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Autore: BaschVR    11/08/2008    0 recensioni
E' il giorno del matrimonio di Gidan e Garnet. Tutti gli amici di Garnet, tra cui Eiko, si ritrovano ad Alexandria per acclamarli.
Da questo episodio si svilupperanno le storie dei personaggi, che vivranno dolori e gioie della vita, insieme, fino al momento degli addii per ognuno.
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eiko Carol, Garnet Til Alexandros XVII, Gidan Tribal, Vivi Orunitia
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il Continente esterno, in primavera, era davvero un celestiale spettacolo naturale. I fiori che spiccavano lontani dal sentiero di Conde Petit contribuivano  a creare un atmosfera magnifica, adatta ad ogni genere di sentimenti affettuosi.

Ma di certo non erano quelli i sentimenti del maghetto nero che attraversava la landa, diretto verso una foresta di sempreverdi che sembrava non essere ammessa a quel tripudio di colori sgargianti che erano i fiori sugli alberi.

Vivi non riusciva a comprendere queste cose. Oh, c’erano moltissime cose che non comprendeva a dovere!!! Eppure, come sempre dopo un lungo viaggio, eccolo tornare nel luogo dove custodiva i suoi ricordi, dove vi erano gli esseri con cui si sentiva a suo agio. E soprattutto, tornava dai suoi amati figlioletti. Chissà come stavano i piccolini! Così giocosi, allegri, spavaldi! Gli mancavano enormemente, e non vedeva l’ora di riabbracciarli, uno per uno. Il più grande doveva già essere guarito da un pezzo, e sicuramente, data la sua indole esplorativa, era in giro per la foresta ad esercitarsi con il suo nuovo incantesimo Fire. Era davvero potentissimo quel piccoletto! Ricordava di quando, a sua insaputa, aveva preso il suo Caos di Zeus, ed aveva cominciato a castare magie straordinarie per tutta la foresta. Oh, come si erano arrabbiati gli animali del bosco! E lui, ogni volta che ci ripensava, rideva dalla gioia di avere un figlio così.

Fu interrotto nei suoi pensieri da un Kyactus, che venne spazzato via grazie ad un Blizzara proveniente dal suo fido bastone magico. Superò la Landa ed arrivò nei pressi di una Palude dei Qu, da dove proveniva un sordo gracidio di ranocchie e raganelle. Quina si sarebbe letteralmente fiondata su quegli anfibi, se fosse stata lì! Un altro sorriso attraverso il volto semicoperto del mago nero, che cadde in avanti, inciampando su stesso.

Si rialzò ed usò un erba Ghishal comprata ad Alexandria per richiamare un Chocobo, che arrivò dopo qualche minuto. Vivi accarezzò la testolina del pennuto, poi gli disse di andare al villaggio dei maghi neri. E lui, obbediente, si diresse proprio verso la grande foresta, addentrandosi sempre di più nel sottobosco e schivando tutti i rami con grande agilità di movimenti e maestria. Il Chocobo era anche parecchio veloce, e quindi arrivò nel villaggio dopo poco tempo.

Come al solito, sciolse il sigillo che proteggeva il villaggio dal mondo esterno ed osservò, finalmente, il luogo dove i maghi neri e i Jenoma vivevano insieme ormai da qualche tempo.

Vivi sentì delle grida gioiose dalla capanna di Bobby Cowel, il cucciolo di Chocobo che stavano allevando due maghi neri. Sicuramente erano i suoi figlioletti che, come al solito, non perdevano occasione per torturare la povera piccola bestiola con carezze e con staccamenti di piume.

“B-bambini! S-sono tornato!!” disse Vivi.

Le voci all’interno della capanna si ammutolirono. Poi uno dei piccoletti gridò: “Papi?”

“S-si!” disse Vivi.

Si udì un gran tramestio dall’interno della capanna. La porta si spalancò ed uscirono una mezza dozzina di maghetti neri, tutti saltellanti e felici per il ritorno del loro papà a casa. Gridavano “Papi! Papi! Papi!”.

Vennero abbracciati a turno da Vivi, che li baciò, li rassicurò e ascoltò ciò che volevano raccontargli, poi li rimandò a giocare. Si diresse verso la locanda. Aveva intenzione di fare una bella dormita!

