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Autore: Il_Genio_del_Male    11/06/2014    6 recensioni
C’era una volta, in un’epoca molto lontana e remota, il giovane imperatore della Cina. Questa è la storia di come il suo incontro con un usignolo gli cambiò la vita.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chen, Chen, Lay, Lay, Lu Han, Lu Han
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quei fagiani maledetti'
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RATING: Verde bosco.

PAIRING: Sorpresa, dai.

GENERE: Fiaba, Sentimentale.

AVVERTIMENTI: AU, Cross-over, Slash accennato e un po’ di OOC.

DISCLAIMER: Nessuno degli EXO mi appartiene (anche se vorrei adottarli in massa, ma vabbé); fyccina scritta assolutamente non a scopo di lucro: non guadagno nulla dalla mia attività di fangirlamento compulsivo.

NOTE: Forse più di tanto non riesco a stare lontana da Word, forse il caldo mi concilia la scrittura, o forse l’ispirazione non è ancora scemata: com’è e come non è, sono di nuovo qui con una nuova storia. Una one-shot, stavolta, non tanto lunga, palesemente ispirata all’omonima fiaba di Hans Christian Andersen; solo il finale è diverso.

Buona lettura (si spera)!

 

 

 

 

 

C’era una volta, in un’epoca lontana e remota quanto lo è questa storia, un giovane uomo di nome Zhang Yixing. Egli era bello, con lunghi capelli d’ebano e occhi altrettanto neri, due deliziose fossette sulle guance e la pelle di madreperla, morbida come quella di una fanciulla. Abiti di seta purissima e velluto ne vestivano le membra agili e flessuose, esaltando così il suo vigore di ragazzo da poco entrato nell’età adulta.

Yixing era l’imperatore della Cina, succeduto al trono ancora adolescente dopo la morte del padre, e ciò lo rendeva uno degli uomini più ricchi e influenti delle terre conosciute. I suoi sudditi lo amavano con vera devozione: egli, infatti, era saggio e giusto, misericordioso con i poveri e spietato solo con i criminali che si macchiavano di turpi delitti.
Non era avido di ricchezze ed era di costumi morigerati, tanto che alla sua età non si era ancora deciso a prendere moglie –nemmeno una concubina che gli scaldasse il letto. Egli, tuttavia, era pur sempre l’imperatore di un grande continente, sicché quando necessario sapeva mostrarsi molto esigente, forse fin troppo. Quando si prefiggeva un obiettivo, dimenticava di tenere conto dei consigli dei suoi uomini di fiducia e la sua smania non si placava finché non aveva raggiunto lo scopo.

Il palazzo dove egli risiedeva era uno degli spettacoli più sublimi che esistessero al mondo. Costruito in pregiato marmo bianco (lo stesso utilizzato per i pavimenti), aveva il tetto di porcellana azzurra e numerose torri d’avorio; le tappezzerie di ogni stanza erano di tutti i colori dell’arcobaleno, intessute d’oro, argento e porpora. Anche il giardino circostante era una meraviglia; vi crescevano i fiori e le piante più rari, e ad ogni ramo era appesa una campanella d’argento che tintinnava al minimo soffio di vento. Nei cento e più laghetti artificiali nuotavano pesci di ogni tipo e grandezza, insieme ad anatre, rane, tartarughe ed altri animali anfibi.

Oltre il giardino, un immenso e fitto bosco si estendeva fino al mare. Il caso volle che nel cuore del bosco vivesse un usignolo la cui voce non aveva eguali. Dalla sua minuscola gola scaturivano delle melodie così struggenti e accorate che chiunque le ascoltasse si commuoveva fino alle lacrime.

Da ogni parte del globo giungevano forestieri per ammirare il palazzo dell’imperatore Zhang, e ogni volta restavano a bocca aperta davanti a tanta sfolgorante magnificenza; ma quando capitava loro di udire i cinguettii dell’usignolo, si trovavano tutti d’accordo nell’ammettere che il suo canto era il tesoro più prezioso del grande impero. Tra i visitatori che annualmente si recavano in Cina c’erano anche scrittori e poeti –alcuni dei quali, tornati in patria, scrissero libri e sonetti sullo straordinario uccellino, tessendone le lodi più sincere e sperticate.

