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Autore: Hilda Polaris    30/12/2004    0 recensioni
- 2019, ATTO I rimaneggiato e corretto. ATTO II revisionato e aggiunta scena V! -
Il Silenzio dei ghiacci, la maestosità dei monti, l'infinito fulgore dei cieli... Le Alfe, fate del gelo, si riuniscono in una radura tra gli abeti durante un'abbondante nevicata, e iniziano, a turno, a raccontarsi una favola.
What If strutturata come un'opera teatrale per chi ama il mondo di Asgard, vorrebbe sapere di più sul passato, presente e futuro dei protagonisti e, soprattutto, vorrebbe che la storia non fosse finita così.
Grazie in anticipo a chi vorrà leggere e commentare.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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SCENA II

 

Il Sembrare fa violenza anche alla Verità.

(Simonide, lirico greco, V sec. a.C.)

 

 

“Amami.

Odiami.

Amami.

Odiami.

Amami, odiandomi.

Odiami, amandomi.

Lunghi e sottili rami, simili a tentatrici dita di donna, percorrevano la sua pelle, nuda nonostante il freddo intenso. Il vento scompigliava leggermente i suoi capelli. I suoi occhi erano chiusi, immobili le pupille sotto le palpebre.

Diventa uno con me.

Amami.

Il suo respiro era così silenzioso da sembrare impercettibile. La neve cadeva quietamente ma abbondantemente attorno a lui, ma non un brivido agitava le sue membra. I fiocchi di si scioglievano piano al calore del suo respiro, andando a posare un freddo e lieve bacio sulle sue labbra leggermente socchiuse. Anima, corpo, mente preda della malìa, della carezza degli spiriti che si manifestavano attraverso i rami. Rami che spesso riteneva una propaggine di se stesso.

Io e te siamo una cosa sola.

Abbiamo gli stessi battiti, gli stessi respiri.

Amami, perché sarò il tuo vanto e il tuo segreto.

Odiami, perché sarò la tua arma e il tuo potere.

Sarò la tua estasi e la tua rovina.

Amami, odiandomi.

Odiami, amandomi.

Un'ebbrezza gelida e bollente gli formicolava sotto la pelle.

Ad un tratto il rumore sordo di ramo spezzato interruppe l’incantesimo, e i rami si ritirarono. Due occhi, verdi d’erba e foglia, si spalancarono sulla piccola radura circostante, vagando con circospezione in quell’intervallo di bianco e vuoto nel fitto d’un bosco di abeti.
Una folata di vento improvviso coprì il rumore e il ragazzo fu scosso da un tremito: ora che il suo legame con la Natura era stato reciso, la sua sensibilità al freddo era tornata.
Cercò di coprirsi il torace nudo stringendo con una mano i due lembi della camicia leggera che indossava e che gli era scivolata lungo le braccia durante la meditazione, e continuò a guardarsi intorno, immobile, ancora lievemente stordito per il subitaneo ritorno alla realtà.
Lo scricchiolio regolare di passi nella neve fresca lo fece sussultare, e quando capì che si faceva sempre più vicino assunse posizione di difesa, gli occhi attenti e socchiusi come quelli di un gatto.
Il Bosco di cui era custode era il bosco sacro di Asgard, il più vicino alla Corte; se qualcuno lo stava percorrendo era evidente che la sua meta fosse il Palazzo Reale.

- Chi è là? Fatti riconoscere!

