Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: TonyCocchi    11/06/2014    1 recensioni
Romano è un ragazzo di Napoli, Belle una studentessa belga: il suo Erasmus nella città partenopea si è ormai concluso, e con lei va via anche il primo vero amore che l’italiano abbia mai avuto.
Un finale amaro che lo tiene con lo sguardo fisso al soffitto a proiettarvi ricordi e domande: se tutte le cose belle poi finiscono allora che senso hanno? Davvero alla fine non rimane che amarezza e vuoto?
[AU – Mondo reale] [Romano x Belgio]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belgio, Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
RomaBel - vespa

Carissimi lettori, rieccomi qui! ^__^

Sono un po’ sparito non lo nego… Ispirazioni ce ne sono ancora, tempo e testa un po’ meno, sarà per quello… XP

Magari mi faccio vivo più di rado, ma quando lo faccio, sono sempre contento di offrirvi una nuova storia in cui ho messo tutto il mio impegno, e mi auguro voi siate altrettanto contenti di leggerla ^_°

A proposito di contentezza, è anche arrivata l’estate! In questa stagione un tempo scrivevo tantissimo, ma c’era anche molta più libertà, ahimé XD Chissà se sfornerò un po’ di più in questo periodo…

Questa nuova storia è una RomaBel ambientata nel nostro mondo: credo vi risulterà un po’ malinconica, specie all’inizio, ma anche la malinconia fa parte dell’amore… come ogni altro sentimento.

È proprio questo comprendere al suo interno ogni cosa, ogni lato della medaglia, che è il punto di partenza di questa storia, che cercherà di parlarvi dell’amore e di suoi aspetti che a volte non vediamo, o che possono sembrarci tutt’altro che positivi, che ci pongono tanti dubbi… ma che sono altresì irrinunciabili per chi vorrà accostarsi ad esso…

Un grazie a Maria che mi ha suggerito il titolo ^__^

Per chi se l’è persa poi, di recente ho postato anche un’altra storia, nella sezione Originali, anche se comunque concepita partendo un po’ da Hetalia (quelli che hanno letto le mie storie col pairing Prussia x Repubblica Ceca apprezzeranno ^_°)

Ve ne lascio il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2626111&i=1

 

Senza altri indugi, buona lettura a tutti!

 

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!


PPPS: I miei PS… Che nostalgia X3

 

 

 

Le casse collegate al suo lettore mp3 mandavano Pino Daniele, il suo musicista preferito.

C’erano davvero tante cose che non andavano quel pomeriggio. Tanto per cominciare, lui non era il tipo da stendersi sul letto a sentire musica, chiuso in camera propria, con la tapparella mezza abbassata. Lui non si rilassava così, quelle rarissime volte che ne sentiva davvero il bisogno, e ad ogni modo, era tutto fuorché rilassato mentre osservava il soffitto.

Il caro Pino… Quel giorno stava facendo un ottimo lavoro nell’abbatterlo ancora di più.

 

Amici come prima

Perché in fondo alla mia mente

Ci sei tu

 

Romano storse le labbra a quel pensiero: che senso aveva lamentarsi delle canzoni che lui stesso aveva selezionato? Avrebbe potuto benissimo metter su una playlist che lo svegliasse, che gli facesse pensare a tutt’altro, o anche a niente.

A volte, nei momenti di sconforto, gli esseri umani sembrano sentire il bisogno di rincarare la dose aggiungendoci una musica adatta; come se indulgere in quel “masochismo musicale” fosse un irrinunciabile valvola di sfogo per quella tempesta che li sconvolge; o forse era invece sadismo per il mondo attorno, che riempito di note tristi, veniva costretto ad essere triste insieme a loro.

Lui triste, e chi l’avrebbe mai detto?

Romano non era conosciuto certo per essere un sentimentale; un ragazzo dall’apparenza sicura, molto concreto, spontaneo a volte al punto da risultare brusco o seccante, ma in fondo di compagnia, sempre disponibile per “pariare”, oltre che un risaputo sciupafemmine. Uno così lo vedi in giro, perennemente sulla vespa, a tirar tardi tra amici e ragazze; uno così non è fatto per starsene a guardare il soffitto di camera propria con l’aria imbronciata.

 

Perché non so rassegnarmi

Al pensiero di non averti più

 

Il guaio lo sapeva benissimo dove stava: nel fatto che negli ultimi sei mesi di ragazza sul sellino della sua vespa ce n’era stata una sola.