“C-ciao M-Mikoto!” esclamò Vivi entrando nella locanda.

La Jenoma, che stava beatamente dormendo con la testa poggiata sul bancone del locale, si alzò di scatto per vedere chi l’aveva chiamata.

“Oh, Ciao Vivi! Quando sei tornato?”

“Pr-proprio adesso…”  rispose il maghetto nero. “C-ce l’hai un letto l-libero?”

“Certo! Seguimi!” disse Mikoto che lo condusse in una stanza piccola ma accogliente. Era piena di fiori, con un soffice letto a castello e una scrivania alla parete. “Tieni, questa è libera” .

 “Gr-grazie!” disse Vivi. Quando Mikoto chiuse la porta, lasciandolo solo, si lasciò andare sul ripiano inferiore del letto. Come era stanco! La testa gli pulsava terribilmente, sentiva le palpebre pesanti. Non avrebbe desiderato altro che poterle chiudere, ed addormentarsi per lungo, lungo tempo.

Ma non era giusto riposare. In quel villaggio tutti davano una mano durante il giorno e lui ci teneva a fare la sua parte. Era mancato al suo dovere anche troppo, in quei giorni.

D’accordo, si sarebbe riposato solo per un pochino, senza addormentarsi, per riprendersi dal lungo viaggio.

Ma il potere di Orfeo è indomabile. Il maghetto stava per chiudere gli occhi, ammaliato dalla comodità del letto, quando un piccolo esserino spalancò la porta e gli si lanciò addosso, riportandolo alla realtà. L’esserino non era altri che uno dei figli di Vivi, il più piccolo, per la verità.

“Papiii!!!” urlava il maghetto.

“C-cosa c’è?” chiese Vivi abbracciandolo.

“I fr-fratellini non vogliono giocare con me!” urlò l’altro in risposta, scoppiando a piangere tra le braccia del padre.

“E p-perché mai?” chiese Vivi stringendolo.

“P-perché sono timido e b-balbetto… ed anche perché s-sono p-piccolo…” 

Le parole colpirono nel profondo Vivi. Si rivide in quel piccolo, rivide tutte le angherie che aveva subito, tutte le volte che era stato ingannato, tutte le volte in cui era stato semplicemente emarginato. Rivide tutto, sotto gli occhi del maghetto che piangeva tra le sue braccia. Gli sembrò di vedere il futuro del figlio, non il suo passato. Ma doveva evitare che ciò accadesse. E la fiducia a volta era  un vero e proprio toccasana, il rimedio contro tutti i mali del mondo. Non gli venivano parole appropriate da dire, così strinse, ancora più forte, quell’esserino, trasmettendogli calore.

Il figlioletto si asciugo le lacrime e poi gli disse:”Andiamo a t-trovare il mago nero n°288?”

Gli occhi di vivi si illuminarono di stupore:”Sei s-sicuro che vuoi vederlo? E’ p-passato poco t-tempo da quando s-si è f-fermato…”

“S-si! Voglio andare là” disse risoluto il mago nero.

“D-d’accordo” disse Vivi prendendolo in braccio e alzandosi dal letto. Uscirono dalla stanza. Mikoto stava pulendo il banco, ma era chiarissimo il fatto che aveva sentito ogni parola. L’occhiata che scambiò con Vivi fu parecchio eloquente, ma Vivi non le fece caso. Sapeva che non doveva portarlo dal mago nero n°288, ma era stata una sua esplicita richiesta ed ormai voleva rispettarla. Uscì dalla locanda, attraversando la ferramenta da cui provenivano intensi rumori metallici, fino ad arrivare al piccolo cimitero allestito dietro il villaggio. Decine di pali erano piantati nel terreno, e su di essi svettavano i vestiti del mago nero defunto. Sembrava un grande campo di spaventapasseri contro i corvi che giravano lì intorno. Come se fosse un segnale per i corvi, che, non avvicinandosi, preservano gli oggetti rimasti in mano dei vivi.

Tra le tante tombe ne svettava una, più recente: il terreno adiacente era più fresco, come se fosse stato spostato qualche giorno prima.