Accadde che, un giorno, uno di questi volumi giunse nelle mani del giovane Yixing. Egli lo lesse, strabiliò e fece subito chiamare il gran cerimoniere.

“Nel bosco che confina con i miei giardini vive un usignolo dal canto incomparabile e io non ne sapevo niente” esordì, la voce vibrante d’indignazione. “E’ inaudito che io abbia dovuto leggere un libro straniero per apprendere che la più grande meraviglia dell’impero non è che un uccellino dalla voce d’oro! Perché non mi è mai stato riferito?”

“Anche io ne ignoravo l’esistenza, Figlio del Cielo [1]” rispose l’uomo, il cui nome era Lu Han, spaventato dalla collera del suo signore. “Ma lo troverò, se questo è ciò che desideri”.

“Al più presto, mi raccomando. Questa sera stessa l’usignolo deve cantare solo per me” fu l’ordine perentorio.

Il gran cerimoniere dette subito inizio alle ricerche. Interrogò principi e nobili, cavalieri e guardie. Nessuno di loro però aveva sentito parlare del fantomatico volatile, né sapeva dove vivesse.
Scoraggiato, il funzionario tornò dall’imperatore.

“Huángdì [2], l’usignolo è introvabile. Forse non esiste, è tutta un’invenzione di chi ha scritto il libro, una favola per dilettare i suoi connazionali”.

Ma Yixing non volle sentire ragioni, testardo com’era. “Non contraddirmi, Lu Han. Rintraccia l’usignolo e portamelo: se stasera non darà un concerto a corte, tu verrai punito della tua incapacità con cento nerbate”.

Spronato dalla minaccia, il poveretto riprese a correre in lungo e in largo per strade, piazze, vicoli e giardini, a tempestare di domande chiunque incontrasse. Finalmente, nelle cucine imperiali, si imbatté in una sguattera che gli fu di aiuto.

“Sì, conosco l’usignolo di cui parlate. Qualche volta, la sera, mi viene concesso di portare gli avanzi di cucina a mia madre, che abita poco distante dalla costa. Al ritorno sono stanca e mi fermo nel bosco a riposare un poco, e spesso ho la fortuna di ascoltare il canto dell’usignolo. Ha una voce così dolce che ogni volta mi vengono le lacrime agli occhi” raccontò la ragazza, Song Qian [3].

“Potresti aiutarmi a rintracciarlo?” Lu Han dovette trattenersi dal baciarle d’impulso le mani.

“Credo di sì”.

“Se ci riesci, ti farò avere un posto di cameriera al servizio personale dell’imperatore” promise.

Radunò in gran fretta un folto seguito di cortigiani e cavalieri e, guidati dalla bella sguattera, si diressero tutti verso il bosco. Camminavano già da un’ora quando nell’aria si alzò il muggito di una mucca. I gentiluomini si fermarono con aria rapita.

“Deve essere l’usignolo che canta. Ha una voce stupenda”.

“Questo è il muggito di una mucca” ridacchiò Song Qian, divertita da tanta dabbenaggine. “L’usignolo non vive qui”.

Poco più avanti, sentirono delle rane gracidare ai bordi di un fossato.

“Oh, il dolce canto!” sospirarono gli uomini. “L’abbiamo finalmente trovato!”

La fanciulla rise apertamente, spiegò che la voce dell’usignolo era tutt’altra cosa e proseguì. Si fermò poco dopo davanti ad un albero e indicò un uccellino minuto dalle piume grigie che saltellava aggraziato tra i rami.

“Ecco, quello è l’usignolo che state cercando”.

Il gran cerimoniere ed il suo seguito rimasero delusi dall’aspetto modesto del volatile ma, non appena udirono il suo canto, ne furono conquistati, e con tutti i riguardi lo invitarono a corte. L’usignolo accettò di buon grado.