Ma ora se ne era andata.

Un disastro più che evitabile se fosse rimasto fedele a sé stesso, al Romano che tutti conoscevano da sempre, invece di ritrovarsi, senza neppure accorgersene, immerso in qualcosa che non poteva permettersi il lusso di diventare ciò che di più grande avesse mai avuto in vita sua. Un amore che gli faceva dubitare di tutti gli altri avuti in precedenza.

Quei tanti amori, forse un po’ troppi…

Una cosa che poteva anche starci per carità. Ma non così.

Come aveva potuto essere così stupido? Dedicarsi con tutto sé stesso, per sei lunghi mesi, a qualcuna che sapeva sarebbe andata via.

Un mese per cominciare con un’amicizia, sempre più profonda.

Un mese a “fare lo scemo” con lei fino al primo bacio di conquista.

Quasi altri quattro mesi a trasformare la conquista in un dolce di cui non si può più fare a meno, e che rende tutti gli altri “babà” che Napoli aveva da offrire dei semplici e asciutti tarallini.

Poi le ultime settimane in cui entrambi avevano iniziato a rendersi conto.

E la freddezza, le cattive maniere, le incomprensioni cercate a tutti i costi, i litigi, per cercare di odiare, di dimenticare.

Ma non erano riusciti a guarire in tempo. E quando si erano resi conto di non potercela fare, erano rimasti tutta la notte abbracciati, a lasciar confondere le ultime dolci frasi, condite dai gemiti, nel rumore dell’ultima pioggia prima dell’estate che cadeva sul tettuccio dell’auto di suo padre.

E ora Belle se n’era andata. Il suo Erasmus era finito, ed era tornata al suo paese, lì nel Belgio: il suo aereo sarebbe partito a breve.

L’ultima volta che erano stati insieme era stato due giorni prima per un ultimo giro, con la decisione di non vedersi il giorno seguente, accontentatisi di quell’addio dal vivo. Si erano da lì in poi rivolti giusto qualche sms.

Pochi e di poche parole, che volevano dissimulare un avvenuto distacco, ma che invece proprio in quella pretesa freddezza avevano lasciato trasparire la sofferenza di entrambi.

E quel giorno, il giorno della sua partenza, assolutamente nulla.

Il silenzio, riempito dalla musica del buon Pino.

 

L’amore nunn’è amore

Se nun te fa suffrì

L'essere umano è strane e e e
Nun ce sta niente 'a fa'

 

Sapevano entrambi che sarebbe finita. Magari proprio per quello si erano entrambi buttati al principio, ma poi, accidenti a loro, a un certo punto se ne erano dimenticati.

Come avevano potuto essere così fessi? Come aveva potuto esserlo lui, che per definizione non lo era, si disse senza ostentare modestia, fuori luogo in un piccolo spaccone come lui.

Non era poi la prima volta che stava male per una ragazza, cosa aveva quella volta per essere così diverso? Possibile che Belle, quella biondina belga dolce un waffel, avesse significato così tanto per lui? Sei mesi sono davvero così lunghi?

Ripensava a quel periodo, a come quella chioma bionda, decorata ogni giorno da frontini e nastri di un colore diverso, e quel sorrisetto sbarazzino si erano infilati a poco a poco in ogni momento di quella che era stata la sua vita finora.

L'aveva conosciuta tramite suo fratello, Feliciano, il cervello di famiglia, quello iscritto all'università: un giorno era andato a trovarlo in facoltà e lo aveva trovato a chiacchierare col gruppetto di belgi da pochissimo venuti lì in Italia grazie a quella meraviglia del progetto Erasmus.

Inutile dire che l'aveva notata all'istante, qualche istante dopo le aveva rivolto la parola, e un altro paio di istanti ancora l'aveva fatta ridere per la prima volta.

A qualcuno il suo atteggiamento così diretto dava un po' fastidio, ma tanti lo apprezzavano per la sua schiettezza, e, cosa più importante, gli faceva sempre far colpo sul gentil sesso.

 

L'ammore è cose e pazze
E nun se po spiegà

Dapprima si vedevano sempre insieme a Feliciano e gli altri amici del gruppo, e poi avevano preso a vedersi da soli, come da copione.

