosi subito un pessimo bugiardo.
«Sicuro? Senti, credo di aver fatto un errore. Non avrei mai dovuto chiederti di andare a East City. » continuò Winry. «L’ho fatto perché mi sembravi giù di morale e volevo che ti distraessi. A quanto pare invece ho peggiorato la situazione. Mi dispiace. »
«Non è stata colpa tua. » ribatté Al a disagio. «Tu non potevi sapere…»
«Invece lo sapevo eccome. Sheska mi ha parlato della vostra rottura. »
Vedendo Al sempre più sulla difensiva e chiuso in sé stesso, Winry si affrettò a rassicurarlo. «Non ho intenzione di accusarti di nulla. Sheska è una mia amica, certo, ma anche tu lo sei e mi dispiace vedere che non stai bene. Vorrei poteri aiutare. »
Al si rilassò un poco. Se Winry non intendeva accusarlo, allora forse poteva aiutarlo a capire.
«Sheska mi ha detto che c’è un’altra persona. » continuò la ragazza. «L’hai incontrata a East? Le hai parlato? »
Al annuì gravemente.
«Sì, ma è stato uno sbaglio. Non avrei mai dovuto farlo. »
«Perché? »
«Ha complicato ancora di più le cose. È una storia vecchia ormai. Risale a quando stavo facendo le ricerche per la… scomparsa di Ed. Questa persona mi è stata molto vicina e ha fatto in modo che non perdessi la testa. Una sera ho creduto che… ma probabilmente eravamo entrambi confusi. Io ero sconvolto e avevo bisogno… non lo so… forse solo di conforto. Mi sono sentito come tra le braccia di Ed e mi ha fatto stare bene. »
Scosse la testa.
«È tutta una grande sciocchezza. Probabilmente ho frainteso tutto e mi sono lasciato trascinare. Tutto questo non è possibile. »
«Farfalle nello stomaco? »
«Come?! »
Alphonse alzò lo sguardo perplesso su Winry che invece sorrideva.
«Farfalle nello stomaco? Mani sudate? Senso di panico? Confusione totale? Rispondi solo sì o no. »
«Bhè… in effetti sì, ma…»
«Allora, caro mio, mi dispiace ma non ci sono cure. Sei innamorato. »
Al balzò in piedi letteralmente paonazzo e nell’impeto per poco non ruzzolò dagli scalini.
«Questo non è assolutamente possibile! » esclamò a voce fin troppo alta.
Winry non si scompose minimamente.
«Fidati, i sintomi sono quelli e io li conosco bene. Perché dici che non è possibile? Forse perché è un ragazzo? »
«Come… come lo sai? »
«Bhè, è difficile che una ragazza ti faccia sentire come quello scapestrato di Ed…»
Alphonse crollò di nuovo sui gradini scuotendo la testa.
«Senti, non è possibile, ok? Sai come si dice: situazioni estreme portano a reazioni estreme. Non ero in me. »
Winry ridacchiò.
«Anche Ed dice sempre che non era in sé quando mi ha chiesto di sposarlo… bhè, un po’ è vero… ma guarda dove siamo arrivati. Per ottenere qualcosa di buono bisogna essere disposti a rischiare. Non assomiglia un po’ al vostro scambio equivalente? E poi, scusa, anche quando vi siete rivisti ieri era una situazione estrema? »
Al arrossì ripensando ai momenti trascorsi sul ponticello e alle braccia di Russell che lo stringevano.
«Non… non lo so. Forse sì…»
«Comunque sia lui ora conosce i tuoi sentimenti, giusto? Quello che potevi fare, l’hai fatto. Sono sicura che finirà tutto per il meglio, perché tu sei una persona fantastica e te lo meriti. Quindi impara ad accettarti e ad amarti un po’ di più, capito? »
Winry gli strizzò l’occhio e si voltò verso la strada da cui giungevano degli allegri richiami. La zia Pinako e Ed stavano tornando. Alphonse si incantò per un attimo a guardare l’amica: aveva uno sguardo così dolce mentre fissava Ed. Chissà se anche lui aveva un’espressione simile quando pensa a Russell? Che fosse davvero innamorato?
