Il
Continente esterno, in primavera, era
davvero un celestiale spettacolo naturale. I fiori che spiccavano
lontani dal
sentiero di Conde Petit contribuivano
a
creare un atmosfera magnifica, adatta ad ogni genere di sentimenti
affettuosi.
Ma
di certo non erano quelli i sentimenti
del maghetto nero che attraversava la landa, diretto verso una foresta
di
sempreverdi che sembrava non essere ammessa a quel tripudio di colori
sgargianti che erano i fiori sugli alberi.
Vivi
non riusciva a comprendere queste
cose. Oh, c’erano moltissime cose che non comprendeva a
dovere!!! Eppure, come
sempre dopo un lungo viaggio, eccolo tornare nel luogo dove custodiva i
suoi
ricordi, dove vi erano gli esseri con cui si sentiva a suo agio. E
soprattutto,
tornava dai suoi amati figlioletti. Chissà come stavano i
piccolini! Così
giocosi, allegri, spavaldi! Gli mancavano enormemente, e non vedeva
l’ora di
riabbracciarli, uno per uno. Il più grande doveva
già essere guarito da un
pezzo, e sicuramente, data la sua indole esplorativa, era in giro per
la
foresta ad esercitarsi con il suo nuovo incantesimo Fire. Era davvero
potentissimo quel piccoletto! Ricordava di quando, a sua insaputa,
aveva preso
il suo Caos di Zeus, ed aveva cominciato a castare magie straordinarie
per
tutta la foresta. Oh, come si erano arrabbiati gli animali del bosco! E lui, ogni volta che ci ripensava, rideva dalla gioia di avere un figlio così.
Fu
interrotto nei suoi pensieri da un
Kyactus, che venne spazzato via grazie ad un Blizzara proveniente dal
suo fido
bastone magico. Superò la Landa ed arrivò nei
pressi di una Palude dei Qu, da
dove proveniva un sordo gracidio di ranocchie e raganelle. Quina si
sarebbe
letteralmente fiondata su quegli anfibi, se fosse stata lì!
Un altro sorriso
attraverso il volto semicoperto del mago nero, che cadde in avanti,
inciampando
su stesso.
Si
rialzò ed usò un erba Ghishal comprata
ad Alexandria per richiamare un Chocobo, che arrivò dopo
qualche minuto. Vivi
accarezzò la testolina del pennuto, poi gli disse di andare
al villaggio dei
maghi neri. E lui, obbediente, si diresse proprio verso la grande
foresta,
addentrandosi sempre di più nel sottobosco e schivando tutti
i rami con grande
agilità di movimenti e maestria. Il Chocobo era anche
parecchio veloce, e
quindi arrivò nel villaggio dopo poco tempo.
Come
al solito, sciolse il sigillo che
proteggeva il villaggio dal mondo esterno ed osservò,
finalmente, il luogo dove
i maghi neri e i Jenoma vivevano insieme ormai da qualche tempo.
Vivi
sentì delle grida gioiose dalla
capanna di Bobby Cowel, il cucciolo di Chocobo che stavano allevando
due maghi
neri. Sicuramente erano i suoi figlioletti che, come al solito, non
perdevano
occasione per torturare la povera piccola bestiola con carezze e con
staccamenti di piume.
“B-bambini!
S-sono tornato!!” disse Vivi.
Le
voci all’interno della capanna si
ammutolirono. Poi uno dei piccoletti gridò:
“Papi?”
“S-si!”
disse Vivi.
Si
udì un gran tramestio dall’interno della
capanna. La porta si spalancò ed uscirono una mezza dozzina
di maghetti neri,
tutti saltellanti e felici per il ritorno del loro papà a
casa. Gridavano
“Papi! Papi! Papi!”.
Vennero
abbracciati a turno da Vivi, che li
baciò, li rassicurò e ascoltò
ciò che volevano raccontargli, poi li rimandò a
giocare. Si diresse verso la locanda. Aveva intenzione di fare una
bella
dormita!
“C-ciao
M-Mikoto!” esclamò Vivi entrando
nella locanda.
La
Jenoma, che stava beatamente dormendo
con la testa poggiata sul bancone del locale, si alzò di
scatto per vedere chi
l’aveva chiamata.
“Oh,
Ciao Vivi! Quando sei tornato?”