La voglia di stare insieme era sempre tanta; lei lo chiamava per farsi accompagnare in ogni piccola commissione per poi girare insieme, sicura di trovarlo sempre libero o pronto a liberarsi al più presto dall’officina dove lavorava; lui aveva cominciato a bazzicare per l’ateneo col nuovo hobby di “romperle le scatole” mentre studiava in biblioteca. E lei, sebbene potesse sembrarne infastidita, non era in fondo poi così preoccupata che i suoi voti potessero risentirne.  

Quante volte da soli si erano imboscati nella villa comunale.

Quante volte col fratello e il resto del gruppo si erano ritrovati a pranzo a casa di qualcuno, e lei aveva cucinato apposta per loro la sogliola alla Bruxelloise o la “waterzooi” o come si chiamava (i tentativi di lei di fargli apprendere un pochino di belga erano stati tanto carini e divertenti quanto inutili).

Come Belle gli aveva tanto parlato e decantato della sua patria, così lui aveva aperto lei le porte del suo mondo, mostrandoglielo in tutta la sua bellezza, e riscoprendolo a sua volta.

In un attimo ripercorreva nitidi i ricordi delle loro passeggiate sul mare a via Caracciolo, i giri per la galleria Umberto I e tra le meraviglie di San Gregorio Armeno; l’aveva portata ad assaggiare la pizza, il caffè e le paste più buone del mondo, e a sentire il calore del tifo del San Paolo; in vespa avevano percorso in lungo e in largo centinaia di vicoli, vie, piazze, e lei, che della sella aveva fatto il suo posto riservato, aveva potuto ammirare incantata il panorama del tramonto sul golfo dall’alto di Posillipo.

Una delle loro esperienze più magiche.

E lei lo aveva portato con sé a tutte quelle mostre, musei, pinacoteche, chiese, che aveva sempre avuto sotto il naso ma che aveva sempre sempliciottescamente snobbato. Grazie a lei era stato anche a teatro.

Una belga che fa conoscere il San Carlo a un napoletano, cose da pazzi! Ci avevano riso su per giorni.

E ora era tutto terminato. Tutti quei bei ricordi, strozzati tra due parentesi sin dall’inizio destinate a chiudersi.

 

E o munno  si, stu munno

O’ munno va

Pure se chiove o esce o’sole

 

E che non gli venissero a dire cavolate sul mondo moderno che è tanto piccolo e sulla tecnologia che ci unisce tutti: avrebbero visto quanto la sua fama di tipo brusco era motivata.

Telefoni, internet, chat, social network potevano permettere loro di sentirsi ancora tutte le volte che volevano, ma non avrebbero mai potuto unirli davvero. Per alcuni funziona, anche bene, ma per loro no, lo sapevano entrambi, non erano quel genere di persone: la loro storia sin dall’inizio era stata tutta un vivere, vicinanza, condivisione, sguardi fissi, mani che toccano. Voci da un microfono e parole su uno schermo non sarebbero mai state all’altezza.

Sarebbe stato solo un patetico e stanco prolungarsi in una illusione che non esisteva più, e nessuno dei due voleva terminasse in un surrogato, nella banalità di qualche “Che si dice?” ogni tanto.

Del resto era giusto così: ciascuno dei due aveva la sua vita. Lui lì nella città più bella e disastrata del mondo, lei in quella parte di mondo che per quelli come lui è quella in cui le cose funzionano, con la famiglia, le amiche e gli amici di sempre a cui raccontare tutto e far vedere migliaia di foto al rientro, le consuetudini di casa sua, quel Belgio che prima di lei in vita sua aveva sentito nominare due volte e non l’avrebbe indicato se non a grandi linee su un mappamondo.

Alle sue conoscenze di geografia aveva fatto molto bene. Quanto al suo cuore…

 

E o munno  si, stu munno

O’ munno va

 

Ripensò a quanto quell'esperienza lo aveva cambiato, a tutti i pensieri nuovi che era stato in grado di fare, le cose che aveva imparato, quanto si era sentito cambiato.

Vivere quei mesi tanto pieni gli aveva fatto credere che tutto ciò potesse fare per lui; che la vita di prima, di tante ragazze e pochi impegni, non era male ma non la rimpiangeva affatto.