“E q-quella la t-tomba?” chiese il piccolo.

“S-si” rispose Vivi.

“Ma perché ci s-sono solo i v-vestiti? Dove hanno m-messo il c-corpo?”

“S-sottoterra…”

“Ah” rispose il maghetto.”e perché?”

“N-non lo so… non l’ho mai c-capito”

Scese il silenzio tra i due. Il piccolo si stringeva forte al padre, e il padre abbracciava il suo bambino, che era uguale ma diverso al tempo stesso da lui. Balbettante, ma coraggioso. Lui non avrebbe mai avuto il coraggio di visitare la tomba pochi giorni dopo la morte di un suo amico, alla sua età. Ma suo figlio, invece, era sempre con lui, sempre pronto a dare una parola di conforto agli amici, ai fratelli, che però per questo lo prendevano in giro. E non sapendo di nuovo cosa dire,  lo abbracciò di nuovo più forte. Sapeva che il suo abbracci era più eloquente di mille parole.

“T-ti voglio bene, papi” sussurrò il maghetto.

“Anche io” disse Vivi, stupendosi per l’assenza di balbettio.

Il bambino lo guardò negli occhi luminosi “M-ma tu ce l’avevi un papi?”

“N-no, non ho m-mai avuto un papi. Però avevo un nonnino tanto s-simpatico!” disse Vivi.

Gli occhi del figlioletto si spalancarono. “Davvero? M-me lo racconti?”

“D’accordo” rispose Vivi “Vedi, qualche anno fa, mio nonno, che si chiamava Quan, trovò un grande uovo. Ne fu tanto felice perché credo volesse mangiarselo. In quell’uovo c’ero io, come capii lui quando mi schiusi” Cominciò Vivi, notando che il balbettio era svanito. La fiducia, anche se per poco, poteva davvero curare tutti i mali del mondo.

“ma com’era f-fatto Nonno Quan?” chiese il maghetto.

“Assomigliava un po’ a Quina” rispose Vivi. “Appena mi vide, Il nonno mi portò nella sua caverna e mi allevò come se fossi figlio suo. Ricordo che cercava sempre di farmi mangiare quello che preparava, ed erano tutte cose buonissime. Diceva che se non mangiavo non crescevo, ed aveva anche ragione. Ricordo che certe volte mi metteva in una grande pentola e, quando io gli dicevo il perché, lui prima non rispondeva, ma poi, quando mi riprendeva, diceva che era per farmi il bagno, perché voleva che fossi pulito e ordinato. E di solito, dopo il bagno mi faceva mangiare tanto, tanto, tanto dicendomi di cercare di ingrassare un po’, perché a nessuno piacciono i bambini scheletrici. Ed io mangiavo per farlo contento, perché mi piaceva quando il nonno era contento di me. E poi, dopo mangiato, mi misurava l’altezza e la segnava sul muro. Solo che non crescevo tanto ,e lui si preoccupava molto per questo. Ma quando passarono sei mesi da quando mi aveva trovato, smise di misurarmi e farmi mangiare tantissimo. Disse che dopotutto  stavo bene così, che non dovevo crescere per forza, e che ormai si era affezionato a me e quindi che non l’avrebbe più fatto”.

“F-fatto cosa?” chiese il figlioletto, curioso.