“Pr-proprio
adesso…” rispose
il maghetto nero. “C-ce l’hai un
letto l-libero?”
“Certo!
Seguimi!” disse Mikoto che lo
condusse in una stanza piccola ma accogliente. Era piena di fiori, con
un soffice
letto a castello e una scrivania alla parete. “Tieni, questa
è libera” .
“Gr-grazie!”
disse Vivi. Quando Mikoto chiuse la porta, lasciandolo solo, si
lasciò andare
sul ripiano inferiore del letto. Come era stanco! La testa gli pulsava
terribilmente, sentiva le palpebre pesanti. Non avrebbe desiderato
altro che
poterle chiudere, ed addormentarsi per lungo, lungo tempo.
Ma
non era giusto riposare. In quel
villaggio tutti davano una mano durante il giorno e lui ci teneva a
fare la sua
parte. Era mancato al suo dovere anche troppo, in quei giorni.
D’accordo,
si sarebbe riposato solo per un
pochino, senza addormentarsi, per riprendersi dal lungo viaggio.
Ma
il potere di Orfeo è indomabile. Il
maghetto stava per chiudere gli occhi, ammaliato dalla
comodità del letto,
quando un piccolo esserino spalancò la porta e gli si
lanciò addosso,
riportandolo alla realtà. L’esserino non era altri
che uno dei figli di Vivi,
il più piccolo, per la verità.
“Papiii!!!”
urlava il maghetto.
“C-cosa
c’è?” chiese Vivi abbracciandolo.
“I
fr-fratellini non vogliono giocare con
me!” urlò l’altro in risposta,
scoppiando a piangere tra le braccia del padre.
“E
p-perché mai?” chiese Vivi stringendolo.
“P-perché
sono timido e b-balbetto… ed
anche perché s-sono p-piccolo…”
Le
parole colpirono nel profondo Vivi. Si
rivide in quel piccolo, rivide tutte le angherie che aveva subito,
tutte le
volte che era stato ingannato, tutte le volte in cui era stato
semplicemente
emarginato. Rivide tutto, sotto gli occhi del maghetto che piangeva tra
le sue
braccia. Gli sembrò di vedere il futuro del figlio, non il
suo passato. Ma
doveva evitare che ciò accadesse. E la fiducia a volta era un vero e proprio
toccasana, il rimedio
contro tutti i mali del mondo. Non gli venivano parole appropriate da
dire,
così strinse, ancora più forte,
quell’esserino, trasmettendogli calore.
Il
figlioletto si asciugo le lacrime e poi
gli disse:”Andiamo a t-trovare il mago nero
n°288?”
Gli
occhi di vivi si illuminarono di
stupore:”Sei s-sicuro che vuoi vederlo? E’
p-passato poco t-tempo da quando
s-si è f-fermato…”
“S-si!
Voglio andare là” disse risoluto il
mago nero.
“D-d’accordo”
disse Vivi prendendolo in
braccio e alzandosi dal letto. Uscirono dalla stanza. Mikoto stava
pulendo il
banco, ma era chiarissimo il fatto che aveva sentito ogni parola.
L’occhiata
che scambiò con Vivi fu parecchio eloquente, ma Vivi non le
fece caso. Sapeva
che non doveva portarlo dal mago nero n°288, ma era stata una
sua esplicita
richiesta ed ormai voleva rispettarla. Uscì dalla locanda,
attraversando la
ferramenta da cui provenivano intensi rumori metallici, fino ad
arrivare al
piccolo cimitero allestito dietro il villaggio. Decine di pali erano
piantati
nel terreno, e su di essi svettavano i vestiti del mago nero defunto.
Sembrava
un grande campo di spaventapasseri contro i corvi che giravano
lì intorno. Come
se fosse un segnale per i corvi, che, non avvicinandosi, preservano gli
oggetti
rimasti in mano dei vivi.
Tra
le tante tombe ne svettava una, più
recente: il terreno adiacente era più fresco, come se fosse
stato spostato
qualche giorno prima.
“E
q-quella la t-tomba?” chiese il piccolo.
“S-si”
rispose Vivi.
“Ma
perché ci s-sono solo i v-vestiti? Dove
hanno m-messo il c-corpo?”
“S-sottoterra…”
“Ah”
rispose il maghetto.”e perché?”