Belle gli aveva insegnato cosa volesse dire avere qualcuno con cui aprirsi del tutto quando nessun altro vede, e lui aveva scoperto la sensazione di calore che da sentirsi investito delle gioie, delle paure, dei sogni e di qualsiasi altra cosa l’altro volesse farne partecipe; Romano aveva scoperto che una ragazza al tuo fianco sa farti sentire uomo e felice non per il semplice fatto di “averla”, ma per il tuo puro e semplice desiderio di volerle bene e proteggerla, anche al costo di sacrifici piccoli e grandi.

Gli aveva fatto credere che una bastasse e avanzasse, che l'amore vero non è solo una sdolcinatezza per fessacchiotti, esiste ed è stupendo, e soprattutto è possibile anche per lui. Ma l'ultima lezione del corso era che aveva un prezzo.

E dunque, se finiva così, non era meglio come aveva sempre fatto?

Se finiva che senso aveva?

Perché anche solo iniziare a pensare di innamorarsi, di trovarsi qualcuno e tenerlo accanto a sé in ogni cosa, nelle risate e nei giochi, nei litigi e nelle incomprensioni, nel proprio cuore e nei propri pensieri, se alla fine, vuoi per il mondo, vuoi per i protagonisti stessi della storia, vuoi per altro, tutto terminerà nell'amarezza e nel vuoto? Perché tutti quei sogni se pure quelli che si realizzavano alla fine non divenivano altro che ricordi, cari quanto amari.

Rendersi irriconoscibili persino a sé stessi, perderci il tempo e il sonno, la voglia di credere ancora, pensare di aver sofferto e fatto soffrire, pensare, pensare, pensare…

Belle era nel suo identico stato probabilmente. Che mal di testa.

Averla amata e resa tanto felice era proprio il motivo per cui ora anche lei, come lui, guardava in alto, un po’ per ricordare, un po’ per trattenere le lacrime, se lo sentiva.

A questo serviva l’amore allora?

A far male? Un male per giunta proporzionale a quanto bene ci hai messo?

Quanto avrebbe voluto chiedere a Belle cosa ne pensasse. E scusa, già che c’era.

 

Io voglio sulo che staje bbuona...

 

Troppo assurdo. Troppo doloroso.
Che senso aveva?

 

Suo fratello aprì la porta senza bussare, diede una rapida occhiata alla stanza in penombra e gli rivolse un sorriso dei suoi.

Fisicamente lui e Feliciano erano molto simili, li si sarebbe detti fratelli a prima vista, anche se caratterialmente erano il giorno e la notte: l'uno il tipico ragazzo "in mezzo alla via", l'altro a sua volta il tipico "bravo guaglione", tranquillo, studioso, che non sapeva portare la vespa; l'uno sveglio e con le mani in pasta in tutto, l'altro con un buon cervello ma anche tanto distratto ed ingenuo; l'uno che ne aveva cambiate tante, l'altro che aveva poco da raccontare, o almeno così pensavano in tanti, lui compreso.

A Romano, memore delle innumerevoli volte che lo aveva esortato "svegliarsi" un po’ con le femmine, nel trovarsi su quel letto in quel preciso momento venne in mente Dante col suo contrappasso, e questo sebbene con l'italiano (come del resto varie altre materie a scuola) non fosse mai andato tanto d'accordo.

"Ehi, devo riportare a un collega dei libri che mi ha prestato e papà ha preso l'auto: mi accompagni tu?"

Una scusa per farlo uscire. Col carattere che aveva, sentirsi compatito lo mandava in bestia, ma quella volta impedì al suo orgoglio di vederla così; una volta tanto voleva approfittare di quel fratello così gentile e comprensivo, venuto a tirarlo fuori dalla prigionia dei suoi foschi pensieri. Feli non gli avrebbe chiesto nulla, né avrebbe tentato di indurlo ad aprirsi, ben conoscendo, dopo averci provato inutilmente tante volte in passato, che quelli come lui, "tutti di un pezzo", non lo faranno mai e poi mai: hanno solo bisogno di una scusa e un pò di compagnia, e questo è tutto ciò che gli avrebbe dato.

Lo vide esortarlo ad accettare l'invito a uscire allargando il sorriso che gli rivolgeva, e di rimando annuì senza aprir bocca, tirandosi su.

Alla fine arrivi sempre al punto che ti stufi di essere triste, anche se continui ad esserlo. Belle non se ne sarebbe andata dalla sua testa, né dal suo cuore, in un giorno, per cui non aveva senso star lì a tirarla troppo per le lunghe.