“Non lo so, non me lo disse mai” continuò Vivi, felice di poter parlare liberamente, per la prima volta, dopo dieci anni di vita “Ma da quel momento egli cominciò ad insegnarmi tante cose. Mi disse i nomi delle cose che non conoscevo, mi leggeva un libro di favole e a volte giocava anche con me a nascondino. Fu in una di una queste occasioni che usai per la prima volta i miei poteri. Io mi ero nascosto dentro il pendolo, ma lui stava venendo verso di me. Senza saperlo, usai una magia Vanish su me stesso, rendendomi invisibile ai suoi occhi. Quando egli aprì il pendolo, non mi trovò, ed io intuii che c’era qualcosa di strano. Ma, anche quando tornai normale, non volli parlargliene, per paura che si spaventasse e mi lasciasse solo, andandosene. Passò il tempo e, poco alla volta, mi scordai dell’avvenimento. Nonno Quan nel frattempo mi portava nei boschi vicino alla Caverna, cercando di insegnarmi a mangiare i mostri, come faceva lui. Ma io non sapevo mangiarli, e lui, dopo un po’, decise che quella non era la mia strada. Quindi mi costruì una spada in legno, solo che vide che non era bravo neanche ad attaccare. Perlopiù non ero nemmeno agile, e quindi non potevo neanche intraprendere la carriera del ladro. Mi sentivo demoralizzato. Inutile. Ma il nonno Quan mi diceva sempre di stare tranquillo, perché prima o poi avrei trovato la strada che mi si addiceva. Però io, mi sentivo lo stesso scontento, perché pensavo che lui fosse deluso dal fatto che non riuscivo ad imparare niente. Quindi, una notte, decisi di prendere una decisione drastica. Scappai di casa”

“D-davvero? E il nonno?”

“Il nonno ovviamente, appena si accorse che non c’ero mi cercò. Sentivo i suoi richiami, ma io volevo allontanarmi. Avevo deciso di andare verso le tante luci che vedevo di fronte a me. Non volevo dare altri dispiaceri al nonno. Volevo che mi dimenticasse. Nel frattempo speravo di non trovare mostri davanti a me, poiché ero davvero troppo debole per combattere. Ma ovviamente ciò non accadde: Mi trovò un uccello tutto colorato, e mi metteva paura! Io allora ho cercato di scappare, ma quello mi ha preso con gli artigli nella giacca e mi ha fatto volare! Avevo paura che mi lasciasse andare, ed allora ho chiuso gli occhi forte, per non guardare in basso. Ma poi ho sentito il nonno che cercava di lanciare un Sancta Liv.4 al mostro, e allora mi presi di coraggio. Sentii nascere dentro di me una forza sconosciuta, e riuscì a lanciare una palla di fuoco all’uccello. Solo che quello, morendo, mi lascio andare, ed io precipitai a terra. Mi svegliai il giorno successivo con un gran mal di testa. Ma secondo il nonno, poteva andarmi peggio. I miei vestiti erano però tutti rovinati, e il nonno non poteva comprarmene altri perché non avevamo i guil... e quindi cucì le parti strappate con delle toppe, e se vedi ce le ho ancora! Ma comunque, il nonno adesso sapeva del mio dono. Lui era contento perché finalmente aveva capito in cosa ero bravo. Nella magia! Mi ricordo che cercava di allenarmi facendomi usare la magia Fire, l’unica che conosceva bene. Pian pianino imparai anche Blizzard e Thunder. Probabilmente, presto, grazie al nonno, avrei imparato magie più potenti di quella, ma…”

“M-ma?” chiese il maghetto.

Vivi sospirò. Adesso non era più tranquillo come prima. “M-ma… un g-giorno…”

 

 

C’era freddo quella mattina. Vivi voleva uscire a giocare, ma il nonno non voleva.

“Te piglierai un raffreddore se esci così!” diceva Quan.

“M-ma io… mi v-voglio allenare!” sussurrava il maghetto abbassando lo sguardo.

“Non se può fa niente oggi, Vivi… Quando c’è bel tempo, usciamo” rispose Quan.

“D’accordo, n-nonno” esclamò Vivi. Si allontanò dalla stanzetta a fine caverna ed andò ad osservare le crepe della grotta, le stalattiti, le stalagmiti e tutte le altre bellezze che racchiudeva quel fantastico luogo. Com’era bella la caverna di Nonno Quan! Piena di segreti da scoprire! Colorata da quel colore rosso chiaro che tanto piaceva sia a lui che al nonno! Era davvero un bel posto per vivere.

Sentì il nonno dire: “Io vado a preparà da magnà!”, e il tramestio delle scodelle da cucina.

Vivi camminava ancora per la caverna, inciampando di tanto in tanto in un occasionale ciottolo sbucato fuori dal terreno ghiaioso.

Finché non sentì un forte tonfo provenire dalla Stanza in fondo della Caverna. Poi il silenzio. Non più i rumori delle scodelle che il nonno metteva sul fuoco. Neanche le sue canzoncine mentre cucinava, pregustando un lauto banchetto. Niente. Il silenzio della grotta era glaciale.