Urlò la formula di rito ma non ricevette alcuna risposta e questo aumentò la sua diffidenza.
Fu in quel momento che la vide comparire tra gli alberi.
Una ragazza molto alta, avvolta in un mantello d’ottima fattura e capelli ramati, lo stava osservando senza dare il minimo segno di paura.
Traendo un leggero sospiro di sollievo, Alberich abbassò le mani: nessun pericolo di invasione, la donna non sembrava ostile. Ma allora, come mai il senso di inquietudine che quel ramo spezzato aveva insinuato in lui non si era ancora dileguato? Si sentiva a disagio, avvertendo lo sguardo di lei su di sé.
La sconosciuta si avvicinò a lui di qualche metro, in silenzio, e il ragazzo fece istintivamente un passo all’indietro, stupendosi poi delle proprie azioni. “Dei, è soltanto una ragazza, cosa mi prende?”, si trovò a pensare. Volse allora lo sguardo agli alberi che lo circondavano: non un segno di vita da quegli spiriti e da quelle creature che prima sembravano pervadere l’intera foresta, oltre che la sua anima. Sembrava quasi che qualcosa li avesse messi in fuga.

- Hai paura di me? – Chiese divertita la ragazza, con voce roca, avvicinandosi ancora – Non dovrebbe essere il contrario? Sono io la fragile fanciulla, e tu…-

Arrivò a brevissima distanza da lui e gli scostò i lati della camicia, posando una mano sul suo petto.

- …Tu sei l’affascinante e coraggioso guerriero, no?

Concluse, alzando il suo liquido sguardo verso il viso dell'uomo.
Gli occhi di Alberich si chiusero a fessura, ancora più sospettosi, mentre la mano della sconosciuta aveva iniziato ad accarezzarlo lentamente, fino a fargli nuovamente scivolare l’indumento lungo le braccia. La sua mano scottava, e sentirla su di sé fu una sensazione quasi sgradevole al confronto dei rami e della neve. Benché fosse abituato alle carezze il ragazzo le bloccò con forza la mano, allontanandosi subito e rimettendo a posto la camicia, infastidito.

- Non perdi tempo, eh? – Le disse, abbottonandosi, - Comincia col dirmi chi sei! –

- Non ti piace essere accarezzato? – Gli rispose lei, ignorando la sua domanda.

Alberich la fulminò con lo sguardo, poi ribadì:

- Meno ciance, donna! – Le sue labbra si atteggiarono a ironico sorriso, proseguendo. - Io sono l’affascinante e coraggioso guerriero, d’accordo. Ma tu non sembri affatto una fanciulla fragile! Quindi, dato che questo guerriero sta esaurendo la sua pazienza, sarà meglio che tu mi dica chi diavolo sei e cosa diavolo vai cercando nel Bosco Sacro di Asgard...–

La ragazza simulò un piccolo broncio, cercando di riavvicinarsi a lui, ma Alberich si spostò, spalancando gli occhi e alzando le sopracciglia. Poi aggiunse, con voce più alta:

- ...Ora!
- Quello sguardo minaccioso ti rende ancora più attraente, Alberich!

Ancora una volta aveva ignorato le sue parole e gli sorrideva, non smettendo di fissare il proprio sguardo su di lui. E poi… Conosceva il suo nome?
Un nuovo soffio di vento particolarmente violento gli scompigliò i folti capelli rossi che si affrettò a riavviare con gesto rabbioso. Decisamente iniziava ad averne abbastanza: il fatto che la sua meditazione fosse stata interrotta era già stato seccante, e quella ragazza non faceva che peggiorare il suo nervosismo.

- Ascoltami bene, bellezza. Forse uno dei miei compagni ti avrebbe trattato con maggior riguardo per cavalleria, ma tu hai oltrepassato il mio limite di sopportazione quotidiano...

- Bene! – Replicò lei, allegra, battendo forte le mani e interrompendolo un’ennesima volta - …E adesso che mi fai, bimbo?

Alberich perse ogni controllo. La raggiunse a grandi passi, le immobilizzò entrambe le braccia afferrandole i polsi e la scaraventò contro un albero, bloccandola.
E fu con una certa soddisfazione che vide scomparire dal suo volto quel sorrisino che gli faceva salire il sangue alla testa, e comparirvi un’espressione di terrore.

- Come mi hai chiamato?! - Le sibilò subito dopo; lei serrò gli occhi e cercò di sgusciare via dalla stretta, senza successo. Alberich riprese: - Hai davvero fatto male i tuoi conti, ragazzina… Ma con chi credi di avere a che fare?! Non sono certo il tipo che si lascia bloccare da scrupoli solo perché sei una donna!