Erano stati fatti grandi preparativi per il suo arrivo: fiori freschi a profusione dappertutto, pavimenti lucidati a specchio e un trespolo d’oro massiccio in mezzo alla sala del trono per il piccolo cantore. E, seduto sul suo scranno, Yixing attendeva con impazienza di ascoltare le meravigliose melodie di cui tutto il mondo parlava.

L’usignolo si posò sul trespolo, si inchinò nella direzione del suo illustre ospite e cominciò a cantare. Al termine del concerto l’imperatore piangeva di commozione; quelle note perfette e malinconiche avevano toccato le corde del suo cuore, ed egli per qualche istante aveva riassaporato la splendida e amara ebbrezza di un’infanzia trascorsa troppo in fretta.

“Resta per sempre con me e rendimi felice” pregò l’uccellino. “In compenso avrai tutto ciò che desideri, ciò che più ti piace, tutto insomma…!”

“Maestà”, rispose l’altro, “mentre cantavo ho visto le lacrime nei tuoi occhi e questo, per me, è la ricompensa più grande, non chiedo altro. Se lo vuoi, sono pronto ad abbandonare il bosco e a rallegrarti con la mia voce ogni volta che me lo chiederai”.

E così l’usignolo rimase a palazzo, alloggiato in una gabbia d’oro appesa nella stanza da letto di Yixing. I due non ci misero molto a stringere una profonda, seppur bizzarra, amicizia.
Il giovane sovrano scoprì che l’uccellino aveva un nome, Zhongdai, e ne rimase molto colpito poiché aveva sempre creduto che quello di chiamarsi per nome fosse un vezzo esclusivamente umano. E le straordinarie capacità linguistiche dell’usignolo contribuivano solo ad infittire il mistero. Qual era il passato di Zhongdai, che cosa nascondeva? Era forse l’unico sopravvissuto di una razza ormai estintasi di usignoli graziati dagli dèi con il dono della parola? Yixing se lo domandava spesso; il suo amico pennuto lo incuriosiva.

Zhongdai, però, non sembrava volergli dare la soddisfazione di rivelare il suo segreto all’imperatore. Cantava per lui, assecondandone le richieste e talvolta intrattenendolo con conversazioni piene di brio, ma di sé non parlava mai. Gli era permesso uscire una volta al giorno nei giardini, con un filo di seta legato ad una zampina, sorretto da Lu Han.

Un giorno Yixing ricevette un dono dal suo alleato, l’imperatore del Giappone: uno stupendo usignolo meccanico di notevoli dimensioni e tutto d’oro con le ali costellate di diamanti, la coda risplendente di zaffiri e gli occhi di rubino. Bastava girare una piccola chiave nascosta tra le pietre preziose e l’uccello meccanico si esibiva in una bella melodia.

“Ti ringrazio infinitamente, mio caro amico” entusiasta ammirò il ricchissimo dono. “Che il gran cerimoniere porti qui Zhongdai: voglio sentirlo cantare insieme a questo prodigioso automa”.

Il risultato fu una grossa delusione. L’usignolo vero cantava col cuore, l’altro con molle e cilindri d’acciaio. Le due voci non si armonizzavano tra di loro e il sovrano si stizzì.

“Che l’usignolo meccanico canti da solo” ordinò.

Per ben trenta volte il giocattolo ripeté la stessa canzone senza mai cambiare una nota, tra gli applausi e i complimenti della corte al completo. Alla trentunesima Yixing comandò di spegnerlo.

“Ora canti Zhongdai”.

Ma il volatile era introvabile. Approfittando della disattenzione generale era volato via attraverso la finestra aperta, diretto verso il bosco dove aveva sempre vissuto in libertà. Era offeso e ferito dalla facilità con cui l’imperatore si era lasciato affascinare da una voce artificiale, priva di qualsivoglia emozione, stregato dall’aspetto vistoso dell’usignolo meccanico. Era così semplice sostituirlo? Non contavano nulla, dunque, la loro amicizia, tutte le ore trascorse insieme?