L’avrebbe scoperto molto presto.
L’indomani era appoggiato alla solita finestra con la solita espressione persa quando sentì in campanello suonare e la voce di Winry rispondere.
«Buongiorno. Se sta cercando Edward, in questo momento non c’è. »
Al non sentì la risposta del visitatore. Se si trattava di un militare, magari inviato dal generale Mustang, suo fratello avrebbe dato i numeri. In quel momento Al capiva bene cosa voleva dire non volere scocciature.
«Oh, allora è per lui! Lo chiamo subito! »
Il tono di Winry era notevolmente cambiato, facendosi più amichevole e quasi emozionato. Un attimo dopo la sua voce riecheggiò per le scale.
«Al, scendi! Hai una visita! »
Alphonse sbuffò e si allontanò lentamente dal davanzale. Chi poteva essere? Se Winry aveva pensato che la visita fosse per Ed, allora probabilmente si trattava davvero di un militare. Se si fosse trovato davanti qualcuno dell’ufficio, lo avrebbe cordialmente mandato a quel paese. Era in ferie e aveva tutti i diritti di godersele! Era ancora a metà della scala quando, abbassando lo sguardo, si irrigidì e si bloccò con un piede a mezz’aria. Russell, nell’uniforme blu dell’esercito, gli sorrideva dall’ingresso.
«La nonna è sul retro a sistemare gli attrezzi e se Ed dovesse rientrare, ci penserò io a tenerlo a bada. » esclamò Winry. «A costo di chiuderlo in officina! » Così dicendo strizzò l’occhio ad Al e uscì a sua volta.
«Hai una buona amica. » esordì Russell.
«Già. » annuì Al ancora fermo sulle scale. «Sarebbe capace di legare mio fratello a una sedia e costringerlo a una manutenzione straordinaria solo per tenerlo lontano da qui. »
Russell lo raggiunse sulle scale e gli prese una mano tra le sue.
«Ciao…»
Al arrossì e distolse lo sguardo.
«C… Ciao…»
«Hai ancora paura di me? »
«N-non ho paura di te… ma… perché sei qui? »
«Bhè, avevamo un discorso in sospeso. Sei stato coraggioso a venire a East City, io non sarei riuscito a venire a cercarti. Ora però toccava a me. »
Al sospirò.
«Il coraggio non c’entra niente. È solo che Winry mi ha chiesto…»
«Di ritirare quegli anelli, lo so. Però avresti potuto rifiutare o ignorare l’invito di Fletcher o andartene in qualsiasi momento. Invece non l’hai fatto. »
«Volevo… capire…»
Russell strinse di più la mano tra le sue.
«Adesso hai capito? »
Al sentiva il cuore battere a mille.
«Forse è vero. Tu assomigli al mio fratellone. Sei gentile e premuroso come lui. Anch’io posso in qualche modo ricordarti il tuo fratellino, con questo corpo di quattro anni più giovane e il costante bisogno di qualcuno che mi rassicuri, anche se non vorrei. »
Non sapeva da dove arrivavano quelle parole, sapeva solo che doveva parlare. Parlare e non pensare o non avrebbe retto la tensione.
«Dopotutto è vero che situazioni estreme portano a reazioni estreme. Tutto questo non… non è possibile. »
Russell sembrava perplesso.
«Situazioni estreme? Al, ieri abbiamo bevuto un caffè e passeggiato nel parco. È bastata una notte per farti cambiare idea? Inizio a pensare che tu mi stia pendendo in giro… o che stia prendendo in giro te stesso. »
Si girò e scese un gradino. Temendo di averlo esasperato con la sua indecisione, Al esclamò d’impulso: «Forse è vero! Forse mi sto solo prendendo in giro! O forse ho solo bisogno di essere sicuro! Ti prego…»
Russell risalì il gradino per essere all’altezza dei suoi occhi e disse con espressione insolitamente seria: «Non esiste niente di sicuro e come dice il principio dello scambio equivalente, se non sei disposto a dare non puoi ottenere. Però, visto che tu proprio non vuoi dirlo, per questa volta lo farò io. »
Gli prese il viso tra le mani e lo fissò con quegli occhi azzurri limpidi come cristalli.