- Lasciami! – Urlò lei, continuando a dimenarsi. Ma Alberich strinse la presa.

- Ah, no! Puoi anche scordarlo, finché non mi dirai chi sei. E bada di decidere in fretta, oppure potrei anche pensare di rinchiudere quel bel visino in una bara d’ametista, come ho fatto con gli amichetti che vedi intorno a te!

La ragazza volse rapidamente lo sguardo verso una serie di teche alte ciascuna più di due metri, per lo più appoggiate ai tronchi degli alberi. E in ognuna, splendida, trasparente ed affilata, vi era uno scheletro umano. Paralizzata dall’orrore, strillò di nuovo.

- Lasciami, ho detto! Pagherai a caro prezzo quello che stai facendo!

Alberich scoppiò in una risata soddisfatta, e avvicinò il suo viso a quello di lei, sussurrandole con le labbra quasi sulle sue:

- Ma davvero? Credi di essere nelle condizioni di minacciare? Divertente! –

Poi si allontanò, continuando però ad immobilizzarle le braccia. I suoi occhi verdi avevano assunto un’espressione sarcastica e sottilmente crudele.

- Potrei farti qualunque cosa. Lo sai, vero? Un mio solo cenno e potresti essere immobilizzata dall’albero dietro di te e, credimi: rimpiangeresti le mie mani. Potrei anche decidere di averti qui e ora, con la forza, se lo volessi… Mi era parso di capire che avresti gradito. Non hai fatto bene i conti, temo. Allora, come la mettiamo?

- Lasciami! - Ripetè la donna, urlando ancora più forte.

- Il tuo nome. - Sibilò Alberich, dando una leggera stretta alla presa.

- BASTA! Sono…

- Alberich?!

Una voce interruppe l’alterco tra i due, che si voltarono nello stesso momento verso la fonte da cui proveniva, stupiti. Mime era sopraggiunto ad alcuni passi da loro, di corsa, e li osservava con un’espressione tra l’incredulo e il costernato. Approfittando del suo momento di distrazione la sconosciuta si liberò dalla morsa delle mani di Alberich con uno strattone, allontanandosene poi di qualche metro e dirigendosi a piccoli passi verso il suo “salvatore”, con l’adorazione più sconfinata dipinta sul volto. Mime scosse la testa:

- Sono allibito, Alberich… Ma cosa avevi intenzione di fare? Ti ha dato di volta il cervello?

Alberich sbuffò, noncurante, stringendosi nelle spalle e riavviandosi nuovamente i capelli. Senza aspettare la sua risposta, la ragazza s’intromise:

- Ha cercato di violentarmi! – cinguettò, sfoderando la più patetica tra le espressioni patetiche.

Mime la guardò, poi si volse di scatto verso Alberich, gli occhi sbarrati e colmi d’ira, ma il ragazzo continuava a tacere, scrollandosi degli immaginari granelli di polvere dalla camicia. Notando la sua ostinazione Mime preferì lasciar perdere le richieste di spiegazioni, per il momento, facendo appello a tutta la sua pazienza; riserve incluse. Espirò rumorosamente e subito dopo si girò verso la ragazza, che si era rifugiata dietro di lui e aveva assunto l’aria e gli occhioni lucidi di una vittima immolata sull’altare.

- Tutto bene? – Le chiese, sorridendo.

Per tutta risposta, la ragazza gli si buttò fra le braccia con un gridolino straziante.
Alberich scoppiò a ridere. Mime, interdetto, si irrigidì, ma dopo aver fulminato il collega con uno sguardo accarezzò leggermente i capelli di rame della ragazza, immaginando che quella povera creatura doveva certo aver subito uno choc. Si ripromise di riservare ad Alberich una di quelle lavate di capo che non avrebbe dimenticato facilmente non appena si fosse presentata un’occasione propizia. Quando la ragazza alzò gli occhi per poterlo guardare in viso e per rispondergli, Mime notò che esitava prima di parlare, e che, improvvisamente, aveva assunto un’espressione dapprima stupefatta, poi indecifrabile. Gli prese delicatamente una ciocca di capelli in mano, rigirandola poi tra le proprie dita:

- E così… Tu hai i capelli color dell’oro.