Yixing si rattristò per la scomparsa di Zhongdai, ma ben presto si consolò: gli restava sempre l’usignolo meccanico, e ne era così orgoglioso che permise anche alla popolazione della capitale di ascoltare il suo canto. Molti andarono in visibilio, ma coloro che avevano avuto occasione di sentire l’usignolo vero, nel bosco, scuotevano il capo.

“C’è una gran differenza tra i due…” mormoravano, attenti a non farsi udire dal sovrano.

L’imperatore, invece, ogni giorno che passava era sempre più soddisfatto dello straordinario giocattolo. Lo teneva su un cuscino di raso rosso accanto al letto e lo caricava di continuo, e si entusiasmava di quel canto sempre uguale, senza mai una variazione. Alla gabbia dorata di Zhongdai, ora desolatamente vuota, non riservava che qualche distratta occhiata e ignorava sempre la fitta di dispiacere che lo coglieva a tradimento allo sterno.

Ma una sera, proprio nel bel mezzo del gorgheggio più acuto e complicato, si udì uno schianto e la musica emessa dall’usignolo meccanico tacque: qualcosa si era rotto nel delicato dispositivo. Yixing subito chiamò a consulto tutti i medici del regno, ma nessuno sapeva quale rimedio proporre per un marchingegno. Fu invece un esperto orologiaio a trovare la soluzione, cambiando la molla che si era guastata.

“Maestà, mi duole informarti che ormai tutto il meccanismo interno è logoro e consunto. D’ora in poi, se non vuoi che si rovini irrimediabilmente, potrai caricare l’usignolo solo una volta all’anno” lo avvisò poi.

L’imperatore, benché controvoglia, fu costretto a seguire il consiglio dell’artigiano.

Passato che fu un anno, Yixing si ammalò in maniera gravissima. Giaceva nel suo letto con lenzuola di seta e coperte di broccato, e nonostante tutta la sua potenza era solo. Nobili e cortigiani erano impegnati a discutere della successione al trono -questione spinosa, poiché l’imperatore non aveva figli né moglie- e i medici studiavano i loro tomi alla ricerca di nuove medicine da somministrare al giovane ammalato. Servitori e camerieri si limitavano a svolgere i compiti a loro assegnati, indifferenti.

Mai come in quei giorni di malattia Yixing sentì la mancanza di Zhongdai. Nonostante gli sforzi non era riuscito a dimenticarlo; si rendeva conto di averlo perso per sempre e malediceva la leggerezza con cui gli aveva preferito un banalissimo automa. E lui, l’usignolo, si ricordava ancora dello stolto che si era lasciato abbindolare dalla lucentezza delle pietre preziose a discapito di una voce, e soprattutto di un cuore, tra i più rari e puri?

Un giorno, al suo risveglio, l’imperatore aprì gli occhi e vide, seduta sulla sponda del letto, la Morte che lo fissava, immobile e silenziosa, avvolta in un ampio mantello nero. Capì che era giunta la sua ora e si voltò verso l’usignolo meccanico alla sua destra, avendolo scambiato per Zhongdai.

“Canta, ti prego, canta” sussurrò agonizzante. “Voglio sentire la tua voce ancora una volta, prima di morire”.

Ma il giocattolo taceva. Non c’era nessuno a caricarlo e lui, da solo, non poteva cantare. A un tratto risuonò nella stanza una melodia colma di tristezza. Yixing sollevò lo sguardo e riconobbe, sul davanzale della finestra, Zhongdai, il caro e vecchio Zhongdai, piccolo e grigio come lo ricordava. L’uccellino era venuto a conoscenza della sua morte imminente e, pur con grande dolore, era tornato per allietarne come poteva gli ultimi attimi di vita.

Anche la Morte udì quel canto straziante, e quando l’usignolo s’interruppe lo incitò a proseguire. Quella musica le trasmetteva una gran nostalgia del suo regno lontano ed ella, benché sentisse le sue forze venir meno, continuò imperterrita ad ascoltare. Altre note soavi riempirono la stanza e, ad ogni istante che passava, l’imperatore si sentiva meglio mentre la Nera Signora pian piano si allontanava dal capezzale, trasformandosi in una nebbia opalescente che svanì oltre la finestra.