«Ti amo. »
Due semplici parole. Le più semplici del mondo. Eppure ad Al sembrò che quello stesso mondo esplodesse di mille colori come un fuoco d’artificio. Rimase a fissare Russell con gli occhi sgranati e le lacrime che iniziavano a pizzicargli le ciglia, senza riuscire a trovare niente da dire.
«Non ti basta? »
Il tono preoccupato di Russell lo fece tornare in sé.
«Come puoi pensare che non mi basti? Questo è il momento più… emozionante della mia vita! »
«Addirittura? Con tutto quello che hai passato…» fece Russell tornando a sorridere malizioso.
Al si chiese come riuscisse a scherzare anche in un momento del genere.
«Ti assicuro che è come se non fosse mia successo niente. » rispose ed era vero.
In quel preciso istante non gli importava di essere un essere umano e non un’armatura vuota, non gli importava di aver creduto morto suo fratello e di averlo poi ritrovato e non gli importava nemmeno che quello stesso fratello potesse entrare dalla porta da un momento all’altro. Il mondo si era ristretto alla penombra di quella scala e al gradino su cui si trovavano.
«Ti amo anch’io. » mormorò trovando finalmente la forza di dare voce ai suoi veri sentimenti.
Russell gli accarezzò una guancia e quando le loro labbra si unirono, Al ritrovò tutto il calore di quella sera ormai lontana.
«Non sarà facile. Tu stai a Central City e io non posso lasciare il lavoro a East. » disse Russell mentre se lo stringeva addosso.
«Stavo già pensando di chiedere il trasferimento, inoltre non posso certo fare il terzo incomodo nella stessa casa con i due piccioncini appena sposati. » rispose Al respirando il profumo della sua uniforme. Sapeva di colonia e del fumo del treno.
Russell ridacchiò, poi improvvisamente si zittì.
In quel momento sentirono una voce provenire dal cortile.
«Cosa?! Una manutenzione straordinaria adesso? Starai scherzando, Winry! »
Al sbiancò: non era pronto a parlare con Ed adesso, aveva bisogno di tempo. Senza contare che suo fratello era già su di giri di suo e gli avrebbe fatto una scenata.
«No, non scherzo. » rispose la voce di Winry. «Fila in officina, la nonna ti sta già aspettando. Io recupero alcuni attrezzi e vi raggiungo. »
Mentre sentivano Edward allontanarsi, Russell strinse la mano di Al.
«Credo che il problema principale sia questo. »
«Già. Chi lo dice a Ed? »
In quel momento Winry si azzardò ad aprire appena la porta e a gettare un’occhiata discreta all’interno.
«Ragazzi…» chiamò sommessamente.
Quando li individuò sulla scala, sorridenti, con i volti arrossati e le dita intrecciate, la sua espressione si illuminò.
«Congratulazioni! » esclamò salendo i gradini per abbracciare Al.
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo complice.
«Lei. »
«Già, ci penserà lei. »
Intuendo il soggetto del loro discorso, Winry alzò le mani in segno di resa.
«D’accordo, parlerò io con Ed, ma solo dopo la cerimonia. Non avrà il coraggio di fare una scenata alla sua dolce mogliettina. »
Brandì la chiave inglese che teneva sempre in una tasca dei pantaloni e Al e Russell scoppiarono a ridere.
Non avrebbero avuto vita facile con Ed, ma confidavano nel fatto che presto avrebbe capito, visto che lui più di chiunque altro sapeva bene che tutti meritavano un po’ di felicità.
   
 
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