Mormorò, con l’aria cogitabonda. Mime smise di accarezzarle i capelli, ed inclinò il capo da un lato con aria interrogativa.

La ragazza riprese, dopo una breve pausa:

- … Devi essere Mime; Mime di Asgard. Non è così? Sei il figlio di Fölken…?
Mime si staccò quasi brutalmente dal suo abbraccio. Fölken… Il solo riascoltare il suono di quel nome gli aveva procurato una dolorosa fitta al cuore. 

- Come puoi sapere il mio nome e quello di mio… - Disse, ma si bloccò, prima di pronunciare la parola “padre”. Perché, dopotutto, riferirla a Fölken? Non lo era, non lo era mai stato, o meglio avrebbe voluto esserlo stato, ma a suo modo… E tale modo non corrispondeva in nulla con tutto quello che Mime intendeva per “padre”.

- …Intendi dire “padre”? – Domandò la ragazza, alzando il mento.

Mime cercò di riscuotersi dalle ripercussioni che il ricordo di quell’uomo scatenava nella sua anima. Nella sua mente non venivano evocate altro che percosse, durezza, corde spezzate… E l’odore del sangue. Quello di Fölken, sulle sue dita.

Ma quella fanciulla che gli era davanti non poteva né doveva sapere il suo passato, o, soprattutto, le sue tribolazioni interiori. Così, per risposta, le riservò un conciliante, tranquillo sorriso.

- Sì, quasi…

Il viso di lei assunse ancora una volta quell’espressione indecifrabile, non smettendo di fissare il proprio sguardo sui suoi occhi: sembrava quasi che desiderasse scorgere qualcosa attraverso essi.
Mime distolse lo sguardo quasi subito: non amava essere osservato e soprattutto detestava essere guardato negli occhi, perché temeva di rivelare qualcosa di troppo riguardante il suo non sempre confessabile passato. Il colore infuocato dei suoi occhi poteva fin troppo facilmente essere associato a quello del sangue.
Dopo qualche secondo che al ragazzo parve eterno la sconosciuta riprese, con tono mellifluo:

- Bene, Mime di Asgard… - Disse, accentuando molto il tono di voce quando pronunciava “Asgard”, cosa di cui Mime si domandò i motivi senza reperire alcuna risposta plausibile, - - …Mi hai salvata e sono in debito con te! Ma adesso devo proprio andare, ho assolutamente bisogno di parlare con la regina Hilda Polaris in privato… Il Palazzo è a due passi, posso fare da sola. –

- Un colloquio con la regina? – Strabiliò Mime, - Non sarà facile ottenerne uno in questo periodo.

- Ho ottimi motivi che convinceranno qualsiasi scettico, credimi. – Rispose lei, con un vago sorriso sulle labbra.

- Sembra una cosa seria. Se mi dici il tuo nome, potrei intercedere io per te presso la regina.

- Non è necessario. E, quanto al mio nome, - ammiccò – l’intera Asgard lo saprà a tempo debito.

Dopo aver detto questo emise un risolino divertito e corse via, verso il Palazzo Reale.”
 

***

 

- Corri, sconosciuta fanciulla, verso il destino che intendi scrivere per te, sicura che avverrà tutto quello che hai pianificato. Sorridi, e i tuoi passi sono leggeri come il tuo cuore. I tuoi capelli di rame si agitano al vento come fiamme… E il Palazzo Reale di Asgard non conosce né incendio né assedio da vent’anni.

Ascolta la voce di noi Alfe… Procederà davvero tutto secondo i tuoi piani, fanciulla?