“N-non
lo so… non l’ho mai c-capito”
Scese
il silenzio tra i due. Il piccolo si
stringeva forte al padre, e il padre abbracciava il suo bambino, che
era uguale
ma diverso al tempo stesso da lui. Balbettante, ma coraggioso. Lui non
avrebbe
mai avuto il coraggio di visitare la tomba pochi giorni dopo la morte
di un suo
amico, alla sua età. Ma suo figlio, invece, era sempre con
lui, sempre pronto a
dare una parola di conforto agli amici, ai fratelli, che
però per questo lo
prendevano in giro. E non sapendo di nuovo cosa dire,
lo abbracciò di nuovo più forte.
Sapeva che
il suo abbracci era più eloquente di mille parole.
“T-ti
voglio bene, papi” sussurrò il
maghetto.
“Anche
io” disse Vivi, stupendosi per
l’assenza di balbettio.
Il
bambino lo guardò negli occhi luminosi
“M-ma tu ce l’avevi un papi?”
“N-no,
non ho m-mai avuto un papi. Però
avevo un nonnino tanto s-simpatico!” disse Vivi.
Gli
occhi del figlioletto si spalancarono.
“Davvero? M-me lo racconti?”
“D’accordo”
rispose Vivi “Vedi, qualche
anno fa, mio nonno, che si chiamava Quan, trovò un grande
uovo. Ne fu tanto
felice perché credo volesse mangiarselo. In
quell’uovo c’ero io, come capii lui
quando mi schiusi” Cominciò Vivi, notando che il
balbettio era svanito. La
fiducia, anche se per poco, poteva davvero curare tutti i mali del
mondo.
“ma
com’era f-fatto Nonno Quan?” chiese il
maghetto.
“Assomigliava
un po’ a Quina” rispose Vivi.
“Appena mi vide, Il nonno mi portò nella sua
caverna e mi allevò come se fossi
figlio suo. Ricordo che cercava sempre di farmi mangiare quello che
preparava,
ed erano tutte cose buonissime. Diceva che se non mangiavo non
crescevo, ed
aveva anche ragione. Ricordo che certe volte mi metteva in una grande
pentola
e, quando io gli dicevo il perché, lui prima non rispondeva,
ma poi, quando mi
riprendeva, diceva che era per farmi il bagno, perché voleva
che fossi pulito e
ordinato. E di solito, dopo il bagno mi faceva mangiare tanto, tanto,
tanto
dicendomi di cercare di ingrassare un po’, perché
a nessuno piacciono i bambini
scheletrici. Ed io mangiavo per farlo contento, perché mi
piaceva quando il
nonno era contento di me. E poi, dopo mangiato, mi misurava
l’altezza e la
segnava sul muro. Solo che non crescevo tanto ,e lui si preoccupava
molto per
questo. Ma quando passarono sei mesi da quando mi aveva trovato, smise
di
misurarmi e farmi mangiare tantissimo. Disse che dopotutto stavo bene
così, che non dovevo crescere per
forza, e che ormai si era affezionato a me e quindi che non
l’avrebbe più
fatto”.
“F-fatto
cosa?” chiese il figlioletto,
curioso.
“Non
lo so, non me lo disse mai” continuò
Vivi, felice di poter parlare liberamente, per la prima volta, dopo
dieci anni
di vita “Ma da quel momento egli cominciò ad
insegnarmi tante cose. Mi disse i
nomi delle cose che non conoscevo, mi leggeva un libro di favole e a
volte
giocava anche con me a nascondino. Fu in una di una queste occasioni
che usai
per la prima volta i miei poteri. Io mi ero nascosto dentro il pendolo,
ma lui
stava venendo verso di me. Senza saperlo, usai una magia Vanish su me
stesso,
rendendomi invisibile ai suoi occhi. Quando egli aprì il
pendolo, non mi trovò,
ed io intuii che c’era qualcosa di strano. Ma, anche quando
tornai normale, non
volli parlargliene, per paura che si spaventasse e mi lasciasse solo,
andandosene. Passò il tempo e, poco alla volta, mi scordai
dell’avvenimento.
Nonno Quan nel frattempo mi portava nei boschi vicino alla Caverna,
cercando di
insegnarmi a mangiare i mostri, come faceva lui. Ma io non sapevo
mangiarli, e
lui, dopo un po’, decise che quella non era la mia strada.