“Mio salvatore” disse, con un po’ di fatica, Yixing, “sono stato un ingrato nei tuoi confronti, preferendo a te, un amico sincero, l’usignolo meccanico; ma ora intendo riparare. Distruggerò quello stupido giocattolo, se vuoi, ma ti prego, non abbandonarmi mai più. Solo adesso lo capisco: senza di te non posso vivere”.

A quelle parole, pronunciate con un’emozione che fece breccia nel cuore di entrambi, Zhongdai emise un trillo di gioia e fu avvolto da un turbine di scintille dorate. Yixing spalancò la bocca per gridare, terrorizzato all’idea che stesse capitando qualcosa di nefasto alla creatura a lui tanto cara, ma dovette ben presto ricredersi.

Sotto il suo sguardo esterrefatto si materializzò infatti la conturbante figura di un bellissimo uomo dagli occhi di gatto e le labbra incurvate all’insù, gli zigomi cesellati ed un fisico minuto ma dalla muscolatura elegantissima. Indossava un’esigua camiciola di lino e, pur così poco vestito, non vi era nulla di indecoroso in lui. Vedendo che Yixing si limitava a fissarlo con tanto d’occhi, incapace di proferire verbo, il giovane balzò giù dal davanzale ed entrò nella stanza, sorridente.

“Sono proprio io, Maestà, non temere. Il mio vero nome è Jongdae e sono nato nel regno di Silla [4] più tempo fa di quanto riesca a ricordare. Cantavo per il re ed ero l’artista più ammirato del paese, colmato di onorificenze e regali da parte del sovrano e dei suoi dignitari. Ma un anonimo musico di corte, invidioso del mio talento, si procurò da una maga un sortilegio per sbarazzarsi di me e con l’inganno mi fece bere un filtro magico che mi tramutò in usignolo. Mi disse, prima che io riuscissi a volare via da una finestra, che avrei serbato l’aspetto di un volatile fino a che non avessi incontrato qualcuno capace di nutrire per me un sincero affetto, a prescindere dalla mia voce e nonostante il mio umile aspetto” si avvicinò al letto, ove l’imperatore giaceva convalescente. “E sembra proprio che abbia trovato quel qualcuno, alla fine”.

Yixing gli tese le mani ed esalò, tremando al contatto con le dita fresche dell’altro, “Un motivo in più per rimanere qui con me, non trovi?” abbozzò un sorriso esausto.

“Adesso riposa. Hai sofferto tanto, devi riprenderti” Jongdae si chinò a baciargli la fronte. “Domani, quando ti sveglierai, sarai completamente guarito ed io sarò ancora al tuo fianco. Dormi, amore mio” ed intonò per lui una dolcissima ninna nanna.

L’imperatore cadde in un sonno profondo e ristoratore.

La mattina seguente, quando cortigiani, medici e servitori entrarono nella stanza dell’ammalato, convinti di trovarlo morto, lo videro già alzato e allegro, pieno di energia. Accoccolato sulle soffici coltri con lui stava uno sconosciuto di incredibile avvenenza, il capo posato sulla spalla dell’imperatore. Basiti, ne udirono la risata squillante e credettero di non aver mai ascoltato una voce tanto bella. Non seppero mai il perché di quel doppio prodigio, ma gioirono per la pronta guarigione del loro signore e accolsero il nuovo arrivato con tutti gli onori.

E un mistero rimase anche la scomparsa dell’usignolo meccanico.

 

 

 

 

[1] Secondo Wikipedia è un titolo conferito all’imperatore cinese e creato durante il regno della dinastia Shang (1600 a.C. - ca. 1046 a.C.).  

[2] ‘Imperatore della Cina’, letteralmente (sempre secondo Wikipedia).

[3] Alias Victoria delle f(x).

[4] Antico nome della Corea del Sud.

 

Pochi dialoghi –potrebbe quasi sembrare una fiaba vera e propria. Che stia migliorando?
Spero vi sia piaciuta. In caso contrario, le critiche (purché educate) sono ben accette.

 

Vi lascio il link della mia pagina Facebook, in caso vi incuriosisse  seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

Bye!

   
 
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