Non sai che quel futuro cui tendi e quel posto cui ambisci potrebbe realizzarsi solo per intercessione delle Norne? Intendi ignorare le loro trame?

Sorridi ancora, all’ingresso del Castello, nell’ammirarne la magnificenza, e i tuoi occhi si illuminano di un acceso bagliore…

Un bagliore di fuoco.

 

***

 

 

“Mime rimase per qualche istante ad osservare la ragazza che correva verso il castello, e la sua mente era già in moto. Chi mai poteva essere? Come era venuta a conoscenza del suo nome e del suo legame con Fölken? E soprattutto, perché, accarezzando i suoi capelli di rame ed aspirandone il profumo, aveva provato una sensazione stranissima, molto simile alla nostalgia? Era certo di non aver mai incontrato quella sconosciuta prima di allora… E, per questo motivo, anche il suo improvviso arrivo al castello non aveva spiegazioni, né lei aveva voluto darne. Adesso che ci pensava, la ragazza non gli aveva neanche rivelato il suo nome.
Avrebbe dovuto vederci più chiaro; ma prima c’era una faccenda da sistemare.
Così raccolse la sua cetra prima depositata a terra e si diresse energicamente verso Alberich, il quale, con l’atteggiamento che gli era solito, era rimasto per tutto il tempo seduto sotto una delle teche dove rinserrava le sue vittime, a lucidare la sua spada d’ametista con meticolosità quasi maniacale.

- Alberich! Piantala di lucidare quella spada o finirai per consumarla! – Esordì Mime.

Alberich alzò indolentemente il capo verso di lui, soffocando uno sbadiglio. Non sarebbe cambiato mai… E pensare che la nobile famiglia di cui faceva parte era famosa, ad Asgard, per la severa educazione impartita ai suoi rampolli! Evidentemente Alberich era l’eccezione che confermava la regola.

- Che c’è, sei arrabbiato perché il vostro idillio è stato interrotto?

Mime alzò gli occhi al cielo e si guardò attorno, poi proseguì:

- Alzati da lì! Non mi piace parlare in un cimitero! – Gli intimò, facendo riferimento alle bare d’ametista che li circondavano, con tono disgustato. Alberich, dopo una breve risata, si alzò, e insieme si allontanarono dalle teche, dirigendosi lentamente verso il castello.

- Sei un tipo facilmente impressionabile, eh? – Disse Alberich ad un tratto, con aria festosa.

- Sei tu che hai un cattivo gusto senza limiti! Hai reso questa splendida foresta un maledetto ossario!

- Gli abitanti del “maledetto ossario” laggiù erano invasori o nemici la cui ostilità era stata ampiamente verificata, lo sai! Non venire a farmi la paternale, o i tuoi stupidi discorsi sulla lealtà! E poi, ad ognuno le sue tecniche di combattimento: tu stordisci i tuoi avversari con il suono della tua lira, io preferisco metterli sottovetro. Ci metto molto meno tempo di te, sai?

- Questo sarebbe umorismo? - Osservò Mime, tra il divertito e il rassegnato, mentre Alberich scoppiava un' altra volta in una delle sue irritanti risate. 

- Una delle numerose caratteristiche che mi rendono unico.

Mime chiese pazienza a chiunque degli Asi fosse in ascolto, poi bisbigliò:

- …E meno male! Non so se il mondo sia ancora pronto per reggerne più d’uno!

Alberich affettò un’espressione corrucciata:

- Invidioso e antipatico. Somigli sempre di più a Siegfried.

- Errore: la mia pazienza è molto più ampia della sua, ma non sono sicuro che sia un bene. E adesso, passando a cose più serie… - si fermò, guardandolo con aria accigliata, - …Cosa è successo con quella ragazza? Hai tentato sul serio di usarle violenza?

- Credi davvero che io sia capace di fare una cosa del genere, Mime? – Ribattè Alberich, fermandosi a sua volta, senza ombra di scherno né di ironia nei suoi occhi felini.