Si cambiò la maglietta e si affrettò a prendere le chiavi all'ingresso di casa.

"Feli dai, andiamo."

 

Una volta riportato il libro al suo amico, Feliciano gli propose, già che erano in giro, una sosta in qualche bar per un caffè o altro, esattamente come si era aspettato: prevedibile ma sempre gentile, e comunque faceva proprio al caso suo.

Lasciando che la guida gli tenesse sgomberata la mente, gironzolò un po’ cercando senza fretta un posto coi tavolini dove fermarsi. Vi trovarono anche un loro conoscente, che dopo il caffè li tenne attaccati a parlare un buon cinque minuti, prima che si inventassero un impegno di circostanza: Romano non era loquacissimo di suo e comunque meglio filare prima che il discorso vertesse su quella “bionda straniera” di cui aveva sentito in giro.

Feliciano era contento di essere riuscito a farlo uscire un po’, ma era anche fin troppo palese il modo in cui rivolgeva di continuo lo sguardo apprensivo al fratello: cosa non avrebbe dato per sapere cosa gli frullasse in testa, se davvero fosse riuscito a farlo stare un po’ meglio o meno.

In realtà nella testa di Romano non c’era nulla di che in quel momento salvo un cauto ottimismo. Sai quante persone al mondo perdono il primo amore (come il secondo, terzo…) e poi si riprendono; sarebbe successo anche a lui, né più né meno. Ormai non stava a lui ma al tempo, quindi meglio lasciarlo lavorare e mettersi l’animo in pace.

Ironicamente, se un giorno Belle, il suo nome, il suo bel faccino, il suono della sua voce, e ogni cosa di lei, non avrebbero più avuto alcun effetto su di lui, gli venne da pensare di doversi godere quanto riuscissero ancora a suscitargli finché era in tempo. Fosse anche solo l’amaro in bocca a coprire quello del caffè appena preso.

 

Allacciati nuovamente i caschi, presero la via del rientro; con la stessa guida calma tenuta fino a quel momento, Romano imboccò la rampa per la tangenziale e la via verso casa.

Feli ovviamente aveva notato quel cambio nello stile di guida, fin troppo pacato e ossequioso per il fratello, a cui la velocità e lo slalom nel traffico non dispiacciono affatto, ma d’altra parte, per uno come lui a cui i motocicli avevano sempre dato timore, era anche meglio così.

“Che ore sono?” –gli domandò tutto a un tratto Romano.

Feli si guardò il polso: “Le sei e qualcosa… Perché?”

Da dietro non poteva vederlo, ma suo fratello aveva testa e sguardo rivolti all’insù, più che alla strada di fronte a sé; né aveva dato peso all’insegna con l’uscita appena superata, Capodichino, quella per l’aereoporto della città.

In realtà neppure Romano, la sua attenzione si era direttamente rivolta a un aereo in decollo: non tanto vicino da avvertirne il rombo, considerati anche i rumori della sempre affollata tangenziale, ma non ancora abbastanza alto da sembrare poi così distante. Così irraggiungibile.

Era il suo?

L’orario era quello giusto in fondo.

Ma che differenza avrebbe fatto saperlo?

In ogni caso non avrebbe potuto mandarle un ultimo saluto lassù.

Né lei, affacciandosi al finestrino, avrebbe mai potuto scorgerlo laggiù.

Che senso aveva avuto chiedere l’ora?
E perché tutto a un tratto la strana voglia di accelerare?

Che senso avrebbe avuto ormai?

 

Feli guardò nuovamente l’orologio, come potesse chiarirgli le idee sul perché adesso il fratello stesse nuovamente dando gas nella sua solita maniera… Poi preferì impiegare meglio quel braccio per tenersi stretto al portapacchi!

 

“Romano?” –provò a chiamarlo, ma le sue parole si perdevano nel fresco del vento che il fratello era tornato a godersi sulla faccia, spingendo il suo mezzo sempre di più.

Chi se ne frega se non aveva senso? A chi doveva mai rendere conto?

Bisogna fare ciò che si sente. Non ricordava se fosse una frase venutagli in mente da solo o se era stata Belle a dirgliela una volta.