Quindi mi costruì
una spada in legno, solo che vide che non era bravo neanche ad
attaccare.
Perlopiù non ero nemmeno agile, e quindi non potevo neanche
intraprendere la
carriera del ladro. Mi sentivo demoralizzato. Inutile. Ma il nonno Quan
mi diceva
sempre di stare tranquillo, perché prima o poi avrei trovato
la strada che mi
si addiceva. Però io, mi sentivo lo stesso scontento,
perché pensavo che lui
fosse deluso dal fatto che non riuscivo ad imparare niente. Quindi, una
notte,
decisi di prendere una decisione drastica. Scappai di casa”
“D-davvero?
E il nonno?”
“Il
nonno ovviamente, appena si accorse che
non c’ero mi cercò. Sentivo i suoi richiami, ma io
volevo allontanarmi. Avevo
deciso di andare verso le tante luci che vedevo di fronte a me. Non
volevo dare
altri dispiaceri al nonno. Volevo che mi dimenticasse. Nel frattempo
speravo di
non trovare mostri davanti a me, poiché ero davvero troppo
debole per
combattere. Ma ovviamente ciò non accadde: Mi
trovò un uccello tutto colorato,
e mi metteva paura! Io allora ho cercato di scappare, ma quello mi ha
preso con
gli artigli nella giacca e mi ha fatto volare! Avevo paura che mi
lasciasse
andare, ed allora ho chiuso gli occhi forte, per non guardare in basso.
Ma poi
ho sentito il nonno che cercava di lanciare un Sancta Liv.4 al mostro,
e allora
mi presi di coraggio. Sentii nascere dentro di me una forza
sconosciuta, e
riuscì a lanciare una palla di fuoco all’uccello.
Solo che quello, morendo, mi
lascio andare, ed io precipitai a terra. Mi svegliai il giorno
successivo con
un gran mal di testa. Ma secondo il nonno, poteva andarmi peggio. I
miei
vestiti erano però tutti rovinati, e il nonno non poteva
comprarmene altri
perché non avevamo i guil... e quindi cucì le
parti strappate con delle toppe,
e se vedi ce le ho ancora! Ma comunque, il nonno adesso sapeva del mio
dono. Lui
era contento perché finalmente aveva capito in cosa ero
bravo. Nella magia! Mi
ricordo che cercava di allenarmi facendomi usare la magia Fire,
l’unica che
conosceva bene. Pian pianino imparai anche Blizzard e Thunder.
Probabilmente,
presto, grazie al nonno, avrei imparato magie più potenti di
quella, ma…”
“M-ma?”
chiese il maghetto.
Vivi
sospirò. Adesso non era più tranquillo
come prima. “M-ma… un
g-giorno…”
C’era
freddo quella mattina. Vivi voleva
uscire a giocare, ma il nonno non voleva.
“Te
piglierai un raffreddore se esci così!”
diceva Quan.
“M-ma
io… mi v-voglio allenare!” sussurrava
il maghetto abbassando lo sguardo.
“Non
se può fa niente oggi, Vivi… Quando
c’è
bel tempo, usciamo” rispose Quan.
“D’accordo,
n-nonno” esclamò Vivi. Si
allontanò dalla stanzetta a fine caverna ed andò
ad osservare le crepe della
grotta, le stalattiti, le stalagmiti e tutte le altre bellezze che
racchiudeva quel
fantastico luogo. Com’era bella la caverna di Nonno Quan!
Piena di segreti da
scoprire! Colorata da quel colore rosso chiaro che tanto piaceva sia a
lui che
al nonno! Era davvero un bel posto per vivere.
Sentì
il nonno dire: “Io vado a preparà da
magnà!”, e il tramestio delle scodelle da cucina.
Vivi
camminava ancora per la caverna,
inciampando di tanto in tanto in un occasionale ciottolo sbucato fuori
dal
terreno ghiaioso.
Finché
non sentì un forte tonfo provenire
dalla Stanza in fondo della Caverna. Poi il silenzio. Non
più i rumori delle
scodelle che il nonno metteva sul fuoco. Neanche le sue canzoncine
mentre
cucinava, pregustando un lauto banchetto. Niente. Il silenzio della
grotta era
glaciale.