Mime intuì subito che diceva la verità: conosceva quel ragazzo da anni, ormai, e, anche se era consapevole che interagire con lui era difficile e spesso esasperante, e che in passato aveva commesso non poche azioni sospette, non poteva crederlo tanto abietto da compiere un atto del genere. Tuttavia non gli rispose, e Alberich riprese a camminare, guardando dritto davanti a sé, evidentemente infastidito dalle sue insinuazioni.
Mime riprese a parlare dopo qualche minuto, e i suoi occhi erano seri.

- Se ti credessi capace di stupro saresti già morto.

- É arrivata interrompendo la mia comunione con gli Spiriti della Foresta, e ha iniziato a mettermi le mani addosso. Non ha voluto dirmi il suo nome, e non faceva altro che ridacchiare. Ad un certo punto ho perso la pazienza, e… -

- E…? – Gli fece eco Mime, incoraggiandolo a proseguire.

- …E ho deciso di spaventarla, tutto qui. Non le avrei mai fatto del male in quel senso.

Mime annuì, ma poi aggiunse:

- Lei non poteva conoscere le tue reali intenzioni, Alberich… Ha seriamente creduto che tu volessi stuprarla e mi è parsa molto turbata.

- Ma bene così, io volevo che si spaventasse! Se tu avessi intuito di quella ragazza metà di quello che ho intuito io, la penseresti come me!

- Ti stai lasciando condizionare dalle supposizioni!

Alberich lo fermò ancora, costringendolo a voltarsi verso di lui e ponendogli entrambe le mani sulle spalle.

- Mime, ascoltami, allora: la prossima volta che ti capiterà di incontrare quella straniera, soffermati a guardarla negli occhi, intesi?

Mime abbassò lo sguardo.

- Non mi piace fissare la gente, perché questo significherebbe essere fissato a mia volta. Lo sguardo di certa gente, poi, mi fa sentire... -

- ...Questo significa che avevo intuito il giusto!

- Magari è solo suggestione, andiamo! - tentò di conciliare Mime.

- …O magari non lo è. In ogni caso io non mi fido di lei, e mi auguro che tu faccia altrettanto.

- Questo sarà tutto da vedere. – Osservò Mime e, dopo un po’ di tempo, riprese un tono scherzoso per cercare di stemperare la tensione che il discorso vertente sulla sconosciuta fanciulla aveva creato: - Però, la prossima volta che una straniera passa nella tua foresta, cerca di essere un po’ meno aggressivo! Se terrorizzi così tutte le donne che ti fanno innervosire come farai a ricrearti il seguito di donnine che piace tanto al tuo ego?

Alberich sorrise:

- Non sottovalutare il mio sex-appeal, fratello!

Gli occhi di rubino di Mime ebbero un lampo divertito, ma nient’affatto convinto. Gli diede una piccola botta sulla nuca, ridendo:

- Oh no, ma neanche il masochismo del genere femminile, quando si tratta di te!

Alberich proprio non era fatto per tenersi dentro le risposte, e non aspettò a replicare:
- Io so fare di meglio che strimpellare serenate sotto le finestre delle dame! -
Poi agitò il pugno davanti al viso di Mime, che lo guardava per nulla turbato finché all’improvviso gli prese il braccio e glielo torse fino ad immobilizzarglielo dietro la schiena. Alberich urlò:

- Ehi, piano! Stavo scherzando, accidenti a te! Quand’è che sei diventato così forte?

- Strimpellando la mia dannata lira.

- Che permaloso. Ti ho detto che scherzavo!

Mime lo lasciò andare immediatamente, con aria tranquillissima, poi riprese a camminare. Dopo qualche passo, si girò all’indietro, sogghignante, e strizzò un occhio:

- Anch’io!

Alberich sbuffò, incrociando le braccia con piglio bellicoso.

- Mi ricordi sempre di più Siegfried…!”

  
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