Nessuno gli diceva che quello era il suo aereo, anzi, probabilmente non lo era. Magari era già bella che lontana, partita mentre stava perdendo tempo a chiacchierare con quel cretino al bar, o forse il suo aereo decollava appena dietro le sue spalle e lui correva dietro a quello sbagliato.

Ma l’importante, in quel momento, era proprio quel correre dietro.

Rincorrere quel gigante alato di ferro come fosse stato il mostro che aveva rapito la sua principessa; come avesse potuto entrare negli annali del motociclismo spingendo la sua motoretta rossa fin dove nessun altro ne aveva mai portata una, parcheggiarla sull’ala, bussare e chiederle di uscire per dirle un ultimo “Ciao”.

Non sarebbe mai potuto essere così, lo sapeva bene. Né forse in quel preciso istante anche lei stava guardando il panorama, sperando di vederlo comparire o almeno pensandolo, come si vede nei film.

Lui accelerava, e basta. Ne sentiva il bisogno, e non era solo un semplice sfogarsi, solo un infantile quanto dannatamente romantico modo di riportarla, in qualche modo, più vicina a sé.

Era anche per scrollarsi di dosso quel mucchio di pensieri idioti in cui era rimasto a piagnucolare e intossicarsi per tutto il giorno, e con cui aveva osato mancarle di rispetto.

E Romano, leggendario conquistatore, le donne non le manca mai e poi mai di rispetto, ne andava della sua reputazione!  

 

L’amore non avrebbe senso perché finisce? Che idiozia! Allora che senso avrebbe lavare e lucidare la tua adorata vespa se poi pioverà o si sporcherà di nuovo? Che senso avrebbe andare a lavorare se il posto dove lavori potrebbe fallire o potresti essere licenziato? Che senso avrebbe farsi degli amici con cui tirar tardi giù al tuo portone se poi prenderanno strade diverse e non li rivedrai mai più?

Che senso avrebbe ridere se poi piangerai?

Tutto finisce! Ma se tutti stessero a pensare che tanto finirà, nessuno inizierebbe più niente!

Lo aveva avuto un senso, e negarlo significava sminuire Belle e tutto ciò che era stata per lui, e il solo pensiero gli faceva venir voglia di prendersi a schiaffi da solo.

Aveva pure pensato di chiederle scusa. “Grazie” era l’unica parola che doveva rivolgerle, anche solo col pensiero, che ha ali forti si sa, ed era certo avrebbe saputo raggiungerla lì dove le pur fedeli ruote non avrebbero mai potuto portarlo

Grazie per ogni momento, per ogni parola, per ogni lezione, ogni lacrima che non era mai riuscito a versare per nessun altra, per ogni emozione che non si era tenuto dentro come aveva sempre fatto.

Scusa semmai per aver voluto renderla niente… Una parentesi di illusioni da cui riprendersi.

Si sarebbe ripresa anche lei certo, le augurava che fosse presto anzi. Ma altro che non avere più alcun effetto su di lui.

Non si trattava di non dimenticarla mai: Belle e la sua lezione avrebbero fatto per sempre parte di lui, del modo in cui avrebbe affrontato la vita e i sentimenti da quel momento in poi.

Del modo in cui avrebbe inteso una relazione, e cosa da essa avrebbe desiderato e cercato di ottenere; ora che aveva compreso cosa voleva dire, e i dolori che essa può portare, sapeva di essere cresciuto, quantomeno abbastanza perché non si lasciasse fermare, sentiva che poteva e voleva che succedesse di nuovo.

Così sarebbe stato, lo sapeva.

Ma per il momento, avrebbe rincorso quell’aereo, fino a vederlo ridotto a un puntino nell’azzurro e inafferrabile cielo del mediterraneo, che salutava con una bella giornata di sole la partenza di una ragazza tanto solare da rapire i suoi occhi per tutto quel tempo.

Se ci si ama o meno, se funziona o meno, se finisce o meno, non sono mai domande da farsi.

Figurarsi in amore! Qualcosa di bello quanto mutevole, qualcosa che un giorno ti fa felice, il giorno dopo incazzato, che un giorno non ce la fai a sopportare e vuoi mandare tutto all’aria e il giorno dopo sei triste e guardi il soffitto perché non c’è più…

Ma non bisogna aver paura neppure di questo.

Vivi e basta, sii contento del bello che viene e godilo finché c’è: il domani potrà togliertelo, come potrà donarti altro. Il senso è tutto lì.