Vivi
aveva paura. Che cosa era successo? Si
mosse verso la stanza, con trepidazione. Sbirciò dentro e
non vide nessuno.
Neanche il nonno. Subito corse dentro la stanza, ma inciampò
su qualcosa cadendo
in avanti. Guardò indietro, per vedere cosa lo aveva fatto
cadere, e rimase di
stucco.
Non
era possibile.
Era
inciampato sul nonno, che se ne stava
impalato a terra, senza muoversi.
Vivi
gli andò vicino, e cercò di scuoterlo.
Niente.
“M-ma
dormi?” chiese Vivi.
Silenzio.
“N-nonno?”
chiese Vivi incerto.
E
Quan aprì gli occhi. Ma sembrava tanto
triste e sofferente!
“N-nonno,
ma c-che hai?”
Quan
girò lentamente la testa, verso di
lui.
“Ascolta,
Vivi. Io devo andà in un artro
posto” disse grave.
“E
d-dove?” chiese lui.
“In
c-cielo...” rispose Quan.
Vivi
restò zitto. Ancora non capiva cosa
volesse dire il nonno “E quando torni?”
Quan
ci pensò un attimo prima di
rispondere: “Non tornò più, Vivi! Non
posso più tornà qui!”
“E
p-perché?” chiedeva Vivi, che ancora non
capiva.
“Perché
sto pe morì…” rispose.
E
vivi rimaneva in silenzio. Morire?
“C-cosa
vuol dire m-morire?”
Quan
stava impiegando sempre più fatica a
parlare “Vuò dire… che… non
posso più tornà… che… devo
andà in un posto
migliore… e che non posso più
vederti…”
“M-ma
io rimango solo se tu parti” disse
Vivi, sempre più confuso.
“Lo
so e… mi dispiace, Vivi… ora, tu… non
essere triste, io sarò sempre con te, anche quando non
mi… vedi…”
Vivi
abbassò lo sguardo.
“Ad-d-dio…
Vivi” e Quan si fermò, per
sempre.
“E
il n-nonno si era f-fermato?” chiese il
maghetto a Vivi.
“S-si…
Q-quella notte piansi tutto il
t-tempo, abbracciato al nonno, c-che era f-freddo. Ero tanto t-triste.
Ma poi,
u-un giorno, d-decisi di f-farmi coraggio, e ab-abbandonai la caverna
per
s-sempre. E c-cominciai a g-girare per il mondo, f-finché
non i-incontrai
G-gidan e gli altri.”
E
il piccolino stese un po’ in silenzio,
non sapendo cosa dire.
Vivi
era triste, però. Quell’episodio aveva
segnato gravemente la sua vita. Non aveva raccontato a suo figlio tutte
le
notti in cui era stato sveglio a guardare il cielo, immaginando di
vedere il
nonno scendere da una stella per andare di nuovo con lui. Non aveva
detto che i
primi tempi tornava spesso alla caverna di Quan, sperando che il nonno
lo
stesse aspettando, non aveva detto delle lacrime che aveva versato,
quando
aveva visto che nessuno voleva parlargli.
Ma
poi il maghetto disse: “C-credo che anch’io
avrei v-voluto bene al n-nonno”
“L-lo
penso anche io”
disse Vivi.
Ed
ecco che il quarto capitolo è andato!
Tutto incentrato sul mio maghetto nero preferito! Questo è
stato per me un
capitolo difficile da scrivere, perché le azioni dei
personaggi sono state
sostituiti dall’introspettività della mente umana.
Tuttavia lo reputo il
capitolo più riuscito finora. Inoltre ho anche allungato il
capitolo di una
pagina e mezza rispetto a quello precedente.
Quello
che vorrei sapere è questo:
preferite dei capitoli sulla scia di questo, un mix tra i due stili o
che ritorni
al vecchio stile? Vorrei saperlo in modo tale che io possa accontentare
i più
di voi.
Inoltre,
se qualcosa non va, e se volete
darmi qualche consiglio per migliorare, scrivete nelle recensioni
quello che volete
che io faccia. Siccome è una delle mie prime fic, sono un
po’ inesperto e
vorrei il vostro importantissimo parere!
Ciao
a tutti! A presto con un nuovo
capitolo!