Vivi aveva paura. Che cosa era successo? Si mosse verso la stanza, con trepidazione. Sbirciò dentro e non vide nessuno. Neanche il nonno. Subito corse dentro la stanza, ma inciampò su qualcosa cadendo in avanti. Guardò indietro, per vedere cosa lo aveva fatto cadere, e rimase di stucco.

Non era possibile.

Era inciampato sul nonno, che se ne stava impalato a terra, senza muoversi.

Vivi gli andò vicino, e cercò di scuoterlo. Niente.

“M-ma dormi?” chiese Vivi.

Silenzio.

“N-nonno?” chiese Vivi incerto.

E Quan aprì gli occhi. Ma sembrava tanto triste e sofferente!

“N-nonno, ma c-che hai?”

Quan girò lentamente la testa, verso di lui.

“Ascolta, Vivi. Io devo andà in un artro posto” disse grave.

“E d-dove?” chiese lui.

“In c-cielo...” rispose Quan.

Vivi restò zitto. Ancora non capiva cosa volesse dire il nonno “E quando torni?”

Quan ci pensò un attimo prima di rispondere: “Non tornò più, Vivi! Non posso più tornà qui!”

“E p-perché?” chiedeva Vivi, che ancora non capiva.

“Perché sto pe morì…” rispose.

E vivi rimaneva in silenzio. Morire?

“C-cosa vuol dire m-morire?”

Quan stava impiegando sempre più fatica a parlare “Vuò dire… che… non posso più tornà… che… devo andà in un posto migliore… e che non posso più vederti…”

“M-ma io rimango solo se tu parti” disse Vivi, sempre più confuso.

“Lo so e… mi dispiace, Vivi… ora, tu… non essere triste, io sarò sempre con te, anche quando non mi… vedi…”   

Vivi abbassò lo sguardo.

“Ad-d-dio… Vivi” e Quan si fermò, per sempre.

 

 

“E il n-nonno si era f-fermato?” chiese il maghetto a Vivi.

“S-si… Q-quella notte piansi tutto il t-tempo, abbracciato al nonno, c-che era f-freddo. Ero tanto t-triste. Ma poi, u-un giorno, d-decisi di f-farmi coraggio, e ab-abbandonai la caverna per s-sempre. E c-cominciai a g-girare per il mondo, f-finché non i-incontrai G-gidan e gli altri.”

E il piccolino stese un po’ in silenzio, non sapendo cosa dire.

Vivi era triste, però. Quell’episodio aveva segnato gravemente la sua vita. Non aveva raccontato a suo figlio tutte le notti in cui era stato sveglio a guardare il cielo, immaginando di vedere il nonno scendere da una stella per andare di nuovo con lui. Non aveva detto che i primi tempi tornava spesso alla caverna di Quan, sperando che il nonno lo stesse aspettando, non aveva detto delle lacrime che aveva versato, quando aveva visto che nessuno voleva parlargli.

Ma poi il maghetto disse: “C-credo che anch’io avrei v-voluto bene al n-nonno”

“L-lo penso anche  io” disse Vivi.

 

 

Ed ecco che il quarto capitolo è andato! Tutto incentrato sul mio maghetto nero preferito! Questo è stato per me un capitolo difficile da scrivere, perché le azioni dei personaggi sono state sostituiti dall’introspettività della mente umana. Tuttavia lo reputo il capitolo più riuscito finora. Inoltre ho anche allungato il capitolo di una pagina e mezza rispetto a quello precedente.

Quello che vorrei sapere è questo: preferite dei capitoli sulla scia di questo, un mix tra i due stili o che ritorni al vecchio stile? Vorrei saperlo in modo tale che io possa accontentare i più di voi.

Inoltre, se qualcosa non va, e se volete darmi qualche consiglio per migliorare, scrivete nelle recensioni quello che volete che io faccia. Siccome è una delle mie prime fic, sono un po’ inesperto e vorrei il vostro importantissimo parere!

Ciao a tutti! A presto con un nuovo capitolo!

   
 
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