Ciao Belle, le diceva. Ti ho voluto bene per tutti i tuoi pregi e tutti i tuoi difetti, e tu hai fatto lo stesso con me, quando nessuna ci è mai riuscita prima.

So però che in futuro altre ci riusciranno, e io le ripagherò con tutto l’amore che saprò dare loro.

E non importa se poi finirà, non mi tirerò indietro. Accetterò tutto ciò che ne verrà.

 

Perché se non accetti di farti male, non potrai mai amare davvero.

 

E se farà troppo male, darò un’ultima accelerata, e tornerò ad impennare.

 

Ciao Belle, guarda un’ultima volta la terra quaggiù rimpiccolirsi, e torna presto ad ammirare il cielo.

 

Dato un sospiro conclusivo, e un po’ stufo di sentire le gambe di Feliciano stritolargli i fianchi, iniziò a rallentare. Ormai l’aereo era altissimo, e non c’era più bisogno di rincorrerlo.

Poco dopo imboccò l’uscita vicino casa loro; percorse la successiva discesa a folle, scivolando così in una villetta dove parcheggiò all’ombra di un albero. Senza dire niente si tolse il casco, mentre Feli si sedeva, nuovamente tranquillo, sul muretto di mattoni che delimitava una delle aiuole.

“Tutto a posto ora?” –gli domandò.

“Si, ora si.” –rispose Romano, riabbassando lo sguardo per ringraziarlo.

Ora lei non c’era più per davvero. Ma non era sparita. Semplicemente era al posto giusto.

“Immagino non risponderai se ti chiedo qualcosa, no?”
“No, non credo.”

A Feliciano però bastò dare ancora una volta uno sguardo al suo volto per essere infine certo che stesse bene, ammaccato ma non più distrutto. Il fratello che tante volte aveva preso in giro la sua testa fra le nuvole conosceva finalmente l’emozione di stare al di sopra delle nuvole: adesso il suo volto era tinto di malinconia, di quella malinconia che cambia e aiuta a crescere, e a prendere più sul serio i sentimenti, quelli degli altri e i propri.

“Che cavolo mi guardi così?!” – gli fece a bruciapelo.

“Io…”

“Ora non pensare che venga da te a psicanalizzarmi e robe del genere, eh?”

“Macché…”

A mettere subito le cose in chiaro che non sarebbe mai e poi mai stato il tipo da confidenze e discorsi sentimentali: dopotutto il lato rassicurante dell’amore è che ti cambia senza cambiarti affatto.

“Ja, muoviti! E vedi di imparare a portarla pure te!”
“E perché non mi insegni?”
“Con la mia? In mano a te? Tu staj for’e cap’!”
“E che me lo dici a fare allora?!” – protestò salendo dietro di lui.

Romano, sorridendo, diede un colpetto alla pedivella.

Mentalmente, augurò al fratello di innamorarsi di una motociclista.

O quantomeno, di non aver paura di farlo se mai l’avesse desiderato.

 

 

 

Come sapete, ci sono tanti bei motivi per scrivere storie, e che spesse volte ho ricordato rivolgendomi direttamente a voi lettori: farvi divertire, farvi passare cinque bei minuti di svago, farvi scordare dei problemi, farvi commuovere, farvi appassionare, e, naturalmente, pensare.

Mi auguro di esserci riuscito ancora una volta ^__^

Simpaticoni come sempre Feliciano e Romano, e naturalmente non si smentiscono mai! In fondo se fossero ragazzi credo ce li immagineremmo proprio così, voi che dite? Romano chissà perché me lo sono sempre immaginato in realtà donnaiolo, sarà il calore del “sangue mediterraneo” forse… XD

Sono contento di averla finita e di come è venuta, ho avuto un po’ di problemi “logistici” nel buttarla giù all’inizio, e temevo di non riuscire a riaggiustarla per bene e restasse incompiuta.
Fortuna che in questo periodo sono tanto testardo XD

Spero qualcuno di voi vorrà farsi sentire con un commento e mi faccia sapere come l’ha trovata ^__^

Le canzoni di Pino Daniele riportate nel testo della storia sono linkate di seguito ^_°

“Amici come prima”: https://www.youtube.com/watch?v=BgxPxcrMNsM

“O’ munn va”: https://www.youtube.com/watch?v=BlUfICjjkb8

 

Alla prossima!

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: TonyCocchi